Racconto popolare
 

Alfonso Cipinelli
la storia di un Venturen
 

Pieri Zili raramente raccontava questa storia e sempre di domenica, nella bella stagione, dopo la messa grande, seduto sotto la pensilina del Leon Bianco, osteria in centro a Tricesimo.
Il dopo messa grande, allora, era momento di mondanità. Le carrozze dei notabili attendevano sulla piazza della chiesa. All'uscita, i loro figli, vestiti come bon-bons, andavano ordinati verso la rispettiva carrozza; madri e nonne, eleganti e pudiche, scambiavano saluti e qualche misurato commento, padri e mariti qualche inchino. Poi signore e rampolli rincasavano sulla carrozza.
I signori restavano a scambiarsi giudizi, a stabilire il da farsi, a consolidare rapporti e gerarchie con un rituale brindisi nel caffè Pignoni.
Le villane, come educatamente allora si indicavano le donne dei contadini, non partecipavano alla messa grande, a loro era riservata la messa prima, appunto alle prime luci dell'alba.
I loro uomini invece presenti in massa. Tutti vestiti di nero, con le scarpe di cuoio ben lucidate, camicia bianca, cappello nero e, ovviamente, senza cravatta segno di sostanza o peggio di ribellione.
Era stato l'abito del matrimonio, sarebbe stato il vestito di tutte le feste della loro vita.
Anche loro, dopo messa grande, si fermavano, quasi tutti, sempre col cappello in mano, a salutare i maggiorenti, a ricevere indicazioni, ad apprendere le novità. Poi, finalmente, infilato il cappello, in una osteria, per bere assieme un quarto, a volte anche un mezzo boccale, se la settimana era stata buona.
Il Leon Bianco era un punto di raccolta, apparentemente come le altre osterie, ma alcuni sentivano che lì c'era un qualche cosa di diverso.

"Zili, bevet un tai e containus che di Venturin".
Zili, bevete un bicchiere e raccontateci quella di Venturin.

Pieri Zili premetteva che quella era una storia che richiedeva molta attenzione, comprensione e tatto, trattando questioni delicate. Poi, avuto un cenno silenzioso di assenso, raccontava.
La nostra storia incomincia alle prime luci del 30 Giugno 1846. Sulla porta della cappella dell'ospedale di Udine fu raccolto un piccolo fagotto con dentro un neonato.
Succedeva a volte. Quasi sempre era il frutto di giovani inesperte di famiglie blasonate o di ingenue villane a servizio in case quotate. Nell'un caso e nell'altro il capofamiglia non voleva che onore e reputazione fossero compromessi.
La governante della casa provvedeva a tutto. Tenere ben nascosta la gravidanza. Persuadere le pregnanti che era per il loro bene. Organizzare il parto in luogo discreto. Depositare il fagottino, nel buio silenzioso della notte, sulla porticina della chiesa.
Succedeva anche nei paesi, ma più di rado.
Sui libri dei battezzati si scriveva : nato in Pio Loco. All'inizio anche sulle anagrafi comunali si usava la frase : figlio di Pio Luogo; poi, diventate queste più burocratiche, recitavano : figlio di padre e madre ignoti.
I figli del Pio Luogo si ritrovavano un cognome beneagurante o di fantasia.
Venivano affidati a famiglie del contado, che dietro piccola ma costante remunerazione, provvedevano a crescere la creatura.
Erano soprattutto le suore di un importante convento di Udine che organizzavano la raccolta di lire e di piccoli beni per i mantenimento dei "dati a nodrire".

Fu battezzato col nome di Alfonso e gli fu inventato il cognome di Cipinelli.
Nel fagottino c'erano anche cento lire, un buon anno di mantenimento. La creatura fu data a nodrire alla famiglia Zampa, originaria di Zampis, e che da alcuni anni viveva a Fraelacco, coltivando in affitto un po' di terra.
Mamma Taresene fu felice di dividere il suo seno fra Fonsino e Giustina. E poi i soldi bastavano per lui e qualche cosa anche per loro. E poi i figli erano un dono di Dio. Ma sopratutto Taresene amava i bambini.
Mentre Pieri Zili raccontava, dall'adiacente caffè Pignoni qualche notabile tendeva l'orecchio e osservava le facce.
Un ascoltatore un po' ardito, un po' ingenuo chiese a Zili : "Ma non era la Contessina la madre del Venturin". Pieri guardò severo e riprese.
"Vi avevo avvisati. Comunque dovete sapere che nel 1846 la Contessina era già vecchia e ben altra è la sua storia."
"Raccontate, raccontate".

Si diceva che la Contessina, poco più che fanciulla, avesse conosciuto l'amore di un ufficiale napoleonico, ma forse erano solo dicerie. Di certo è che ancora giovanissima da Udine venne sposa a Tricesimo.
Il marito, 'Bepo Pistor', di umili natali e avanti negli anni, aveva messo assieme un consistente patrimonio con il commercio di granaglie, con una bottega a Tricesimo e una grande pistoria a Udine.
Non ebbero figli, anche perché un paio d'anni dopo Bepo passò a miglior vita. Alla Contessina restò il grande patrimonio del defunto, con il solo vincolo di non rimaritarsi.
La contessina restò a Tricesimo, nella casa dominicale, non prese marito e dedicò il resto della sua lunga vita ai nati in Pio Luogo, o come lei preferiva chiamarli nell'intimo, ai figli dell'amore.
Dava consistenti somme alle suore udinesi. A Tricesimo e dintorni, ove c'era un fagottino dato a nodrire, lei spesso andava, abbracciava e coccolava, portava ciò che mancava. A volte recava cose canonicamente inutili, ma che riempivano la vita di quei bambini.
Era la santola, tenera e generosa, dei figli dell'amore. No, la Contessina non era la madre di Alfonso Cipinelli, detto Venturin.

Alfonso cresceva sui prati e fra i boschi di Fraelacco, gli occhi pieni di vita e intelligenza.
Andò anche a scuola.
La cartella gliela aveva fatta col cartoccio mamma Teresa. La signora Contessina gli portò il libro, quattro quaderni, il lapis, la penna, due pennini e un calamaio di inchiostro.
Una mano sul prezioso dono e l'altra sui cappelli chiari di Alfonso gli diceva : fare di conto e scrivere ti sarà utile. Leggere è come fare grandi viaggi alla scoperta del mondo. Oggi è fatica, più grande che aiutare la mamma nella stalla e nell'orto; ma domani sarà più buono che mangiare un uovo in funghetto.
Fu uno scolaro fuori dalla norma. E incominciò e continuò a leggere anche a scuola ultimata. Quando recuperava un libro e i lavori dei campi e della stalla gli concedevano un po' di tempo, lo divorava. Prima alla ricerca del sapore piccante dell'uovo in funghetto, poi nella incredula scoperta di tanti mondi al di là dei boschi e dei prati di Fraelacco.
Cresceva e cominciava a porsi domande. Perché alcune volte si chiamava Zampa Alfonso altre Cipinelli Alfonso. Perché il suo sopranome era Venturen. Nei litigi di borgata con i coetanei poi, a volte, Cipinelli e Venturen veniva usato con tono che non era solo canzonatorio. Alcune volte gli dicevano anche bastardo. Aveva poco più di dieci anni quando capì. Corse a casa, dove in quel momento Teresina era sola. Si gettò fra le sue braccia e pianse a lungo, senza rispondere alle domande, senza dire parola.
Alla fine, anche se per un ragazzo della sua età non si usava, si strinse ancora di più a lei e mormorò : ti voglio tanto bene, mamma Teresina.
Anche Teresina capì.

Divenne un ragazzo solitario. Aiutava i suoi nei campi e nella stalla, ma appena poteva si immergeva negli angoli più remoti della campagna boscosa. Il posto che più amava era "Albaret", non c'era mai nessuno e lui immaginava che una dolce e non più giovane donna lo seguisse passo passo. Qualche volta lo prendeva per mano, qualche volta gli accarezzava i capelli.
Spesso passava a salutare la Signora Contessina. Non era per la mela o il biscotto, ma per quello che la Contessina gli raccontava. Portava poi a casa un libro in prestito e quattro uova per la famiglia.

Era ormai quasi un giovanotto, quando nel cortile dietro all'osteria di Lessi, vide una ragazza, alta, magra, con lunghi capelli neri. Si fermò e guardò ancora. I loro occhi per un istante furono assieme.
Si chiamava Lucia, era la figlia dell'oste. Ragazza non bella, che nessuno notava, ma portatrice di un sottile e misterioso fascino che Alfonso aveva percepito.
Da allora, quando scendeva a Tricesimo a far visita alla Signora Contessina o per le solennità religiose, passava una o più volte davanti il cortile di Lessi cercando con gli occhi Lucia. A volte succedeva che i loro sguardi lontani, per un breve momento, si incontrassero.
Ora, nel suo vagare nei boschi, aveva tre persone con cui parlare e a cui raccontare : la Contessina, la misteriosa signora e Lucia.
Aveva venti anni quando il padre Giuseppe morì e anche a Fraelacco arrivò l'Italia.
Mamma Taresene vedova doveva sistemare alcuni figli. Un maschio fu dato a famiglio, due femmine a servizio, i due maschi più grandi presero la strada delle Germanie. Alfonso, il più fortunato e il più bravo, grazie alle conoscenze della Contessina e alla sua voglia di andare, entrò nell'esercito.
Teresina, ormai ultra sessantenne, era di poco consumo e riusciva in qualche modo a raccogliere una scodella di latte e una fetta di polenta.
Il giorno prima di partire passò ad abbracciare e a raccogliere le ultime carezze della ottuagenaria contessina, poi decise di andare a bere, come un uomo, un bicchiere di vino nell'osteria di Lessi.
Era la prima volta.
Voleva dire a Lucia che sarebbe ritornato. Ma Lucia quel giorno non c'era.
Ad un avventore che gli chiedeva, rispose con voce alta e sicura : vado a Bergamo a fare il soldato per il Re d'Italia.
Tutti avevano sentito e alcuni lo guardarono con una certa considerazione.
Alfonso già si vedeva, qualche anno dopo, ritornare nell'osteria, in alta uniforme del regio esercito, a chiedere in sposa Lucia, al duro e interessato padre di lei.
Partì, portandosi baci e lacrime di mamma Teresina e il rimpianto di non aver trovato il coraggio di dire il suo amore a Lucia, Lucia che lo amava e lo avrebbe aspettato.
Fu il suo primo viaggio in treno.
Nel 1870 il reggimento di Alfonso fu inviato a Roma, per partecipare alla campagna militare, che si concluse con la presa della Città Eterna.
Nel grande viaggio verso Roma vide tante cose che aveva vagamente immaginato. Quando fece buio rivisitò cose che aveva visto.
La vita da soldato non era male. Sapera scrivere bene ed era spesso chiamato a fare da scrivano a un graduato e leggeva e scriveva lettere per molti commilitoni, ricavandone piccoli vantaggi. "Fare di conto e scrivere ti sarà utile" gli aveva detto tanti anni prima la Contessina.
La Signora Contessina quanto gli aveva dato e non solo biscotti e uova.
Si era spenta pochi mesi dopo la sua partenza per Bergamo. I funerali furono un fatto memorabile. Da Udine era giunta una protocollare rappresentanza del casato. La Contessina aveva vissuto con grande parsimonia per sè e con infinita generosità per i figli dell'amore. Alcuni dicevano con infinita irresponsabilità. Del consistente patrimonio maritale ormai le era rimasto solo una parte della casa dominicale.
Nel corteo alla rappresentanza familiare seguivano i notabili di Tricesimo; era pur sempre il funerale di una Nobildonna appartenente ad una delle più antichi e solidi casati della Piccola Patria.
Poi gli uomini, con il loro vestito nero e il cappello in mano, poi due file interminabili di donne, venute anche dai paesi vicini, venute anche affrontando qualche brontolio. Tantissime donne.
Alfonso aveva saputo da mamma Teresina che gli aveva fatto scrivere una lettera : la Signora Contessina è andata in cielo e ci furono grandi funerali.
Mamma Teresina era ritornata a Zampis con Giustina. Un figlio era morto, una aveva sposato.
Quanto bene per tutti quegli anni gli aveva voluto e si chiedeva se lui era stato capace di mostrarle il grande bene che le voleva.
Mostrare il bene che si vuole, mostrare l'amore che si prova. Lucia. I capelli neri, gli occhi di vita, qualche sguardo. Il rimpianto di non averle detto.

Sui colli lontani appare Roma. Il suo reggimento si accampa non lontano da una cinta maestosa di mura. Tutti dicevano che sarebbe stata una campagna militare brevissima, senza perdite. Una formalità in ossequio a protocolli internazionali. Ma una impresa di grandissima rilevanza patriottica e storica.
Per tutti ci sarebbe stata una consistente licenza, per alcuni menzioni, medaglie e promozioni.
Alfonso già si vedeva nel viaggio di ritorno, forse con una piccola promozione, con sulla divisa il segno di aver partecipato ad una memorabile impresa storica.
Si sarebbe prima fermato ad abbracciare mamma Teresina, a mostrarle che a fare il soldato non c'erano poi quei grandi pericoli, a portarle un gruzzoletto di lire. Poi sarebbe andato nel cimitero nuovo di Tricesimo a parlare con la Signora Contessina, a dirle grazie. Infine, in alta uniforme, sarebbe andato nell'osteria di Lessi. Avrebbe chiamato Lucia in un angolo e le avrebbe detto : Lucia, io ti ho voluto bene dalla prima volta che ti ho vista nel cortile. Lucia, io ti amo. Poi, posata la sua mano sul suo braccio, avrebbe concluso : se tu mi dai il permesso io ti chiedo in sposa a tuo padre.

Ai primi di dicembre l'Officiale di Anagrafe di Tricesimo, finita la giornata lavorativa, si ferma nell'osteria di Lessi. Vi ricordate di Alfonso Cipinelli, il soldato, ha abitato tanti anni a Fraelacco, il Venturen? E' giunta oggi comunicazione del Ministero della Guerra che è morto durante la presa di Porta Pia.
Sentirono tutti gli avventori e sentì anche Lucia, che corse via, in un angolo nascosto del cortile, a piangere.
I Regi Carabinieri, accompagnati da un vecchio prete, portarono la notizia a madre Teresina. Nella misera stanza, seduta vicino al fuoco spento, ascoltò le parole dei carabinieri e le spiegazioni del prete. Non disse parola, non fece un gesto, non versò una lacrima. Giustina lo sguardo fisso e sul volto i segni della pellagra sul viso.
Non avevano neanche più lacrime.
Silenzio ed emozione avvolgevano il Leon Bianco, quando Pieri Griti pronunciò, con voce marmorea la frase : " Alfonso Cipinelli, eroico soldato, offrì la sua giovane vita per l'unità d'Italia e Roma capitale".
Sapeva che quel tono e quelle parole avrebbero portato ad un grande applauso, associando gli avventori del Leon Bianco e del caffè Pignoni, applauso accompagnato da evviva in tante direzioni, al Re, alla Patria, all'unità, a Roma capitale, forse anche ad Alfonso.
Ma non era ciò che voleva. Un no imperioso bloccò sul nascere gli applausi, "no, la storia non è finita".
Qualche anno dopo la Deputazione Comunale di Tricesimo decise di dedicare una piazza e una lapide a un grandissimo patriotta : Giuseppe Garibaldi, appena morto a Caprera.
L'accordo fu unanime, ma le cose si ingarbugliarono quando un giovane e ingenuo membro della Deputazione volle allargare l'iniziativa patriottica. Perchè non utilizziamo questa circostanza per dedicare un piccolo ricordo anche a un tricesimano conquistatore e martire di Porta Pia.
Una piccola scritta accanto alla grande lapide di Garibaldi, che ricordi Alfonso Cipinelli.
Apriti cielo. Dopo il primo attimo di sgomento, le voci degli Onorevoli Delegati, si rincorrono, montano una sull'altra, si rilanciano a vicenda.
Ma non è neanche di Tricesimo. Non sappiamo neanche come è morto. Cipinelli chi, il Venturin? Cosa c'entra con Garibaldi. Alla fine, bigotti e notabili, furono tutti d'accordo.
Tutti patriotti, alcuni garibaldini, alcuni addirittura massoni, ma tutti persone per bene.
La lapide è ancora là, sulla facciata di casa Bisutti " A Giuseppe Garibaldi onore del secolo, onore del genere umano".
Concludeva Griti : destino è destino.

Lucia, sempre più austera e affascinante, sempre più lontana, che conduce con autorevolezza l'osteria dopo la morte del padre, ricorda con tenerezza i capelli chiari di Alfonso e gli sguardi scambiati.