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MOVIMENTI RELIGIOSI ALTERNATIVI

Il testo che segue è tratto dal libro di A. Aveta e S. Pollina, intitolato "MOVIMENTI RELIGIOSI ALTERNATIVI: effetti dell'adesione e motivi dell'abbandono", pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 1998.

I rischi dell'intolleranza

Elia Wiesel, premio Nobel per la pace, ha scritto: "L'intolleranza è vicina all'odio che è spesso irrazionale, impulsivo, nero, sornione. La sua cupa potenza fa appello a ciò che vi è di distruttivo nella persona umana. Il suo ritmo è rapido e il suo progresso implacabile.... L' odio è capace di produrre null'altro che odio e intolleranza null'altro che bruttezza e ignoranza. ... Praticando l'esclusione a tutti i livelli, il fanatico si considera come il solo detentore della verità e della salvezza ed è per questo che esige il potere di mettere le sue idee in pratica, di imporsi, di dominare. E' il fanatico che decide quando offrire la salvezza, a chi e come. Non tollera alcuna parola che non sia sottoposta alla sua, nessun pensiero che non porti il marchio del suo. Rifiutando ogni dialogo, non sa fare altro che monologhi ripetendosi, divenendo così un ostacolo maggiore, ritardando ogni progetto culturale, ogni ambizione civilizzatrice, ogni esperienza spirituale". In varie nazioni i tribunali si sono trovati di fronte a casi sempre più numerosi di conflitto tra i diritti individuali di libertà e le libertà dei gruppi di appartenenza. Da più parti, sempre più frequentemente, molti si chiedono se i riti e le pratiche - collettivi o individuali - di alcuni di questi movimenti siano contrari all'ordine pubblico e giustifichino ingerenze dello Stato finalizzate ad accertare che al loro interno non vengano violati i diritti fondamentali dei cittadini o le leggi; se questi gruppi, così diversi da quelli più noti che si rifanno alla tradizione cristiana, possano beneficiare dell'attribuzione di movimenti religiosi o se si debba tenerli distinti a motivo di un insieme molto vasto di credenze e pratiche le quali, pur avendo qualche attinenza con il religioso,non sono strettamente religiose. E' opportuno, pertanto, spendere qualche parola su cosa intendiamo per "religione". Riferendoci alla funzione che ogni specie di religione ritiene fondamentale, è evidente che una religione è una credenza in una garanzia soprannaturale offerta all'uomo per la sua salvezza, nonchè un insieme di tecniche tese ad ottenere o conservare tale garanzia. Dunque un movimento può essere definito religioso, quando in esso è presente almeno uno degli elementi menzionati (esistenza e ricerca di una salvezza). Il peso della responsabilità E' abbastanza diffuso il rifiuto di assumersi la responsabilità del proprio comportamento, per il fatto che si vorrebbero evitare le possibili conseguenze spiacevoli di tale comportamento: ogni volta che si cerca di sottrarsi alle responsabilità dei propri atti, ci si sforza pure di accollarle a qualcun altro (sia questi un individuo o un'istituzione); ma così facendo si rimette a questo ogni proprio potere. Perciò Erich Fromm ha intitolato appropriatamente "Fuga dalla libertà" il suo studio su nazismo ed autoritarismo: per sfuggire al peso delle responsabilità milioni di persone si trovano quotidianamente a fuggire dalla libertà. Al contrario, la vita non è altro che una serie di scelte e di decisioni personali: se si è capaci di accettare questo fatto, si diventa una persona libera. Quanto più chiaramente si riesce a vedere la realtà del mondo, tanto più facilmente se ne potranno affrontare le difficoltà e le insidie. Ognuno di noi - che lo ammetta o no - ha un bisogno di dipendenza: tutti vorremmo essere trattati come bambini, nutriti e accuditi da persone più forti di noi che abbiano veramente a cuore il nostro benessere; come fanno rilevare psichiatri e psicologi, anche se siamo persone forti, adulte e responsabili, guardando bene in noi stessi scopriremo di desiderare che, almeno "una tantum", qualcun altro si prenda cura di noi. Tuttavia, non bisogna confondere questo senso o bisogno di dipendenza con la dipendenza vera e propria; come afferma il noto psichiatra M. Scott Peck, la dipendenza è l'incapacità di sentirsi completi senza la costante presenza di qualcuno che ci vuol bene. Nell'adulto fisicamente sano la dipendenza è patologica - sempre cioè la manifestazione di una turba psichica. Questo tipo di persona non si sente mai completamente realizzato e prova un costante senso di insoddisfazione. E' chiaro che costoro, la cui vita è dominata dal desiderio di dipendenza, poichè soffrono di ciò che gli psichiatri definiscono turbe da personalità passivamente dipendente, sono i più probabili candidati all'affiliazione a un qualsiasi movimento religioso alternativo, in particolare a quelli comunemente definiti sette distruttive. Perchè? Poichè a loro non importa da chi dipendono, è solo sufficiente dipendere da qualcuno: vogliono solo che qualcuno fornisca loro una identità, non importa quale; per questo le loro relazioni con il prossimo, anche se possono apparire drammatiche nella loro intensità, sono in realtà molto superficiali. Infatti, qualsiasi cosa facciano tali persone passivamente dipendenti, il loro scopo resta sempre quello di assicurarsi l'affetto e il sostegno altrui. Qual'è, secondo gli esperti, la causa principale di questa dipendenza passiva? La mancanza d'amore. Scrive, infatti, M. Scott Peck: "L'intimo senso di vuoto che affligge le persone passivamente dipendenti è la diretta conseguenza dell'incapacità dei genitori di appagare il bisogno d'affetto, di attenzioni e di cure dei figli durante l'infanzia. Nel contesto di un movimento religioso alternativo la dipendenza può essere scambiata per amore in quanto induce le persone ad aggrapparsi l'una all'altra, ma in realtà non è amore; è una specie di anti-amore, ha le sue radici nell'incapacità di amore dei genitori e perpetua tale incapacità favorisce l'infantilismo piuttosto che la crescita, distrugge i rapporti fra le persone anzichè promuoverli e distrugge le persone stesse. Un'altra caratteristica delle persone dipendenti è quella di non preoccuparsi affatto della propria crescita spirituale. Il viaggio verso la crescita spirituale esige coraggio, iniziativa, autonomia di pensiero e d'azione; la grazia di Dio e la Sua Parola ci assistono, ma il viaggio dobbiamo compierlo da soli: nessun guru può accompagnarci fino alla meta, nè esistono formule o rituali che possano abbreviare il cammino. Nessun insegnamento settario può sollevare il viaggiatore dal duro compito di scegliere con cautela la via da seguire e di trovare faticosamente la strada che, attraverso le particolari vicende della propria vita, lo condurrà a rapportare il proprio io individuale con Dio.

Il Mito del successo

Spesso leggiamo dichiarazioni di esponenti di movimenti religiosi alternativi in cui si enfatizza il miglioramento delle condizioni psichiche degli affiliati rispetto allo stato di salute precedente all'adesione al movimento; per quanto possa sembrare sorprendente, anche studiosi della psicologia dei movimenti religiosi alternativi ammettono: "Il benessere psichico non è prodotto dal soddisfacimento delle pulsioni, ma dipende in modo determinante dal senso che viene dato tanto alle esperienze positive, quanto a quelle negative. Molti nuovi movimenti religiosi hanno successo, probabilmente, proprio perchè riescono a rispondere all'esigenza di dare un senso alla propria esistenza di molti giovani, per i quali i modelli della società moderna hanno perso attrattiva". Infatti le azioni e le esperienze personali - come le difficoltà quotidiane, i sacrifici e le sofferenze che inevitabilmente accompagnano l'esistenza di ognuno acquistano un senso in relazione ai principi che ispirano il gruppo, quindi possono essere considerate come un contributo al bene comune o, meglio, a ciò che si considera tale. E' possibile che il disturbo emozionale causato dagli eventi traumatizzanti della vita sia lenito dall'effetto sollievo operante nei movimenti religiosi alternativi: l'angoscia causata da tali eventi sarebbe bilanciata dal supporto emozionale derivante dall'impegno nel gruppo; in altre parole, più uno si sente strettamente associato, più può collocare le esperienze distruttive nella prospettiva dell'ideologia del movimento e quindi evitare un senso di sconforto, addirittura, di disperazione. L'affiliazione al movimento agisce da equilibratore degli effetti di eventi traumatizzanti; per alcuni il movimento offre un "oggetto" alternativo per i propri bisogni di dipendenza e una via per non dover gestire la propria vita. La creazione dell'angoscia e il citato elemento equilibratore sono alla base del cosiddetto effetto pinza: gli adepti intuiscono implicitamente che il sollievo dall'angoscia è dato dal loro legame con il movimento e ad esso si rivolgono per avere conforto quando devono affrontare traumatizzanti esperienze di vita; paradossalmente la loro adesione ai dettami del movimento li porta a conformarsi ulteriormente a richieste potenzialmente traumatizzanti. In tal modo il gruppo crea angoscia e contemporaneamente la toglie al prezzo di una sempre crescente obbedienza. In genere le reazioni sociali nei confronti dei movimenti religiosi alternativi si basano non tanto sulle loro credenze quanto sui loro modelli di comportamento e sulle loro relazioni con la società. Ecco perchè tali movimenti religiosi alternativi attribuiscono fondamentale importanza alla propaganda di facciata da presentare agli estranei. Da questo impegno pubblicitario nascono i miti e sarà nostro impegno sfatare alcuni di tali miti.La nostra società è caratterizzata dall'apparire più che dall'essere: bisogna impressionare gli interlocutori apparendo ai loro occhi più dotati, esperti e competenti rispetto alla realtà. Si tratta di una caratteristica di cui a lungo si è discusso e che ha tanti detrattori quanti sostenitori. In questo contesto i movimenti religiosi alternativi hanno subito compreso i notevoli vantaggi derivanti da una propaganda impostata sulle apparenze e la sfruttano con efficacia. Di norma, i seguaci di un movimento religioso alternativo sono caratterizzati dai seguenti elementi psicologici:hanno un sistema comune di fede e attribuiscono un potere carismatico - a volte divino - alla dirigenza del movimento; - dimostrano un elevato livello di coesione sociale - sono fortemente influenzati dalle norme di comportamento del movimento. Come si vive in un movimento religioso alternativo? La tendenza ad aggregarsi a gruppi sociali è evidente nelle culture più diverse e nasce dai vantaggi che un gruppo offre nel soddisfare i bisogni giornalieri e nel lottare contro le avversità. L'attrazione per movimenti religiosi alternativi molto compatti è tale da indurre gli adepti ad esporsi a molti rischi per fedeltà al gruppo: compiere lunghi periodi di duro lavoro non retribuito, esporsi al pubblico ludibrio, rinunciare a una gravidanza, rifiutare allettanti offerte di lavoro e trascurare la possibilità di farsi un'istruzione superiore, evasione dalla realtà. Chi entra a far parte di un movimento religioso alternativo rinuncia alla possibilità di prendere decisioni autonome e aderisce alle norme del gruppo, cosa che potrebbe contrastare con i suoi bisogni di adattamento. Allora quale meccanismo psicologico fa scattare la tendenza all'affiliazione? Quando le persone si fanno coinvolgere in un movimento religioso alternativo, si realizza un rapporto inverso fra i loro sentimenti di disturbo emozionale e il grado di affiliazione al gruppo. La capacità d'impegno individuale verso il gruppo è mediata dal sollievo da disturbi nevrotici, un sollievo che i proseliti provano con l'affiliazione e con la costante appartenenza al gruppo; più vi si sentono legati, meno angoscia provano. Al contrario, se si distaccano un po' dal gruppo, essi vengono indotti a tornarvi a motivo dell'aumentata angoscia che avvertono. Un adepto diventa simile a una cavia di un esperimento di condizionamento. Grazie alla facilità con cui si può esercitare il controllo del gruppo, le fantasie di un leader si traducono in azioni rituali che, sebbene bizzarre e nocive, hanno un senso all'interno del delirante sistema del gruppo. Interagendo con i seguaci, il leader si convince sempre più del "grandioso" ruolo attribuitogli, ciò può indurlo a pretendere dagli adepti prestazioni che per gli estranei sono illegali; il gruppo può anche attribuire uno speciale significato agli avvenimenti e al linguaggio quotidiani. Il sistema sociale settario, come tutti i sistemi sociali, ha specifiche funzioni capaci di proteggerne l'integrità di realizzarne gli obiettivi; esse sono: trasformazione, controllo, retroazione controllo del confine. La trasformazione è la funzione che consente al gruppo di perseguire il suo obiettivo primario, cioè la definizione della propria identità. E' per questa identità che gli adepti si dedicano all'attività di proselitismo. L'impegno al proselitismo garantisce più consistenza e più forza al gruppo e conferisce pure legittimità all'ideologia propria del gruppo, rafforzando quindi l'impegno degli affiliati veterani. Da una parte il gruppo è fortemente seducente nel suo tentativo di attirare nuovi adepti, dall'altro esso chiede la rottura dei precedenti legami sociali e una modificazione nella visione del mondo, propria del convertito. Così, quando tutte le risorse del gruppo si concentrano sull'individuo, è notevole il potenziale per lacerare il tessuto della sua stabilità psicologica: potrebbero derivarne sintomi di disagio psichico in persone con nessun precedente di disturbi mentali o d'instabilità psichica. Ogni seguace incontrato da chi sta per convertirsi contribuisce alla indiscutibile affermazione della giustezza della posizione del gruppo, accrescendone quindi la capacità di trasformare il proselito. Per operare efficacemente, un sistema settario deve pure osservare e regolare le azioni dei suoi componenti, al fine di garantire che le loro attività siano adeguatamente eseguite e coordinate. Ciò costituisce la sua funzione di controllo. Tale controllo è fondamentale per ogni sistema al fine di garantire l'efficace attuazione del suo compito primario: il sistema deve avere un apparato per controllare i propri componenti. Infatti è proprio grazie all'efficacia del controllo all'interno di un movimento religioso alternativo che anche il più bizzarro rovesciamento di prospettiva della realtà dei fatti viene accettato senza discutere. Queste difese psicologiche proteggono la "cultura" del gruppo da idee inaccettabili, anche se si tratta di "verità" prodotte dallo stesso movimento ma ritenute sorpassate: tali "verità" vengono spesso ignorate in blocco negandole, dimenticandole attraverso la rimozione o distorcendole attraverso la razionalizzazione. Il palese fallimento di tali "verità" obsolete viene negato perchè espone i vertici del gruppo a dubbi e causa demoralizzazione, pertanto i fatti e le dichiarazioni ufficiali vengono efficacemente manipolati per mantenere la stabilità interna del gruppo. In un movimento religioso alternativo anche il ricorso a concetti e a espressioni gergali speciali può contribuire, consciamente o inconsciamente, a isolare e tenere separato chi è affiliato da chi non lo è; infatti la lingua viene adoperata per definire, o meglio ridefinire, la realtà. E' chiaro che in un sistema sociale il controllo viene effettuato più facilmente quando esiste una collaborazione volontaria fra chi esercita tale controllo e chi viene guidato; infatti è meglio se i controllati accettano la guida senza decisione cosciente e, dato che il meccanismo difensivo d'identificazione opera in maniera inconscia, quelli che adottano gli atteggiamenti dei loro capi lo fanno senza riflettere sulla saggezza delle proprie azioni. Ci sono sempre state persone che ritengono che il loro impegno nei confronti di Dio debba prevalere su tutti gli altri interessi; comunque la raccomandazione più importante da fare ai familiari e agli amici di un affiliato a un movimento religioso alternativo è quella di continuare a tenersi in contatto con lui. E' vero, conservare i rapporti con un siffatto adepto può risultare molto difficile, tuttavia dargli ultimatum (del tipo: "o noi o il movimento") non è consigliabile anche quando è evidente che i problemi di relazione sono dovuti principalmente al movimento. Soprattutto in queste circostanze è fondamentale che parenti e amici chiariscano esplicitamente che continuano a rispettare e amare il loro caro e che intendono conservare uno stretto rapporto con lui. Si sa che è decisamente frustrante scoprire che argomentazioni ragionevoli non vengono prese in considerazione da un proprio caro o avere le prove che il movimento gli impedisce di far valutare con serenità le proprie ragioni; tuttavia, per quanto frustrati o arrabbiati si sentano, parenti e amici dovrebbero evitare che le loro comprensibili emozioni li inducano a parlare o agire in un modo che l' adepto possa interpretare come irragionevolmente intollerante offrendogli il destro per dare ragione al movimento che ha intimato all'adepto di diffidare delle iniziative di parenti e amici. Di solito è facile dire al convertito: "Non aderire!", o: "Escine!", oppure rinfacciare all'adepto cosa c'è di sbagliato nel movimento cui ha aderito; cosa ben più faticosa è stare ad ascoltare che cosa egli vi trovi di attraente. Capire non significa necessariamente approvare: ascolto non implica la condivisione dello stile di vita o delle "verità" proposti dal movimento, ma richiede il rifiuto di un approccio cinico e sprezzante della "fede" scoperta dall'adepto; nè l'ascolto impone di tacere sul fatto che il movimento a cui la persona cara è interessata, o a cui ha aderito, può esigere molti più soldi o impegno di quanto appaia a prima vista o su altre specifiche preoccupazioni: se esistono veri motivi di preoccupazione, è necessario presentarli alla persona il più presto possibile, con calma e precisione; evitate le vaghe generalizzazioni; ripetere informazioni sensazionalistiche senza averle verificate come autentiche può solo contribuire a confermare nella mente dell'quote adepto l'idea che dall' esterno la gente distorca la verità per fini malevoli. In definitiva, uno degli obiettivi primari di questo ascolto consiste nel rendersi conto che l'affiliato non abbia perso, o non corra il rischio di perdere, il suo senso di responsabilità individuale. Infatti, per certe persone il fatto di abbandonarsi tra le braccia del movimento può comportare la rimozione o la soppressione della percezione di sè come individui con diritti e responsabilità.

Riflessioni conclusive

Quali prospettive hanno gli affiliati ai movimenti religiosi alternativi di uscirne? Perché tanti possono testimoniare di essersi liberati dal condizionamento mentale esercitato su loro dai movimenti religiosi alternativi? Cosa accade nella mente di un adepto che lo induce a staccarsene? In estrema sintesi potremmo affermare che molto spesso gli affiliati abbandonano i movimenti religiosi alternativi perché si rendono conto che questi sono semplicemente dei gruppi e non delle vere e proprie comunità. E' evidente quindi che il più grande nemico di una comunità l'esclusività settaria; come ha osservato qualcuno, la comunità è "un gruppo che ha imparato a trascendere le proprie differenze individuali", pertanto un'organizzazione eccessivamente strutturata è l'antitesi di una comunità. In un movimento religioso alternativo, dove l'esigenza di "restare uniti" è decisamente pressante, l'abbandono comporta il rifiuto della missione trascendente attribuita ai vertici del gruppo e un fardello di esami di coscienza e di sensi di colpa: gli affiliati giungono a decidere per l'abbandono in un certo lasso di tempo mentre continuano a vivere all'interno del movimento. Chi abbandona i movimenti religiosi alternativi è indotto a rendersi conto che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una vita equilibrata difficilmente è caratterizzata dall'assenza di crisi; l'equilibrio psicologico di un individuo dipende invece dalla rapidità con la quale egli è capace di reagire alle crisi. Nel processo di formazione di una comunità i suoi membri imparano ad abbandonare schieramenti e fazioni, imparano ad ascoltarsi e a capirsi l'un l'altro, rispettano gli uni i "doni" degli altri e accettano reciprocamente i rispettivi limiti. Questo non significa che una comunità sia sempre pacifica nel senso comune del termine, anzi a volte i suoi membri si confrontano anche duramente, tuttavia si tratta di uno scontro costruttivo perchè basato sull'amore. Una comunità non nasce grazie agli ordini di un capo autoritario, nella comunità si impara pure ad arrendersi e a capire che spesso la vita non è un problema da risolvere, ma un mistero da vivere. Pertanto, affinchè un gruppo si trasformi in una comunità, occorre un notevole grado di impegno e perchè essa continui a vivere, deve fondarsi su un nucleo di persone che le si dedichino senza riserve. La comunità non risolve il problema del pluralismo cancellando la diversità, al contrario essa accoglie ogni punto di vista, ingloba gli opposti, ricerca la diversità. In una vera comunità si arriva alle decisioni solo attraverso il consenso: essere pienamente consapevoli della varietà umana significa riconoscere la nostra dipendenza reciproca. Chi si propone come fine la ricerca della felicità, molto facilmente non la trova. Chi invece cerca di creare e amare senza badare a ciò che ne avrà in cambio, spesso si trova a essere felice per buona parte della sua vita.