Metamorfosi di un fenomeno sociale e
culturale della Sicilia
A cura di Salvo Vitale
Un ventennio di intenso dibattito, fra
gli anni ’80 e ’90, e di grande
produzione scientifica, ha studiato il
fenomeno mafioso. Catania, esente
dall’essere investita dal problema
mostrava essere piu’ moderna, rispetto a
Palermo. Ma la contrapposizione fra le
due grandi citta’, nel leggere i
significati degli atti di criminalita’ e
nello stesso tempo l’individuazione
della linea di demarcazione fra la
vecchia e la nuova mafia, e’ il tema che
ha interessato ed impegnato, non poco,
gli storici. La societa’ siciliana, come
il resto del mondo, si trasforma e si
adegua alla realta’ che man mano si
consolida, lasciandosi alle spalle due
guerre mondiali e guardando al nuovo
secolo. In questo contesto, la
necessita’ di studiare il, rapporto fra
mafia e politica, diventa spontanea,
mentre si afferma con forza l’antimafia,
quale strumento di supervisione e
controllo, dei rapporti fra
l’imprenditoria locale e le classi
dirigenti nazionali. Non privo di
interesse, e’ sottolineare il fallimento
della Commissione parlamentare
antimafia, che non aveva assolto al
legittimo compito di informare
l’opinione pubblica, mentre il punto
cruciale nel dopo guerra siciliano, e’
l’interpretazione dei partiti di massa,
a contatto con la mafia, che la vede
come l’unica e vera causa
dell’arretratezza. Gli esponenti
mafiosi, del calibro di Vizzini,
venivano disegnati come conservatori ed
appartenenti ad un mondo ormai passato,
ma anche pericolosi perche’ vicini al
movimento separazionista, che avrebbe
comportato l’affermarsi dei
latifondisti, i quali avrebbero
sicuramente recato danno agli stessi
contadini. Il fermento negli ambienti
politici di sinistra, le dichiarazioni
attraverso la stampa, di esponenti
autorevoli di sinistra, avevano
innescato una fase di attentati agli
stessi esponenti politici avversi alla
mafia, oltre che ad uno spropositato
aumento di omicidi dal ‘56 al ‘60. Gli
anni 60 in Sicilia occidentale, mostrano
la fotografia della realta’
imprenditoriale, con alle proprie
dipendenze, fra gli altri, di alcuni
mafiosi. Il loro ruolo, all’interno
dell’azienda, comprende anche
l’intervento,
violento, nei riguardi di chiunque
arrechi fastidio al titolare, partendo
da una base minima quale quella della
concorrenza sullo sfruttamento di una
miniera o di un territorio. Le famiglie
imprenditoriali, emergenti usano la
propria “polizia privata” per risolvere
qualunque problema, anziche’ rivolgersi
allo Stato. Una evoluzione della
societa’, che si sviluppa fra gli inizi
dell’800 e l’era della restaurazione,
con unica meta quella della grande
scalata verso il potere e la ricchezza.
Sono i gruppi dei gabellotti, che con la
loro organizzazione piramidale,
garantiscono quella sicurezza che viene
meno dallo stato. Mentre parte
integrante di questo stato di cose,
risultano essere non solo i manovali del
crimine, ma anche coloro i quali
occupano un posto di rilievo nella
societa’. Una cultura, alimentata dalla
diffidenza nei confronti dello Stato.
Fenomeno presente a macchia d’olio e
persistente, in contrasto con chi
pensava, bastasse la scolarizzazione o
il fischio di un treno, per debellare
questo costume. Se in un primo momento
le cosche si presentano come gruppo
nomade, con l’intensificarsi del
rapporto con gli enti istituzionali e
per controllare al meglio traffici a
distanza, nasce la necessita’, di
intrecciare connessioni con altri
gruppi, intensificando la struttura
organizzativa. L’input derivante dal
commercio di agrumi con il nuovo mondo,
stuzzica appetiti per avviare il
contrabbando di tabacchi e stupefacenti.
La fa da padrone la famiglia Greco per
oltre un secolo. Il territorio viene
diviso, e l’organo di supervisione
diventa “ La Conferenza”, non sempre in
grado di tenere le fila, per i vari
conflitti interni e le perenni guerre
fra le cosche.
Si e’ trattato di un errore grave di
valutazione, quello di considerare il
fenomeno mafioso, come eccezionale,
frutto di emergenze politico-criminali,
durante il quale il evento mafioso esce
totalmente allo scoperto. Lo scontro in
parlamento sul caso Sicilia, e la serie
di documenti sulla mafia, danno una
visione completa, fra il 1975-76, del
reale peso che essa ha sia sul potere
politico che nella societa’,
nell’economia . Provvedimenti
straordinari, vengono presi, per
fronteggiare questo nuovo ed emergente
problema.
L’assassinio del capitano Hennessy, in
aggiunta ad una ondata di delitti per il
controllo del territorio e degli affari
in esso connessi, spinge gli americani a
chiedere
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un irrigidimento delle leggi
sull’immigrazione. Il collegamento con
la mafia d’origine, siciliana, era mal
sopportato dai cittadini, che vedevano
in loro tutti i mali della societa’.
L’universo multietnico americano,
alternandosi nella guida, detiene il
controllo di affari loschi, in
collegamento con i gruppi
politico-clientelari delle grandi citta’.
Dal ‘901 al ‘914 arrivano in America
800.000 siciliani. Studi sul fenomeno,
rilevano che il criminale e’ gia tale
prima di arrivare in America, mentre e’
difficile che lo si diventi. Mentre non
esistono strumenti giudiziari per
fronteggiare questo fenomeno. Le fortune
della mafia si collocano in America come
paese di molte opportunita’, mentre
nella Sicilia post feudale si muove un
quadro di mobilita’ sociale e di
trasformazioni storiche. Joe Petrosino,
venuto in Sicilia per svolgere indagini,
rifiuta la collaborazione della polizia
e indirizza i suoi contatti verso la
malavita locale, elargendo dollari in
cambio di informazioni.
Viene assassinato durante il suo
soggiorno siciliano, e i sospetti
ricadono sul corleonese Giuseppe
Morello, residente in America. Il
delitto aveva mobilitato le forze
dell’ordine di ambo i paesi, provocando
l’arresto di un capo famiglia come don
Vito Cascio-Ferro, noto agli
investigatori come appartenete ad un
gruppo di falsari. Cascio Ferro (vice
presidente dei fasci siciliani del
92-93), fu prosciolto, a seguito della
testimonianza dell’onorevole De Mivchele
Ferrantelli.
L’evoluzione tecnologica,
l’illuminazione stradale e la rete
viaria e fognaria, oltre all’istruzione
pubblica, creano nuove condizioni di
interconnessione fra potere politico e
mafia. Nel primo decennio del secolo, la
situazione comincia a variare, si
assiste all’affermazione di cooperative
ed alla forte richiesta di “affitto”, a
cui partecipano gabellotti singoli oltre
che collettivi. Si insinua una
contraddizione, che mostra l’esigenza di
un governo locale di sinistra, che suo
malgrado deve sottostare alla mafia.
Tipico esempio, Verro eletto sindaco a
Corleone, si trova costretto a “Bere o
affogare”, affoga l’anno successivo,
quando viene assassinato.
Il suffragio universale, seguìto al
rientro di centinaia di migliaia di
uomini decisi ad una vita migliore, crea
l’esigenza di progetti di riforma
agraria e dell’intervento dell’Onc. Di
nuovo in primo piano Badalamenti,
Vizzini, Calo’ che pilotano e gestiscono
nelle rispettive aree, gli affitti dei
fondi. La figura del mafioso si evolve,
assumendo le vesti del notabile. Mentre
l’avvento del fascismo, provoca
l’affiliazione dei notabili grandi e
piccoli, che salgono sul carro del
vincitore. A seguito della visita in
Sicilia di Benito Mussolini, viene
nominato Mori, a prefetto. La sua azione
si evidenzia nell’insurrezione delle
coscienze, nell’azione di popolo. Nel
1926 attua 11.000 arresti, e alla fine
dello stesso anno, spedisce a Roma un
dossier su Cucco, numero uno del
fascismo palermitano, oltre a quello di
un ministro di Mussolini, coinvolto in
uno scandalo. Il fascismo usa i prefetti
per liquidare i fiancheggiatori
liberali, e i personaggi scomodi ,
autonomi, con l’accusa di mafia. Mori
riceve ringraziamenti dai latifondisti
che hanno potuto elevare i canoni
d’affitto, da 10 a 110.000 mila lire
l’anno. L’ambizione del fascimo e’
quella di inseguire i notabili, per
scopi puramente politici, nasce il
dubbio in alcuni magistrati. Secondo
studiosi, Mori anniento’ la mafia, che
rinasce nel 43. Secondo altri, Mori fu
fermato quando stava per arrivare in
alto, lasciando che l’azione giudiziaria
si profilasse solo verso la piccola
delinquenza. Rilevante, l’opera promossa
da Lucky Luciano, che riesce a farsi
affidare la difesa dei docks newyorkesi,
dopo avere simulato attentati da parte
di tedeschi. Nasce Cosa nostra, la
famiglia, la tradizione. Si riscontrano
gruppi che promuovono il Mis, al quale
aderiscono moltissimi mafiosi. Si
percepisce l’esigenza mafiosa di
ottenere un controllo politico e diretto
sull’isola. In un contesto di estrema
confusione politica, risulta rilevante
la vicenda Giuliano, nato come
borsanerista, ma “utilizzato” come
progetto eversivo. Giuliano va fermato
vivo o morto, e si utilizza il cugino.
Da questo contesto di disordine la mafia
ne esce rafforzata, legittimata dalle
forze dell’ordine. Diventa necessario
portare i separatisti all’interno
della democrazia cristiana. Questo stato
di cose, porta i grandi latifondisti
alla vendita, prima che la riforma
fondiaria del ‘50 comporti l’esproprio.
Si consolidano le famiglie “Greco di
Croceverde” e “Greco di Ciaculli”.
Nel ’68 nasce la Commisione antimafia,
frutto di un lavoro di intellettuale
attraverso la stampa, ma anche dalla
caduta di Milazzo, con l’instaurazione
di un governo regionale di centro
sinistra. Da notare una sorta di premio
alla famiglia Salvo con il monopolio
delle esattorie, e favori alla famiglia
Costanzo. La Commissione partorisce il
topolino. Un inchiesta ministeriale
affidata al prefetto Bevivino, conferma
la distruzione di antichi edifici, con
manipolazione di Prg, appalti truccati,
licenze facili. Vassallo, si lega ad una
famiglia mafiosa e decolla
nell’imprenditoria, grazie all’amicizia
con i Lima, Gioia etc. la mafia si
rivitalizza, si assiste ad innumerevoli
scontri per il potere con l’uso di
tritolo. Il latifondo non interessa piu’,
e si assiste alla migrazione dalle
campagne alla citta’, dove gli interessi
sono piu’ forti. Questa svolta epocale
costituisce di fatto il passaggio dalla
vecchia alla nuova mafia, cosi’ come era
già avvenuto in precedenza. La
differenza consiste nel fatto che la
nuova mafia adotta sistemi violenti a
differenza del passato dove non era
concepibile far del male a bambini,
donne anziani. La vecchia mafia si
presentava con una funzione di
equilibrio svolta all’interno del
territorio in cui operava. Due sono i
modelli che emergono: il power syndicate,
dedito all’estorsione, e l’enterprise
syndicateche che svolge la sua azione
nelle imprese della prostituzione, gioco
d’azzardo, contrabbando e droga. Il
primo lo si identifica nella struttura
delle famiglie operanti solo sul
territorio siciliano, palermitano,
mentre l’altro allarga la sua spira
d’azione gestendo a largo raggio il
contrabbando e il traffico di
stupefacenti. In questo contesto si
verifica l’interscambio ed il commercio
fra famiglie diverse, sacrificando agli
interessi, i valori di compattezza della
famiglia. Punto fermo resta il fatto che
le imprese legali chiedono protezione
allo Stato, mentre le imprese illegali
devono cercare protezione altrove.
Questo ingenera l’esigenza di creare una
Commisione in Sicilia, la supportano gli
americani, costituita da elementi di
secondo
piano ed operante autonomamente sul
territorio, guidata dai Greco, dai La
Barbera, Torretta e Leggio. Il suo scopo
principale e’ quello di contrastare la
Commisione antimafia. Nel ’62 scoppia
una violenta guerra di mafia, con decine
di morti. Palermo si pacca in due, ed il
controllo e’ nelle mani dei Greco e dei
La barbera, fino al ’63, anno in cui l’ostilita’
mossa dallo Stato, riesce a mettere
fuori gioco l’intera organizzazione
mafiosa. Alcuni si danno alla latitanza,
altri, Pippo Calo’ e Luciano Leggio, si
radicano nel territorio del domicilio
coatto al quale vengono assegnati,
sfruttandolo sotto l’aspetto di attività
illecite. Il serpente, non e’ ancora
definitivamente fuori gioco, e basta
poco per fargli rialzare la testa
tessendo nuovi legami con la Regione,
dalla quale trarre vantaggi economici,
ottenendo appalti pubblici consistenti.
Riina, Badalamenti e Stefano Bontade,
nel ‘70 ricevono l’incarico di
ricostituire la mafia palermitana, nel
’73 nasce la Commisione provinciale
sotto la presidenza di Badalamenti,
mentre nel ’75 la Commissione regionale
e’ diretta da Pippo Calderone. Resta da
sottolineare, la perentoria regola a cui
si sottopongono i mafiosi, che e’ quella
di non ammettere interferenze nemmeno da
altri membri dell’organizzazione, quando
si ha un imprenditore sotto la propria
tutela. Anzi, e’ regola fissa, quella di
non affiliare l’imprenditore, ma di
tenerlo sempre sotto scacco e fuori
dall’organizzazione, per evitare
concorrenze nell’esercizio del proprio
potere in seno all’associazione
criminale. Altro fatto determinante
delle regole siciliane, consiste
nell’aborrire i sequestri di persona,
dall’elenco delle attivita’. Sulla
collusione degli imprenditori, Rendo,
Costanzo, etc., fu favorevole il
giudizio espresso dal giudice catanese
Russo, che ritenne non punibili i
comportamenti di quest’ultimi, perche’
costretti da stato di necessita’ a
sottostare ai voleri della cupola. Un
momento importante per i partiti di
massa che raccolgono i maggiori consensi
dalle aree del interne, mentre la
produzione editoriale continua a
denunciare il fenomeno mafioso. Di
contro, persiste la ferma convinzione di
molti magistrati e uomini politici,
dell’inesistenza del fenomeno, che
invece fu tragicamente affermata con
l’assassinio di G. Fava. Sicuramente lo
sbarco alleato in Sicilia, fu
possibile grazie all’aiuto della mafia e
dei suoi capi, cosi’ come appare nella
relazione di Violante, allora presidente
della Commissione antimafia.
Sono trascorsi vent’anni, dal momento in
cui e’ stato catalogato e battezzato con
un nome specifico. Montagne di
documenti, a disposizione, scaturiti dai
maxiprocessi, dalla Commisione ad hoc,
che permettono di leggere il fenomeno in
maniera piu’ chiara rispetto al passato.
Protagonisti del periodo, nomi illustri
di vittime del fenomeno, quali Falcone,
Borsellino, e ancora prima Livatino,
oltre ad altri non meno importanti
magistrati e poliziotti che hanno
sacrificato la loro vita , nel nome
della giustizia e nella lotta a questa
piaga sociale. Falcone dava estrema
importanza al pentitismo, che va
considerato nell’ottica della verifica
prima e della sopraffazione del gruppo
avverso, capace di far emergere
l’infinito oscuro dell’organizzazione
criminale. La violenza, resta il veicolo
principale della mafia per raggiungere
gli scopi prefissati, oltre all’estremo
rigore organizzativo di cui essa
dispone, che rende gli appartenenti
amalgamati ed avvinti, tanto da creare
quella coltre di impenetrabilita’ ed
omogeneita’ difficile da scalfire
dall’esterno. Un muro difficile da
abbattere, perche’ in presenza di uno
stato debole, giovane, ma soprattutto
diviso in tanti centri di potere, non
rinnovato nelle sue componenti da sempre
al potere. Di contro anche
l’opposizione, non ha saputo individuare
gli strumenti adatti alla lotta,
confondendo la lotta politica con le
vicende giudiziarie. La sua, e’ una
ricerca continua dentro le istituzioni,
di strumenti idonei all’estinzione del
fenomeno mafioso. Individuare gli
aspetti organizzativi della mafia,
significava, per Falcone, avere lo
strumento minimo per potere scardinare
l’organizzazione.
Bisogna sottolineare anche le
considerazioni di pentiti, quali
Buscetta, che danno solo minime
informazioni e a gradi, perche’ convinti
che lo Stato non abbia seriamente
l’intenzione di combattere la mafia.
Tracciare la mappa della struttura
militare ed economica, consente di
costruire attorno ad essa tutta la rete
di rapporti capace di svelare i
retroscena e le connivenze. Il tutto,
nei limiti degli strumenti istituzionali
e nel segno
della verifica, per evitare clamorose
assoluzioni, che avrebbero portato a
rinsaldare il mito dell’invincibilita’
della mafia.
Varie, le polemiche sull’esistenza di un
terzo livello, che hanno condotto a
posizioni ferme, i giudici impegnati
nella lotta alla mafia convinti di non
basare le loro indagini solo sulla
connivenza fra mafia e politica, ma di
estendere le loro indagini anche
altrove. Lo Stato, e le sue fazioni, non
hanno contribuito in maniera determinate
a dare supporti validi ai giudici. Il
“terzo livello”, viene configurato come
un ambito collocato nelle elites di
potere, come una sorta di regia ad alti
livelli. Falcone, ritenne di negare con
determinatezza l’esistenza di un tale
vertice, pur affermando con certezza
l’esistenza di adepti di estrazione
politica. La certezza di Falcone si
fondava sulla estrema compattezza
dell’organizzazione mafiosa, che pur
stringendo accordi a 360 gradi, rimaneva
pur sempre autonoma e mai in posizione
di subalternita’. Si ricorda lo scontro
all’interno del Consiglio superiore
della magistratura, fra alcuni
magistrati siciliani, oltre alla vicenda
del “corvo” di trapani che coinvolse
Calogero Mannino e Rino Nicolosi, finita
in una bolla di sapone. Il “terzo
livello”, della cui esistenza la
sinistra ne ha fatto una bandiera,
rappresenta per l’opinione pubblica la
causa della lunga persistenza della
mafia, oltre ad una delegittimazione
della classe politica.
Determinate il contributo di A.
calderone, nel presentare gli aspetti ed
il funzionamento dell’organizzazione
criminale in Sicilia e i suoi contati
con l’esterno. Catania e la fascia
orientale della Sicilia , ne rimasero
immuni per molto tempo. Fino agli anni
sessanta la presenza in zona ebbe scarso
rilievo, mentre la crescita avvenne nel
ventennio 60-80. Una regionalizzazione
che risulta speculare a quella della
societa’ siciliana. La famiglia
Calderone, ebbe un ruolo di primo piano,
con a capo il fratello Pippo, che seppe
tessere i rapporti con l’imprenditoria
locale, e creare quelle condizioni di
controllo della manodopera, soprattutto
nelle imprese edili. Oltre alla
costituzione di imprese collaterali per
il movimento terra. Da considerare anche
il collegamento con Palermo, che
permetteva attraverso i politici, una
sicurezza regionale ed anche nazionale
di gestire gli
appalti pubblici. Secondo Falcone si era
in presenza di una cosca militarmente
debole, ma determinate nei contatti con
l’imprenditoria. Viene invece perseguito
l’obiettivo dell’”assicurazione”
obbligatoria per gli imprenditori
offerta dalla famiglia, e dalla quale
gli imprenditori dovevano cautelarsi
pagando la protezione. Un circolo
alquanto vizioso, che sfociava con la
intimidazione delle imprese piu’
piccole, su suggerimento delle grandi.
La cosca catanese, secondo Calderone,
aveva il ruolo di elemento di
regolazione dell’equilibrio sociale, nei
confronti di chi aveva il compito
istituzionale di perseguirla. A meta’
degli anni 80, nasce di fatto una faida
con i gruppi dell’interno, per il
mercato della droga, che crea alleanze
trasversali, e vede i catanesi
schierarsi con la parte dei perdenti
palermitani. Intanto nel territorio,
nascono gruppi che operano come
scippatori, ladri e topi d’auto, che
impegna la cosca in un progetto di
repressione del fenomeno per evitare di
perdere il controllo della situazione ed
averne danni finanziari derivanti da
questi gruppi che avrebbero potuto
rivendicare grosse fette di torta. Da
sottolineare la presenza di personaggi
di punta della borghesia, professionisti
e uomini politici, all’interno
dell’organizzazione, accanto a
personaggi di origine plebea e
profondamente ignoranti. Negli anni
settanta si assiste poi, al
trasferimento dei capi dalle loro
borgate ad appartamenti del centro. E
per fronteggiare l’avanzata delle nuove
leve, restie a sottomettersi all’ordine
costituito delle cosche, vennero
selezionati nuovi adepti. Fu tutto
inutile, il comando passo nelle mani dei
corleonesi. Per Calderone si profila la
fuga e il pentimento, mentre le famiglie
si ricompongono con un criterio piu’
selettivo. Per le istituzioni
inquirenti, resta decisiva la conoscenza
della cellula organizzativa mafiosa. Un
quadro politico rinnovato, invece
costituisce lo strumento ideale per la
lotta alla mafia.
Alla fine degli anni 70, una serie di
omicidi eccellenti, rendono nazionale il
fenomeno, creando l’immagine di una
organizzazione che copre tutto il
territorio.Al centro del dibattito la
questione sulla vecchia/nuove mafia, e
sulla prorompente violenza che
contraddistingue la nuova compagine.
Buscetta, rimane sconcertato dal
processo degenerativo e violento,
provocato dalla modernita’, che sviluppa
sete di guadagno smoderato, stravolgendo
ogni regola interna. Ma, i media, ci
hanno fornito immagini che oltre a
svelare alcuni atteggiamenti di Riina,
capace di impartire ordini dalla gabbia,
hanno permesso di creare una sorte di
movimento di opinione pubblica che ha
supportato l’attivita’ istituzionale.
Alcuni storici, presentano la parola
mafia, come senso di appartenenza e di
omerta’, mentre altri trovano le sue
origini fra i funzionari piemontesi,
all’epoca dell’unita’.
Il narcotraffico, attività estremamente
redditizia, avviluppa talmente i suoi
promotori, al punto da disgregare quell’amore
fraterno, che in altri tempi non avrebbe
permesso che un fratello permettesse
l’uccisione del congiunto. La fine degli
anni 80, rappresentano un periodo
estremamente grave, per il gran numero
di omicidi di personaggi di spicco fra i
magistrati e gli uomini politici, fra
cui il i giudici Gaetano Costa e Rocco
Chinnici, e politici come Piersanti
Mattarella o Pio La Torre. Si registra
il fenomeno dell’isolamento che provoca
la morte, che produce “l’ordinaria
amministrazione” fra coloro che si
rivelano pigri, incapaci o addirittura
complici. Carlo Alberto Dalla Chiesa,
prova a infrangere il muro mafioso, ma
cade vittima di un attentato, mentre
sulla scia dello sgomento suscitato da
questo efferato delitto, il pool
antimafia composto da Falcone e
Borsellino, guidato da A. caponnetto,
riesce ad assicurare alla giustizia 707
affilati alle cosche. Ci rimettono la
vita Beppe Montana e Ninni Cassara’, il
primo cade in vacanza mentre indaga,
l’altro cade sotto i colpi dei killers
in uno fra i tanti tragitti alternativi,
previsti per motivi di sicurezza. Da
notare le decisioni assunte dall’allora
ministro degli Interni Scalfaro, quando
precipitatosi a Palermo per la morte di
un indagato, defunto a seguito di un
pestaggio durante un interrogatorio,
frantuma la struttura investigativa con
trasferimenti fulminei dei suoi
funzionari. L’indomani della sua
decisione, segna la tragica fine di
Montana e Cassara’. Le indagini di
Falcone e Borsellino, portano risultati
eccellenti, e innescano il meccanismo
del pentitismo.
Diventa difficile individuare le
responsabilità’ dei pentiti, ma
sicuramente la fiducia trasfusa nei
criminali da questi giudici, porta loro
a parlare. Parlano anche perche’ si
sentono soli, abbandonati, e cercano di
frenare le nuove leve che mostrano una
ferocia innata ed escono da quei canoni
che avevano contraddistinto l’onorata
societa’ di un tempo. Buscetta ne e’
l’esempio.
INTERROGATORIO DI ANGELO PUGLIESE
Ricco di particolari, ed estremamente
minuziosi, nel suo racconto-deposizione,
riesce a dare un immagine di quella che
crea la fotografia della Sicilia
occidentale del tardo 800. Riesce a dare
una descrizione di se, e delle sue
vicende che avvince il lettore, tanto da
portarlo sul punto di credere al suo
“pentimento”, oltre all’esaltazione di
quegli uomini politici incontrati in
carcere, che riescono a dargli un anima
e una parvenza di istruzione. Una serie
di vicende che si intrecciano nel vasto
territorio dell’isola, una serie di
delitti in cui si alternano anche
momenti di “giustizia”, sottolineati dal
protagonista, e nella sua ottica.
Interessante anche il coinvolgimento di
un uomo di chiesa e di gentiluomini
borghesi, in una scorribanda che sfocia
in un delitto efferato oltre a torture
subite da parte dei destinatari della
spedizione. Immagine quasi contemporanea
dell’organizzazione, viene dal raduno
dei masnadieri, i quali ipotizzano e poi
non realizzano uno statuto di
comportamento, mentre e’ da rilevare
l’insistenza di chi vuole entrare a far
parte dell’organizzazione non essendo un
latitante. Particolare interesse assume
una richiesta di aiuto da parte di
rivoluzionari, che intendono coinvolgere
il gruppo di banditi per perseguire i
loro scopi e raggiungere gli obiettivi
rivoluzionari. Deludente la fine
dell’interrogatorio, che manifesta una
ritrattazione dei reati commessi, che
non smentiscono la realtà dei nostri
giorni, in cui la ritrattazione e
l’accusa sono consuetudinari..