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Metamorfosi di un fenomeno sociale e culturale della Sicilia
 

A cura di Salvo Vitale


Un ventennio di intenso dibattito, fra gli anni ’80 e ’90, e di grande produzione scientifica, ha studiato il fenomeno mafioso. Catania, esente dall’essere investita dal problema mostrava essere piu’ moderna, rispetto a Palermo. Ma la contrapposizione fra le due grandi citta’, nel leggere i significati degli atti di criminalita’ e nello stesso tempo l’individuazione della linea di demarcazione fra la vecchia e la nuova mafia, e’ il tema che ha interessato ed impegnato, non poco, gli storici. La societa’ siciliana, come il resto del mondo, si trasforma e si adegua alla realta’ che man mano si consolida, lasciandosi alle spalle due guerre mondiali e guardando al nuovo secolo. In questo contesto, la necessita’ di studiare il, rapporto fra mafia e politica, diventa spontanea, mentre si afferma con forza l’antimafia, quale strumento di supervisione e controllo, dei rapporti fra l’imprenditoria locale e le classi dirigenti nazionali. Non privo di interesse, e’ sottolineare il fallimento della Commissione parlamentare antimafia, che non aveva assolto al legittimo compito di informare l’opinione pubblica, mentre il punto cruciale nel dopo guerra siciliano, e’ l’interpretazione dei partiti di massa, a contatto con la mafia, che la vede come l’unica e vera causa dell’arretratezza. Gli esponenti mafiosi, del calibro di Vizzini, venivano disegnati come conservatori ed appartenenti ad un mondo ormai passato, ma anche pericolosi perche’ vicini al movimento separazionista, che avrebbe comportato l’affermarsi dei latifondisti, i quali avrebbero sicuramente recato danno agli stessi contadini. Il fermento negli ambienti politici di sinistra, le dichiarazioni attraverso la stampa, di esponenti autorevoli di sinistra, avevano innescato una fase di attentati agli stessi esponenti politici avversi alla mafia, oltre che ad uno spropositato aumento di omicidi dal ‘56 al ‘60. Gli anni 60 in Sicilia occidentale, mostrano la fotografia della realta’ imprenditoriale, con alle proprie dipendenze, fra gli altri, di alcuni mafiosi. Il loro ruolo, all’interno dell’azienda, comprende anche l’intervento,
violento, nei riguardi di chiunque arrechi fastidio al titolare, partendo da una base minima quale quella della concorrenza sullo sfruttamento di una miniera o di un territorio. Le famiglie imprenditoriali, emergenti usano la propria “polizia privata” per risolvere qualunque problema, anziche’ rivolgersi allo Stato. Una evoluzione della societa’, che si sviluppa fra gli inizi dell’800 e l’era della restaurazione, con unica meta quella della grande scalata verso il potere e la ricchezza. Sono i gruppi dei gabellotti, che con la loro organizzazione piramidale, garantiscono quella sicurezza che viene meno dallo stato. Mentre parte integrante di questo stato di cose, risultano essere non solo i manovali del crimine, ma anche coloro i quali occupano un posto di rilievo nella societa’. Una cultura, alimentata dalla diffidenza nei confronti dello Stato. Fenomeno presente a macchia d’olio e persistente, in contrasto con chi pensava, bastasse la scolarizzazione o il fischio di un treno, per debellare questo costume. Se in un primo momento le cosche si presentano come gruppo nomade, con l’intensificarsi del rapporto con gli enti istituzionali e per controllare al meglio traffici a distanza, nasce la necessita’, di intrecciare connessioni con altri gruppi, intensificando la struttura organizzativa. L’input derivante dal commercio di agrumi con il nuovo mondo, stuzzica appetiti per avviare il contrabbando di tabacchi e stupefacenti. La fa da padrone la famiglia Greco per oltre un secolo. Il territorio viene diviso, e l’organo di supervisione diventa “ La Conferenza”, non sempre in grado di tenere le fila, per i vari conflitti interni e le perenni guerre fra le cosche.
Si e’ trattato di un errore grave di valutazione, quello di considerare il fenomeno mafioso, come eccezionale, frutto di emergenze politico-criminali, durante il quale il evento mafioso esce totalmente allo scoperto. Lo scontro in parlamento sul caso Sicilia, e la serie di documenti sulla mafia, danno una visione completa, fra il 1975-76, del reale peso che essa ha sia sul potere politico che nella societa’, nell’economia . Provvedimenti straordinari, vengono presi, per fronteggiare questo nuovo ed emergente problema.
L’assassinio del capitano Hennessy, in aggiunta ad una ondata di delitti per il controllo del territorio e degli affari in esso connessi, spinge gli americani a chiedere
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un irrigidimento delle leggi sull’immigrazione. Il collegamento con la mafia d’origine, siciliana, era mal sopportato dai cittadini, che vedevano in loro tutti i mali della societa’. L’universo multietnico americano, alternandosi nella guida, detiene il controllo di affari loschi, in collegamento con i gruppi politico-clientelari delle grandi citta’. Dal ‘901 al ‘914 arrivano in America 800.000 siciliani. Studi sul fenomeno, rilevano che il criminale e’ gia tale prima di arrivare in America, mentre e’ difficile che lo si diventi. Mentre non esistono strumenti giudiziari per fronteggiare questo fenomeno. Le fortune della mafia si collocano in America come paese di molte opportunita’, mentre nella Sicilia post feudale si muove un quadro di mobilita’ sociale e di trasformazioni storiche. Joe Petrosino, venuto in Sicilia per svolgere indagini, rifiuta la collaborazione della polizia e indirizza i suoi contatti verso la malavita locale, elargendo dollari in cambio di informazioni.
Viene assassinato durante il suo soggiorno siciliano, e i sospetti ricadono sul corleonese Giuseppe Morello, residente in America. Il delitto aveva mobilitato le forze dell’ordine di ambo i paesi, provocando l’arresto di un capo famiglia come don Vito Cascio-Ferro, noto agli investigatori come appartenete ad un gruppo di falsari. Cascio Ferro (vice presidente dei fasci siciliani del 92-93), fu prosciolto, a seguito della testimonianza dell’onorevole De Mivchele Ferrantelli.
L’evoluzione tecnologica, l’illuminazione stradale e la rete viaria e fognaria, oltre all’istruzione pubblica, creano nuove condizioni di interconnessione fra potere politico e mafia. Nel primo decennio del secolo, la situazione comincia a variare, si assiste all’affermazione di cooperative ed alla forte richiesta di “affitto”, a cui partecipano gabellotti singoli oltre che collettivi. Si insinua una contraddizione, che mostra l’esigenza di un governo locale di sinistra, che suo malgrado deve sottostare alla mafia.
Tipico esempio, Verro eletto sindaco a Corleone, si trova costretto a “Bere o affogare”, affoga l’anno successivo, quando viene assassinato.
Il suffragio universale, seguìto al rientro di centinaia di migliaia di uomini decisi ad una vita migliore, crea l’esigenza di progetti di riforma agraria e dell’intervento dell’Onc. Di nuovo in primo piano Badalamenti, Vizzini, Calo’ che pilotano e gestiscono nelle rispettive aree, gli affitti dei fondi. La figura del mafioso si evolve, assumendo le vesti del notabile. Mentre l’avvento del fascismo, provoca l’affiliazione dei notabili grandi e piccoli, che salgono sul carro del vincitore. A seguito della visita in Sicilia di Benito Mussolini, viene nominato Mori, a prefetto. La sua azione si evidenzia nell’insurrezione delle coscienze, nell’azione di popolo. Nel 1926 attua 11.000 arresti, e alla fine dello stesso anno, spedisce a Roma un dossier su Cucco, numero uno del fascismo palermitano, oltre a quello di un ministro di Mussolini, coinvolto in uno scandalo. Il fascismo usa i prefetti per liquidare i fiancheggiatori liberali, e i personaggi scomodi , autonomi, con l’accusa di mafia. Mori riceve ringraziamenti dai latifondisti che hanno potuto elevare i canoni d’affitto, da 10 a 110.000 mila lire l’anno. L’ambizione del fascimo e’ quella di inseguire i notabili, per scopi puramente politici, nasce il dubbio in alcuni magistrati. Secondo studiosi, Mori anniento’ la mafia, che rinasce nel 43. Secondo altri, Mori fu fermato quando stava per arrivare in alto, lasciando che l’azione giudiziaria si profilasse solo verso la piccola delinquenza. Rilevante, l’opera promossa da Lucky Luciano, che riesce a farsi affidare la difesa dei docks newyorkesi, dopo avere simulato attentati da parte di tedeschi. Nasce Cosa nostra, la famiglia, la tradizione. Si riscontrano gruppi che promuovono il Mis, al quale aderiscono moltissimi mafiosi. Si percepisce l’esigenza mafiosa di ottenere un controllo politico e diretto sull’isola. In un contesto di estrema confusione politica, risulta rilevante la vicenda Giuliano, nato come borsanerista, ma “utilizzato” come progetto eversivo. Giuliano va fermato vivo o morto, e si utilizza il cugino. Da questo contesto di disordine la mafia ne esce rafforzata, legittimata dalle forze dell’ordine. Diventa necessario portare i separatisti all’interno
della democrazia cristiana. Questo stato di cose, porta i grandi latifondisti alla vendita, prima che la riforma fondiaria del ‘50 comporti l’esproprio. Si consolidano le famiglie “Greco di Croceverde” e “Greco di Ciaculli”.
Nel ’68 nasce la Commisione antimafia, frutto di un lavoro di intellettuale attraverso la stampa, ma anche dalla caduta di Milazzo, con l’instaurazione di un governo regionale di centro sinistra. Da notare una sorta di premio alla famiglia Salvo con il monopolio delle esattorie, e favori alla famiglia Costanzo. La Commissione partorisce il topolino. Un inchiesta ministeriale affidata al prefetto Bevivino, conferma la distruzione di antichi edifici, con manipolazione di Prg, appalti truccati, licenze facili. Vassallo, si lega ad una famiglia mafiosa e decolla nell’imprenditoria, grazie all’amicizia con i Lima, Gioia etc. la mafia si rivitalizza, si assiste ad innumerevoli scontri per il potere con l’uso di tritolo. Il latifondo non interessa piu’, e si assiste alla migrazione dalle campagne alla citta’, dove gli interessi sono piu’ forti. Questa svolta epocale costituisce di fatto il passaggio dalla vecchia alla nuova mafia, cosi’ come era già avvenuto in precedenza. La differenza consiste nel fatto che la nuova mafia adotta sistemi violenti a differenza del passato dove non era concepibile far del male a bambini, donne anziani. La vecchia mafia si presentava con una funzione di equilibrio svolta all’interno del territorio in cui operava. Due sono i modelli che emergono: il power syndicate, dedito all’estorsione, e l’enterprise syndicateche che svolge la sua azione nelle imprese della prostituzione, gioco d’azzardo, contrabbando e droga. Il primo lo si identifica nella struttura delle famiglie operanti solo sul territorio siciliano, palermitano, mentre l’altro allarga la sua spira d’azione gestendo a largo raggio il contrabbando e il traffico di stupefacenti. In questo contesto si verifica l’interscambio ed il commercio fra famiglie diverse, sacrificando agli interessi, i valori di compattezza della famiglia. Punto fermo resta il fatto che le imprese legali chiedono protezione allo Stato, mentre le imprese illegali devono cercare protezione altrove. Questo ingenera l’esigenza di creare una Commisione in Sicilia, la supportano gli americani, costituita da elementi di secondo
piano ed operante autonomamente sul territorio, guidata dai Greco, dai La Barbera, Torretta e Leggio. Il suo scopo principale e’ quello di contrastare la Commisione antimafia. Nel ’62 scoppia una violenta guerra di mafia, con decine di morti. Palermo si pacca in due, ed il controllo e’ nelle mani dei Greco e dei La barbera, fino al ’63, anno in cui l’ostilita’ mossa dallo Stato, riesce a mettere fuori gioco l’intera organizzazione mafiosa. Alcuni si danno alla latitanza, altri, Pippo Calo’ e Luciano Leggio, si radicano nel territorio del domicilio coatto al quale vengono assegnati, sfruttandolo sotto l’aspetto di attività illecite. Il serpente, non e’ ancora definitivamente fuori gioco, e basta poco per fargli rialzare la testa tessendo nuovi legami con la Regione, dalla quale trarre vantaggi economici, ottenendo appalti pubblici consistenti. Riina, Badalamenti e Stefano Bontade, nel ‘70 ricevono l’incarico di ricostituire la mafia palermitana, nel ’73 nasce la Commisione provinciale sotto la presidenza di Badalamenti, mentre nel ’75 la Commissione regionale e’ diretta da Pippo Calderone. Resta da sottolineare, la perentoria regola a cui si sottopongono i mafiosi, che e’ quella di non ammettere interferenze nemmeno da altri membri dell’organizzazione, quando si ha un imprenditore sotto la propria tutela. Anzi, e’ regola fissa, quella di non affiliare l’imprenditore, ma di tenerlo sempre sotto scacco e fuori dall’organizzazione, per evitare concorrenze nell’esercizio del proprio potere in seno all’associazione criminale. Altro fatto determinante delle regole siciliane, consiste nell’aborrire i sequestri di persona, dall’elenco delle attivita’. Sulla collusione degli imprenditori, Rendo, Costanzo, etc., fu favorevole il giudizio espresso dal giudice catanese Russo, che ritenne non punibili i comportamenti di quest’ultimi, perche’ costretti da stato di necessita’ a sottostare ai voleri della cupola. Un momento importante per i partiti di massa che raccolgono i maggiori consensi dalle aree del interne, mentre la produzione editoriale continua a denunciare il fenomeno mafioso. Di contro, persiste la ferma convinzione di molti magistrati e uomini politici, dell’inesistenza del fenomeno, che invece fu tragicamente affermata con l’assassinio di G. Fava. Sicuramente lo sbarco alleato in Sicilia, fu
possibile grazie all’aiuto della mafia e dei suoi capi, cosi’ come appare nella relazione di Violante, allora presidente della Commissione antimafia.
Sono trascorsi vent’anni, dal momento in cui e’ stato catalogato e battezzato con un nome specifico. Montagne di documenti, a disposizione, scaturiti dai maxiprocessi, dalla Commisione ad hoc, che permettono di leggere il fenomeno in maniera piu’ chiara rispetto al passato. Protagonisti del periodo, nomi illustri di vittime del fenomeno, quali Falcone, Borsellino, e ancora prima Livatino, oltre ad altri non meno importanti magistrati e poliziotti che hanno sacrificato la loro vita , nel nome della giustizia e nella lotta a questa piaga sociale. Falcone dava estrema importanza al pentitismo, che va considerato nell’ottica della verifica prima e della sopraffazione del gruppo avverso, capace di far emergere l’infinito oscuro dell’organizzazione criminale. La violenza, resta il veicolo principale della mafia per raggiungere gli scopi prefissati, oltre all’estremo rigore organizzativo di cui essa dispone, che rende gli appartenenti amalgamati ed avvinti, tanto da creare quella coltre di impenetrabilita’ ed omogeneita’ difficile da scalfire dall’esterno. Un muro difficile da abbattere, perche’ in presenza di uno stato debole, giovane, ma soprattutto diviso in tanti centri di potere, non rinnovato nelle sue componenti da sempre al potere. Di contro anche l’opposizione, non ha saputo individuare gli strumenti adatti alla lotta, confondendo la lotta politica con le vicende giudiziarie. La sua, e’ una ricerca continua dentro le istituzioni, di strumenti idonei all’estinzione del fenomeno mafioso. Individuare gli aspetti organizzativi della mafia, significava, per Falcone, avere lo strumento minimo per potere scardinare l’organizzazione.
Bisogna sottolineare anche le considerazioni di pentiti, quali Buscetta, che danno solo minime informazioni e a gradi, perche’ convinti che lo Stato non abbia seriamente l’intenzione di combattere la mafia. Tracciare la mappa della struttura militare ed economica, consente di costruire attorno ad essa tutta la rete di rapporti capace di svelare i retroscena e le connivenze. Il tutto, nei limiti degli strumenti istituzionali e nel segno
della verifica, per evitare clamorose assoluzioni, che avrebbero portato a rinsaldare il mito dell’invincibilita’ della mafia.
Varie, le polemiche sull’esistenza di un terzo livello, che hanno condotto a posizioni ferme, i giudici impegnati nella lotta alla mafia convinti di non basare le loro indagini solo sulla connivenza fra mafia e politica, ma di estendere le loro indagini anche altrove. Lo Stato, e le sue fazioni, non hanno contribuito in maniera determinate a dare supporti validi ai giudici. Il “terzo livello”, viene configurato come un ambito collocato nelle elites di potere, come una sorta di regia ad alti livelli. Falcone, ritenne di negare con determinatezza l’esistenza di un tale vertice, pur affermando con certezza l’esistenza di adepti di estrazione politica. La certezza di Falcone si fondava sulla estrema compattezza dell’organizzazione mafiosa, che pur stringendo accordi a 360 gradi, rimaneva pur sempre autonoma e mai in posizione di subalternita’. Si ricorda lo scontro all’interno del Consiglio superiore della magistratura, fra alcuni magistrati siciliani, oltre alla vicenda del “corvo” di trapani che coinvolse Calogero Mannino e Rino Nicolosi, finita in una bolla di sapone. Il “terzo livello”, della cui esistenza la sinistra ne ha fatto una bandiera, rappresenta per l’opinione pubblica la causa della lunga persistenza della mafia, oltre ad una delegittimazione della classe politica.
Determinate il contributo di A. calderone, nel presentare gli aspetti ed il funzionamento dell’organizzazione criminale in Sicilia e i suoi contati con l’esterno. Catania e la fascia orientale della Sicilia , ne rimasero immuni per molto tempo. Fino agli anni sessanta la presenza in zona ebbe scarso rilievo, mentre la crescita avvenne nel ventennio 60-80. Una regionalizzazione che risulta speculare a quella della societa’ siciliana. La famiglia Calderone, ebbe un ruolo di primo piano, con a capo il fratello Pippo, che seppe tessere i rapporti con l’imprenditoria locale, e creare quelle condizioni di controllo della manodopera, soprattutto nelle imprese edili. Oltre alla costituzione di imprese collaterali per il movimento terra. Da considerare anche il collegamento con Palermo, che permetteva attraverso i politici, una sicurezza regionale ed anche nazionale di gestire gli
appalti pubblici. Secondo Falcone si era in presenza di una cosca militarmente debole, ma determinate nei contatti con l’imprenditoria. Viene invece perseguito l’obiettivo dell’”assicurazione” obbligatoria per gli imprenditori offerta dalla famiglia, e dalla quale gli imprenditori dovevano cautelarsi pagando la protezione. Un circolo alquanto vizioso, che sfociava con la intimidazione delle imprese piu’ piccole, su suggerimento delle grandi.
La cosca catanese, secondo Calderone, aveva il ruolo di elemento di regolazione dell’equilibrio sociale, nei confronti di chi aveva il compito istituzionale di perseguirla. A meta’ degli anni 80, nasce di fatto una faida con i gruppi dell’interno, per il mercato della droga, che crea alleanze trasversali, e vede i catanesi schierarsi con la parte dei perdenti palermitani. Intanto nel territorio, nascono gruppi che operano come scippatori, ladri e topi d’auto, che impegna la cosca in un progetto di repressione del fenomeno per evitare di perdere il controllo della situazione ed averne danni finanziari derivanti da questi gruppi che avrebbero potuto rivendicare grosse fette di torta. Da sottolineare la presenza di personaggi di punta della borghesia, professionisti e uomini politici, all’interno dell’organizzazione, accanto a personaggi di origine plebea e profondamente ignoranti. Negli anni settanta si assiste poi, al trasferimento dei capi dalle loro borgate ad appartamenti del centro. E per fronteggiare l’avanzata delle nuove leve, restie a sottomettersi all’ordine costituito delle cosche, vennero selezionati nuovi adepti. Fu tutto inutile, il comando passo nelle mani dei corleonesi. Per Calderone si profila la fuga e il pentimento, mentre le famiglie si ricompongono con un criterio piu’ selettivo. Per le istituzioni inquirenti, resta decisiva la conoscenza della cellula organizzativa mafiosa. Un quadro politico rinnovato, invece costituisce lo strumento ideale per la lotta alla mafia.
Alla fine degli anni 70, una serie di omicidi eccellenti, rendono nazionale il fenomeno, creando l’immagine di una organizzazione che copre tutto il territorio.Al centro del dibattito la questione sulla vecchia/nuove mafia, e sulla prorompente violenza che
contraddistingue la nuova compagine. Buscetta, rimane sconcertato dal processo degenerativo e violento, provocato dalla modernita’, che sviluppa sete di guadagno smoderato, stravolgendo ogni regola interna. Ma, i media, ci hanno fornito immagini che oltre a svelare alcuni atteggiamenti di Riina, capace di impartire ordini dalla gabbia, hanno permesso di creare una sorte di movimento di opinione pubblica che ha supportato l’attivita’ istituzionale. Alcuni storici, presentano la parola mafia, come senso di appartenenza e di omerta’, mentre altri trovano le sue origini fra i funzionari piemontesi, all’epoca dell’unita’.
Il narcotraffico, attività estremamente redditizia, avviluppa talmente i suoi promotori, al punto da disgregare quell’amore fraterno, che in altri tempi non avrebbe permesso che un fratello permettesse l’uccisione del congiunto. La fine degli anni 80, rappresentano un periodo estremamente grave, per il gran numero di omicidi di personaggi di spicco fra i magistrati e gli uomini politici, fra cui il i giudici Gaetano Costa e Rocco Chinnici, e politici come Piersanti Mattarella o Pio La Torre. Si registra il fenomeno dell’isolamento che provoca la morte, che produce “l’ordinaria amministrazione” fra coloro che si rivelano pigri, incapaci o addirittura complici. Carlo Alberto Dalla Chiesa, prova a infrangere il muro mafioso, ma cade vittima di un attentato, mentre sulla scia dello sgomento suscitato da questo efferato delitto, il pool antimafia composto da Falcone e Borsellino, guidato da A. caponnetto, riesce ad assicurare alla giustizia 707 affilati alle cosche. Ci rimettono la vita Beppe Montana e Ninni Cassara’, il primo cade in vacanza mentre indaga, l’altro cade sotto i colpi dei killers in uno fra i tanti tragitti alternativi, previsti per motivi di sicurezza. Da notare le decisioni assunte dall’allora ministro degli Interni Scalfaro, quando precipitatosi a Palermo per la morte di un indagato, defunto a seguito di un pestaggio durante un interrogatorio, frantuma la struttura investigativa con trasferimenti fulminei dei suoi funzionari. L’indomani della sua decisione, segna la tragica fine di Montana e Cassara’. Le indagini di Falcone e Borsellino, portano risultati eccellenti, e innescano il meccanismo del pentitismo.
Diventa difficile individuare le responsabilità’ dei pentiti, ma sicuramente la fiducia trasfusa nei criminali da questi giudici, porta loro a parlare. Parlano anche perche’ si sentono soli, abbandonati, e cercano di frenare le nuove leve che mostrano una ferocia innata ed escono da quei canoni che avevano contraddistinto l’onorata societa’ di un tempo. Buscetta ne e’ l’esempio.
INTERROGATORIO DI ANGELO PUGLIESE
Ricco di particolari, ed estremamente minuziosi, nel suo racconto-deposizione, riesce a dare un immagine di quella che crea la fotografia della Sicilia occidentale del tardo 800. Riesce a dare una descrizione di se, e delle sue vicende che avvince il lettore, tanto da portarlo sul punto di credere al suo “pentimento”, oltre all’esaltazione di quegli uomini politici incontrati in carcere, che riescono a dargli un anima e una parvenza di istruzione. Una serie di vicende che si intrecciano nel vasto territorio dell’isola, una serie di delitti in cui si alternano anche momenti di “giustizia”, sottolineati dal protagonista, e nella sua ottica. Interessante anche il coinvolgimento di un uomo di chiesa e di gentiluomini borghesi, in una scorribanda che sfocia in un delitto efferato oltre a torture subite da parte dei destinatari della spedizione. Immagine quasi contemporanea dell’organizzazione, viene dal raduno dei masnadieri, i quali ipotizzano e poi non realizzano uno statuto di comportamento, mentre e’ da rilevare l’insistenza di chi vuole entrare a far parte dell’organizzazione non essendo un latitante. Particolare interesse assume una richiesta di aiuto da parte di rivoluzionari, che intendono coinvolgere il gruppo di banditi per perseguire i loro scopi e raggiungere gli obiettivi rivoluzionari. Deludente la fine dell’interrogatorio, che manifesta una ritrattazione dei reati commessi, che non smentiscono la realtà dei nostri giorni, in cui la ritrattazione e l’accusa sono consuetudinari..

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 


[Assunti]

Un assunto del mio Maestro, il Prof. Francesco Bruno: "Sapere di non sapere, conoscere se stessi,    falsificare ogni ipotesi e.....non innamorarsi di esse"

E' meglio lasciare che accadano ingiustizie piuttosto che rimuoverle commettendo illegalità

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