L'abuso di un'ipotesi: il Tetragramma nel Nuovo Testamento

 

Invece di ripercorrere le ormai consuete tappe della polemica con i Testimoni di Geova sul "nome divino" (Geova sì! Geova no!, il Tetragramma si dovrebbe pronunciare Jahvé ...), sarà proficuo un diverso approccio al tanto discusso problema della presunta presenza del Tetragramma negli scritti originali del NT, un approccio lineare e semplice che evidenzierà le insostenibili conseguenze derivanti dalle preconcette tesi geoviste. Per una dettagliata trattazione sul significato del Tetragramma e sulle ragioni per cui il termine "Geova" non rappresenta accuratamente alcuna forma del "nome", si rimanda a B. Vona, L’enigma di un nome: JHWH in A.Aveta, I Testimoni di Geova: un’ideologia che logora, Roma 1990, pp. 90-115.

I Testimoni di Geova ritengono di offrire ampie prove di appartenere all'unica, vera religione approvata da Dio e, a loro avviso, una delle fondamentali esigenze della vera religione dev'essere la santificazione del "nome" di Dio; infatti essi adoperano questo "nome" (Geova) nella pratica religiosa e, addirittura, si vantano di averne "ripristinato l'uso" in tutta la loro versione della Bibbia (conosciuta col titolo di Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture). Queste argomentazioni, implicitamente riprese in un articolo, intitolato "JHWH. Il Tetragramma nel Nuovo Testamento", a firma di un Testimone di Geova e pubblicato sulla Rivista Biblica n. 2/1997, sono ben note a chi ha frequenti contatti con i Testimoni di Geova, ma come si può replicare ad affermazioni così apodittiche, con lo scopo di indurre a qualche seria riflessione i propagandisti del verbo geovista?

Innanzitutto, va precisato che, come sono costretti ad ammettere gli stessi Testimoni di Geova, "oggi, a parte alcuni frammenti della primitiva Settanta greca in cui il nome sacro è conservato in ebraico, solo il testo ebraico (cioè l'Antico Testamento) ha ritenuto questo importantissimo nome nella sua forma originale di quattro lettere (YHWH)" (Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, p. 1563). Come mai, allora, se l'uso del "nome" divino dev'essere - a detta dei Testimoni di Geova - un requisito essenziale per identificare l'unica vera religione, nei manoscritti del Nuovo Testamento, finora pervenutici, questo "nome" divino non compare?

La risposta geovista è la seguente: "perché‚ quando furono fatte quelle copie (dal III secolo E.V. in poi) il testo originale degli scritti degli apostoli e dei discepoli era già stato alterato. Quindi copisti successivi devono aver sostituito il nome divino nella forma del Tetragramma con Ky'rios e Theòs" (Perspicacia nello studio delle Scritture, vol. I, p. 1028). Quest'affermazione dei Testimoni di Geova è decisamente problematica perché induce alla conclusione che tutti i manoscritti del Nuovo Testamento, finora scoperti e studiati dagli specialisti, sarebbero stati proditoriamente manipolati da scribi infedeli allo scopo di cancellare ogni menzione del "nome" divino; e questa posizione è stata recentemente suffragata da La Torre di Guardia del 1/10/1997, la quale sostiene che dietro l'eliminazione del nome personale di Dio dalle Scritture c'è "lo zampino di Satana" (p. 14). Se questa tesi geovista fosse attendibile, gli stessi Testimoni di Geova dovrebbero conseguentemente chiedersi: quale affidabilità può offrire un testo del NT che ha subìto alterazioni così radicali? in quali altri brani biblici sono state compiute manomissioni così diaboliche? in sostanza, quanto è attendibile il messaggio evangelico che viene fuori da Vangeli così radicalmente manomessi? e che dire della figura di Gesù: a causa di manipolazioni fraudolente così estese, è ancora attendibile tutto ciò che il NT ci dice di lui?

A ben vedere, la tesi geovista della manomissione del NT da parte di Satana allo scopo di eliminare ogni menzione del "nome" divino, ha come ovvia conseguenza la messa in discussione dell'attendibilità di tutto il testo biblico e induce a dubitare dell'ispirazione della Bibbia stessa. Infatti, le alternative sono due:

1) o il testo del NT è stato manipolato da scribi diabolicamente infedeli, i quali hanno, tra l'altro, eliminato ogni riferimento al "nome" divino; dal che si deve dedurre che Dio non avrebbe esercitato alcuna forma di protezione per salvaguardare l'integrità del testo biblico;

2) oppure il NT non ha subìto alcuna alterazione sostanzialmente rilevante, il che dimostra la vigile cura divina nella preservazione della Bibbia.

Incomprensibilmente, il Corpo Direttivo geovista, da una parte, azzarda la tesi dello "zampino di Satana" che avrebbe indotto traduttori e copisti a togliere "il nome personale di Dio, Geova, ... anche dalle copie delle Scritture Greche Cristiane" (ivi, p. 14), dall'altra, concorda sulla fedele conservazione del testo biblico affermando che "la preservazione e la traduzione delle Scritture ispirate sono avvenute per divina provvidenza ... e la grande quantità di manoscritti biblici in lingua originale giunti fino a noi consente di verificar[ne] l'accuratezza" (ivi, pp. 11,13).

Pertanto, la posizione geovista è notevolmente incoerente. Da una parte, i Testimoni di Geova sostengono che gli autori del NT inclusero, in origine, il Tetragramma nei propri scritti; dall'altra, essi ammettono che, nonostante la successiva eliminazione dal testo del "nome" divino a causa dello "zampino di Satana", questo stesso NT sarebbe stato preservato con eccezionale accuratezza. La contraddizione in cui cade il geovismo è fin troppo evidente: si ammette che Dio ha esercitato la propria influenza per preservare il testo greco del NT, sicché‚ quest'ultimo "è una meraviglia di trasmissione accurata" (cfr. La Torre di Guardia del 1/10/1977, p. 603), tuttavia il Creatore si sarebbe "distratto" e avrebbe omesso di badare che qualche forma del nome "Geova" fosse conservata in almeno una sola delle circa 5.000 antiche copie manoscritte del NT. Se fosse legittima l'eccezionale importanza attribuita al Tetragramma da parte dei Testimoni di Geova, come sarebbe potuto accadere tutto ciò?

In realtà, centinaia di anni di studi sui manoscritti disponibili, compiuti da rinomati studiosi del testo biblico (nessuno dei quali di fede geovista), ci consentono di asserire che sia l'Antico che il Nuovo Testamento (cioè l'intera Bibbia che ognuno di noi può consultare oggi) sono essenzialmente uguali all'autentico testo originale che Dio ispirò nell'antichità; perciò, tra le due alternative precedentemente menzionate, dobbiamo escludere la prima, ne consegue che l'uso di un particolare "nome" divino non costituisce un requisito essenziale per individuare la pura forma di adorazione approvata dal Signore.

Molti autori attribuiscono ai copisti e all'influsso del "divino Autore della Bibbia" la preservazione del racconto biblico, fatta con profondo rispetto e con particolare cura nella fedeltà della trasmissione. Infatti, lo stesso Corpo Direttivo geovista ammette che, siccome Dio ispirò gli scritti originali, "logicamente avrebbe fatto in modo che la sua Parola fosse tramandata fedelmente fino ai nostri giorni" (cfr. Svegliatevi! del 22/7/1985, p. 21). Perciò, i Testimoni di Geova sono incoerenti quando affermano che il NT sarebbe stato manipolato da Satana per eliminare da esso ogni menzione del "nome" divino.

A questo punto l'argomento potrebbe considerarsi esaurito, ma disponiamo di elementi ad abundantiam a sostegno della nostra premessa e in contrasto con le ipotesi contenute nell'articolo scritto dal Testimone di Geova nel citato numero della Rivista Biblica, perciò procediamo nella confutazione della tesi geovista relativa al presunto "ripristino" del nome divino nel NT.

Ripristino del "nome": ad opera di chi?

Dalla lettura delle pubblicazioni della Torre di Guardia si potrebbe ricavare l'idea che il nome "Geova" sia stato virtualmente sconosciuto prima della sua comparsa nelle pubblicazioni geoviste e che queste l'abbiano portato all'attenzione del mondo. Tuttavia, come fa notare R. Franz (cfr. In Search of Christian Freedom, 1991, p. 492), un esame della letteratura della Torre di Guardia nei primi quarant'anni della sua esistenza rivela che il nome "Geova" compariva in quelle pubblicazioni con una frequenza quasi uguale a quella con cui veniva usato in molta altra letteratura religiosa dell'epoca. A solo titolo d'esempio, il numero inglese del 15 aprile 1919 della Torre di Guardia riportava il nome "Geova" una sola volta in tutta la rivista! Ciò sarebbe impensabile per gli odierni Testimoni di Geova. Eppure, va notato che il Corpo Direttivo geovista ritiene che proprio da quell'anno - il 1919 - Cristo Gesù avrebbe scelto come "unico canale di comunicazione", fra tutte le religioni della terra, il Movimento sorto intorno alla Società Torre di Guardia. Se ciò fosse vero, saremmo costretti ad affermare che la scelta di Cristo non sarebbe stata condizionata da una speciale preminenza attribuita al nome "Geova", vista la limitata frequenza con cui questo nome veniva adoperato allora.

Il fatto è che autori religiosi di diverse fedi cristiane avevano già utilizzato, per secoli, il nome "Geova" nei propri scritti con rilevante frequenza prima della nascita della Società Torre di Guardia. Lo stesso R. Franz riferisce che la biblioteca del Dipartimento degli Scrittori, presso la sede centrale della Torre di Guardia a Brooklyn, contiene un gran numero di commentari biblici e di altre opere, risalenti a due o più secoli fa, che dimostrano esplicitamente questo dato di fatto. Per giunta, il nome in questione si trova negli innari di molte antiche denominazioni protestanti. Quindi, non sussiste alcun dubbio sul fatto che la Società Torre di Guardia non ha "ripristinato" il nome "Geova", per il semplice fatto che non c'era alcun bisogno di tale "ripristino" al tempo in cui comparve sulla scena tale Società. Il nome "Geova" era esplicitamente noto e si trovava in alcune versioni della Bibbia, in scritti e in edifici religiosi molto tempo prima della nascita della Società Torre di Guardia.

Il "nome" e gli agiografi del NT

Altra questione, invece, è se ci sia qualche merito particolare nel ricorso a quello specifico nome ad opera dei cristiani, o se sia ascrivibile qualche merito alla frequenza e ripetitività del ricorso a quel termine, come se ciò attestasse un cruciale elemento di identificazione per stabilire la validità della propria posizione quale unico e vero adoratore di Dio. Infatti, in un recente catechismo geovista (La conoscenza che conduce alla vita eterna, Roma 1995, p. 27) viene categoricamente insegnato: "Tutti coloro che desiderano avere il favore di Dio devono imparare a invocare il suo nome con fede".

Questa prescrizione del Corpo Direttivo ci porta all'esame di un altro problema: l'uso e la rilevanza del nome "Geova" nel contesto del NT e l'atteggiamento dei primi cristiani nei confronti del nome indicato dal Tetragramma. In buona sostanza, l'ipotesi della Torre di Guardia è che il Tetragramma fosse adoperato dagli autori del NT nei loro scritti originali. A scanso di ogni equivoco, ribadiamo che questa ipotesi geovista non può essere dimostrata; perché? Sostanzialmente, per due ragioni:

1 - nessuno di quegli scritti originali è sopravvissuto nel tempo;

2 - nessuno degli oltre 5.000 manoscritti nel greco originale, attualmente disponibili del NT, contiene il Tetragramma.

Eppure, nonostante questi fatti, la Torre di Guardia sostiene che, a partire dal III secolo d.C., il "nome" dev'essere stato cancellato dalle copie successive degli scritti originali del NT, il che sarebbe stato fatto - con lo "zampino di Satana" - per conformarsi alla prassi, vigente all'epoca, di sostituire il Tetragramma (YHWH) con le parole "Signore" (in greco, ky'rios) o "Dio" (in greco, theòs). L'Organizzazione geovista ha creduto di trovare un valido supporto per la propria introduzione del nome "Geova" nel NT, in una teoria di George Howard, docente di religione presso l'Università della Georgia. Infatti, attingendo a piene mani dalla teoria del prof. Howard, il geovismo ha enfatizzato in particolare questa dichiarazione dello studioso: "Recenti scoperte in Egitto e nel deserto della Giudea ci consentono di vedere con i nostri occhi l'uso del nome di Dio nei tempi precristiani. Queste scoperte sono significative per gli studi del NT in quanto costituiscono un'analogia letteraria con i più antichi documenti cristiani e possono spiegare in che modo gli autori del NT usarono il nome divino. Nelle pagine che seguono esporremo una teoria secondo cui il nome divino ... fu scritto in origine nel NT nelle citazioni e nelle parafrasi del VT e secondo cui nel corso del tempo fu sostituito. ... Dato che il Tetragramma era ancora scritto nelle copie della Bibbia greca [la Settanta] che formavano le Scritture della chiesa primitiva, è ragionevole credere che gli scrittori del N[uovo] T[estamento], citando la Scrittura, conservassero il Tetragramma nel testo biblico. Da ciò che facevano gli Ebrei in era precristiana possiamo supporre che il testo del NT incorporasse il Tetragramma nelle citazioni del VT."

La formulazione di questa ipotesi non può prescindere dalla considerazione di una serie di fatti:

1 - in base alle testimonianze di Girolamo, Origene ed altri fino al IV secolo d.C., si sa che il Tetragramma era ancora presente in copie della versione greca dei Settanta dell'AT, mentre non si dispone di una sola dichiarazione dei primi autori cristiani attestante che lo stesso Tetragramma fosse contenuto in qualche copia del NT. Se il Tetragramma era contenuto in una versione greca dell'Antico Testamento precristiano, perché non ritrovarlo logicamente o in qualche copia del testo greco originale del NT o almeno in una delle antiche traduzioni d'esso? Se il Tetragramma fosse stato inserito negli scritti originali del NT, ovviamente Dio avrebbe garantito la preservazione d’esso, almeno avrebbe dovuto farlo, se avesse attribuito a quel "nome" l'estrema importanza che gli assegna la Società Torre di Guardia. Il fatto che il Tetragramma non è stato conservato in alcun antico testo del NT, né in alcuna delle prime traduzioni d'esso, depone seriamente contro l'ipotesi di una immissione iniziale di quel "nome" nel testo.

2- Franz rileva che perfino nella stessa traduzione biblica della Torre di Guardia - la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture - troviamo intere lettere scritte dagli apostoli in cui il nome "Geova" è del tutto assente. Scrivere lettere delle dimensioni e del contenuto simili a quelle paoline ai Filippesi, o alla sua prima epistola pastorale a Timoteo o a quella a Tito, o scrivere tre distinte lettere di monito e di esortazione su temi importanti come quelli trattati dall'apostolo Giovanni, e non usare ripetutamente il nome "Geova" comporterebbe il sospetto di apostasia tra i Testimoni di Geova. Eppure, va ripetuto, nella loro stessa Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture tale "nome" non compare in alcuna delle sette epistole apostoliche citate. Anche nell'ottica geovista della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, si deve ammettere che nella redazione di queste lettere gli apostoli Paolo e Giovanni non si uniformarono evidentemente alla regola imposta dal Corpo Direttivo della Torre di Guardia. O, per dirla più correttamente, la norma imposta dal Corpo Direttivo della Torre di Guardia non si uniforma alla veduta apostolica del primo secolo. La totale assenza di "Geova" in queste sette epistole apostoliche, perfino nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, costituisce un'ulteriore prova del fatto che l'inserimento di quel nome nella restante parte del NT è puramente arbitrario, non è ovviamente una prova a favore della Torre di Guardia.

Ma torniamo alla teoria del prof. Howard; citandola, la letteratura geovista omette sistematicamente di fa rilevare ai propri lettori che l'articolo di Howard è pieno di inviti alla cautela, col ricorso ad espressioni del tipo: "questa teoria", "con ogni probabilità", "è possibile che", "se la nostra teoria è corretta", "la teoria che proponiamo", "se ipotizziamo", e così via. Anzi, il Corpo Direttivo geovista ritiene le riflessioni del prof. Howard "un'esposizione dei fatti storici su come furono trasmessi i manoscritti della Bibbia" (cfr. Traduzione del Nuovo Mondo ..., p. 1567). Infine, la tesi del prof. Howard propone l'uso del Tetragramma solo nelle citazioni dall'AT, mentre la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture in diversi casi inserisce "Geova" in passi in cui non compare alcuna citazione dall'AT; ciò facendo, va ben oltre la tesi proposta da Howard.

In effetti, la prassi dell'Organizzazione geovista riguardo all'uso e all'enfasi sul Tetragramma riflette più una pratica vigente nella nazione d'Israele in epoca precristiana che l'abitudine della comunità dei seguaci di Cristo del primo secolo. La presenza del Tetragramma in alcuni frammenti di antichi manoscritti della versione precristiana dell'AT, nota come "la versione dei Settanta", è sicuramente interessante, ma il suo interesse deriva dall'assenza del Tetragramma in tutte le altre copie della Settanta, compresi i più antichi manoscritti completi (o quasi) degli scritti biblici. In definitiva, la pretesa della Torre di Guardia secondo la quale gli apostoli e gli altri autori cristiani del primo secolo, citando dall'AT, avrebbero incluso il Tetragramma nei propri scritti è semplicemente una teoria, un'ipotesi speculativa che cozza contro il peso dell'evidenza storica e documentale. Vediamo perché.

L'evidenza testuale

L'evidenza storica e testuale, risalente addirittura in qualche caso a pochi decenni di distanza dal tempo in cui furono redatti gli originali scritti del NT, è esplicitamente contraria alla tesi geovista sulla presenza del Tetragramma nel NT. Infatti, indipendentemente dal valore della evidenza testuale, citata da Howard, relativa alla versione greca dei Settanta dell'AT, esistono prove testuali di ben più rilevante valore. Esse offrono una più incisiva indicazione riguardo all'effettiva prassi degli autori del NT circa l'ipotizzato uso del Tetragramma. Infatti, il problema più importante è rispondere alla domanda: gli scrittori cristiani della Bibbia adoperarono abitualmente il Tetragramma in citazioni dell'AT o in altri contesti?

Una delle due più antiche copie degli scritti apostolici finora ritrovate è un codice papiraceo (noto come Papiro Chester Beatty n. 2 [P46]). Esso contiene frammenti di nove lettere dell'apostolo Paolo: Romani, Ebrei, I e II Corinzi, Efesini, Galati, Filippesi, Colossesi e I Tessalonicesi. In passato la datazione di questo codice è stata a lungo fatta risalire intorno al 200 d.C. Tuttavia, ora sussistono valide ragioni per retrodatarlo. Nel 1988 il prof. Y.K. Kim ha esposto una tesi, accuratamente documentata (cfr. Y.K. Kim, "Paleographic Dating of P46 to the Later First Century" in Biblica, vol. 69, fasc. 2, 1988, pp. 248-257) , in base alla quale il codice dovrebbe essere retrodatato alla seconda metà del primo secolo, forse addirittura al regno dell'imperatore Domiziano, cioè a prima dell'81 d.C. In ogni caso, le prove addotte porrebbero la collezione papiracea a qualche decennio di distanza dalla redazione degli scritti originali di Paolo.

Cosa significa questo in relazione al tema che stiamo trattando? Anche se non fosse confermata la retrodatazione di questo gruppo di lettere apostoliche ad un periodo antecedente all'81 d.C., tuttavia le prove addotte sono sufficienti ad indicare una data ampiamente antecedente al 200 d.C. Quindi, il lasso di tempo tra gli scritti originali (alcuni dei quali furono redatti evidentemente al più tardi nel 60/61 d.C.) e queste antiche copie ritrovate, è notevolmente ridotto. Se la tesi della Società Torre di Guardia, espressa nell'articolo della Rivista Biblica, fosse fondata, cioè se gli originali scritti apostolici avessero contenuto il Tetragramma e solo nei secoli successivi "scribi indemoniati" l'avrebbero tolto da quegli scritti, allora quest'antichissima copia degli scritti originali [il P46] dovrebbe supportare la tesi geovista: dovremmo aspettarci di trovare numerose presenze del Tetragramma nelle lettere apostoliche contenute in questo codice. Qual è la realtà dei fatti?

In effetti, nelle nove lettere apostoliche contenute in quest'antichissimo codice cristiano non troviamo un solo caso in cui compaia il Tetragramma o una sua forma abbreviata. In queste nove epistole l'autore apostolico fa numerose citazioni dall'AT, rifacendosi al testo della Settanta, tuttavia in nessuna di queste citazioni riporta il Tetragramma. Le sue citazioni seguono la prassi di sostituire il Tetragramma con le parole greche ky'rios (Signore) o theòs (Dio).

La Torre di Guardia sostiene che la presenza del Tetragramma in alcune delle più antiche copie (in effetti frammenti) della Versione dei Settanta dell'AT sarebbe una prova del fatto che, in origine, esso vi era riportato. Se questo principio è valido, allora, applicandolo al nostro argomento, avremo che l'assenza del Tetragramma in un'antichissima copia di nove delle epistole paoline è una prova del fatto che esso era assente anche negli scritti originali dell'Apostolo.

Infatti, quando il ricercatore svedese Rud Persson inviò al prof. Howard una copia del materiale pubblicato dal prof. Kim a proposito della retrodatazione delle lettere paoline contenute nel codice papiraceo P46, il prof. Howard rispose: "Se la datazione di Kim è corretta, ciò significherebbe che in un MS paolino del primo secolo il Tetragramma non era usato, come io ho supposto. Ciò indebolisce la mia teoria, per lo meno per quanto concerne le lettere di Paolo."

Ma c'è dell'altro. Una cosa è sostenere che qualche copia della Settanta conteneva il Tetragramma, tutt'altra cosa è pretendere che ciò dimostri che gli autori del NT lo abbiano sistematicamente utilizzato nei loro scritti! Infatti, riguardo all'uso del Tetragramma presso gli Ebrei al tempo di Gesù, il quadro offerto da diversi testi dell'AT è molto vario; all'inizio dell'era cristiana non troviamo un modo uniforme di porsi nei confronti del Tetragramma da parte dei redattori dei testi biblici. Le testimonianze testuali disponibili c'inducono a ritenere che i primi traduttori dell'AT in greco si sono trovati di fronte a varie scelte possibili, quando si è trattato di trascrivere il Tetragramma:

- riprodurre il "nome" con caratteri dell'alfabeto ebraico quadrato (P. Fuad 266, del I secolo a.C., in Deut. 18,5);

- riprodurlo con caratteri paleoebraici (Sal. 91,2 nella Versione di Aquila e Sal. 69,13.30-31 in quella di Simmaco, entrambe le versioni vengono fatte risalire al II secolo d.C.);

- abbreviare il Tetragramma con l'uso di due jod con un trattino in mezzo (P. Ossirinco 1007 di Genesi, del III secolo d.C.);

- sostituire il Tetragramma con le lettere greche IAO (Lev. 3,12 e 4,27 del P. 4QLXXLevb, risalente al II secolo a.C.)

- sostituire il Tetragramma col termine ky'rios (P. Chester Beatty).

In siffatto contesto, quale fu il comportamento dei primi cristiani in relazione al "nome" divino nella compilazione del NT? In altre parole, come si regolarono questi scrittori cristiani? Leggendo il NT, troviamo a volte delle citazioni dall'AT, che presentano differenze rispetto alla fonte citata; come si spiegano queste differenze? Lo stesso Corpo Direttivo geovista ammette: "Ogni tanto le citazioni differiscono sia dal testo ebraico che dal testo greco che ora abbiamo. Alcune variazioni possono essere dovute al fatto che lo scrittore citava a memoria. O i cambiamenti possono essere stati intenzionali ... Gli scrittori sostituirono ogni tanto parole o frasi sinonime ... Talvolta i versetti delle Scritture Ebraiche furono parafrasati nelle Scritture Greche Cristiane" (cfr. Svegliatevi! del 22/7/1969, pp. 28-29).

Se la situazione è così diversificata, come si può assecondare la pretesa geovista di uniformare tutte le citazioni dall'AT, fatte dagli autori cristiani, includendovi il Tetragramma dove compariva nell'originale ebraico? E' evidente che l'ipotesi geovista presuppone che tutti gli scrittori del NT si sarebbero attenuti scrupolosamente a una trascrizione fedele dei versetti dell'AT contenenti il Tetragramma. Ma questa presunzione è smentita dalla varietà dei modi in cui veniva riprodotto il "nome" nell'AT e dal comportamento degli stessi scrittori neotestamentari, come si evince da altre evidenze testuali.

Infatti, qualche tempo fa è stato dato ampio risalto alle scoperte del prof. Thiede, rinomato papirologo, il quale avrebbe dimostrato che il Vangelo di Matteo fu scritto a distanza di una sola generazione dalla morte di Gesù o, addirittura, prima. Tale conclusione si basa su una rivalutazione della datazione del Papiro Magdalen (P64), che contiene tre frammenti del capitolo 26 di Matteo; in base agli studi di Thiede, tale Papiro risalirebbe alla metà del I secolo d.C. Una delle caratteristiche peculiari del Papiro Magdalen è la frequenza dei cosiddetti "nomina sacra" (Matteo 26,10.22.31), che rappresentano delle abbreviazioni delle parole greche "Signore" e "Gesù". Tali abbreviazioni divennero molto popolari tra i primi cristiani: abitualmente venivano usate la prima e l'ultima lettera di una parola, come facciamo noi quando abbreviamo il termine "dottor" con "dr". Evidentemente, dietro queste abbreviazioni, c'era un articolato sistema di codificazione, basato su contrazioni di nomi e parole legate a Gesù, Dio e Spirito santo. Pertanto, il Papiro Magdalen sarebbe la prova che, come scrive Thiede, "quasi d'un solo colpo, all'inizio della seconda fase della trasmissione, cioè la fase del codice, i nomina sacra cominciarono a essere abbreviati nei papiri cristiani". Ovviamente, se il Tetragramma fosse stato inserito inizialmente nel testo originale del Vangelo di Matteo, redatto al più presto verso il 40 d.C., in segno di pedissequa fedeltà al testo dell'AT - come sostengono i Testimoni di Geova - appare, a dir poco, anomalo che per i cosiddetti "nomina sacra" possa essere stato adottato così presto un sistema di abbreviazioni fin dalle primissime copie (come nel caso del Papiro di Magdalen), forse addirittura al tempo in cui alcuni Apostoli erano ancora in vita, se accettiamo la datazione di Thiede. Invece, il ricorso così precoce a un articolato sistema di codificazione rappresenterebbe un'ulteriore prova dell'autonomia degli scrittori cristiani.

E' evidente che i responsabili della letteratura geovista non hanno la stessa determinazione che aveva l'apostolo Paolo di non "adulterare la parola di Dio" (2 Cor. 4,2). In definitiva, mentre è lecito avanzare l'ipotesi di un'eventuale presenza del Tetragramma negli scritti originali del NT, sicuramente non è lecito alterare il testo del NT sulla base di una semplice ipotesi, peraltro molto improbabile. Perdendo di vista il ruolo del traduttore, il Corpo Direttivo si è sostituito all'Autore e ha realizzato libri che, sfruttando la reputazione della Bibbia, servono in realtà a divulgare opinioni personali molto discutibili.

In considerazione dell'abbondante presenza, valutata in migliaia di casi, del Tetragramma nell'AT, questo mutamento è indubbiamente rimarchevole. Passiamo, quindi, all'aspetto più significativo dell'intera questione: quale designazione Gesù adoperò rivolgendosi al suo Dio? Che esempio lasciò ai discepoli circa il modo migliore per rivolgersi al Creatore?

L'esempio del Cristo

In paragone con gli oltre 6.800 riferimenti a "Jahvé", l'AT "usa il termine padre quasi esclusivamente (circa 1180 volte) in senso profano e solo raramente (15 volte) in senso religioso. Allo stesso modo dell'AT, anche la letteratura dell'antico giudaismo palestinese dimostra un chiaro riserbo nell'uso religioso del termine. Solo negli scritti del giudaismo della diaspora diventano più frequenti le citazioni con l'uso del titolo di padre nei confronti di Dio. ... La qualifica di Dio come padre, nell'AT, è usata solo in riferimento al popolo d'Israele oppure al re d'Israele. ... A differenza dell'AT, in cui il nome di padre nei confronti di Dio appariva in pochissimi passi, nel NT il numero delle citazioni con l'uso religioso del termine (254 volte) supera di gran lunga quello profano (157 volte). ... Il fatto che Gesù chiami Dio suo padre ha un preciso fondamento nella particolarissima rivelazione concessagli da Dio e nella sua singolare posizione di figlio" (cfr. Dizionario dei Concetti Biblici del NT, Bologna 1976, pp. 1136-1139). Quindi, solo con la venuta del Figlio di Dio e con la rivelazione che Gesù fece riguardo al Creatore, venne alla ribalta, effettivamente, la possibilità di un'intima relazione con Lui. La Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane (il NT geovista) riporta il nome "Geova" in 237 passi senza alcuna ragionevole base. Eppure, perfino in presenza di quest'arbitrario inserimento di qualcosa che non compare in alcun antico manoscritto del NT, il riferimento a Dio come "Padre" è sicuramente prevalente: Egli è chiamato "Padre" 254 volte in questi scritti cristiani, senza dover ricorrere ad arbitrari inserimenti del termine ad opera dei traduttori.

Contrariamente alla prassi in voga tra i Testimoni di Geova, quando Gesù si rivolgeva a Dio in preghiera, Lo invocava non come "Geova", ma sempre come "Padre" (adoperando questo termine ben sei volte nella sola preghiera finale con i discepoli). Perfino nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture non si dice mai che Gesù si sia rivolto al Padre chiamandolo "Geova". Come osserva C. Savasta (cfr. "Il Nome Divino nel NT" in Rivista Biblica n. 1/1998, p. 90), "Gesù evita accuratamente di pronunziare il nome divino. Infatti, ad esempio, dinanzi al sinedrio, al sommo sacerdote che gli chiede se fosse lui «il Cristo, il Figlio del Benedetto», Gesù risponde (Mc 14,61-62; cf. Mt 26,63-64): «... vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra della Potenza...», invece che «alla destra di JHWH» del Salmo 110,1, qui citato assieme a Dn 7,14, adeguandosi così all’uso ebraico di astenersi dal pronunziare il nome JHWH, come aveva fatto appunto il sommo sacerdote che lo interrogava, e questo proprio nell’occasione più adatta per dissociarsi pubblicamente da quest’uso, se non si fosse a sua volta conformato a esso. E’ del tutto improbabile quindi che egli lo pronunziasse in altre occasioni".

Perciò, è evidente che, quando - in preghiera - disse: "Padre, sia santificato il tuo nome", il termine "nome" fu usato in un senso più profondo, più ampio, per intendere la Persona stessa; altrimenti sarebbe incomprensibile la totale assenza di un appellativo specifico, come "Geova", nelle preghiere di Gesù. La notte prima della sua morte, sia parlando direttamente con i discepoli sia nella lunga preghiera che fece, Gesù parlò del "nome" di Dio per quattro volte; eppure per tutta la notte, sia nei consigli e nell'incoraggiamento ai discepoli sia in preghiera, non troviamo un solo caso in cui si faccia uso del nome "Geova". Invece, egli adoperò significativamente l'appellativo "Padre" per circa cinquanta volte! Il giorno seguente, in punto di morte, non invocò il nome "Geova", ma disse: "Mio Dio, Mio Dio", e le sue ultime parole furono: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito".

D'altra parte, "lodare il suo santo nome" o "santificare il suo nome" non significa semplicemente lodare un particolare termine o un'espressione, infatti come si potrebbe 'lodare una parola' o 'elogiare un titolo'? Piuttosto, quelle espressioni significano lodare la Persona stessa, parlare con riverenza ed ammirazione di Lui e delle Sue qualità ed azioni, stimarLo e riverirLo come Santo in modo superlativo.

Come cristiani, quale esempio dovremmo dunque seguire? Quello di una denominazione religiosa del ventesimo secolo o quello del Figlio di Dio, dato in un momento cruciale della sua esistenza terrena?

Quando insegnò ai suoi discepoli come pregare, se avesse seguito la prassi diffusa tra i Testimoni di Geova, Gesù avrebbe dovuto insegnare loro o a rivolgersi a "Geova Dio" o avrebbe comunque incluso quel nome nella preghiera. Invece, egli insegnò a seguire un esempio, invocando il "Padre nostro nei cieli".

Nelle relazioni familiari, di solito, non ci rivolgiamo a un padre chiamandolo per nome, abitualmente ci si rivolge a lui chiamandolo "padre" o, in modo più intimo, "papà" o "babbo". Gli estranei non possono adoperare tali termini così familiari, costoro devono limitarsi all'uso di appellativi più formali, riferendosi a un nome proprio. Perciò, rivolgendosi a quelli divenuti figli di Dio mediante Cristo Gesù, l'apostolo dice: "Poiché‚ voi non avete ricevuto uno spirito di schiavitù che causi di nuovo timore, ma avete ricevuto uno spirito di adozione come figli, mediante il quale spirito gridiamo: 'Abba' (espressione aramaica per "papà"), Padre!" (Romani 8,15). Questo fatto svolge sicuramente un ruolo importante nel chiarire perché avvenne l'innegabile cambiamento dall'enfasi precristiana sul Tetragramma al risalto cristiano sul "Padre" celeste, giacché Gesù espresse la propria opzione per questo termine non solo quando pregò. Come si comprende dalla lettura dei Vangeli, in tutti i discorsi rivolti ai discepoli, Gesù si riferisce costantemente e principalmente a Dio come "Padre". Possiamo correttamente asserire di conoscere il "nome" di Dio nel senso più profondo e autentico solo grazie alla disponibilità e al profondo beneficio dell'intima relazione con il Padre, resa possibile dal Figlio.

In base all'evidenza biblica e, in particolare, all'esempio di Gesù e degli apostoli, il risalto e l'enfasi eccessiva al nome "Geova" sono di scarso peso nel provare la validità della pretesa di una religione di far conoscere e santificare il "nome di Dio" nel modo più importante possibile. Contrariamente a quanto viene speciosamente sostenuto nell'articolo pubblicato dal Testimone di Geova sulla Rivista Biblica,

- il NT, come ci è stato preservato mediante migliaia di antichi manoscritti, in nessun punto enfatizza il Tetragramma;

- il NT dimostra che il Figlio di Dio non diede risalto a tale designazione, né nei discorsi né in preghiera, rivelando invece la sua opzione per l'appellativo "Padre"; Il NT dimostra che apostoli e discepoli, nei loro scritti, seguirono lo stesso esempio.

La riluttanza ad adeguarsi al loro modello, forse temendo addirittura di imitarlo, è segno di un erroneo intendimento, di un errore di valutazione. Il nome rappresentato dalle lettere del Tetragramma è degno di profondo rispetto, giacché compare con grande rilevanza nella lunga storia del rapporto di Dio con gli uomini in età precristiana, in particolare con il popolo del patto, Israele. Tuttavia, il Tetragramma, comunque lo si pronunci, resta solo un simbolo della Persona. Commetteremmo un serio errore, se attribuissimo a una parola - anche se adoperata come nome divino - un'importanza equivalente a quella spettante a Colui che essa designa; sarebbe ancora peggio, se considerassimo la parola in sé come una sorta di feticcio, talismano o amuleto capace di proteggerci da danni e sofferenze, da forze demoniche. Agendo in tal modo, dimostreremmo di aver perso effettivamente di vista il vero e vitale significato del "nome" di Dio.

Achille AVETA