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 Quando l'Egitto veniva a Livorno
   

…ancora mummie… questa volta egiziane….. nell'epoca granducale in cui LIVORNO era lo scalo porto franco dove transitava e veniva anche messa in vendita la maggior parte delle raccolte di antichità provenienti dall'Egitto.

INCONTRO questa storia su un libro:
è un libro " pisano " ( La Piramide e La torre ) di Edda Bresciani che scrive:

Nel 1823 a Livorno esce a stampa dalla stamperia della Fenice, un libretto di Annibale Brandi.
La descrizione compendiosa della Piramide di Giza che si riferisce ai fatti archeologici più notevoli degli anni precedenti, cioè le operazioni del Capitano Giovanni Battista Caviglia genovese, nella piramide di Chefren a alla Sfinge (giustamente definita andro sfinge) fornendo particolari precisi che la rendono utile ancor oggi ( riferisce tra l'altro della scoperta di mausolei, cioè mastabe, dove ha notato "spiragli dai quali si vedevano corridoi interni ove erano situate le mummie e le loro statue", cioè le aperture del serdab; la pubblicazione dell'opuscolo è importante anche come precoce attestazione editoriale livornese sull'Egitto antico.
Contemporaneamente al diffondersi delle pubblicazioni sull'Egitto,
al porto di Livorno cominciavano ad arrivare dall'Egitto le grandi collezioni di antichità destinate a formare ed arricchire i musei europei e italiani, la collezione Drovetti, Salt, Anastsy, Nizzoli; le collezioni sostavano nei magazzini anche per lunghi periodi in attesa di acquirenti, suscitando l'attenzione e la curiosità dei livornesi. La collezione Drovetti, che fu acquistata dal re di Sardegna nel 1824, era arrivata a Livorno già nel giugno del 1818, deposta in due magazzini del negoziante ebreo Morpurgo; ne esiste un rapporto, di mano dello storico livornese Vivoli, fondatore nel 1816 dell'Accademia Labronica, che testimonia di essere stato alla dogana col direttore della dogana Isidoro Pistolesi, suo figlio Franco e Francesco Solassi ispettore della dogana, per ammirare la indicata raccolta " la quale ha risvegliato in me e nella comitiva dei forti e lunghi sentimenti di vario genere", la raccolta è accuratamente descritta, si parla anche dei modelli in rilievo di legno incerato degli edifici egiziani che non potevano trasportarsi, e si dice che è frutto delle fatiche di sedici anni del console francese in Alessandria Signor Drovet (sic).
Visitare le antichità egiziane, e specie le mummie, nei magazzini livornesi era diventata uno svago alla moda; dieci anni dopo, la visita alla collezione Anastsy doveva causare ad Angelica Palli l'incubo di un terribile sogno di mummie.[ Sarcofago interno di Cesraperet ]
Quando nel 1823 la real Corte di Torino decise di acquistare la collezione Drovetti, il Vivoli ne registra la notizia, letta sulla "Gazzetta" di Firenze (Martedì 18 febbraio 1823) aggiungendo con orgoglio: "Io ho veduta questa collezione di antichità egiziana ben copiosa in un grande magazzino del Quartiere di San Marco": L'Accademia Labronica aveva eletto socio corrispondente anche un personaggio protagonista della ricerca archeologica in Egitto di quel tempo, il console inglese Henry Salt, il quale del resto era cognato del livornese Pietro Santoni, mercante e banchiere; il Salt nel 1821 aveva pensato di mandare in dono all'Accademia una cassa di mummia "mai aperta", da Tebe ma non riuscì a farla imbarcare, neppure affidandosi a G.B. Dalmasse ad Alessandria, il quale anzi scrisse al segretario della Labronica di veder difficile la spedizione della cassa di mummia perché la più parte dei capitani non vogliono condurre a nessun prezzo un simile genere.
Peccato, a causa della superstizione, Livorno non ha avuto la sua cassa di mummia!


Livorno e l'Accademia Labronica, abbiamo visto, avevano funzionato come cassa di risonanza per le notizie e l'interesse dei ritrovamenti egiziani, ancor prima che l'egittologia diventasse scienza grazie agli studi di Champollion soltanto nel febbraio del 1826, dopo lunghe trattative, che lo facevano scrivere impazientemente al fratello:
I più piccoli sovrani comprano ogni giorno collezioni, e il più piccolo di tutti, il Granduca di Toscana, ha appena acquistato tutto quello che Nizzoli ha portato. Ecco quello che mi scrivono da Firenze... e vedrete che ci sarà ben presto un Museo egiziano nella capitale della Repubblica di San Marino, mentre a Parigi non avremo che qualche pezzo isolato e disperso.

Nella lettura tenuta il 20 luglio 1825 dal titolo Discorso sullo studio delle antichità egiziane, il segretario perpetuo Pistolesi faceva un quadro dei progressi nel campo egittologo e, prima di parlare delle "immortali scoperte" dello Champollion, mostra di conoscere i tentativi di Loris Ripault de la Chapelle per la decifrazione dei geroglifici. L'inserimento dell'ormai celebre Champollion nella vita culturale livornese è segnato dalla sua elezione ( il 2 aprile 1826 ) a "Socio Corrispondente" dell'Accademia Labronica per la Classe di Lettere; durante la solenne cerimonia accademica, alla quale era presente anche il professore di Lingue Orientali di Pisa Ippolito Rosellini, la poetessa estemporanea Angelica Palli declamò in onore del Decifratore un suo poema che cominciava così: "Tu squarciasti il velo mistico - che nascose al Nilo in riva - del saper la luce viva"; la "giovane Sibilla" livornese fece grande impressione allo Champollion, che ne scrisse all'amico Azzera a Torino: "E' la più dolce ricompensa che abbia ricevuto per essermi nutrito di polvere egiziana durante quindici anni":
Il 16 giugno 1826 Jean Francois rivide Angelica (ch'egli chiamava col nome arabo di Zelmire) a Pisa, per la Luminaria di San Ranieri, poi per l'ultima volta a Livorno nel settembre dello stesso anno, restando però con lei in rapporto epistolare fino al 1829;
la dolce triste vicenda, romantica e intellettuale, è testimoniata da una trentina di lettere, conservate nella Biblioteca Labronica di Livorno.
Ippolito Rosellini , professore di Lingue Orientali nell'Università di Pisa dal 1824, si era interessato al metodo di decifrazione scoperto dallo Champollion, forse già a Bologna; nell'estate del 1825 si trovò ad esaminare con il francese, a Livorno, i pezzi della collezione Salt. Nello stesso anno pubblicò un sommario delle scoperte dello Champollion, col titolo Il sistema geroglifico del Signor Champollion dichiarato ed esposto alla intelligenza di tutti dall'aprile 1826 i suoi rapporti a Livorno col Decifratore, che è ormai per lui il "Maestro", divennero più intensi e diretti.


Scrive il Rosellini:" Fin da quando fummo insieme per quattro mesi a Livorno sul principio del 1826, facemmo tra noi uno scambio: io gli davo esercizi di ebraico e ricevevo da lui con doppia usura l'insegnamento del capto, nel quale per l'innanzi avevo capito poco o niente", e poi: " io lo esercitavo nell'ebraico, in cui egli era pressoché nuovo, e leggevamo i libri storici del Vecchio Testamento". Come si sa, la conoscenza del copto aveva avuto un ruolo fondamentale nella decifrazione dei geroglifici da parte dello Champollion, che giustamente pensava che nel copto si conservasse, foneticamente, l'antica lingua dei faraoni. Lo Champollion risiedeva a Montenero, come sappiamo da una lettera di Rosellini a Luigi Muzzi, accademico della Crusca.


[ Sarcofago in calcare di Bakenrenef ]Il mercato antiquario di Alessandria offriva una ricca scelta di antichità, e il Rosellini (ma anche lo Champollion da parte sua, per il suo governo) cominciò ad acquistare oggetti adatti alla collezione che voleva riportare al Granduca; scrive a Zenobia ( moglie del Rosellini e figlia del compositore Luigi Cherubini) da Alessandria - 25 agosto 1828 -: "Ho appena comprato per il Granduca una deliziosa collezione egiziana, quella del Sign. Nizzoli"; sappiamo che dal Chiurca, un medico livornese, acquistò una cinquantina di pezzi, il più notevole dei quali è certamente il sarcofago in calcare, scolpito con geroglifici e con figure all'interno e all'esterno, che era stato estratto anni prima a Saqqara, dal pozzo principale della tomba rupestre di Bakenrenef, visir di Psammetico I.
Il sarcofago acquistato dal Rosellini è adesso uno dei pezzi più belli del Museo Egizio di Firenze.


[ Calice con iscrizione greca ]Le settantasei casse con le antichità scavate o acquistate sul mercato d'Egitto arrivarono a Livorno il 22 dicembre sulla nave sarda Cleopatra , e arrivarono a Livorno anche le casse del Raddi e il materiale botanico raccolto in Egitto fu destinato all'Orto Botanico di Pisa.
Gli oggetti riportati dall'Egitto incrementarono le collezioni Granducali a Firenze in maniera molto consistente, e si deve anche al Rosellini se questo Museo Egizio è, in Italia, secondo per importanza soltanto a quello di Torino.

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A partire dal 1830 l'interesse di Leopoldo II per l'egittologia era andato diminuendo fino ad estinguersi, un chiaro esempio del disinteresse granducale per le antichità faraoniche è dato dalla vicenda del sarcofago in granito di Amenemhatseneb, donato già nel 1834 a Leopoldo II dal Console di Svezia in Egitto, D'Anastasy ma che solo dopo quasi quattro anni e dopo pressanti sollecitazioni perché il Granduca togliesse il sarcofago dai magazzini Fernandez di Livorno, fu infine portato a Firenze nel cui museo ora si trova.


 

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