I servizi speciali


I lavori in Santa Monica sono un barlume di speranza

La città è nel buio urbanistico, servirebbe un decisivo vertice progettuale ma “Cremona nostra” non lo consentirà


Abbiamo dato notizie che finalmente sono cominciati i lavori di restauro e di adattamento dello straordinario e millenario monastero di Santa Monica - Salvatore del Mondo (la ex caserma Goito) in via Bissolati. Un barlume, che dobbiamo all'iniziativa dell'amministrazione provinciale, in un quadro di gestione urbanistica della città sempre più nero.

Torniamo su questo argomento dopo una lunga inchiesta di oltre un anno fa che, non per colpa nostra, è via via scaduta in chiacchiere inconcludenti. Non è cambiato nulla, anzi si è andati al peggio, il che inserisce bene questo argomento nella nostra indagine sui guasti (e gli sprechi, documentati anche nel precedente servizio) della “casta” e dei suoi derivati.
La caduta della gestione di Cremona è diventata clamorosa ed ancor più angosciante dopo un ulteriore evento drammatico: l'allontanamento o - se vogliamo verderlo da altro punto di vista - le dimissioni di Massimo Terzi che se n'è andato sbattendo la porta della Giunta del sindaco Paolo Bodini . .
Certo, anche a Terzi si può fare qualche appunto (e forse lui stesso potrebbe giudicarlo opportuno).


Potrebbe essergli rimproverato, dal momento che gli è stata concessa l'autorità di compiere una grande impresa come la revisione del piano regolatore, di non essere riuscito a farsi comprendere, probabilmente per un eccesso di scrupolo che ha badato a sostanziare culturalmente le proprie scelte (i quaderni del suo assessorato rimangono come pietre miliari) ma assai poco ad affrontare la platea del teatro politico - demagogico.
Il secondo appunto si inserisce in una città che spesso mutua modalità da “cosa nostra”, più velate ma non meno inesorabili, con feroci veti incrociati e l' emarginazione dei contestatori, una questione morale che tocca direttamente anche gli Ordini Professionali, defilati anzi disertori in una funzione primaria, quella di difendere e sostenere nel territorio pubblico e privato la dignità delle scelte professionali, forse anche gli Ordini stessi investiti dal timore di essere emarginati dalla “casta” che materialmente assegna una quantità di incarichi.
Il terzo rimprovero è che,dopo l'uscita dalla Giunta, Massimo Terzi ha subìto, senza reagire energicamente l'ormai abituale e crescente vergogna degli ultimi tre lustri, ovvero il"fatti più in là” degli amici di turno propinato con la implorazione ( la classica lacrima del coccodrillo) di non disturbare, per una fedeltà ideologica sempre più pallida, la amministrazione alla quale sono approdati con gli anni 90 neo ed ex comunisti grazie al tradimento o alla congiura di palazzo, chiamatela come volete, del democristiano Garini.


Nella assenza totale di una opposizione attrezzata, guardabile, Cremona ha emarginato le poche voci di dissenso, pur autorevoli, ed è ripiegata irrimediabilmente su se stessa, cancellando persino con crudeltà quanti (spesso controcorrente ) hanno dedicato impegno, dedizione e competenze nel ricercare un terreno di elaborazione originale orientato verso uno sviluppo “diverso” da quello fino ad allora perseguito da altre città. Un significativo contributo in questo senso era già venuto dall'architetto Eugenio Bettinelli. Ma anche lui è stato fatto fuori e costretto alle dimissioni da Bodini e dalla "casta": non era propedeutico, soprattutto, agli interessi DS.

Il contigente - quando si scade nell'Italietta - premia più dei piani a lungo tragitto. Longanesi diceva che In Italia si privilegia il taglio del nastro tricolore (ed a Cremona ne abbiamo avuto qualche esempio: la pensilina, i giardini pubblici) .

Così non ha avuto alcun seguito il proposito e l'incitamento di Terzi, mutuato dallo studio del Censis, e cioè che a Cremona si dovesse correre per mantenere le proprie caratteristiche e costruire quegli elementi di innovazione che le avrebbero permesso di ” promuovere e vendere ” la propria diversità. Quella fase storica meritava certamente il perseguimento di tale attenzione. Il progetto Cremona -Città della Musica, al quale aveva dato un forte contributo, in premessa, prima di essere licenziato, il suddetto Bettinelli, si qualificava come uno degli assi per valorizzare le risorse della città che necessitavano di un salto di qualità.


Era sicuramente un progetto ambizioso che intendeva inserire Cremona in circuiti più ampi per cui non era pensabile una soluzione che facesse affidamento solo sulle risorse locali. Si dovevano trovare alleanze altrove che non fossero soltanto quelle banali e fondamentalmente istituzionali come il “Circuito delle Città d'Arte”. Si trattava non solo di attrarre funzioni di livello superiore, ma anche di coinvolgere operatori in grado di impegnare risorse economiche e con il possesso del know how gestionale capace di inserire la complessità cremonese nella rete dei grandi eventi di relazioni nazionali ed internazionali, non solo in campo culturale, ovviamente, ma appoggiando una peculiarità all'altra.
Quel laboratorio è rimasto un tentativo interrotto. Quel disegno nato ed elaborato nelle stanze del Comune è stato  poco a poco , affrontato dallaProvincia alla quale in alcuni campi si deve riconoscere una certa determinazione. Tuttavia siamo ancora di fronte a una azione molto parziale e purtroppo che scatta con molto ritardo, quando ormai molte opportunità ci sono state sottratte dalle città vicine.
Qualsiasi persona che frequenta Cremona con una certa assiduità dirà anche a voi che avverte immobilismo e stagnazione, una attesa fatalistica, da fortezza dimenticata al confine del Deserto dei Tartari.

La Giunta Corada affonda nel provvisorio o cade su soluzioni talmente vecchie che, persino se furono qualche lustro fa apprezzabili, sono ormai uscite dal tempo (e meno male, per restare al pratico che la tangenziale sud costa una tale montagna di quattrini che si può realisticamente credere che non andrà a buone fine il proposito reiterato con ostinazione degna di miglior causa, mentre peraltro procedono i lavori per il parcheggio in piazza Marconi, altro disastro urbanistico, l'attuazione di una idea in ritardo di vent'anni e con un impianto centrale della città profondamente mutato, interessi commerciali diversi, attrazioni all'esterno e con lo stesso sindaco che, in uno strapazzo di coerenza, dichiara che occorre allontanare le auto).

La giunta Corada e la opposizione non mettono proposte in campo e la città è avviata, molto più di allora, ad una decadenza inarrestabile.
Siamo in grandissimo ritardo rispetto alle proposizioni persino su Santa Monica ( bisogna constatare con molta umiliazione, da cremonesi, la rapidità con cui Brescia, Mantova e Parma hanno risolto casi analoghi).


Questo primo stralcio di lavori,(nei quali, a cura della Provincia come direttore artistico riemerge Terzi: ormai non può più fare ombra) viene finanziato con circa tre milioni di euro.  Sono poca cosa, prendiamoli come un simbolo di riscatto insieme al recupero di palazzo Pallavicino (destinato, si spera, al restauro degli strumenti ad arco: anche in questo caso si deve registrare l'incapacità di scelte super partes contro le opposizioni di saccoccia, il ricorrere frenetico ed elettoralmente utile di un consenso generale che gli interessi contrastanti non potranno mai dare, una storia infinita di occasioni perse, molti milioni di euro, uno scandalo del quale bisognerà prima o poi scrivere la storia, dal primo veto per rivalità ideologica dei comunisti alle proposte dell'architetto Renzi che avevano raccolto consensi in chiave UE ai tempi del sindaco Zaffanella , all'efficacissimo percorso ministeriale percorso dall'assessore Eugenio Bettinelli, prima che forse e proprio per questo motivo - come alcuni sostengono - venisse crudelmente sgambettato, fino a una proposta generossima di Giovanni Arvedi, anch'essa trascurata con abissale incoscienza).
Santa Monica, dunque, come simbolo di un barlume di speranza, peraltro accompagnato da molta apprensione: bisognerebbe subito incominciare a soffiare nelle vele. Perchè questo atteggiamento sia efficace occorrerebbe fiatare tutti insieme. Non c'è proprio vento, invece.
Le speranze di invertire la tendenza passa, infatti, per voli alti e strategie di assieme che vanno ben oltre la concessione delle licenze edilizie con poco o nessun riguardo per l'identità della città. Cremona resta inchiodata anzi, peggio, affonda e tradisce la sua immagine se continua a restare nei tanti piccoli “orticelli” portatori di interessi ristretti e frammentati, nei blocchi corporativi che spargono le risorse in tutte le direzioni (oppure frenano le spinte innovative intelligenti), e non affronta, non stimola e non diffonde un dibattito progettuale partecipato, inteso ad individuare l'esistenza di vocazioni specifiche e compatibili , secondo un ordine rigoroso di priorità che sappia, nello stesso tempo, valorizzare le eccellenze storiche, produttive e sociali.
Una città, per quanto versatile, non può perseguire qualsiasi tipo di obiettivo (... noi invece stiamo rincorrendo tutto, ovvero nulla) ; quanto più la vocazione naturale della città è vicina al modello di sviluppo che ha scelto, tanto più realistica sarà la sua realizzazione.
Purtroppo il vertice progettuale che può rilanciare Cremona con risultati concreti ed operativi è un sogno. “Cremona nostra”, ovvero l'intrico degli interessi incrociati che attraversano senza problemi gli assi politici, garantendosi il successo delle proprie operazioni, non consentirà mai di passare dalle parole ai fatti. Troppi interessi trasversali si oppongono a una soluzione rigorosa, nell'interesse puro della comunità e senza guardare in faccia nessuno. Troppi "riverisco", troppi altari da baciare ed inginocchiatoi da praticare. Basterebbe riconsiderare alcune vicende recenti per capire che la città è ingessata e può compiere solo scelte di facciata. Incapace di difendere persino la sua salute. Mentre decisioni gravi - includiamoci pure l'autostrada - compiono il loro iter schermate e vengono alla ribalta soltanto quando il misfatto è compiuto.

Ecco la verità che non consente ottimismo e rimanda a una constatazione inoppugnabile: la storia di Cremona negli ultimi venti anni è quasi totalmente una narrazione di progetti stecchiti e di speranze deluse. Sotto il Torrazzo i sogni continuano a morire all'alba.

Nelle immagini: sopra una immagine virtuale del centro storico, e sotto, un altro guasto passato nell'indifferenze generale persino in quella del consiglio comunale: Cremona non è stata capace di difendere (e mica in periferia ma sotto il Torrazzo!) la armonia dei tetti rossi della città che le è valsa anche l'appellativo letterario di città "rossa". In altri Paesi, la Germania ad esempio, sarebbe reato passibile di arresto un fatto come quello documentato nella foto Leoni che denunciò subito lo sgarro paesaggistico.




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di Mer, 7 nov 2007.