RECENSIONI

a cura di Valerio De Felice

 

Camel/ Omonimo

 

Il primo album del 1973  può vantare indubbiamente un incoraggiante esordio. Un lavoro semi-strumentale dove le parti vocali non sembrano affatto accusare la mancanza di un cantante di ruolo.

I buoni spunti nascono soprattutto dalle idee del chitarrista Andy Latimer e del tastierista Peter Bardens, due personalità molto carismatiche e per certi versi abbastanza differenti tra loro.

 

Sebbene maturato in pieno periodo progressivo, il lavoro di Andy & company  si limita solo a rappresentare gli elementi progressivi del movimento, riproducendone abilmente, comunque, sonorità e tematiche. Manca, sotto questo punto di  vista, lo spessore e la vena creativa che la corrente musicale esigeva, e la maturità artistica che si affermerà solo nell’anno successivo.

Si tratta, infatti, di un lavoro ancora acerbo ma già si delineano in modo netto quelle che saranno le coordinate del Camel-sound, ovvero una predilizione per le partiture strumentali ed un target compositivo essenziale, privo di esasperato tecnicismo.

 

La traccia iniziale, "Slow Yourself Down" è il primo brano composto con l'etichetta "Camel", e sarà spesso riproposto durante le serate live. Nel live "The Paris Collection" del 2000 sarà addirittura eseguita in due differenti versioni, di cui una molto veloce con un solo da brivido di Latimer.

Tra gli altri brani è doveroso citare "Mystic Queen", "Arubaluba", e soprattutto "Never Let Go", il mio preferito del disco: si inizia con un bel arpeggio di accordatura aperta seguita da una interessante sezione vocale. Riprendono poi la scena le tastiere di Bardens e la chitarra arpeggiata, culminanti in un finale ricco di atmosfera.

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