Il pianto degli agnelli e il dolore del mondo
Il periodo che precede
Chi non ha mai visto gli agnellini giocare, non avrà mai un'immagine chiara
della gioia che può pervadere la vita. Si inseguono in gruppi, sterzano,
cambiano direzione, saltellano sulle zampe anteriori e posteriori, se c'è un
punto più alto nel pascolo, una roccia, un tronco abbattuto, un fontanile, fanno
a gara a saltarvi sopra e questo per loro è il massimo divertimento, e poi di
nuovo riprendono a rincorrersi, ogni tanto si affrontano e si caricano a
testate, simulando l'età adulta. Poi le madri li richiamano, e allora è tutto un
correre, un raggiungere con misteriosa abilità, tra la folla del gregge, la
propria genitrice, uno spingere con testa, un vibrare di codine soddisfatte. Sul
pascolo scende allora il tenero silenzio della poppata. Ma poi un giorno, poco
prima della Pasqua, mentre gli agnellini pan di spagna sorridono invitanti sui
banchi dei supermercati, nelle campagne arrivano i furgoni e caricano i piccoli
delle pecore e delle capre.
La gioia se ne va dai pascoli e subentrano gli strazianti belati delle madri che
per tre giorni corrono incredule da un lato all'altro chiamando a gran voce le
loro creature con le mammelle gonfie di latte. Poi, dopo tanta agitazione, sulle
campagne scende il silenzio e i pascoli tornano ad essere delle distese brulle
in cui i corvi zampettano tra le madri svuotate dal dolore.
Intanto gli agnellini, avvolti nel cellophan, sono arrivati nei banconi dei
supermercati: interi, a pezzi, o solo la testa, che pare sia una prelibatezza.
L'altro giorno mi ha chiamato un'amica che lavora vicino al mattatoio.
«Mi sono messa i tappi, ma non serve a
niente. Vengono scaricati ogni giorno, a centinaia, e urlano con voci da
bambini, disperate, rauche, in preda al terrore, ma, a parte me, nessuno sembra
farci caso. In fondo ogni anno è così. È la vita, è la tradizione, è Pasqua e
questo è il rumore della Pasqua».
Già, perché
Ma in quei belati, in quelle urla, in quella vita che è pura innocenza, non è
forse celata la domanda più profonda sul senso dell'esistere?
Perché la morte irrompe e devasta, senza guardare in faccia nessuno. Ma in una
società come la nostra, totalmente profana,
in cui nulla è più sacro e gli unici timori concessi sono legati alla materia,
la catena di morte del macello non è che una realtà tra le altre.
Le urla degli agnelli sono un
rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni.
Forse il pianto delle migliaia di agnelli immolati
per routine consumistica in questi giorni non è che il pianto di tutti i milioni
di vite innocenti che ogni giorno in modi diversi, da che mondo è mondo, vengono
stritolate dal male.
E quel pianto che si alza verso il cielo senza ottenere risposta, ci suggerisce
forse che il passaggio, la vera liberazione — la vera Pasqua — è proprio questa…
Susanna Tamaro
28 marzo 2010
Suggerito da Lucia De Vecchi
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