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"IL MIRACOLINO"
   di Giuliana Parigi
  

 

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Si tramandava nella storia familiare il racconto del "miracolino". Mia madre ce lo riportava alla memoria ogni volta che qualcuna di noi figlie veniva sopraffatta da dolore, prova, avversità. Più in là nel tempo quando tutte "eravamo sistemate bene", ci veniva ricordato perché non chiudessimo "mai la porta ed il cuore" a chi si trovava nel bisogno.
" Ascolta! Ricordati di quando....."
In tempo di bonaccia ridendo dicevamo che il "miracolino" era diventato l'esodo della famiglia Chiti. Era anche l'occasione di rinserrare le fila fra di noi, di sentirci ancora parte della famiglia Chiti.
Per una sorta di pudore, le mie sorelle non l'hanno mai raccontato ai mariti prima, ai figli dopo.
Lo farò io per loro. Io che non ho né marito né figli e porto ancora il cognome Chiti. Sarebbe un peccato disperdere una ricchezza della quale, in fondo, hanno beneficiato anche loro. E poi, chissà, potrebbe tornar loro utile... le vicende della vita sono tante....

La sera scendeva dolcemente.
Sul muro della casa di fronte, tanto vicino che col manico della scopa lo potevi toccare, il sole faceva spicchi sempre più stretti e l'ombra prendeva a possedere tutta la parete di pietre sbalzate.
Ad una ad una rientravamo in casa. Il buio non ci doveva trovare fuori.
La mamma era lì, affaccendata in cucina che ci aspettava per il magico momento della riunione e del riposo.
La luce non era scomparsa del tutto, ma già le cose prendevano contorni indefiniti: per risparmiare ancora non si accendeva la lampada a petrolio. Le attività subivano una sospensione.
La mamma sedeva nella seggiola nana che aveva fatto mio padre "adatta per l'allattamento". Noi tutte intorno.
Prima la recita di preghiere vespertine per le Anime Sante del Purgatorio. Poi una novella. Anche la più grande ascoltava incantata come se fosse sempre nuova. La più piccola si acciambellava in collo alla mamma. Spesso cullata dalle voci si addormentava.
Così ci trovava mio padre al ritorno dal lavoro in fattoria: anche per lui la luce che se ne andava significava l'interruzione dal lavoro ed il ritorno a casa.
Ma quando avvenne il "miracolino" mio padre non c'era già più. Era morto dopo due anni di sofferenze, giri, viaggi di speranza, ospedali, consulti, tante spese. Mia madre sempre accanto a far da infermiera, aveva abbandonato anche i piccoli lavoretti che faceva per fuori.
Il rito della giornata che lentamente si spengeva si celebrò anche quella sera.
- Raccontaci di Becucchino, mamma!-
E lei con quella voce piena di mistero, di atmosfera, di gioie e dolori, di arguzie e di sbadataggini, di premi e di castighi, di eroi e poveri cristianucci, cominciò:

"C'era una volta una povera vedova che era rimasta sola con un figlio, Becucchino appunto, non proprio giusto. Per buono era buono, ma non ne azzeccava mai una. E la povera donna che doveva anche darsi da fare per mettere insieme il pranzo con la cena, stava sempre in ansia nel lasciarlo da solo.
D'altra parte, per non mortificarlo e renderlo partecipe, ogni giorno gli lasciava qualche incombenza da fare. Ma tornando... era sempre un disastro! E se ne pentiva amaramente, ma si sa... gli voleva tanto bene!!
Un giorno gli dice: - Becucchino, oggi preoccupati di mettere al fuoco due fagioli per noi. Non devi far altro che tenere d'occhio che bollano lentamente e ogni tanto assaggiarli per sentire se sono cotti. Così troverò il pranzo pronto per quando torno da lavare i panni al fiume per la fattoressa.-
Quando tornò lo chiamò da in cima alla viottola come sempre:
- Becucchino, Becucchino sono tornata! Son pronti i fagioli? -
- Vorrai dire mezzo fagiolo, mamma. Ne ho messi due. Li ho assaggiati tre volte prendendone mezzo per volta. E' cotto, sei contenta?! -
- O povera me, povera me -gemette la donna- si dice due fagioli per dire... e ora cosa si mangia? Pane e acqua e rizzati...-

Il giorno dopo la nostra donna dice al figlio: - Becucchino, oggi non avrai da cucinare niente. E' tutto pronto. Mangeremo della farinata. Tu falla ribollire mezz'ora prima che arrivi e poi mettila sulle scale a freddare un pochino. Così possiamo mangiarla subito. -
Torna e chiama come sempre; fa per salire le scale della loro povera casa e vede tutta una sbobba che scende giù scalino per scalino.
- O povera me, povera me -gemette la donna- dovevi mettere la pentola sulle scale, non la farinata... e ora cosa si mangia? Pane e acqua e rizzati...-
- Becucchino, oggi il mangiare lo porterò dagli avanzi della cucina della fattoressa. Te preoccupati solo che la ticca covi le uova; che non si allontani perché per far nascere i piccoli, bisogna che le uova stiano al caldo.-
Torna e chiama come sempre; ma Becucchino non risponde. Gira per le due stanzucce; guarda nell'orticello... niente. Arriva al gabbiozzo dei polli. La ticca non c'è, le uova sono tutte rotte.
Capisce. - O povera me, povera me -gemette la donna- vieni fuori Becucchino, non ti farò niente. Tanto la frittata è già fatta.-
Dovevate vedere il fondo dei pantaloni di Becucchino! Tutti impiastricciati di uova; perché il ragazzotto, vedendo la ticca che si alzava dalle uova (per andare a becchettare un po', come fanno) si precipitò lui a covarle... e le schiacciò tutte. Nemmeno una se ne salvò. Così, la povera donna, come non ne avesse abbastanza di bucati, dovette anche lavare figlio e calzoni.

Pensò di non dargli altra incombenza che stare attento alla pentola di "vetrucci" che teneva ben nascosta sotto il letto di ferro in camera.
Respirò di sollievo per tre giorni la nostra povera donna, ma il quarto... successe la tragedia...
Appena andata a lavoro il figlio sentì da lontano un richiamo:
- Donne c'è il cenciaiolo! Forza con cenci vecchi, ferri da buttare, vetri, carte e cianfrusaglie! Forza, forza... ve li paga bene... a buon peso e buon prezzo.-
Strillava a più non posso sempre la stessa cantilena e veniva proprio verso la casa di Becucchino.
Ebbe un'idea. Afferrò la pentola dei "vetrucci" che gli aveva affidato sua madre e corse a portarla al cenciaiolo.
Il cenciaiolo la scoperchiò, strabuzzò gli occhi, batté una pacca sulla spalla destra e una sulla sinistra del ragazzo e gli lasciò in pagamento tutto il barroccio compresa la mercanzia: cenci vecchi, ferri, vetri e carte.
Becucchino non fece in tempo a ringraziarlo, primo perché era rimasto bloccato dallo stupore, secondo perché il cenciaiolo era sparito dall'orizzonte come una saetta!
Il ragazzo si mise in cima alla viottola, con barroccio e mercanzia, per incontrare subito la mamma e far vedere l'affare concluso.
Ma appena la madre vide, capì:
- O povera me, povera me - gemette la donna e questa volta si strappava anche i capelli e si batteva la fronte e il cuore.
- Presto, Becucchino! Tirati dietro l'uscio di casa e andiamocene in cerca di fortuna. Non ci resta altro da fare! La pentola non era piena di "vetrucci" ma di soldi: tutti i risparmi di una grama vita. Presto, presto...-
La donna si avviò, ingobbita, senza voltarsi indietro, e continuando nella sua cantilena "O povera me, o povera me".
Quando si riscosse, cercò il ragazzo. Era indietro di tanto e arrancava portando sul groppone qualcosa che non riusciva a vedere. Si fermò ad aspettarlo:
- O povera me, o povera me. Tirare dietro l'uscio voleva dire di chiuderlo e via. Tanto in casa non c'è più niente da rubare...-

Erano arrivati ad una radura del bosco. La mamma esasperata questa volta aveva proprio voglia di dargli una scarica di botte, ma un gran trotto di cavalli si annunciava, insieme a grida, sghignazzate e parolacce.
- Presto, Becucchino! Montiamo su un albero. Di certo sono banditi se ci trovano qui ci fanno a pezzetti.-
La paura fa novanta. In un lampo furono ben nascosti dal fogliame.
O i briganti non andarono a sedersi, tutti in cerchio, proprio sotto quell'albero!?
Alla povera donna, mancava il fiato per respirare e il cuore gli strabuzzava dal petto tanto batteva forte. E ancora di più quando si accorse che Becucchino ne aveva combinata un'altra delle sue. Si era portato sull'albero anche l'uscio. Quanto avrebbe resistito a tenerlo in bilico?
Saranno passati si e no dieci minuti, che a quella povera donna sembrarono lunghi come l'eternità all'inferno, quando:
- Mamma, mamma.-
- Zitto, zitto se ci scoprono siamo fritti in padella.-
- Ma mi scappa la pipì!-
Non fece in tempo a dirgli niente la povera donna, Becucchino la fece.
- Si è messo a piovere. Ho sentito degli schizzetti. Che facciamo?-
- Aspettiamo. Mi pare sia già smesso - disse quello che sembrava il capo. Aveva tirato fuori da un sacco un vero tesoro di gioielli, soldi, argenteria. Non ridevano più. Tutti avevano gli occhi puntati e aspettavano per la divisione. C'era un silenzio tremendo che faceva ancora più trattenere il fiato alla povera donna e si sentiva gelare quel poco sangue che le era rimasto nelle vene.

In quel silenzio:
- Mamma, mamma.-
- Zitto, zitto.-
- Ma mi scappa la poppò!-
- Quella no! Per carità del cielo.-
Tutto inutile, Becucchino la fece; e dalla paura era a diarrea.
- E' pieno di uccellini, quest'albero. Ce la stanno facendo addosso e quanta! Dice che porta fortuna!-
Tutti risero. La povera donna sospirò e riprese colore; di sicuro la sua faccia doveva essere verde come le foglie!
La divisione era avvenuta, ma cominciarono liti e discussioni con un baccano d'inferno, d'inferno anche per via delle parolacce e delle bestemmie.
Fu in questo momento che Becucchino perse il controllo dell'uscio e la madre mandò un urlo disumano.
L'uscio piombò sul gruppo che era venuto alle mani; l'urlo fu scambiato per quello del diavolo... in un battibaleno tutti erano in sella e volavano come il vento.
Scesero con le gambe tremanti dall'albero quando furono sicuri che nessuno tornava indietro e ormai i banditi erano lontani.
Quanta ricchezza! Fecero il giro dei villaggi vicini per sapere se qualcuno era stato derubato e restituire. Ma chissà da quale mai paese lontano provenivano. Nessuno era stato derubato, lì.
Becucchino e la madre si trovarono ricchi a palate, ricchi sfondati, ma vollero tornare alla loro umile casa.
L'unica cosa dovettero rifare l'uscio che cadendo dall'albero si era tutto rotto.- "

Il buio aveva invaso la cucina ma, così tutte strette intorno ai magici racconti della mamma, nessuna aveva paura. Diverso era andare fino al gabinetto in fondo, in fondo al corridoio: potevi sempre trovarci quei banditi.... o chissà che cosa.
Il lume a petrolio veniva acceso. Si riattizzava, con la sventola, il fornello. Le più grandi apparecchiavano la tavola.
Ma quella sera non c'era nulla da mettere in tavola.
La mamma, finita la novella di Becucchino, ce lo disse pacatamente, quasi serenamente.
- Ma non vi sgomentate. Il Signore chiude una porta e apre una finestra. Si dice sul monte Dio provvede. E' il difensore di vedove e orfani. E poi un po' di digiuno fa bene alla salute.
Devo essere sincera, io e le mie sorelle, più che fiducia in Dio ne avevamo nella mamma. Sempre piena di risorse, buon senso, gran lavoratrice, il suo motto era:
"Mai con le mani in mano!"
Ce ne stavamo tranquille. Di sicuro qualcosa inventa, qualcosa ha in mente.
Ad un tratto disse:
- A quest'ora in casa di Norina dicono il Rosario. Hanno già cenato. Cenano presto, sono rimasti solo i vecchi. Qualcuna andrà a far loro il servizio e la compagnia del rosario.-
Rimanemmo di stucco, ma ripeto la nostra fiducia era illimitata.
Rivolta a me disse: - Ci andrai te, sei la più piccola, la più innocente. Veramente la più piccola è lei, ma è troppo piccola davvero. Non dire niente che non abbiamo cenato e che non possiamo cenare.-

La casa di Norina era proprio di fronte alla nostra. Non avevo che da attraversare la stretta strada; anche se era ormai buio pesto potevo farcela e poi dalla finestra mia madre mi guardava finché non fossi nell'androne della palazzina.
Un quadro del Sacro Cuore con un lumino acceso, rischiarava l'androne. Picchiai al portoncino con la campanella di ferro.
La casa era tutta illuminata. Mi aveva aperto Assunta, la vecchia domestica.
Erano tutti riuniti nel salotto, proprio per la recita del rosario. Norina e suo marito; il fratello scapolo di Norina, una vecchia zia e naturalmente Assunta che faceva a buon titolo parte della famiglia. C'era anche un'ospite che non conoscevo: una signora giovane che sedeva in disparte guardando campioni di stoffa.
Quelli di casa erano inginocchiati sulle sedie; messi in semicerchio davanti ad un quadro della Madonna di Pompei.
Mi fecero una gran festa!
- Bene! -disse Norina- visto che abbiamo due occhietti nuovi, nuovi leggeremo i misteri direttamente dal Vangelo.-
Misteri gaudiosi: erano i Vangeli dell'infanzia da Luca.
Li lessi molto volentieri, ma lo stomaco borbottava e continui erano gli sbadigli.
Nessuno ci fece caso, durante la recita del rosario, ma appena baciato il crocifisso della corona, Norina disse:
- O hai fame o hai sonno! Di qui non se ne esce!-
- Perché?-
- Facile come fare il forellino all'uovo fresco: non hai fatto altro che sbadigliare.-
Mi feci tutta rossa.
- Il rosario lo hai recitato benissimo, stai tranquilla! E ad avere sonno e fame non è disonorevole, è segno di buona salute. Allora?-
Chinai il capo; a quale dei comandi della mamma dovevo obbedire?
Rispondere sempre e dire la verità o non dire che non avevamo nulla per cena?
- O Signore! Altro che rosario! Siamo qui a uscio e uscio e non mi sono accorta, non ho pensato... Presto Assunta! Qualcosa da cena per stasera; ma non roba da vecchi, lì ci sono ragazzi che devono crescere. Io scendo in cantina a prendere roba che si mantiene.-
Norina mi levò dall'imbarazzo. Gliene fui grata quasi più che della cena. Dovetti fare tre viaggi per portare in casa la "grazia e la bontà del Signore" come chiamava la mamma tutte quelle bone cose via via che le levavo dal paniere.
Ma non fu finita. Norina raccontò la nostra storia alla sua ospite che prese con sé mia sorella più grande per insegnarle un mestiere. Riceveva poche lire, ma tutte noi avevamo gratis gli abiti. Alla mamma, brava ricamatrice, dette del lavoro a casa.
Poi anche la seconda sorella, quando la prima già era diventata lavorante e guadagnava bene, andò ad imparare il mestiere.
Nelle preghiere serali ne venne aggiunta una "perché il Signore ricompensasse, come solo Lui sa fare, tutti i nostri benefattori".
E ogni volta che la mamma faceva un dolce particolare, una trina speciale, un ricamo elaborato, ce ne era sempre uno in più per Norina e per la sarta Andreina.
" D'accordo che chi fa il bene la ricompensa la deve aspettare solo nell'aldilà dal Signore, ma chi lo ha ricevuto è bene torni indietro a ringraziare e che non lo dimentichi mai. Soprattutto impari anche lui a fare altrettanto!"
Mi diceva mettendomi in mano un piattino con la torta, un nastro di trina, un inserto ricamato.....

(da la raccolta "minute")


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