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  GIOVANNI MIRRA
   Thead      cogli l'attimo

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THEAD

   

Tra le fronde increspate
di pensieri silvestri
l'arcigno fato esala
e teco, o madre,
ritrovo l'antica pace
dei distesi prati
che, nei dì di festa,
di fragranze e colori
s'adornano.

Desto è l'animo,
colmo delle sue gioie.

L'aere in carne si trasmuta
rendendo il vero al falso
e il falso al vero.
Che la bandiera s'impenni
tra squilli di fricorni
nell'apogeo della terra:
teste di rabbie obliate
e vittorie giunte.
Morda il grifagno
l'ultimo rintocco:
più non gli si adatta.

Pronto lo sposo
alla sua dolce novella.

Su destrieri di fuoco,
dagli smaniosi zoccoli,
ho sciolto la mia cera
tra attimi vissuti
ed altri recisi.
Mille e mille
e ancor
furon le grida
che l'eco rifuse
all'ingiusta porta
d'un'anima reclusa.

Che l'ara lumeggi
e vibrino le canne

Nulla ad alcun
altro richiedo
e immuni vi lascio
dall'ultimo tratto
di sì ormai vacua piuma.
Rotto l'incesto
altro non m'accomuna
che un amor futuro
o la perduta illusione.
Scocchi l'arciere
il dardo bramato.

Sotto l'arco ti miro
leggiadra mia sposa

Vestita di bianco
è la mia sposa,
al suo passo leggero
la terra non osa.
Muta la gente,
fresco il tuo profumo.
Quasi ti tocco
ma ancor più ti bramo;
sorridi al mio timore
in guisa che dolcemente
m'abbandoni

Scende una lacrima
che giunger non odo.

 
 

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cogli l'attimo

   

Cogli l'attimo, come rapido t'inchini ad estirpare un fiore, tra milioni di filamenti verdeggianti agitati dal medesimo vento, carpendone in un solo gesto, con una generosa quanto ingrata voluttà, la bellezza, il profumo e la vita.
Cogli l'attimo, saccente come un fiore di loto, nella sua capacità di visioni euforizzanti ed evanescenti. Licita il tuo prezzo che ad altri s'opponga: egli non ritorna.
Egli è il tuo sole ma l'evezione che procurerà al tuo peregrinare sarà più avara ed infedele di quanto potrà esserlo la notte che, nella sua inutilità, nulla più inquieta: né il rimorso né il rimpianto.
Cogli l'attimo così come la placenta lo ha intriso: senza né aggiungere né togliere. Egli non ha un futuro, perché mille sono i padri che hanno posseduto la vagina che lo ha sgravato. Mutare il suo destino è come voler morire: generare altri padri di figli insanguinati. E tu, prefica, non darai altra luce alla notte.
Cogli l'attimo come l'ultimo pasto succulento di chi alla morte è destinato. In esso troverai tutti gli aromi di spezie antiche e ricercate, tutti i sapori per palati sopraffini unti da un'ambrosia generosa e forestiera.
Ingozza la mente ed il tuo cuore, prima che il fuoco, nella sua assurda schermaglia, disciolga l'ultimo nocciolo di cera, poiché altro tu non avrai che la certezza di quella fiamma che, sfavillando, ghermisce l'estrema sua speranza.
Io non vi sarò: poiché all'attimo non appartengo, anche se in esso ho vissuto. Io non vi sarò: perché l'attimo è già dei ricordi ed io son vivo. Io non vi sarò, perché tu vuoi che io non vi sia.
Questa è la differenza tra il fuggente ed il sogno: il primo geme di verità, il secondo è mera fantasia. E la realtà non può essere negata dall'utopia, neppure per un attimo. Il tuo è un sogno che appartiene alla notte e che codesta intruglia di sapori diurni. L'attimo riluce di vita.
Per questa considerazione la crudeltà del momento è molto più greve di quella del sogno e chi s'illude di cogliere l'attimo senza morire per esso, schernisce se stesso.
Non esiste l'attimo, ma la vita, anche se non vi è alcuna differenza tra i due, ma alla vita abbiamo dato attributi meno fuggevoli.
Ecco, la tua alcova, dipinta da mani maestre in ogni suo particolare, è pronta ad accoglierti e se sarai lesta nell'apporre, alle tue finestre, la giusta trama, sicché il contorno, anche alle ombre incerte, svanisca lasciandoti nell'oblio, meno subirai il silenzio della tua anima.
Il fragore del mondo, in ogni modo, coprirà qualunque reminiscenza.
Cogli il tuo sogno, di speranze perdute, e ponilo dinanzi ai tuoi occhi e anche se, di brividi assenti, l'animo non trasale lascia, comunque, a me il tormento di ciò che ho vissuto, goduto ed amato.
Non volger indietro il tuo sguardo chè la vita in sale trasmuta dando al vero la sua sacra essenza e all'uomo la sua nudità.
Vivi della gloria del ricordo scevra da ogni rimpianto o rimorso: che il sogno sia attimo e l'attimo sogno. Giungere dovrai al dunque quanto io, e in questo comune destino si rispecchia il nostro esser fratelli. Lascia, pertanto, le gesta vane alla follia di chi all'attimo, invero alla vita, ha creduto fino all'ultima sua stilla, di non so che cosa, corsa nelle sue vene. Tu, rifuggi spedita tra le braccia di Morfeo ove tanti tuoi frati giungono esausti dalle retrovie: che il dolore non t'appartenga più di quanto ti è dovuto sopportare.
Ecco, è l'alba. Nulla più rimiro che a te m'accomuna, eppure io ti amo.
Prendi la mia mano, dolce chimera, ché giunger io possa al mio confine senza altri travagli e senza spine. Ma se anche al dunque venire dovrò tra pene ancora invissute, che il mio capo sia ritto oltre l'utopia, nel pieno di ciò che è stato prescritto.
E con il cuore sereno tendo la mia mano ad ogni ricordo e pensiero: essi sono miei, come io di loro.
Null'altro m'appartiene e a nient'altro appartengo, oltre all'amore ch'è nel mio cuore.

 

 

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