Testimoni di Geova e libertà di coscienza.

 

Ho deciso di scrivere queste pagine dopo aver letto l’articolo della Torre di Guardia del 15 marzo 1998 sul tema della libertà cristiana. Queste osservazioni derivano dalla mia personale esperienza come Testimone di Geova e non devono essere considerate semplici critiche (anche se a volte il tono è pungente): quelle che seguono sono piuttosto riflessioni, ragionamenti, meditazioni e ricerche che desidero condividere con altri.

Gesù ha indicato che libertà e verità sono strettamente connesse (Giov. 8:32); ne consegue che, dove la libertà è limitata, anche la verità ne soffre. Le opinioni umane, imposte obbligatoriamente, possono quindi, non solo intaccare la libertà, ma essere un ostacolo alla verità. Qualcuno ha affermato che "le convinzioni, più che le bugie, sono nemiche pericolose della verità". Concordo con queste parole, che possono essere anche rese, in armonia con l’argomento, "…sono nemiche pericolose della libertà".

 

Dedicazione e libertà di scelta

Questo era il tema del primo articolo di studio nella Torre di Guardia del 15 marzo 1998. La rivista, a p. 19, §§ 4, 7, 15 e 19, affermava: "Invece di dire: ‘La Società insegna’, molti Testimoni preferiscono usare espressioni come ‘La Bibbia dice’ o ‘Ho compreso che la Bibbia insegna…’ In questo modo mettono in chiaro che quella di accettare gli insegnamenti biblici è stata una loro decisione personale e inoltre evitano di dare l’impressione errata che i Testimoni subiscano in qualche modo i dettami di qualche setta religiosa". " …ciascuno di loro ha deciso personalmente… di vivere secondo le norme bibliche. Queste non sono decisioni imposte da altri". "Se un Testimone prende decisioni basate sui consigli biblici dati dal Corpo Direttivo, lo fa di propria volontà, in quanto studiando personalmente la Bibbia si è convinto che quella è la cosa giusta da fare". I Testimoni "lasciano che siano lo spirito di Dio e la sua Parola a dirigere la loro vita". (Il corsivo è mio).

E’ vero che quella di diventare Testimoni di Geova è una scelta, anche se, a mio parere, molte questioni implicate in questa decisione possono essere comprese solo con il tempo. "Il battesimo è l’inizio della corsa cristiana", quindi una persona può, con il passare del tempo, acquisire altre consapevolezze e giungere a conclusioni diverse. Per quanto mi riguarda, vorrei rilevare che la conoscenza, il discernimento, la maturità personale, l’esperienza che si conseguono solo vivendo e sperimentando la realtà della vita, non sono certamente ora quelle che avevo quando mi sono battezzato. Quando studiai il libro Verità, nel lontano 1974, ricordo che rimasi colpito da un paragrafo in cui si diceva: "E’ vero che a volte come uomini possiamo avere limitata conoscenza ed esperienza, non apprezzare appieno perché una certa legge dichiarata da Dio è così importante, o come realmente opera per il nostro bene. Ciò nonostante la nostra ferma credenza che Dio conosce senza dubbio molto più di noi, che la sua esperienza è molto più grande della nostra, e che ciò che fa è per il nostro bene eterno, ci spingerà a ubbidirgli con cuore volenteroso" (La Verità che conduce alla Vita Eterna, p. 21). Queste parole mi indussero ad accantonare dubbi, perplessità ed incertezze: pensai che, acquisendo maggiore esperienza e conoscenza, avrei capito ed accettato pienamente anche le cose che mi rendevano esitante ed insicuro. "Non puoi aspettare di avere capito tutto prima di diventare testimone di Geova", è ciò che si sente ripetere anche oggi. Quindi mi battezzai. Ecco però che, dal momento del battesimo, le condizioni cambiano radicalmente: se prima potevi esternare i tuoi dubbi, le tue obiezioni, i tuoi punti di vista, in seguito questo non è più permesso.

La Torre di Guardia ricorda che alcune organizzazioni religiose "cercano di indurre le persone a sostenere le loro idee e i loro obiettivi, non sempre ricorrendo ad argomenti convincenti" (La Torre di Guardia del 15 marzo 1997, pp. 15-16). Nella Congregazione dei Testimoni di Geova, gli ‘argomenti poco convincenti’ sono le pressioni sociali e i provvedimenti disciplinari – usati, a mio parere, in molti casi più come strumento di controllo e di potere sugli individui che come dimostrazione di autentico interesse umano e personale – che includono la privazione di alcuni privilegi come la preghiera pubblica, la possibilità di rispondere alle adunanze, la rimozione dagli incarichi di chi ha responsabilità, per giungere – nei casi ritenuti più gravi – alla disassociazione del "trasgressore".

Le dichiarazioni della Torre di Guardia che ho citato all’inizio, sono molto interessanti: dalla loro lettura si ricava un’immagine serena e rassicurante dell’atmosfera esistente nella Congregazione: I Testimoni studiano personalmente la Bibbia, seguono liberamente i "suggerimenti" del Corpo Direttivo; non subiscono pressioni ed influenze di nessun genere al fine di essere indotti al conformismo. La Bibbia, lo spirito santo e la coscienza individuale sarebbero i fattori prevalenti che guidano i singoli componenti della Congregazione.

La realtà – in base anche alla mia esperienza personale – non è sempre così idilliaca. Come ho accennato, in molti casi vengono esercitate notevoli pressioni per indurre ad un’accettazione acritica e passiva di tutto ciò che l’Organizzazione decide e dichiara.

Vorrei porre alcune domande per introdurre una presentazione di fatti ed argomenti che contrastano decisamente con la visione presentata dalla Torre di Guardia; le domande sono queste:

Non mi riferisco naturalmente ad intendimenti palesemente contrastanti con ciò che la Bibbia insegna con chiarezza, ma ad aspetti secondari, che non riguardano le verità fondamentali del cristianesimo ma che possono tuttavia avere a che fare con la libertà personale e con la vita degli individui. – Confronta, per esempio, 2 Giov. 7 con Romani 14.

Vorrei esporre alcuni esempi concreti – che spaziano dai gusti personali, in vari settori, alla libertà di scelta nel campo della salute – per rendere chiari questi concetti.

 

Libertà e gusti personali

Inizio con un soggetto che potrebbe sembrare poco importante ma che esemplifica efficacemente il controllo che viene effettuato sulle scelte individuali, anche in questioni secondarie. (Confronta Luca 16:10) Mi riferisco al divieto imposto ai Testimoni di farsi crescere la barba. Non so precisamente da quanto tempo è stata introdotta questa regola: la rivista più vecchia che ho trovato, in cui si parla di ciò, è La Torre di Guardia del 15 settembre 1968. La rubrica Domande dai lettori, nelle pagine da 574 a 576, prendeva in considerazione l’argomento rispondendo alla domanda in cui si chiedeva se Gesù, quando era sulla terra, avesse avuto la barba. La rivista rispondeva affermativamente citando varie scritture, fra le quali Levitico 19:27, che imponeva a tutti i Giudei – quindi anche a Gesù – di ‘non rasarsi la barba ai lati’ (Parola del Signore [PS], L.D.C., A.B.U. 1985). – Confronta anche Isaia 50:6. (Prima di quella data però, si sosteneva che Gesù non avesse avuto la barba e le raffigurazioni delle pubblicazioni della Società erano in armonia con questo intendimento: si veda, ad esempio, il disegno a p. 265 di La Torre di Guardia del 1 maggio 1968).

La rivista aggiungeva che "i ministri cristiani …si preoccupano di essere ordinati e puliti, ma si sforzano di vestire in modo da non dare nell’occhio… In anni recenti, in molti paesi, un uomo con la barba o coi capelli lunghi attira immediatamente l’attenzione e, nella mentalità della maggioranza, può essere classificato in modo indesiderabile con gli estremisti o coi ribelli contro la società. I ministri di Dio vogliono evitare di dare qualsiasi impressione che distolga l’attenzione dal loro ministero o impedisca a qualcuno di ascoltare la verità". La rivista proseguiva osservando che "nel paradiso restaurato sulla terra non sarebbe fuori luogo se gli uomini tornassero ad avere la barba, in modo perfetto, [?] come Adamo in Eden". (Corsivo mio). Il contenuto di quella Domanda dai lettori è, anche oggi, in gran parte condivisibile: è vero che una barba e dei capelli incolti, arruffati e in disordine danno una pessima impressione. (Questo è anche ciò che ribadiva La Torre di Guardia del 1 febbraio 1976, p. 85). Però è altrettanto vero che una barba curata e ordinata può produrre un effetto positivo: molte persone rispettabili e stimate, infatti, hanno la barba; nella società in generale una barba "normale" non è per nulla considerata biasimevole, anzi può dare un’immagine di serietà, maturità e autorevolezza.

  Le argomentazioni della Torre di Guardia sono ragionevoli se considerate dei semplici suggerimenti o consigli da applicare selettivamente, liberamente e con discernimento: purtroppo sono invece divenute, fra tutti i testimoni di Geova, una regola ferrea che va rigorosamente rispettata per non incorrere in provvedimenti disciplinari: nessun Testimone può farsi crescere la barba, non importa se è ben tenuta, curata e ordinata; chi lo fa non è considerato "esemplare" e quindi non può avere determinati privilegi nella congregazione. La barba è diventata un fattore discriminante per valutare la sottomissione degli individui: chi ha la barba non può pronunciare preghiere, tenere discorsi, avere anche il minimo incarico, come fare l’usciere o scrivere a macchina programmi per le adunanze. E’ paradossale pensare che il fondatore della Watch Tower Society, Charles Russell, se oggi fosse in vita, verrebbe disciplinato dagli "anziani" per la sua barba lunga e fluente (vedi immagine seguente).

Proseguo con questi aspetti ‘secondari’, passando dal taglio della barba a quello dei capelli. Anche in questo caso esistono delle regole, che tuttavia non sono adottate in tutto il mondo, ma vengono applicate in base alle preferenze soggettive degli "anziani". Cito un caso personale.

Qualche tempo fa, gli "anziani" della congregazione locale cui mi associavo hanno deciso che mio figlio dodicenne, a causa del suo taglio di capelli che, a loro parere, ‘non era adatto ad un cristiano’, non avrebbe dovuto pronunciare discorsi nella Sala del Regno. Cosa avevano di così sconveniente questi capelli? Tanto per averne un’idea visiva, si possono sfogliare le pagine di Svegliatevi! dell’8 giugno 1997, dove, a pagina 9, compare la foto di un ragazzo che aiuta il padre a riparare l’automobile (vedi foto seguente). Questo giovane ha lo stesso taglio di capelli ‘incriminato’!

La foto illustra una scena ‘esemplare’ per illustrare il tipo di rapporto che deve esistere fra padri e figli nelle famiglie cristiane. Alle mie obiezioni, uno degli "anziani" della congregazione ha replicato affermando che la foto di Svegliatevi! ritrae una famiglia americana, e, come si sa, in America adottano mode stravaganti. Un altro "anziano" ha osservato che il giovane ‘potrebbe non essere un Testimone e che, in ogni caso, non è sul podio a pronunciare un discorso’. Queste maldestre ‘giustificazioni’ rivelano, anche in questo caso, l’imposizione di una regola umana e la cosa è ancora meno appropriata dato che questo dettame – o suggerimento – non proviene dal Corpo Direttivo, ma dal giudizio opinabile di alcuni "anziani".

  Vi sarebbero altre regole, sempre nell’ambito dei gusti personali, che concernono l’abbigliamento, il modo di adornarsi e lo svago. Non mi soffermo oltre su questi aspetti. Mi limito ad osservare che anche in questi casi è di prassi reprimere l’individualità a favore del conformismo.

 

Coscienza e neutralità

Passando, ora, ad aspetti più seri, vorrei menzionare la questione dell’obiezione di coscienza al servizio militare che i Testimoni di Geova definiscono "neutralità cristiana".

Ho vissuto personalmente questa esperienza e parlo quindi per cognizione di causa. Nel 1975, dopo pochi mesi dal mio battesimo, fui chiamato a fare il militare. Essendomi rifiutato di servire nell’esercito, fui condannato dal tribunale militare di Verona ad un anno di carcere, che trascorsi in parte nel reclusorio militare di Peschiera, in parte in quello di Gaeta. Non mi sono naturalmente pentito di quella scelta che sarei disposto a ripetere senza esitare. Menziono questo soggetto in relazione al servizio sostitutivo smilitarizzato. Tutti i fratelli che avevo interpellato non avevano le idee chiare in proposito, compreso l’"anziano" della mia congregazione. Ricordo che nel carcere, in attesa del processo, tra i fratelli circolava un questionario in cui si suggerivano le risposte da dare al giudice. (Il tono era del tipo: "se ti è posta questa domanda… rispondi in questo modo…"). La domanda più difficile era: "Perché rifiuti il servizio civile smilitarizzato?" Veniva suggerito di rispondere: "Perché è un compromesso". Questa "spiegazione" non era molto convincente: non riuscivo a capire allora – e nemmeno oggi – come potesse il servizio in una struttura che non ha nulla a che vedere con l’esercito e che consiste nel compiere opere umanitarie, come l’assistenza a malati, disabili o persone anziane, essere considerato una violazione della neutralità cristiana. Le argomentazioni a sostegno di questa posizione erano:

 

  1. Il lavoro è fatto in sostituzione del servizio militare.
  2. La Bibbia dice: "Foste comprati a prezzo; smettete di divenire schiavi degli uomini". (1 Corinti 7:23).

Entrambe queste "ragioni" sono poco chiare: Fare qualcosa in sostituzione di qualcos’altro, infatti, non rende l’azione in sé sbagliata. Il contesto di 1 Corinti 7, parla di avvalersi dell’opportunità di rendersi liberi dalla schiavitù agli uomini, non di andare in prigione per il rifiuto di compiere dei servizi umanitari. Ancora più difficile da capire era il ragionamento secondo il quale, se un giudice imponeva il servizio civile come condanna, questo poteva essere svolto, mentre se veniva scelto era considerato un compromesso. Tale "compromesso" veniva sanzionato per "violazione della neutralità cristiana". (Ciò equivale a dire che, se un giudice intima di compiere un’azione sbagliata, è consentito eseguirla). Il pensiero prevalente tra i fratelli era che – anche se non si capiva bene il motivo – bisognava rifiutare, pena l'ostracismo, quindi tutti si conformavano a queste aspettative. In tutto questo la coscienza c’entrava poco: la motivazione di tale condotta non era la scelta personale, basata su un esame delle Scritture o su dei convincimenti consapevoli, ma erano le direttive provenienti dall’Organizzazione.

Anche in questo caso, quindi, anziché dire: "Ho compreso che la Bibbia insegna", era più opportuno affermare: "La Società insegna". Di sicuro, infatti, nessuno, consultando autonomamente le Scritture o ascoltando la propria coscienza, sarebbe giunto ad assumere l’atteggiamento "suggerito" dalla Società.

Nel 1996, l’articolo di studio nella Torre di Guardia del 1° maggio, riportò un "nuovo intendimento" secondo il quale ora "il cristiano dedicato e battezzato deve prendere la propria decisione in base alla sua coscienza addestrata secondo la Bibbia" (p. 19). Ci si potrebbe domandare cosa vi sia di "nuovo" in questo; non era così anche prima? La novità consiste nel fatto che, se ora il fratello sceglie di fare il servizio civile, non viene sanzionato, mentre prima un’eventuale scelta in tal senso – anche se frutto di attenta riflessione e motivata da una buona coscienza – avrebbe comportato la sua espulsione "de facto" dalla Congregazione (p. 20). Quando, infatti, la Società dichiara che seguire una certa condotta è "una questione di coscienza", ciò sottintende che il cristiano non subisce provvedimenti punitivi per le sue eventuali scelte. Mi domando, tuttavia, come si possa coerentemente parlare di ‘decisioni personali’ che ‘non sono imposte da altri’, ‘prese di propria volontà’ da persone che non "subiscono in qualche modo i dettami" di qualche gruppo religioso, come fa La Torre di Guardia del 15 marzo 1997, quando poi per seguire la propria coscienza, senza essere sanzionati, bisogna avere il "permesso" del Corpo Direttivo.

Questi "nuovi intendimenti" sono piuttosto frequenti. Si spiega che ciò accade perché la comprensione della verità è graduale e progressiva così, mentre si avanza nell’intendimento, possono esserci degli aggiustamenti. Nel frattempo, le vedute – che poi vengono radicalmente modificate – si devono accettare senza dubbi ed esitazioni.

Come ho già accennato, non si mettono in dubbio le verità fondamentali del cristianesimo ma si ragiona su aspetti secondari; quindi, anziché "pontificare" su argomenti che la Bibbia non definisce con chiarezza, non sarebbe preferibile evitare il dogmatismo, usando espressioni del tipo: "E’ ragionevole pensare…", oppure "noi suggeriamo che…" lasciando poi decidere ai singoli – senza nessuna "ritorsione" – la condotta più opportuna da seguire? Non si eviterebbero così inutili complicazioni e difficoltà? Per esempio, come dicevo, personalmente non sono pentito di aver rifiutato il servizio militare; mi dispiace però di essere stato un anno in carcere quando magari avrei potuto scegliere di impiegare quel tempo in un servizio civile utile al mio prossimo.

Il fatto, quindi, che i vari "diktat" della Società (poi modificati), in molti casi abbiano creato problemi e sofferenze a coloro che hanno dovuto conformarvisi, dovrebbe indurre a maggiore cautela nell’emanare direttive perentorie su argomenti delicati e complessi.

 

Impressione di aver sofferto inutilmente

Questo è uno dei sottotitoli dell'articolo Rafforziamo la nostra fiducia nella giustizia di Dio, contenuto nella Torre di Guardia del 15 agosto 1998. Riporto alcune frasi: "Nel passato alcuni Testimoni [in realtà decine di migliaia di giovani in età di leva] hanno sofferto per non aver voluto partecipare ad attività che ora la coscienza [leggi: la Società] permetterebbe di compiere. Per esempio, forse anni fa hanno fatto una scelta [?] del genere in relazione a certi tipi di servizio civile. Ora un fratello potrebbe pensare che in coscienza avrebbe potuto svolgerli senza violare la sua neutralità cristiana nei confronti del sistema di cose attuale [in altre parole, senza essere sanzionato]". – P. 17. Corsivo e commenti sono aggiunti.

Le parole della Torre di Guardia giungono al momento opportuno: sembrano infatti una risposta alle considerazioni espresse nelle pagine precedenti. Evidentemente vi sono altri che condividono le stesse opinioni.

Il succitato articolo presenta i fatti da una prospettiva molto particolare, inducendo nel lettore l'idea che i singoli Testimoni avessero la possibilità di scegliere la condotta da seguire, mentre, in realtà, era richiesta l'ubbidienza assoluta alla Società, pena l'ostracismo.

La proibizione del servizio civile smilitarizzato era una regola umana, non una legge divina; è interessante quindi notare come si esprime La Torre di Guardia: "E' stata forse un'ingiustizia da parte di Geova [!] permettere che [il Testimone] soffrisse per aver rifiutato ciò che ora potrebbe fare senza conseguenze?". (§7) Queste parole danno l'impressione che sia Dio il responsabile delle sofferenze. (Cfr. Giacomo 3:1) In realtà, le Scritture indicano chiaramente che è doveroso ubbidire alle Autorità, quando queste chiedono qualche tipo di servizio ai cristiani. (Matteo 5:41; Romani 13:7, Tito 3:1; 1 Pietro 2:13,14) Le ‘opere buone’, di cui si parla in Tito, possono includere il servizio in strutture umanitarie dedite ad aiutare le persone che soffrono. Quando fui processato per il rifiuto del servizio militare, il giudice mi chiese perché non fossi disposto a prestare il servizio civile in un ospedale; mi limitai a rispondere alquanto pedissequamente: "perché sarebbe un compromesso". Nessuno dei fratelli da me conosciuti era in grado di spiegare chiaramente in cosa consistesse tale "compromesso": comprendevano che questo era il punto di vista della Società e quindi si uniformavano. Ricordo che alcuni fratelli pensavano di rispondere al giudice che rifiutavano il servizio civile perché ciò era richiesto dalla Società! Non capisco, quindi, come possa ora La Torre di Guardia definire una scelta la condotta seguita, quando invece non era consentito decidere secondo coscienza.

La Torre di Guardia prosegue: "Perché mai si dovrebbero rammaricare di aver seguito la propria coscienza [?!] assumendo una ferma presa di posizione a favore di Geova? Sostenendo lealmente i principi cristiani così come li comprendevano [leggi: come li comprendeva la Società!] o ascoltando la voce della coscienza si sono mostrati degni dell'amicizia di Geova". (§7) Anche queste parole si potrebbero rendere più appropriatamente in tal modo: "Perché mai si dovrebbero rammaricare di aver ubbidito alla Società in merito a quella che essa riteneva fosse la volontà di Dio, sapendo che il non farlo avrebbe comportato l'ostracismo della Congregazione? Sostenendo lealmente le convinzioni della Società e ubbidendo alle sue direttive, è vero che hanno rinunciato al libero esercizio della propria coscienza, ma sono tuttavia rimasti nella Congregazione".

E’ vero che non ci si deve rammaricare delle sofferenze subite per ubbidire alla volontà divina: in questo caso, tuttavia, migliaia di giovani hanno sofferto per aver ubbidito a degli uomini e alle loro mutevoli opinioni. Posso dire con certezza che, se non fosse stato per la "minaccia" della sanzione, la mia coscienza mi avrebbe consentito di compiere il servizio civile, e lo stesso si può dire di molti altri.

La Torre di Guardia continua: "Nei tempi moderni alcuni Testimoni sono stati molto rigidi su ciò che erano o non erano disposti a fare. Per questa ragione hanno sofferto più di altri. Successivamente un’accresciuta conoscenza li ha aiutati ad ampliare le loro vedute. Ma non hanno motivo di rammaricarsi di aver agito in armonia con la propria coscienza, anche se forse per questo hanno subito ulteriori sofferenze". (§ 9) Non mi è chiaro se questa frase si riferisca ancora al rifiuto del servizio civile o si debba invece intendere in senso lato. In ogni modo, anche in queste parole la responsabilità delle sofferenze subite da "alcuni" Testimoni, viene attribuita interamente alla loro mancanza di conoscenza e alle loro vedute ristrette: non si fa nessuna menzione dell’obbligo di ubbidire alle direttive della Società.

Il paragone fra i cambiamenti nelle vedute dottrinali del Corpo Direttivo e il fatto che la Legge mosaica cessò di avere valore per i cristiani (§ 8) mi pare poco pertinente e alquanto presuntuoso: la Bibbia dice che la Legge fu data da Dio in una straordinaria manifestazione della Sua potenza; la sua abrogazione venne confermata dal Figlio di Dio, dallo spirito santo, da miracoli e varie dichiarazioni apostoliche. (Vedi Esodo 19:16-20; Atti 2; 15:10; Romani 6:6; Efesini 2:15; ecc.) Tutto questo non si può certo dire delle opinioni che spesso vengono modificate dall'Organizzazione.

Non sarebbe stato opportuno aggiungere in questo articolo qualche frase in cui la Società riconoscesse anche la propria responsabilità per le sofferenze che migliaia di fratelli hanno subìto a causa delle intransigenti norme comportamentali che essa "suggeriva"?

La "disinvoltura" con cui si affrontano questi cambiamenti mi turba ed infastidisce: sono convinto che se, in un improbabile futuro, il Corpo Direttivo riconsiderasse, per esempio, la sua rigida posizione in merito all'uso del sangue, si potrebbero poi leggere nella Torre di Guardia le stesse argomentazioni che abbiamo testé considerato; e la maggioranza dei fratelli accetterebbe ‘lietamente’ questi "nuovi intendimenti", così com'è accaduto in molti altri casi.

 

Coscienza e cure mediche

A proposito di problemi causati da "intendimenti" dottrinali, è significativo il caso dei trapianti di organo.

Per molti anni la questione dei trapianti fu lasciata alla decisione personale. Trattando questo argomento, La Torre di Guardia del 15 marzo 1963, p. 192, diceva: "E’…una cosa che ognuno deve decidere da sé. Se una persona è convinta nella propria mente e nella propria coscienza che sia giusto farlo, può provvedere a tal fine, e nessun altro dovrebbe criticarla per tale gesto". Quindi, dato che si riteneva che nella questione ‘non vi fossero implicati principi o leggi scritturali’, ciascuno poteva personalmente decidere il da farsi. Poi, nell’edizione del 15 marzo 1968 de La Torre di Guardia, venne presentato un "nuovo intendimento": da quella data i trapianti furono considerati cannibalismo e quindi vietati. Mentre la rivista del 1963 sosteneva che la questione non implicava "alcun principio o legge scritturale", nel 1968 si esortavano i cristiani a considerare "i principi scritturali da applicare e che prendessero decisioni in armonia con questi principi". Naturalmente la Bibbia e i suoi principi non erano cambiati: semplicemente erano ora…"compresi meglio". E’ interessante osservare come questi cambiamenti di vedute vengano generalmente accettati senza nessuna difficoltà dai fratelli: si ritiene infatti che essi siano una dimostrazione di come lo spirito santo illumina sempre più "lo schiavo fedele e discreto". Il seguente esempio illustra ciò che questo cambiamento può avere comportato: nel marzo del 1968, un fratello è ricoverato in attesa di un trapianto, essenziale per la sua sopravvivenza; tutto è pronto per l’intervento, allorché La Torre di Guardia pone il veto ai trapianti. Il Testimone rifiuta l’intervento e quindi muore. Questo è un esempio immaginario; è molto probabile tuttavia che rispecchi dei fatti realmente accaduti.

Vale la pena di puntualizzare quali "ragioni scritturali" portarono alla proibizione dei trapianti. I ‘principi da considerare’ erano: Genesi 9:3 ("Ogni animale… vi serva da cibo") e Romani 12:1 ("Vi supplico… di presentare i vostri corpi in sacrificio vivente"). Dalla scrittura di Genesi – in cui Dio permette all’uomo di nutrirsi di carne animale – si desunse il concetto che, consistendo il trapianto essenzialmente nell’introdurre nel proprio corpo "la carne di un altro uomo", "questo sarebbe… cannibalismo, una pratica aborrita da ogni persona civile". La scrittura di Romani invece, era citata per indicare che il corpo deve essere mantenuto integro essendo stato dedicato a compiere la volontà del Creatore ("I battezzati cristiani hanno dedicato la loro vita, compreso il loro corpo, a fare la volontà del loro Creatore"). "In vista di ciò, può tale persona donare il proprio corpo o parte d’esso onde i medici o altri ne facciano un uso non limitato", chiedeva La Torre di Guardia? A me pare che questi "principi scritturali" non abbiano nulla a che vedere con l’argomento dei trapianti, soggetto sul quale la Bibbia non si esprime. In ogni caso, se qualcuno, seguendo una sua logica personale, trovasse in queste scritture le motivazioni per rifiutare un trapianto, la sua decisione – e quindi la sua coscienza – andrebbe rispettata, purché naturalmente non pretendesse di imporre agli altri le sue convinzioni. (Confronta Romani 14:22) Il punto in questione, tuttavia, è che, anche in questo caso, l’opinione espressa dalla Società doveva essere seguita da tutti i Testimoni: chi non si conformava – benché convinto di agire correttamente, in armonia con la sua coscienza – veniva disassociato. E’ alquanto eufemistico definire "suggerimenti" le decisioni del Corpo Direttivo. Tuttavia, nella Torre di Guardia del 15 marzo 1989, p. 22, si afferma che "ciascun Testimone è spinto dalla Parola di Dio [che, in casi come questo, come si nota, ha ben poco da dire, mentre l’autoritarismo svolge un ruolo determinante] ad applicare i validi [?] consigli [!] scritturali dati dal Corpo Direttivo". (Corsivo mio).

La vicenda dei trapianti ha subìto ulteriori e interessanti sviluppi. Dopo parecchi anni di "proibizionismo", nel 1980, La Torre di Guardia pubblicò una nuova veduta. Cito dalla rivista del 1° settembre 1980, p. 31: "Il trapianto di un tessuto o di un osso umano da un uomo all’altro è una questione che ciascun Testimone deve decidere in base alla propria coscienza". "Non c’è alcun comando biblico che vieti specificamente di introdurre nel proprio corpo tessuti di un’altra persona". "Se qualcuno accettasse un trapianto, il comitato giudiziario della congregazione non prenderebbe misure disciplinari nei suoi confronti". Da quella data i Testimoni possono accettare i trapianti.

Questi cambiamenti lasciano perplessi e sconcertati: si afferma che la verità è progressiva, ma in questo caso c’è stato un ritorno a posizioni ritenute erronee e meritevoli di espulsione! Non solo, ma queste vedute hanno influito – nel modo più letterale – sulla vita (nel senso di sopravvivenza) di coloro che le hanno accolte. La cosa in sé sarebbe tollerabile, se la condotta seguita fosse stata il risultato di una "scelta libera", senza pressioni o condizionamenti. L’aut aut della Società tuttavia, per un Testimone, non offriva alternative accettabili: disubbidire alle direttive equivaleva, infatti, ad essere ‘consegnato al mondo di Satana, immeritevole del favore di Dio e indegno di ricevere la vita eterna’. Così, molto probabilmente, qualcuno è morto per ubbidire, non a Dio o alla Sua Parola, ma ad un’opinione umana.

 

E’ necessario accettare e credere nella "verità"

A questo punto, prima di passare ad un successivo aspetto controverso, credo sia opportuno aprire una parentesi, apparentemente digressiva ma che, come vedremo, ha diretta relazione con gli argomenti trattati.

Il Cristianesimo possiede un fondamento di verità, obblighi morali e dottrine che è necessario accogliere ed accettare pienamente per definirsi Cristiani. Per esempio, la Bibbia insegna che certe azioni sono sbagliate e altre giuste; così, non è lecito considerare "questioni di coscienza" atti come il furto, l’omicidio, l’adulterio, ecc. Vi sono anche verità dottrinali indubitabili, per cui è fondamentale credere che Dio è nostro Padre e Creatore, che Gesù Cristo è il Suo Unigenito Figlio, che la Bibbia è sostanzialmente Parola di Dio, ecc. Su questi aspetti la Bibbia si esprime con chiarezza e non lascia spazio a varie interpretazioni o a vedute personali. Quindi, se qualche "cristiano" sostenesse, per esempio, che Gesù era semplicemente un profeta, e non il Figlio di Dio venuto sulla terra come uomo, negherebbe una verità fondamentale e promuoverebbe un insegnamento apostata; a tale persona si applicherebbero le parole della Bibbia che dicono: "Si sono sparsi nel mondo molti falsi maestri, i quali non vogliono riconoscere che Gesù è venuto come vero uomo. Questi falsi maestri, sono proprio loro il seduttore e l’anticristo". ‘Se si riconosce pubblicamente che Gesù è il Cristo che si è fatto uomo, si ha lo spirito di Dio. Se non lo si riconosce non si ha lo spirito di Dio ma quello dell’anticristo’. (2 Giovanni 7; 1 Giovanni 4:2-3) Se qualcuno ancora – passando al campo della condotta – praticasse la calunnia, il furto, l’ubriachezza o l’idolatria (e addirittura ritenesse corrette tali azioni), cesserebbe di avere un comportamento cristiano. L’amorevole disciplina – necessaria a tutelare l’identità cristiana e ad aiutare il trasgressore – in questi casi sarebbe necessaria ed appropriata. (E’ essenziale inoltre valutare le motivazioni di una certa condotta: un’azione che di per sé sarebbe sbagliata in alcune circostanze, può divenire lecita – o essere considerata "questione di coscienza" – in altre; la Bibbia contiene numerosi esempi in proposito - Matteo 12:2-6,9-12. Quindi, nel comprendere ed applicare le norme bibliche, si deve manifestare ragionevolezza, buon senso ed equilibrio, onde non incorrere negli errori comuni ai fondamentalisti. – Cfr. Romani 12:1b).

Per quanto riguarda i Testimoni di Geova, abbiamo notato, dagli esempi citati, come si può essere disciplinati, accusati di apostasia ed espulsi, non per aver negato chiare ed evidenti verità scritturali (o per aver ritenuto lecita una condotta palesemente condannata dalla Bibbia), ma per divergenze su aspetti secondari che non sono ben definiti nella Parola di Dio ma che dipendono da interpretazioni soggettive e mutevoli. Mi pare che, in questi casi, la disciplina non sia opportuna, né giustificata dalle Scritture: disciplinare o disassociare qualcuno come apostata per aver seguito la propria coscienza – anziché delle direttive umane – credo sia un evidente abuso di autorità e una mancanza di rispetto per le persone. Imponendo regole umane, si può ottenere uniformità e conformismo, a scapito però della libertà individuale: è questa l’unità cristiana di cui si parla nei Vangeli? – Confronta Galati 5:1; Giovanni 17:21; 1 Corinti 1:10.

Chiudo questa parentesi, per passare ad un successivo argomento.

 

"Quando verrà la fine?"

Un altro aspetto che merita di essere considerato, sono gli "intendimenti" relativi alla cronologia biblica, argomento che ha sempre interessato i Testimoni di Geova, sin dai tempi di Russell.

Ricordo che, quando iniziai a frequentare i Testimoni nel 1974, fui molto colpito dall’atmosfera esistente nella congregazione: si pensava che la fine del sistema di cose fosse ormai imminente. Furono le dichiarazioni della Società a suscitare queste aspettative, come in seguito venne riconosciuto. (Vedi La Torre di Guardia del 1 gennaio 1977 e del 1 settembre 1980). Per esempio, nella Torre di Guardia del 1 febbraio 1969, si leggeva: "Dobbiamo noi supporre…che la battaglia di Armaghedon sarà completamente finita nell’autunno del 1975, e che il lungamente atteso regno millenario di Cristo comincerà allora? E’ possibile, ma aspettiamo per vedere quanto il settimo periodo di mille anni d’esistenza dell’uomo coincide strettamente con il sabatico regno millenniale di Cristo. Se questi due periodi decorrono parallelamente in quanto all’anno di calendario [e quindi la fine sarebbe giunta contemporaneamente allo scadere dei seimila anni, nell’autunno del 1975] non sarà un puro caso o accidentalmente ma sarà secondo gli amorevoli e opportuni propositi di Geova…E tuttavia la fine di questo "settimo giorno" creativo potrebbe avvenire entro lo stesso anno del calendario gregoriano della creazione di Adamo. Può comportare solo una differenza di settimane o mesi, non anni." (Il corsivo è mio). Nei discorsi pubblici, alle assemblee, negli studi, si additava il 1975 come un anno cruciale nel proposito di Dio. Nella serie di Assemblee di Distretto del 1966, per esempio, venne presentato il libro Vita eterna nella libertà dei figli di Dio, che richiamava l’attenzione sull’importanza di quella data. L’attesa della fine incombente produceva comportamenti che, eufemisticamente, si potrebbero definire oggi, "poco equilibrati": ricordo una sorella che doveva subire un intervento, la quale decise di aspettare fin dopo il 1975 "perché allora non ne avrò bisogno"; alcuni si licenziarono per predicare maggiormente; altri si trasferirono in territori isolati, dove il bisogno di predicare era maggiore. Anch’io, influenzato dalla sicurezza con cui si annunciava l’imminente venuta del "nuovo ordine", scelsi di non continuare gli studi così da fare maggiore progresso spirituale nel breve tempo rimasto. Fratelli che volevano fare lavori di manutenzione nelle loro case, venivano criticati e considerati poco spirituali: ‘Come si può pensare a riparare cose materiali in un tempo come questo!’ Lo stesso accadeva alle giovani coppie che avevano figli: ‘Questo non è il tempo di fare figli, ma di predicare’. Si può immaginare la delusione provata quando passarono settimane, mesi, anni, e la fine non venne!

Commentando questi errori, una recente rivista riconosce: "I testimoni di Geova sono ansiosi di sapere quando verrà il giorno di Geova. A volte nella loro premura hanno fatto dei tentativi per calcolare quando sarebbe potuto arrivare. Ma così facendo non hanno seguito, come non lo seguirono i primi discepoli, l’avvertimento del Signore Gesù: ‘Non sapete quando è il tempo fissato’". (Svegliatevi! Dell'8 maggio 1998, pp. 20-21).

E’ facile ironizzare su queste previsioni sbagliate. Quello che voglio mettere in risalto tuttavia è che, anche in questo caso, se qualcuno – in modo equilibrato, seguendo gli avvertimenti del Signore – avesse espresso dubbi e perplessità sulla correttezza di queste "predizioni", sarebbe stato accusato di mancanza di fede, di voler diffondere dubbi tra i fratelli, di atteggiamento presuntuoso e di scarsa considerazione per il ‘cibo spirituale provveduto dallo schiavo fedele e discreto al tempo opportuno’. Sicuramente, se non si fosse conformato a ciò che veniva insegnato dall’Organizzazione, sarebbe stato "disciplinato", o anche considerato apostata ed espulso. La sua coscienza, educata dalle Scritture – che ripetutamente mettono in guardia dai tentativi umani di conoscere "i tempi e le stagioni" – non sarebbe stata presa in considerazione. La Bibbia tuttavia è molto chiara in proposito: non si devono fare calcoli speculativi per conoscere quando verrà la fine. (Atti 1:7; 2 Tess.2:1-3) Esprimere cautela, dubbi, nutrire delle riserve mentali o anche incredulità, nei confronti delle "predizioni" umane, può essere non solo lecito, ma consigliabile. Di sicuro, non si diverrebbe apostati, ma significherebbe lasciare ‘che siano lo spirito di Dio e la Sua Parola a dirigere la nostra vita’ (cfr. La Torre di Guardia del 15 marzo 1998, p. 23).

 

Schiavi di uomini o servitori di Dio?

Questo era il tema dell’articolo della Torre di Guardia del 15 marzo 1998, pp. 10-11, con il quale si introducevano gli studi sulla libertà cristiana, di cui ho parlato all’inizio. In questo articolo introduttivo si affermava tra l’altro: "A qualcuno forse è stato detto che i testimoni di Geova appartengono a un’organizzazione religiosa che riduce i suoi aderenti in schiavitù, esercita un controllo autoritario su di loro, ne limita indebitamente la libertà e li costringe a essere diversi dal resto della società. I testimoni di Geova sanno che questi timori non sono giustificati, ragion per cui vi invitano a sincerarvene di persona. Dopo un’attenta considerazione, traete le vostre conclusioni".

Dopo aver letto quanto precede, si potrebbe pensare che i timori espressi non siano proprio così ingiustificati; alcune caratteristiche delle cosiddette "sette" si notano anche all’interno della organizzazione geovista; gli esempi suesposti mi sembrano eloquenti. In particolare, si può senz’altro asserire che l’Organizzazione "esercita un controllo autoritario" sui singoli Testimoni, limitandone la libertà di scegliere secondo coscienza. In molti casi, infatti, le ‘decisioni’ prese dai Testimoni non sono altro che l’accettazione pedissequa o coartata delle direttive emanate dall’Organizzazione: se non si ubbidisce si viene disassociati. Come abbiamo potuto notare, in vari casi non si tratta di ubbidire alla Parola di Dio, ma alle mutevoli – e a volte erronee – opinioni di uomini.

Le stesse motivazioni, inoltre, che inducono molti a sottomettersi a capi umani, a leader carismatici, entrando a far parte delle numerose sette oggi esistenti, si possono ritrovare anche fra i Testimoni di Geova: il bisogno umano di certezze e di risposte, la solitudine, la ricerca di uno scopo nella vita, la paura del futuro, le difficoltà dell’esistenza … Unendosi ad un gruppo, o seguendo capi umani con una forte personalità, spesso queste esigenze sembrano appagate. Il prezzo da pagare è elevato, ma la "pace mentale" ottenuta in cambio induce molti a rinunciare alla propria individualità e quindi alla libertà.

"Un forte rapporto di dipendenza…può creare una pericolosa sudditanza emotiva e spirituale. Il rischio aumenta quando l’individuo viene allevato dell’infanzia in un’atmosfera settaria" (La Torre di Guardia del 15 marzo 1998, pp. 10-11). Cosa si intende per "atmosfera settaria"? Non esiste un’opinione concorde sul preciso significato da dare al termine "setta" e i Testimoni non amano essere definiti in tal modo. Come si dovrebbe considerare tuttavia lo spirito di un gruppo, fortemente minoritario, che ritiene d'essere l’unico depositario della verità; che sostiene di essere in contatto con ‘il canale costituito da Dio’ per trasmettere la Sua volontà al genere umano; che impone le direttive di uomini anche se ciò può comportare la perdita della libertà o della vita; che richiede autoritariamente l’ubbidienza, pena l’espulsione, ai suoi membri; che non consente nessuna forma di critica e dissenso; che, infine, considera tutta l’umanità al di fuori del gruppo, come fondamentalmente malvagia e da evitare? Vivere – e magari essere ‘allevati dall’infanzia’ – in una simile atmosfera, produce sicuramente una "sudditanza emotiva e spirituale". Per un Testimone di Geova è infatti inimmaginabile la vita al di fuori dell’Organizzazione: proverebbe lo stesso senso di abbandono e smarrimento che prova un bambino che ha perso i genitori.

Io credo che il divenire cristiani debba comportare una crescita interiore: significhi rendersi ‘uomini fatti’ e non dover dipendere sempre dalla guida di altri uomini o di strutture umane; significhi essere in grado di affrontare la realtà e la vita da adulti, da ‘individui che Dio ritiene importanti’. Significa anche diventare "persone mature… che mediante l’uso hanno le loro [!] facoltà di percezione esercitate per distinguere il bene e il male" (Efesini 4:13; Ebrei 5:14); significa fare pieno uso dei ‘talenti’ che il Signore ci ha donato per realizzare in questo modo la nostra personalità – nella sua individualità e unicità – usando le nostre "facoltà di ragionare" (Romani 12:1).

Il cristianesimo fa perno sull’uomo e sulla sua individualità e lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con il suo Creatore. Cristo è la Verità personificata e quindi si è "nella verità" quando si seguono i suoi insegnamenti, il suo esempio e il suo modo di vivere (Giovanni 14:6; Romani 15:5). Gesù ha detto: "Venite a me, tutti voi che siete stanchi e oppressi. Io vi farò riposare…. Voi troverete la pace, perché quel che vi domando è per il vostro bene, quel che vi do da portare è un peso leggero". Essere cristiani vuol dire riuscire a realizzare in se stessi – con l’aiuto misericordioso di Dio e la forza motivante che deriva dal Suo amore – queste parole del Signore (1 Giov. 5:3; Matteo 11:28-30).

Concludo, come ho iniziato, con una citazione concernente verità e libertà: "La verità …e la libertà sono strettamente connesse tra loro …l'autorità minaccia insieme e protegge. Solo l'uomo libero cha ha saputo emanciparsene è in grado di usare le proprie facoltà razionali e di capire oggettivamente il mondo e la propria parte in seno ad esso …Solo facendoci adulti, e smettendo di farci guidare e intimorire dall'autorità, come i bambini, possiamo trovare il coraggio di pensare con la nostra testa. Ma è vero anche l'inverso, che solo trovando il coraggio per pensare con la nostra testa possiamo emanciparci dall'autorità" (E. Fromm, Psicanalisi e religione, 1987, p. 18).

Achille Lorenzi