RECENSIONI a cura di Michele De Felice |
Yes/ Close to the edge |
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In perfetta sinergia con i precedenti lavori, anche "Close to the edge" continua a proporre atmosfere futuristiche e concetti astratti. Ci si potrebbe aspettare un rilassamento dei musicisti, dopo le due precedenti opere, ma così non è, soprattutto per il modo in cui si suona: assolutamente stupefacente.
L'obiezione, invece, è legittima sulla reale necessità di deliziare le nostre orecchie con il soverchiante tecnicismo insito in questo masterpiece, che agli occhi del neofita potrebbe apparire per lo meno pretenzioso. Al di là degli eccessi stilistici il disco chiude nel miglior dei modi il periodo più interessante della scuola Yes; non è molto, considerato il calibro della formazione inglese, ma è pur vero che i tre album sono il surrogato di tutto lo scibile dello Yes-sound. Negli anni successivi la band comincia a denunciare un rilassamento preoccupante che si risolve nel primo grande flop della carriera, proprio nell'opera più maestosa: "Tales from a topographic oceans", un doppio disco con quattro brani lunghissimi, quasi tutti troppo ridondanti, fatta eccezione per la bellissima "Ritual (Nous sommes du soleil)"
Ma torniamo a "Close to the edge". La copertina firmata da Roger Dean appare molto povera, ma è un dettaglio del tutto trascurabile di fronte all'eleganza delle tre suite. Le prime due sono divise in quattro parti; colpisce la precisione e il virtuosismo del bassista Squire, una leggenda vivente e guru di un moderno bass-style soprattutto per le nuove leve progressive (vedi "Spock's Beard" e "The Flower Kings"). La precisione di Howe e compagnia bella ormai non fa più notizia, mentre la finale "Siberian Khatru" incuriosisce per la sua natura più accessibile. Album essenziale.
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