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Due artisti un mistero

 

Due artisti:  Leonardo Rosito, scultore, e
                    Margherita Guidacci, poeta
Un mistero: il dolore

Il dolore nella storia dell'umanità rivisitato come una grande Via Crucis, dove -per una felice e rivoluzionaria intuizione di Padre Massimiliano Rosito- non sono le stazioni del Cristo ad alludere alle stazioni dell'uomo, ma sono le stazioni dell'uomo che rimandano a Cristo e che si inquadrano in quella Sua Via Crucis che tutte le riassume e le riscatta.

In "La via crucis dell'umanità" [Ed. Città di Vita, Firenze] sono raccolte le riproduzioni di 15 bronzi, raffiguranti le XIV stazioni più una quindicesima, la Resurrezione, opere del Rosito e i relativi commenti poetici della Guidacci.
Ne riportiamo, di seguito, alcuni, per noi, di particolare patos:

    

 Caino e Abele

Passi più bui della notte in cui risuonano
imprimono nel mondo, dall'inizio,
orme di sangue. Cos'ha fatto Caino
di suo fratello, cos'ha fatto l'uomo
dell'uomo?

[ L. Rosito - Via Crucis: Caino e Abele ]

 Incas

Solo un colore, il giallo, unì conquistatori
e conquistati; questi adoravano il sole,
splendida fonte di vita;e gli altri l'oro,
fonte di morte: che, selvaggia, diedero
a quella gente fiduciosa e ignara,
per depredarla. Almeno non avessero,
in tutta questa storia di assassinio,
mai fatto il nome di Dio!

[ L. Rosito - Via Crucis: Incas ]

 Razzismo

Che cos'ha d'inferiore la peonia
perché purpurea, il croco perché giallo?
Perché lo scuro velluto dell'iris
dovrebbe valer meno dell'avorio
della magnolia? Quel che per i fiori
comprende senza sforzo, per se stesso
possa imparare, finalmente, l'uomo.

[ L. Rosito - Via Crucis: Razzismo ]

 Hiroshima

Pietà, Signore, della terra sconvolta,
dove l'uomo diffonde tanta violenza e rovina
dove ogni poggio può diventare un Golgotha
e ogni città può diventare Hiroshima.

[ L. Rosito - Via Crucis: Hiroshima ]

 Gesù Risorto

Affranti dalle nostre vie di morte
a Te giungiamo, nostro Salvatore.
Tu che morendo hai distrutto la morte,
insegnaci la Tua resurrezione.

[ L. Rosito - Via Crucis: Gesù Risorto ]

L'opera completa è collocata nella Chiesa Parrocchiale di San Giuseppe, nel cuore della vecchia Firenze, all'incrocio di via delle Casine con via dei Malcontenti.

 

Si riportano, di seguito, due significative testimonianze sulla nascita dell'opera: la prima, del giornalista del "Corriere della Sera" Vittorio Brunelli, la seconda della stessa Margherita Guidacci.


Le uccisioni di Gandhi, Luther King e John Kennedy
in una nuova "Via Crucis" che fa discutere Firenze



FIRENZE - John Fitzgerald Kennedy è un giovanotto coi capelli a ciuffo, vestito da contadino, riverso su una grossa sfera che rappresenta il mondo, l'aiuola che cì fa tanto feroci, con un braccio senza vita e la mano ripiegata che poggia sull' Atlantico all'altezza, si direbbe, del Mar dei Caraibi: è stato ucciso per aver voluto la dichiarazione sulla parità dei diritti fra bianchi e neri.
Questa è la scena scolpita da Leonardo Rosito e riprodotta in bronzo per la XIII stazione di una nuova, rivoluzionaria "Via Crucis dell'Umanità", che dopo una breve peregrinazione è stata collocata definitivamente nella "Cappella del Santissimo" della chiesa di San Giuseppe a poche decìne di metri dalla Basilica di Santa Croce.
L'idea di questa "Via Crucis dell'Umanità" era venuta a padre Massimiliano,fratello di Leonardo, che fa l'orafo a Fiuggi. Padre Massimiliano dirige il periodico bimestrale "Città di Vita", che parla di religione, arte e scienza: la redazione è situata in un seminterrato della Basilica, meglio conosciuto come "Oratorio di San Bernardino", abbellito da affreschi seicenteschi. Proprio in questo spazio di lavoro si discusse a lungo dell'opportunità e della validità di una "Via Grucis" che ignorasse le tradizionali figurazioni del Cristo sulla via del Calvario e le sostituisse con altre immagini. Disse Padre Massimiliano che l'assenza del Cristo sarebbe stata solo apparente, essendo Egli presente in ogni uomo, specie se sofferente. Leonardo si mise al lavoro. Scolpì quindici bassorilievi, uno per ogni stazione. Con le prime quattro raffigurò Caino e Abele, la strage degli innocenti, la passione e morte di Gesù, i martiri della tradizione cristiana. Con le altre, invece, ricordò lo sterminio degli Incas, quello degli Indios, il flagello della schiavitù, le deportazioni, le aberrazioni del razzismo, il sacrificio di padre Massimiliano Kolbe, le uccisioni di Gandhi, Martin Luther King e Kennedy e la bomba di Hiroshima. Per l'ultima, quindicesima stazione, scolpì il volto "addolorato e paziente" di Gesù risorto.
Una autentica rivoluzione, anche se concepita secondo uno spirito conciliare o, meglio, secondo le aperture giovannee (da Papa Giovanni) ancora non tutte compiutamente attualizzate. Ma come si poteva far entrare in una Via Crucis le stragi degli Incas perpetrate dai cattolici spagnoli; il protestante Luther King e l'indù Gandhi? Rispose padre Massimiliano che quegli spagnoli, i conquistadores, non erano in fondo che avventurieri e che egli avrebbe proposto di elevare il protestante e l'indù agli onori degli altari. Lo disse ricordando il capitolo 13 dell'Enciclica Redemptor Homines di Papa Woityla, che insegna: "Cristo si è unito ad ogni uomo".

Bisognava uscire da certe concezioni restrittive e, perciò, riduttive.
Tutto giusto. Ma si poteva davvero procedere? Padre Massimiliano ha ammesso che quella di suo fratello Leonardo non poteva essere reputata una Via Crucis canonica, in mancanza, fra l'altro, di una approvazione ecclesiastica ufficiale. Forse questa approvazione è necessaria, perché le quindici formelle di bronzo non sono soltanto un'opera d'arte ma "oggetti devozionali" sui quali la curia si deve pronunciare. Comunque le "stazioni", lo scorso 4 ottobre furono ammirate e benedette dall'arcivescovo di Firenze Silvano Piovanelli e, come. si è visto, accolte nella "Cappella del Santissimo" della chiesa di San Giuseppe con il beneplacito e il favore del priore don Borettì, ma il "nihil obstat" a ben guardare, non c'è.
Tuttavia i fautori di questa Via Crucis sono sicuri di aver agito correttamente, di non aver preso un abbaglio, come ne è certo, fra gli altri, don Sergio Pacciani, presidente della commissione fiorentina per l'arte sacra, secondo il quale il Concilio Vaticano II ha compiuto una rivoluzione "umanistica" che legittima, a ben vedere, anche gli elaborati devozionali di Leonardo Rosito e ne permette la collocazione in. chiesa. "Che altro è devozione ? ha detto don Sergio ? se non contemplazione di un mistero come la sofferenza dell'uomo?"
Forse in tutto ciò può essere individuata una provocazione. Si è infatti compiuto un nuovo attacco contro i tradizionalisti che potrebbe far sorgere problemi e frizioni, come prova il fatto che un religioso spagnolo, qui a Firenze, ha protestato violentemente per la formella sugli Incas. Ma ben venga il dibattito: la Chiesa, a quanto pare, non ha ragione di temerlo. Ha" ricordato don Boretti che nella sua parrocchia, in tempi andati, i condannati a morte erano assistiti dalla "Compagnia dei Neri", fondata nel 1428: da allora la sofferenza umana suggeriva comunque partecipazione e meditazione.
È su questa scia che oggi si richiede un'analoga meditazione davanti alle formelle di Leonardo Rosito e ai versi di Margherita Guidacci. Ha scritto la poetessa per la formella di Martin Luther King:
"Per il sogno che ha fatto, l'hanno ucciso: ma non hanno ucciso il sogno".
II leader dei negri americani viene abbattuto, nella raffigurazione "devota" mentre cerca di far cadere il muro del pregiudizio che separa in America bianchi e neri. I cattolici di Firenze ne potranno venerare l'immagine anche se egli era protestante.

 

[Vittorio Brunelli]


NELL'AMBITO DELLA CREATIVITA'
UN FELICE INCONTRO                 

Roma, 14|11|1985 - Caro Padre Massimiliano, tu desideri che io rievochi le circostanze e il modo della composizione dei testi che accompagnarono (e accompagnano tuttora, nella mostra permanente nella chiesa fiorentina di San Giuseppe) le formelle della Via Crucis dell'Umanità, scolpite con tanta genialità e fervore da tuo fratello Leonardo.
È una rievocazione che faccio volentieri perché, oltre a ricordarmi un abbinamento di cui vado fiera, per la bellezza dell'opera scultoria di tuo fratello, mi ricorda anche un'esperienza singolarissima, anzi assolutamente unica, in tutti i miei lunghi anni di "praticante" della poesia.
Le mie poesie, di solito, o crescono come frutti, da un seme iniziale più o meno sconosciuto, e io mi limito a seguirne la maturazione, (che può essere anche lunghissima) dandogli ogni tanto una tastatina per vedere a che punto sono e coglierle quando sono pronte; oppure mi vengono " regalate ", come se qualcuno me le depositasse sul cuscino mentre dormo o me le facesse trovare sulla soglia di casa quando esco. Non mi era mai capitato di scriverne dietro un invito esterno, e sei stato tu a inaugurare per me questo nuovo metodo! Un metodo, tuttavia, che ha funzionato una sola volta - quella - e probabilmente non funzionerebbe mai più (il che lo rende ancora più singolare). Anche quella volta, ne sono convinta, non avrebbe funzionato se l'invito esterno non fosse stato occasione alla scoperta di un fortissimo invito interiore, che già esisteva senza che io lo sapessi e che divenne preponderante. Ma procediamo con ordine.
Tu mi telefonasti una sera d'inverno dell'84; non ricordo il mese, probabilmente era febbraio, un mese, per me, sempre occupatissimo fra esami e tesi universitarie: ed infatti (questo lo ricordo bene) ero sommersa dal lavoro. Stavo inoltre completando, per conto mio, un ciclo di poesie ormai " mature ", in cui avevo messo tutto il cuore e l'anima. Mi sentivo vicina alla conclusione, e desiderosa solo di potermici concentrare interamente. In più, specialmente quando fa freddo, io vado a letto al tramonto, e quindi c'ero già, sebbene non ancora addormentata.
Mi alzo allo squillo interurbano, e sento la tua voce serafica che mi dice: " Margherita, c'è un lavorino che bisognerebbe tu facessi ... ". " Sentiamo ", dico io, già allarmata. E tu enunci il " lavorino ", con quella tua candida sicurezza (così esasperante e così disarmante al tempo stesso) che non potrà esservi un rifiuto, anzi, che l'interlocutore troverà perfettamente naturale, come la trovi tu, la tua richiesta per quanto assurda e impossibile.
" Dovresti scrivere un pensierino di commento per ciascuna delle stazioni di una Via Crucis scolpita da mio fratello: ma presto, perché c'è poco tempo, si fa una mostra all'oratorio del Caravita, a Roma, e prima bisogna stampare un libretto ".
Ti ascoltavo sbalordita. Non avevo visto la Via Crucis di tuo fratello, e già questo mi sembrava uno scoglio insormontabile. Te lo dissi.
" Ma non fa nulla, ti dico io l'argomento di ogni formella, e tu ci fai un pensierino ", rispondesti tu con la tua solita serafica impermeabilità alle obiezioni. E mi snocciolasti tutti i titoli che poi risultarono essere uno di più che per le stazioni di una comune Via Crucis, perché questa Via Crucis dell'Umanità ne aveva quindici, di stazioni, e non quattordici: finiva infatti con l'immagine del Cristo Risorto.
E il mio lavoro al Magistero? E quell'altro lavoro ancora più mio al quale agognavo dedicare tutti i miei pochi minuti liberi?
" Ma, almeno, quanto tempo mi dai? " chiesi disperata.
" Oh, anche una settimana ", dicesti tu in tono magnanimo.
Qui c'è un vuoto nella mia memoria, ma credo allora di averti investito non proprio con male parole, ma concitate sì: tanto che anche tu riattaccasti il ricevitore piuttosto sconsolato e, forse, per la prima volta diffidente dell'esito, sebbene ci fossimo accordati che io ti avrei richiamato comunque, dopo un paio di giorni, per dirti a mente più calma se accettavo o no la proposta.
Tornai a letto furente e certa che l'agitazione non mi avrebbe lasciata dormire: come infatti avvenne.
Ed ecco che, mentre mi rigiravo e mi tormentavo pensando a quel mio ciclo di poesie che avrei voluto completare (e che erano, per avventura, tutte d'argomento pagano e lontane le mille miglia da quello che mi proponevi tu) mi colpì a un tratto l'idea che ormai la mia pace era partita, tu me l'avevi, in ogni caso, sciupata, e che per riconquistarla non c'era che un unico mezzo: prendere il toro per le corna e liberarsi al più presto da quell'inaspettato impegno che tu mi avevi buttato addosso e che, anche se l'avessi rifiutato, avrebbe continuato a pesare su di me, perché sarebbe diventato un rimorso, e allora sì che mi avrebbe distratta e impedita da quello che volevo fare! L'ineluttabilità e la paradossale sensatezza di quella soluzione mi si presentarono, abbaglianti.
Ripresi in mano la lista dei titoli che avevo scarabocchiato in maniera quasi illeggibile mentre tu me li dicevi al telefono, e cominciai a decifrarli. Via via che li decifravo, sentivo come un'ondata sollevarsi dal profondo dell'anima. Come non fremere di fronte a certe evocazioni, certi ricordi? Le violenze dell'uomo sull'uomo, dal fratricidio di Caino alla bomba di Hiroshima. La schiavitù, il razzismo, i genocidi, le deportazioni, i lager ... La morte violenta di chi alla violenza si era luminosamente opposto con una pura grandezza spirituale: uomini come Gandhi, Massimiliano Kolbe, Martin Luther King ... Come potevo ignorare questi temi, ora che erano stati esplicitamente offerti alla mia attenzione? Mi sentivo come una porta martellata di colpi. Bisognava aprire.
Rileggevo, sempre più intenta, quella nuda lista di titoli, e mentre li rileggevo, alcune brevi poesie (tu non avevi mai parlato di " poesie " ma solo di " pensierini ", ti sarebbe quindi bastato anche un commento in prosa), alcune brevi poesie, dicevo, vennero silenziosamente e spontaneamente a mettersi sotto i rispettivi titoli, come se fossero state in me da sempre, aspettando solo di essere " chiamate " e trascritte. Continuarono a venire anche in autobus, mentre attraversavo la città per recarmi al Magistero 'Maria Assunta'; tanto, ricordo, che appena arrivata là la prima cosa fu di annotarne una.
Ciò mi parve incoraggiante e, naturalmente, la sera, appena tornata a casa, ti chiamai. " Prendi un foglio - ti dissi - ora ho da dettarti io qualcosa ". Tu quasi non credevi ai tuoi orecchi. A differenza della precedente, quella fu, per tutti e due, una telefonata felice.
La notte successiva " raccolsi " un altro piccolo gruppo di poesie e con la terza notte completai la Via Crucis.
Quello che scrivevo la notte, te lo dettavo per telefono il giorno dopo, in modo che tu non perdessi tempo ad aspettare la posta, sempre lenta, e potessi affrettare la composizione tipografica del libretto, che infatti poté uscire molto rapidamente. (Mai un mio lavoro aveva avuto un passaggio così rapido dal nulla all'ideazione e dall'ideazione alla realizzazione stampata!).
Ero molto contenta, sia di come il lavoro mi era riuscito, sia perché avevo potuto evitare di darti una delusione, che mi sarebbe dispiaciuta quanto a te. Ma la contentezza più grande doveva ancora venire; e venne quando finalmente, all'apertura della Mostra nell'Oratorio del Caravita, vidi per la prima volta le opere che avevo commentato. Erano così belle, così essenziali: semplici e, insieme, piene di forza drammatica; corrispondevano così bene alle immagini che i loro titoli avevano evocato in me che, anche se ce ne fosse stata la possibilità, non avrei cambiato una virgola di quanto avevo scritto su di esse prima di conoscerle.
Evidentemente c'era stata una " conoscenza " interiore, un parallelismo intuitivo tra il sentiero di Leonardo Rosito ed il mio: parallelismo che tu, padre Massimiliano, hai portato alla luce; e che alla luce non sarebbe venuto mai senza la tua convinzione e ostinazione. Te ne sono grata, ora che provo la gioia di vedere le mie parole associate ad un'alta opera di scultura e la speranza che insieme ad essa contribuiscano a ridestare una pensosa coscienza ed un sentimento di fraternità e di preghiera in quanti avranno occasione di soffermarsi davanti a questa Via Crucis.

Roma - Via Parco dei Tre Signori, 21                         [Margherita Guidacci]