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Palazzo Magio - Grasselli in via XX settembre : ecco lo straordinario dono alla città di Cremona

Ne descrive le caratteristiche e le peculiarità una illustre studiosa dell'architettura civile cremonese, Lydia Azzolini, che già lo affrontò su “Mondo Padano” e quindi gli dedicò un capitolo nel libro sui Palazzi del Seicento pubblicato dalla Banca Popolare di Cremona




Chissà, nell’attuale situazione culturale dell’urbanistica cremonese, se al Comune di Cremona hanno preso la notizia della eredità del prestigioso palazzo Magio - Grasselli di via XX Settembre a Cremona come una sorpresa. Di questo palazzo e del suo destino si interessò effettivamente il compianto assessore Luigi Magnoli. Poi è calato il silenzio. Per fortuna Giancarlo Grasselli, spentosi nei giorni scorsi a quasi 95 anni (era nato nel 1911) lo ha mantenuto in ottime condizioni e come tale lo ha consegnato al Comune di Cremona che peraltro e finalmente sta per avviare i restauri dei piani nobili di Palazzo Ala Ponzone.
Ad ogni modo, le informazioni su palazzo Magio Grasselli non mancano e le dobbiamo a una fortunata rubrica che avviata da “Mondo Padano” ai tempi della direzione di Antonio Leoni, poi tradotta in un volume della Banca Popolare di Cremona. Autrice della rubrica e della collana sui palazzi cremonesi è Lydia Azzolini che di palazzo Magio Grasselli ci dà questa splendida descrizione storico artistica.


di Lydia Azzolini

L’austera architettura di palazzo Magio nella monumentale orizzontalità e nell’eccezionale altezza dei piani domina l’antica contrada S. Gallo. Già nel Quattrocento esisteva su quest’area la dimora di Pietro, Bartolomueo e Antonio Magio a cui succedettero i figli e i nipoti, finché, intorno agli anni 1643-45, venne rielaborata in nuove forme e dimensioni dall architetto cremonese Francesco Pescaroli. (1610 - 1679).
La fronte, di una sobria eleganza, palesa nella rigida inipostazione geometrizzante delle incorniciature delle finestre, allineate in gran numero, un desiderio di ordine. di misura, di chiarezza classico-cinquecentesca. Tale rigore costruttivo, privo degli slanci inventivi del barocco, ormai trionfante nelle altre regioni, si allineava alle istanze controriformistiche instaurate in Lombardia dai precetti borromaici sull’architettura, anche civile (...)
Nel nostro prospetto si nota da parte dell’architetto la tendenza a sottolineare, con formula ritardataria, unicamente gli elementi strutturali attraverso delle fasce, rilevate sul fondo liscio, che con largo motivo percorrono la fronte collegando le finestre del piano terra all’altissimo portale, di uguale concezione ma posto fuori asse alla facciata.
L’intervento ottocentesco (1876) dell’arch. Marchetti per il neo-proprietario, Annibale Grasselli, fu di recupero interpretativo delle linee originali quali ancora si conservavano al pianterreno: illuminante, al proposito, è la diatriba sorta fra l’architetto e la Commissione Municipale che esigeva per le finestre del piano nobile un cappello centinato di cui erano prive mentre per le sottostanti, conservate nelle linee originali (ancora attuali), e per il portale nel mezzo si chiedeva che fosse frutta una faccettatur di adeguamento alla tipologia del piano superiore. Il Marchetti si rifiutò di assecondare queste richieste, rinunciando, piuttosto, all’incarico. Nel sostenere la tesi che le finestre dovessero esser lasciate come “trovansi al presente” adduceva che “questa è la fronte di un edificio che a mio credere non esige eleganza ma severità di forme, giusto il carattere dell’edificio stesso soggiungendo poi come non riuscisse a credere, lasciati i cappelli alle finestre del piano terreno, siasi tenuta un’altra norma per quelli del piano superiore che pur devono seguire lo stesso stile e carattere artistico”.
Sull’intonaco, dipinto in rosso a simulare dei mattoni a vista, acquistano evidenza le sagome delle cornici del piano terra e i finti conci trapezoidali nella raggera superiore delle finestre, rettangolari ai lati, a imitazione del bugnato in pietra comunemente usato nel Cinquecento.
Tipiche del cremonese e del mantovano le mensole e sottomensole, sagomate e inflesse, del sottogronda, già adottate allo scorcio del secolo precedente, qui ancora alternate a finestrelle rettangolari.
L’andito profondo si apre sulla visione del parco, che un tempo sfamava in lontananze di orti e di campi (Grandi), ora giardino ombroso di piante secolari. A sinistra del portico di controfacciata, risolto nei moduli della serliana su colonne tuscaniche binate e trabeate, s’innalza un corpo ortogonale che forma una elle maiuscola.



Alla scoperta delle magiche decorazioni di Giuseppe Manfredini


A Giovanni Manfredini va attribuita la decorazione del grande salone dei ricevimenti, finora inaccessibile, e dell'imponente salone che fungeva da anticamera agli appartamenti privati, qui riprodotto per la prima volta: è un'immagine di spazialità dilatata, costruita sui nessi strutturali di un'invenzione prospettica archi-tettonicamente articolata ma sviluppata ben oltre i limiti reali, sì da rendere illusoria la sua continuità.
Le soluzioni adottate dal Manfredini in palazzo Affaitati-Magio o nella chiesa del Foppone evidenziano una maggior aderenza al recupero antiquario di accademica severità con finezze neoclassiche nella citazione di busti di poeti, statue, erme e mascheroni oltre ai tipici motivi architettonici di timpani e lesene ioniche, assenti in questo.
Qui tutto è risolto in un doppio sistema di strutture architettoniche che rende la quadratura ancora più dinamica e aperta, nel felice gioco prospettico di piani sfalsati.
Il trionfo di queste architetture dipinte. prive di figure, vuote scenografie metafisiche, sono forse il sintomo di una crisi di valori che coinvolge la società, alla fine del secolo, a segnare la fine di un'epoca.
Domina al centro del soffitto un enorme sfondato a doppia cupola che si eleva al di sopra delle arcate di un 'finto” loggiato, appena accennato, sul sostegno di un'altra loggia rettangolare a colonne binate ioniche che gira tutta attorno all'ampio perimetro del salone. Il gioco prospettico di questo soffitto è sì risolto in forme classiche ma contenute, allineate al gusto che si andava enunciando di uno stile monumentale d'impianto protoneoclassico, ma in moduli assai meno conclamati che in altre opere della maturità del pittore. Sotto la balaustra della loggia corre un fregio a metope e triglifi mentre sulle pareti si aprono gli arconi con profonde nicchie a cappella che recano, sul fondo, dei basamenti che fan da sostegno a grandi vasi antichi istoriati.
Una concezione d'impianto davvero esemplare, risolta in staticità lineare e massiva protoneoclassica ma di grande ariosità e leggerezza, a cui toglie rilievo l'appannarsi, nel tempo, dei grigi che hanno ormai assunto diafane tonalità polverose.

(Sopra il soffitto del salone, sotto nel testo,l'ingresso del Palazzo, quindi, a tutta pagina, la prospettiva dal basso del salone con la libreria)




Al suo interno, chiuso da una vetrata, sfolgora il monumentale scalone seicentesco a quattro rampe, due brevi e due lunghe, sviluppato in uno spazio che occupa l’intera altezza del fabbricato, accompagnato dalla balaustra in pietra con pilastrini elaborati in raffinate linee barocche.
(foto a destra dello scalone e, sotto, decorazione del Natali)





II soffitto è decorato da stucchi fantasiosi con al centro un affresco dell’ancor giovane Giuseppe Natali (1654-1720) proveniente da Casalmaggiore, che in una sala del palazzo affrontava il suo primo esercizio di quadrature a Cremona: tali quadrature sono conservate sotto una controsoffittatura, caduta alcuni anni fa ma di cui se ne impose la ricostruzione. Il dipinto dello scalone, nell’immagine alata con tromba e ramo di palma in mano, raffigura la Fama, la Gloria, con allusione alla storia gloriosa del casato.
Sappiamo che il Natali per il suo mecenate. il march. Camillo, dipinse numerose stanze prima che il Magio ne sponorizzasse il soggiorno a Roma e a Bologna per affinare, con lo studio presso i grandi quadraturisti del tempo, le sue innate qualità.
Durante la caduta della controsoffittatura fu possibile fotografare le finte architetture decorate dal Natali sul vòlto della stanza: una finta balaustra marmorea dalle linee barocche nei pilastrini e nelle ampie volute, capricciosamente sagomate nello svolgersi nastriforme, dipinte in chiare, delicate tonalità.
A lato dello scalone, al piano terra, si conserva un vasto salone dall’aria conventuale la cui soffittatura lignea potrebbe essere riconducibile alla bottega di un grande intagliatore cremonese, Cesare Ceruti (1573-1643). amico anch’egli dei Magio, che, secondo gli storici, avrebbe lavorato nel suo palazzo ad alcune opere lignee e, nel 1635, anche al rifacimento dei cassettoni del piano terra, ove l’impropria definizione dei nostri soffitti a tavolette fra i travicelli scoperti è cosa abbastanza diffusa.
Altri bei soffitti lignei con mensole finemente lavorate si trovano in alcune stanze alla destra del portone d’entrata. Sul piano d’arrivo dello scalone si aprono le porte di accesso alla loggia e all’ala di carattere privato: la loggia corrispondente al portico sottostante, venne, purtroppo, manomessa dalla chiusura delle ampie arcate, alternate a lesene binate rigidamente lineari, forse riprese nell’Ottocento, a eccezione di una rimasta a vetrate, alterando gli armonici equilibri di vuoti e di pieni che ne alleggerivano la monumentalità. La galleria introduceva al grande salone dei ricevimenti, finora chiuso all’osservazione, decorato, come altre stanze private del palazzo, da Giovanni Manfredini (1730 -1790).
Palazzo Magio resta l’unico esempio cremonese di facciata seicentesca, esempio di come allora fosse consentito agli architetti di esprimersi nella Lombardia dei Borromneo, cioè con un substrato di classicismo e di accadeniismno che comportava una composta gravità delle forme del Manierismo, un manierismo misurato e corretto, evoluto in forme di decoro grandiose ma senza ardimenti.
Il Pescaroli continua le forme cinquecentesche opulente con senso di grandiosità, di solennità d’insieme, con amore di luce e di chiarezza nei piani e nelle ampie superfici.
La storia dell antichissimo palazzo Magio è ben delineata nel suo evolversi nel testamento del marchese Giovan Clemente del 30 marzo 1700 dove, tra l’altro si rimanda a ” una stanza ossia Museo ò più propriamente Pinacotheca dove ho ridotto dal 1300 in questa parte le immagini dei nostri antenati tanto della linea del marchese Camillo mio padre, quanto di quella del Co. Carlo quanto del marchese Giovan Paolo con le consorti de rispettivi sogetti quasi tutte cavate da originali con quelle cognitioni che ho potuto...”.
Nulla sappiamo sulla sorte di questa galleria di ritratti, certo alcuni anche dei nostri migliori pennelli, forse finiti presso i Pallavicino a cui passarono i beni di questo casato quando si estinse, fors’anche venduti dagli stessi. Interessante poi la notizia dei ritratti trecenteschi che confermano l’uso di questo genere pittorico diffuso nelle famiglie della nostra piccola nobiltà.




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di Sab, 18 ago 2007