Racconto popolare
 

Il brigante Antonio Tosolini
detto Menot
 

Nel cortile di Menaz, qualche volta, con una presa di tabacco per la pipa e un bicchiere di vino, convincevano Pieri Zili a entrare nella stalla e a raccontare una storia.
"Zili contait che di Toni Menot"
 
"Toni Menot, el brigant, al robave ai siors par no fa muri la int di fan."
Antonio Menot, il brigante, rubava ai signori, per non far morire di fame la gente.
 
A Tricesimo e nelle ville vicine, molti sussurravano e qualche volta lo dicevano anche a voce alta.
Toni Menot, poco più che ragazzo, alto, asciutto, con folti capelli neri e ricciuti, aveva malamente risposto al Conte Valentinis, per una cesta di biada non proprio colma.
Probabilmente Toni Menot si era stupito per il suo ardire, ma ancor più lo aveva stupito il lampo di paura che era passato sul volto del Conte.
Quel giorno, nel cortile del castello, da segni incerti e tenui, capì che la sua vita sarebbe cambiata.
Sentì che così non poteva essere.
Mentre camminava, costeggiando la Tarabane verso i Cuei di Baret, paura, coraggio, ribellione, progetti gli si aggrovigliavano dentro.
A casa mamma Domenica, con la solita rassegnata tristezza, gli fece notare che nel cesto mancava biada per almeno due o tre polente. "Ce mangieno" che cosa mangiamo? In undici fratelli e già tre nipotini, la cognata, le sorelle da sposare.
Come al solito non rispose alla madre. Seduto sotto il grande gelso del cortile capì che avrebbe dovuto fare il brigante.
 

In breve la banda del brigante Toni Menot divenne consistente e ben nota nella piana fra Udine e Tricesimo. Una decina i componenti fissi e numerosi i giovani contadini che vi passavano qualche settimana nei periodi di minor impegno nei campi. Punto principale d'azione era situato a circa metà della strada detta Tresemane in località ora detta Puent Stuart, con alcuni appostamenti lungo la strada del Cormor e lungo la Tarcentina.
Col tempo incominciarono a muoversi anche verso la Sclavonia e la Contea di Gorizia, per eludere gli sbirri e per procurare generi di contrabbando: sale e tabacco.
Infine, l'aumentata e puntuale presenza delle guardie della Serenissima, li costrinse a spostare periodicamente la loro azione nel Monfalconese.
Il fitto bosco di carpini sulla collina fra Laipacco e Tavagnacco, con le molteplici vie di fuga che offriva, su terreno collinoso e incolto, la vicinanza delle ville di Laipacco-Paludo, Leonacco e Adorgnano, nelle cui case e fienili potevano sicuramente rifugiarsi, una discreta quantità di prodotti che ogni giorno dall'area tricesimana scendeva a Udine, rendeva il posto ideale per il brigante.
E poi i carri del Conte dovevano passare o per la Tresemane o per la Tarcentina.
Dai carri fermati si prelevava qualche sacco di frumento e di biada, uova, vino, polli, galline. Solo se si scopriva che il carro portava roba del Conte veniva del tutto svuotato.
E poi via a rintanarsi. In attesa di portare il rubato alle proprie case e a quelle dei vicini.
Dopo alcuni anni Toni Menot si meravigliava di come fare il brigante non fosse poi così difficile o pericoloso.
Certo quanto la Serenissima inviava guardie e sopratutto cavalleria a sorvegliare la zona, bisognava stare ben nascosti. Ma la cosa in genere durava pochi giorni, poi le guardie se ne andavano e qualcuno li avvisava.
Ci voleva un po' di prudenza e non bisognava esagerare e lui qualche volta esagerava, come quel Natale che si presentò a messa grande nella matrice di Tricesimo appena rinnovata; per non dire delle bevute e suonate col ghitarin che spesso faceva in larga compagnia nella locanda di Lessi, a quattro passi dalla piazza del Judisin.
La gente lo guardava con un po' di timore, con un po' di paura, grata o interessata.
Era un brigante.
Ma non si dice ancora di un bambino sveglio e intraprendente 'al e un brigant di frut' ?
Spesso ritornava a trovare mamma Domenica, sopratutto quando il padre era nei campi.
Risaliva lungo lis Lianis, verso la Tarcentina, al borgo dai Celos e poi dietro casa sua.
Fra le case di Adorgnano gli piaceva fermarsi un momento a salutare, a chiedere, a raccogliere cenni, più o meno interessati, di consenso. C'era chi cambiava strada o si nascondeva dietro la porta di casa.
Erano pochi; ma a Toni Menot egualmente rodeva, anche se non lo avrebbe mai ammesso o dato a vedere.
Per diverse cose era intollerante. In particolare per un suo secondo zio, Pieri Menot, che lui chiamava "el diaul, fradi dal predi". In effetti Pietro aveva un fratello prete, ma più che diavolo era un povero diavolo.
E' vero, qualche volta andava a messa grande a Tricesimo, ma perché la chiesa era più vicina. Qualche volta, dopo messa, si fermava a fare corona assenziente ai notabili, che sulla piazza facevano il riepilogo delle cose da fare e non fare, ma erano in tanti a farlo e dai 'siors' c'è tanto da imparare. Povero Pietro le sue giustificazioni avevano una solida base e poi rubare era sempre opera del diavolo, come spesso il Conte diceva sulla piazza della chiesa.
Forse non sapeva, il povero Pietro, che qualche volta anche sua moglie faceva la polenta con la farina del diavolo.
Toni Menot, arrivato al borgo, salutò il patriarca dai Celos, seduto sulla grande pietra davanti alla porta di casa, e trasse dal sacco una gallina "Per la festa". Il vecchio Celot ringraziò di cuore e ripetè a Toni la sua solita frase "o ses frutazas, che Dio us uardi".
Per la madre Domenica nel sacco aveva sempre qualche cosa di buono, quel giorno 'une bufule di sain' e un po' di farina di frumento.
Certo mamma Domenica non poteva mettersi a cuocere il pane, col rischio che il profumo insolito richiamasse il brico o addirittura le guardie a chiederle ragione di quella farina di frumento, ma lei aveva imparato ad aggiungere alla polenta due-tre pugni di farina da pane e così la polenta diventava più buona e più sostanziosa. E nessuno sentiva l'odore.
 
Gli anni erano passati e diventati più duri. Anche il brigante era diventato più duro.
Quella sera d'autunno, in una tana al di là del Torre, capì che la cavalleria croata, assoldata da Venezia e dall'Austria, era sempre più vicina. Lui era sempre più stanco, quella notte non dormì, ricordò.
Il padre era morto l'anno prima. Madre Domenica l'aveva vista da poco, sempre più triste, sempre più rassegnata. Le aveva portato un sacchetto di sale e uno scialle di lana gentile. Sapeva che non l'avrebbe mai messo. "E ie lane di siors" aveva detto.
Anche il conte era morto, ma non gli importava più molto.
Due cose lo riscaldavano ancora un po' in quella umida sera d'autunno. Sempre più spesso nelle ville del Friuli la gente suonava le campane a martello e accorreva, uomini e donne, a cacciare le guardie e gli sgherri inviati a difendere le prepotenze dei notabili.
Il ricordo di Anna.
Anna era figlia di Francesco del ramo dei Bidins di Adorgnano, Bidins e Menos lontani cugini, appartenenti al ceppo dei Tusulins, ceppo che la tradizione faceva discendere da una unica famiglia contadina arrivata molti secoli prima dal Livenza a Felettano, al servizio della Contessa Isa la Bella di Castelpagano. La contessa veneta ai bambini e ai giovani diceva "Tusulin vien qua, va là; tusulin fa questo, fa quelo" e così pian piano per la gente e nei registri diventarono Tusulin. Crebbero poi in gran numero, così un ramo dal nonno Bernardino divenne Bidin, un altro da suo fratello Domenico divenne Menot, da Francesco Cecot, da Nicolò Clauet e così via per i tanti Tusulins di Tricesimo.
Antonio aveva scolpito nella memoria il giorno del loro primo incontro.
Aveva sedici anni. Era domenica in albis e come tutti gli anni le famiglie di Adorgnano partecipavano alla processione e alla messa solenne nella chiesetta campestre di San Pelagio. Dopo la cerimonia anche loro si fermarono sui prati che una volta erano stati della Comune per la merenda. Capitarono proprio vicino ai Bidins. Egli notò subito una ragazza mora, timida nel corpo e nei gesti, ma con gli occhi di fuoco e quegli occhi gli dissero, senza ombra di dubbio, che anche lei lo aveva visto. Fu un pomeriggio senza una parola uscita dalle due bocche, ma di un ininterrotto scambio di messaggi.
Alla fine Antonio ruppe gli indugi.
Pur non essendo più piccolo, la mamma aveva dato anche a lui un colaz. Egli si avvicinò cauto e svagato, col cuore in gola, e furtivo mise nella mano accogliente di Anna quel piccolo ma prezioso pane dolce.
Da quel giorno si amarono per sempre e si frequentarono in segreto ogni volta che era possibile.
Anna e Antonio avevano imparato a lasciarsi messaggi con un rametto di bosso alla fontana dal Spisulot, per poi trovarsi nel bosco sopra la Bissona.
E quei messaggi e quegli incontri continuarono anche quando divenne brigante.
Anna era tenera, ma tremava per la sorte di Antonio. Antonio solo a lei raccontava delle sue aspirazioni e insieme intessevano nei cieli di Adorgnano il loro piccolo-grande sogno.
Anna era morta, aveva poco più di vent'anni. L'avevano consumata le paure per il suo Antonio e tante occhiate di disapprovazione e sorrisi di scherno della gente.
Il brigante lo sapeva, era diventato più cattivo con sé e con la gente e non gli importava più molto.
Gli passa davanti agli occhi quella sera che tagliò tutti i capelli di Leonardo Mitri e non bastando con un coltellaccio finge di volerlo uccidere, per spaventarlo a morte. Poi gli taglia un pezzo di orecchio. Tutti devono sapere che è una sporca spia, che ha mandato la sbirraglia in casa di sua madre, a maltrattare lei e a picchiare la giovane sorella. Non era pentito.
Aveva preso a schiaffi il Podestà, nella osteria di Carnelutti, faccia il suo dovere e non approfitti della posizione.
Aveva tracciato con calcina grandi croci sui portoni del castello, certo il conte e i suoi averi erano sempre stati il suo bersaglio preferito, ma quante ne aveva fatte passare alla gente quel conte. Conte impunito contrabbandiere di tabacco poi.
L'amico e luogotenente Dionisio Martinuzzi, 'el Pizul' , se n'era andato, con una pistolettata nella schiena, una sera a Rizzolo. Non era stato lui, come l'autorità voleva far credere, ma un infiltrato.
Anna se ne era andata, certo anche per colpa sua.
Il brigante sapeva di essere alla fine, ma non sapeva piangere, neanche rivedendo i sogni suoi e di Anna riempire di luce i cieli di Adorgnano.
 
Il giorno dopo la cavalleria croata circondò la tana, legò il brigante e lo trascinò nelle segrete del castello di Udine. In un giorno fu condannato. La pietà di un carceriere gli fornì una caraffa di vino. Il vino e l'infinita stanchezza, che avvolgeva Toni Menot, quasi non gli fecero sentire la corda che le mani robuste del boia gli stringeva attorno al collo.
 
Secondo le regole della Giustizia della Serenissima, il corpo del brigante fu trasportato con un carretto da Udine in Adorgnano, lungo la strada Tarcentina, uno dei principali luoghi dei misfatti del reo.
All'inizio del borgo dai 'Celos' fu costruita una grande forca, alla quale il corpo fu appeso, con un cartello, che, ai pochi che sapevano leggere, elencava i misfatti del brigante Antonio Tosolini, detto Menot.
Lì doveva restare ad ammonimento fino a consunzione.
 
Ma non fu così. Un giovane prete di Felettano, pre Bepino Cecot, fra l'ubbidire all'ordine della Dominante alla consunzione e l'osservare il precetto cristiano di seppellire i morti, scelse quest'ultimo. Così di notte, con tre fidati e audaci coetanei scavò una fossa in un angolo del cimitero di Adorgnano, da anni ormai in disuso. Attraverso la braida, raggiunsero il corpo impiccato. Il vecchio Celot aveva fornito tanto vino ai due sgherri incaricati della sorveglianza. Questi dormivano ubriachi nel vicino fienile. I temerari tagliarono la corda, depositando, senza far rumore, il corpo su una scala trasformata in barella. Fu facile trasportare il corpo al vecchio cimitero, ricoprire la fossa, pulire per bene e rimettere sopra la terra smossa zolle d'erba.
Il giorno dopo, pian piano scoppiò un grande putiferio, ma nessuno sapeva niente. Un paio di roboanti missive fra i Giurisdicenti di Udine e di Tricesimo e tutto finì.
 
Qualche anno dopo, spazzata via la Serenissima, il Friuli percorso e saccheggiato dagli eserciti, Tricesimo un giorno austriaco, un giorno francese, un giorno italiano.
In quell'insolito marasma, nell'abbandonato cimitero di Adorgnano, fra le ormai vecchie e consunte croci, in un angolo ne appare una nuova con su scritto : 'Antonio Tosolini detto Menot rubava per non far morire di fame la gente'.
 
Pietro Zili aveva modi strani di concludere le sue storie. Quando tutto era logicamente concluso, egli amava aggiungere una coda, con la frase "ma la storia non finisce qui".
Passarono gli anni, in Friuli cessarono briganti e contrabbandieri, cambiarono le divise delle guardie, gli ordini giungevano da Milano e da Vienna. Si diceva che Tricesimo era diventato un centro importante.
Sul piazzale della chiesa, la domenica, dopo la messa, c'erano sempre le stesse carrozze, gli stessi notabili o i loro figli ormai adulti.
Il cimitero di Adorgnano ormai del tutto dimenticato, le vecchie croci erano marcite e cadute, un prato che circondava la chiesa.
 
Ma nel 1817 una gravissima carestia colpì molte terre del Friuli e Tricesimo. I morti non si contavano più, morti di fame, "la fan dal 17".
Il cimitero della matrice non bastava più, furono rimessi in funzione i cimiteri delle frazioni.
 
Un pomeriggio, sulla piazza di Adorgnano giunse una ragazza, avrà avuto dodici anni, consunta, riusciva appena a dire qualche parola. Si capì che veniva dalla Valle dell'Arzino, forse si chiamava Venerina, non aveva neanche più fame. Una donna la portò nella cucina di casa sua. Un vecchio le diede la sua preziosa scodella di minestra, con la scusa che i vecchi non consumano molto. Mangiò a stento. Il giorno dopo la trovarono morta nel giaciglio che le avevano ricavato nel fienile.
Dopo la benedizione del prete e le preghiere dei vicini fu sepolta in una fossa, in un angolo del cimitero di Adorgnano. Quell'angolo era stato l'angolo di Antonio Menot.
 
Pieri Zili alzava lentamente l'indice verso il cielo.
Nella stalla di Menaz il silenzio era totale, le donne da tempo avevano smesso di intrecciare cartoccio, i bambini con gli occhi di paurosa curiosità, anche gli uomini avevano smesso di fingere indifferenza.
Tutti gli occhi erano fissi al dito di Pieri. Questi, da affabulatore istintivo, lasciava che il silenzio e l'attesa avvolgesse tutto.
Poi : questa storia insegna che ora si consumano nella stessa terra, finalmente in pace, Antonio Tosolini detto Menot, che rubava ai ricchi per dar da mangiare alla gente e una fanciulla, che forse si chiamava Venerina e veniva dalla montagna, uccisa dalla fame del 17.