Furono svegliate verso le
cinque del mattino da un furioso abbaiare.
In giardino
c'era un cane bianco con curiose macchie nere. Come poteva essere
entrato? E di chi era?
Martina si intendeva di cani. Disse la razza, lo calmò,
gli dette del cibo. Ma la bestia rimaneva inquieta; secondo Martina
voleva indicare qualcosa.
Ma che cosa?
Aspettarono le otto poi Deiva chiamò il solito Salvo.
Venne con la macchina fotografica. Fece stampare delle foto del
cane e Deiva andò nei negozi intorno a farle vedere. Alle
nove e mezzo già conoscevano il nome della proprietaria.
Una signora anziana che viveva sola e il negoziante si allarmò
perché chiamandola a telefono non rispondeva. Così
ritornò Salvo con due colleghi. Suonarono al campanello,
chiamarono la signora... niente.
Intanto il cane guaiva sempre di più e raspava furiosamente
alla porta. La sfondarono. La signora giaceva svenuta nel bagno
dove era caduta. L'ambulanza se la portò via a sirene
spiegate con il cane che ululava da far accapponare la pelle.
Il cane se lo tenne Martina fintanto che la signora sarebbe ritornata,
disse. Deiva ne aveva un po' paura e poi sarebbe toccato a lei
curarlo... ma lasciò perdere.
Passò appena un giorno e Deiva richiamò di nuovo
Salvo. La storia della foto del cane le aveva fatto venire in
mente che aveva una foto dove era ritratta insieme a Serena e
Mercedes. Forse poteva servire per ritrovare Serena.
Salvo arrivò di corsa e la lodò per l'idea veramente
ottima. Disse che si sentiva ancora in colpa per la scomparsa
di quella ragazza. Le accennò, ma rimanesse un segreto,
che forse doveva andare all'estero per una missione. Se ne andò
con la foto.
Deiva volava alto sentendosi depositaria di un segreto di Salvo
e con la sua foto nelle mani di lui!
Di nuovo caldo! Un caldo
umido, appiccicoso "nemmeno fosse ferragosto" diceva
la gente.
"Lui" se ne era andato da quindici giorni. Un breve
saluto... per telefono.
Martina aveva preso a "vedersi" con il suo capo: sposato,
con prole.
Litigarono furiosamente. A Deiva pareva una cosa sconveniente
e pericolosa per il piccolo.
Martina ribattè che era utile per la sua carriera.
" Sai come sono i cinquantenni... cominciano a sentirsi
vecchi... per cui se una più giovane di loro mettiamo
come me... più giovane di quasi quindici anni... gli fa
un po' di ruota.... si sciolgono e se è il tuo capo...."
All'ennesima rimostranza di Deiva, Martina s'infuriò:
" Non accetto consigli o peggio prediche da una che ha fatto
la..."
Volarono ceffoni. La zuffa finì solo quando Fabio, piangendo,
si mise in mezzo a loro.
La settimana passò in un totale mutismo. Martina rientrava
e usciva quasi subito con il bambino; spesso cenava fuori. Spesso
si portava dietro anche il cane. Ma non si vedeva con il capo,
come pensava Deiva, girava la città per un altro motivo.
Deiva rimuginava su Salvo che non si faceva vivo. Cominciò
a persuadersi che per lui non fosse niente di più che
una conoscenza ... strana. E in fondo, andava ripetendosi, si
era fatta castelli in aria perché, anche Salvo come Dario,
erano stati gentili con lei nel momento di totale solitudine
e angoscia.
Un violento temporale con raffiche di vento che piegavano gli
alberi, fece diventare il giardino, in solo due ore, un tappeto di
foglie gialle, arancio, marrone bruciato, verde spento, rossiccie...
molte accartocciate...
Martina disse che non si sentiva molto bene..."colpa di
questo pazzo di un tempo" e l'indomani non sarebbe andata
a lavorare. Ma uscì.
Alla porta, verso l'ora di cena, apparve un collega di Salvo
che avevano visto quando era stata sfondata la porta della signora
del cane. Aveva una lettera per Deiva da parte di Salvo.
" Mi prega di dirle di leggerla subito e darmi una risposta."
" Va bene. Si accomodi. Posso offrirle qualcosa?"
" Grazie. Non importa; un'altra volta. Ora ho fretta."
Mentre apriva la busta guardava l'uomo. Più giovane di
Salvo anche se tutto pelato. Più basso e tozzo. Portava
degli occhiali leggeri senza montatura che gli davano un aria
da studioso. Non era in divisa e giocherellava con le maniche
di un golf a rombi coloratissimi appoggiato sulle spalle. Emanava
un'aria sportiva e un odore di buono.
" Deiva carissima,
sono costretto ad usare Paolo come postino per motivi disciplinari
avrei preferito scriverti direttamente a casa. Quando sarò
all'aeroporto, di ritorno, prometto, ti spedirò una cartolina!
Ho avuto (quando ci vediamo ti dirò come... e sarà
una sorpresa) l'indirizzo di Serena.
Se non hai difficoltà e te la senti, gradirei che tu andassi
da lei insieme al mio collega. Non vorrei spaventarla e farla
sparire di nuovo. Con te forse si aprirà e ci racconterà
cosa è successo. Conta su mia sorella se vedi che c'è
bisogno di mandarla in altra parte.
Ti pregherei, invece, di non dire niente a Martina: è
troppo impulsiva e poi loro due non si sono mai piaciute.
Spero tu stia bene. Dai un bacione al piccolo.
A presto; a te un grosso abbraccio.
Con affetto Salvo."
C'era insieme un biglietto con un indirizzo. Non era la calligrafia
di Salvo.
Per Martina nemmeno un saluto. Ma, questo, Deiva, lo rivelò
così di passaggio. Non le procurò nessuna emozione.....
neppure il grosso abbraccio.
Ripiegò la lettera, la rimise nella busta.
" Bene. Io potrei subito domani. Mi dica lei l'ora e dove
trovarsi. Non qui."
" Se facessimo prestissimo? In modo da avere tutta la giornata
per ritentare se alla prima non ci riesce. Le otto all'angolo
di Viale Europa."
" Perfetto. A domani. Davvero non vuole niente?"
Accettò un succo di frutta. Aveva delle curiose efelidi
sulla guancia destra.
Si vestì con cura,
ma prevedendo una lunga giornata fuori casa, scelse roba comoda.
Martina non le chiese niente. La lasciò in vestaglia che
si preparava colazione, di un umore pessimo.
Paolo era con la sua macchina: una Panda verde scuro. Disse che
era fuori servizio. Dedicava la giornata a fare un favore ad
un amico... ma sperava di concludere presto; aveva tante cose
da fare.
Il tragitto si rivelò molto lungo. Si era dall'altra parte
della città dove, questa, diventava quasi campagna. Paolo
le raccontò come e dove avesse conosciuto Salvo; cosa
avevano fatto insieme. Aneddoti di lavoro. Sorrideva spesso e,
sorridendo, sembrava che le efelidi si accendessero o così
pareva a Deiva, che si sentiva rilassata, allegra senza un perché.
Come se Paolo ci fosse già stato, fermò la macchina
proprio davanti al portone con una sicurezza impressionante.
Corse ad aprirle la portiera. Rivelò il mestiere che faceva,
squadrando in lungo ed in largo non solo la casa ma anche i dintorni.
Guardò l'orologio.
" Ci abbiamo messo più del previsto. Non sarà
facile che sia in casa. Proviamo. Dunque fatti vedere per prima."
E invece c'era! In una tuta pigiama color rosa pesca e un grosso
orsacchiotto disegnato sulla pancia e sul sedere e un vivo stupore
stampato sulla faccia.
" Deiva!" strillò e si buttò nelle sue
braccia farfugliando " Come diavolo hai fatto a trovarmi?
Meraviglioso! E Fabio e quell'isterica di Martina. E Salvo?"
Una raffica di domande senza dare il tempo di rispondere. Ma
intanto faceva strada per entrare.
"
Mi chiamo Paolo" disse con semplicità porgendole
la mano. Serena gliela scosse con vigoria .
Nella stanza troneggiava una stampa con un vestito scultura dai
mille colori.
" Sempre la ragazza arcobaleno" disse Deiva
" In un certo senso sì. Devo scusarmi. Ma qualcuno
del vecchio e cattivo gruppo era di nuovo sulle mie tracce ed
ho avuto paura sopratutto per il piccolo. Volevo farvi sapere...
ma sai come succede... lo farò domani... e poi pensavo
che era meglio... insomma, è andata così. Poi mi
era capita fra capo e collo un'occasione... talvolta la vita...
è incredibile. Sai ho anche un lavoro!"
Mentre si dava da fare per offrire un caffè continuava
a fare domande a raffica e scantonava se loro le chiedevano qualcosa
di più preciso su cosa facesse e con chi stava, di chi
era quella casa.
Si capiva che aveva fretta. Mentre loro prendevano il caffè
scomparve per vestirsi. Uscì con loro: aveva un appuntamento
di lavoro. Li salutò con enfasi invitandoli a tornare
...magari avvertendola: sapeva anche cucinare, disse ridendo.
Deiva la guardò allontanarsi con un borsone pieno di stoffe
a bordo di uno sgangherato motorino.
Restò perplessa e imbambolata finché Paolo non
le toccò un braccio. |