in questo sito   la storia di questa notte   le altre notti   ospiti   artisti   amici  Livorno   Firenze   rilancio   realized   home

la Storia

la Pieve

la Santa

l'Organo

il Borgo

le Ville

i Musei

Itinerari

Profumi e usi

Persone

Artigiani

Filastrocche

Credenze

Anch'io


I musei a Sant'Agata

Raccolta di Arte Sacra:
presso la Compagnia di San Jacopo

L'esposizione, inaugurata nell'aprile del 2000 dopo una gestazione più che ventennale, è nata dalla necessità di assicurare un'idonea collocazione ed una corretta leggibilità a numerose opere provenienti da tabernacoli e chiese abbandonate o non più regolarmente officiate di una fetta del territorio mugellano di particolare significato storico ed artistico. Tale area è quella relativa al plebato santagatese, per secoli fondamentale nodo viario per il passaggio transappenninico verso il bolognese; ciò ha motivato la costruzione di una delle pievi romaniche più interessanti del contado fiorentino, sia per le sue caratteristiche architettoniche, che per le importanti opere d'arte che ne arricchiscono l'interno (tarsie marmoree del XII secolo, tavole dipinte di Jacopo di Cione e Bicci di Lorenzo, tele di Cristoforo Allori e della sua scuola, affreschi dell'Ademollo). Così la raccolta si pone come prosecuzione del più grande "museo" che è la chiesa stessa, accogliendo accanto testimonianze della dotta committenza dei suoi pievani, i beni di un territorio restato omogeneo nel tempo, ma "travolto" dalle mutate condizioni socio-economiche legate al fenomeno dello spopolamento delle campagne.
Il piccolo Museo fa parte del Sistema museale territoriale del Mugello, Alto Mugello e Val di Sieve ed è ospitato nell'Oratorio della Compagnia di San Jacopo, un edifico del primo Cinquecento che prospetta sul lato sinistro del sagrato. La struttura, fronteggiata da un portico in muratura a quattro luci, ha un aspetto semplice ed equilibrato, consono all'umiltà che ha sempre accompagnato la vita della confraternita che qui si riuniva e si accorda con armonia alla gravità ed imponenza della pieve.
Varcati i portali d'ingresso decorati con due lunette affrescate raffiguranti Sant'Agata e San Jacopo si entra in un ampio vano a pianta rettangolare nel quale sono collocate pitture e sculture di tipologie ed epoche diverse.
Entrando, a destra, sono esposte le pale d'altare provenienti da alcune chiese suffraganee; tutte opere di scuola fiorentina, traducono in modo diversificato l'arte del capoluogo: dall'ingenua e popolareggiante Madonna col Bambino fra i santi Girolamo, Lorenzo, Giovanni Battista e Nicola, tavola del primo Cinquecento fiorentino, destinata all'altare di San Lorenzo a Montepoli, alla solenne ed ieratica tela con San Clemente (XVIII sec.), titolare dell'omonima chiesa di Signano, fino ai due dipinti provenienti da Sant'Andrea a Cerliano. Entrambi sono di buona mano e raffigurano, il primo, un Cristo in pietà con la Madonna e gli angeli (XVI sec.), traduzione tardomanieristica di un disegno michelangiolesco e, l'altro, Sant'Andrea e San Simone con tondo in gesso raffigurante una Madonna col Bambino: quest'ultima opera, realizzata intorno ad un'immagine mariana preesistente e sostituita con l'attuale ottocentesca, è datata 1661 e presenta anche un'interessante documentazione iconografica sullo stato della chiesa preesistente, ora rovinata.
Di fronte all'ingresso campeggia, in un tabernacolo ligneo cinquecentesco, il Matrimonio mistico di Santa Caterina, di Bicci di Lorenzo (1430 ca.), parte centrale di uno smembrato polittico destinato agli antichi altari della pieve, frammenti del quale furono inglobati in una singolare ancona conservata nella chiesa insieme alle restanti parti di un trittico di Jacopo di Cione. [A proposito dell'attribuzione a Bicci di Lorenzo della pala in questione, riportiamo un singolare "ricordo" di Giulio Tofanari »»»]
Sulla stessa parete e su quella corrispondente trovano posto gli affreschi e le rispettive sinopie staccati da un tabernacolo del primo Quattrocento posto all'antico ingresso del paese; attribuiti ad Ambrogio di Baldese, raffigurano la Natività di Cristo, la Deposizione, l'Incoronazione della Vergine, Cristo e un angelo.
[ Giovanni Della Robbia - Madonna col Bambino e San Giovannino ]Proviene da un tabernacolo del territorio anche la terracotta policroma di Giovanni della Robbia, collocata al centro della navata, avente per soggetto la Madonna col Bambino e San Giovannino; databile al 1528, l'opera si configura come un tipico esempio della tarda produzione dell'affermata bottega fiorentina e costituisce uno dei pochi esemplari di robbiane ancora presenti nel territorio mugellano, sfuggito ai furti che, fin dagli inizi del Novecento, hanno ampiamente saccheggiato l'area. Sul retro della struttura autoportante che sostiene la terracotta trova posto una tela raffigurante un San Michele pieno di piglio, testimone dei migliori modi della pittura seicentesca fiorentina. A fianco campeggia l'unica opera attualmente conosciuta di "Nicholaus", pittore che firma e data al 1345 una imponente Madonna col Bambino, San Gavino e San Miniato, proveniente dalla chiesa di San Gavino al Cornocchio; dietro, infine, una garbata tavoletta del Maestro di Signa che, rappresentando Santa Caterina d'Alessandria, ricorda il più antico arredo della chiesa di Cerliano. Sulla parete destra è esposto un tardo cinquecentesco Cristo crocifisso in avorio, fissato su croce lignea, già presente nella sagrestia della chiesa di Sant'Andrea a Cerliano; nella parete di fronte è collocato, poi, un ovale del primo Settecento fiorentino raffigurante la Vergine orante all'interno di una ghirlanda floreale, dipinta con grande maestria.
Il vano si conclude con una piccola abside affrescata con le immagini di Sant'Antonio da Padova, Dio Padre e San Giuseppe, al centro del quale troneggia, nella sua posizione originaria, una Madonna col Bambino fra i santi Jacopo e Agata; il dipinto fu commissionato dalla Compagnia di San Jacopo nel 1514 ed appartiene alla scuola di Ridolfo Ghirlandaio, mutilo nella parte superiore, è inserito in una cornice lignea di ottima fattura, particolarmente evidente nella decorazione della predella e delle lesene laterali.
L'esposizione prosegue nella sagrestia dove, accanto ad una serie completa di stampe ottocentesche di Luigi Sabatelli, raffiguranti le stazioni della Via Crucis, sono raccolti gli arredi liturgici: il pezzo più antico ed importante è una croce astile di manifattura fiorentina, datata 1378, che apparteneva alla ricca Compagnia della Visitazione di Maria Vergine; attorno è esposta una raccolta di calici sei-settecenteschi ed una di turiboli e navicelle dal XV al XVIII secolo.
[ Ostensiro del 1700 ]Ancora due belli ostensori del Settecento, una serie di reliquari con caratteristiche diverse: a statua e a ostensorio sia d'argento che di legno intagliato e dorato (XVII-XVIII secc.), una rara cartagloria a libro ed uno sportellino da ciborio dipinto raffigurante Cristo Redentore, di scuola fiorentina del XVI secolo.
Conclude la raccolta una campionatura degli ex-voto che avevano accompagnato per secoli la trecentesca tavola della Madonna delle Grazie di Jacopo di Cione, conservata ancora nella Pieve e oggetto di una secolare venerazione, legata alla protezione dai terremoti, funesto flagello del luogo. Fra gli oggetti esposti (cuori, e parti anatomiche in argento, brevi, ecc.) spiccano un medaglione di madreperla inciso ed alcune laminette d'argento del XVIII secolo che, sagomate a forma di oranti inginocchiati, ne riproducono con vivacità i tratti del costume e dell'acconciatura.
   

LIA BRUNORI
("Musei e raccolte d'arte sacra in Toscana"
 - n° 37 - ed. TOSCANAoggi )
 
         
 Cliccare per ingrandire  Cliccare per ingrandire  Cliccare per ingrandire  Cliccare per ingrandire  Cliccare per ingrandire
     ritorno a "I Musei"  

 QUANDO BERENSON INCONTRÒ GIGI DI GOSTO

da "MUGELLO - Pagine di Storia... Pagine di Vita"
di Giulio Tofanari

Sembra impossibile, ma pareva proprio che io fossi nato per l' arte, in modo particolare per la pittura. Ero giovanissimo quando frequentavo lo studio di mio zio Adriano Tofanari pittore e scultore insegnante alle Belle Arti di Porta Romana a Firenze. Ed io, lo confesso, mi sentivo felice in mezzo a pennelli, colori, quadri annusando nell'aria quel tipico odore di trementina e di colori che per un pittore sono come una droga. E lo zio ogni tanto mi porgeva un pennello e mi invitava a provare qualche tocco di colore. Invece pittore non sono diventato, anche volendo non avrei mai potuto; amavo la pittura, i colori, ma in quanto a dipingere ero proprio negato. Eppure i colori li avevo dentro di me !
Forse fu la rinunzia a dipingere che mi spinse a studiare pittori, artisti e le loro opere. Andare a ricercarle nei musei e nelle chiese, studiarle per poi in seguito commentarle a turisti in arrivo a Firenze. E così iniziai il mio giro per i musei portando gruppi di turisti e parlare di artisti, del loro modo di usare i colori. Fu proprio durante una visita ad un museo fiorentino che incontrai per la prima volta Bernardo Berenson. Mio zio Adriano gli aveva fatto la grande biblioteca, una vera opera d'arte e Berenson quando mi presentai mi parlò del lavoro di mio zio elogiandolo e pregandomi di andare a trovarlo ai Tatti, «mi venga a trovare, vedrà il lavoro fatto dal bravo Tofanari, un grande artista, la aspetto ai Tatti». Quella villa, celebre oggi per il suo proprietario, venne da lui acquistata nel 1905 da Lord Westbury che l'aveva ricevuta in eredità da Giovanni Tenne Leader. Il Berenson la fece restaurare creando anche il giardino che la circonda. Tutto il rinnovamento della villa lo si deve all'architetto inglese Cecil Pinsen che ne fece una fra le più belle ville fiorentine. Ed io ci andai. Entrare in quella villa, girare per quelle sale piene di quadri fu per me come un sogno. Un museo, nelle sale e lungo i corridoi ben 200 opere sempre in ottima luce, Giotto, Simone Martini, il Sassetta, Signorelli, Neri di Bicci, Bernardo Daddi, Domenico Veneziano. E Berenson davanti ad ogni quadro a decantarne pregi e il valore. Poi sapendo che io conoscevo bene il Mugello
mi domandò della Pieve di Sant'Agata desiderava tanto rivederla, forse un giorno. Tornai a casa con l'immagine di quei capolavori e poi, che lezione d'arte! Però anche se pittore non sono diventato ne conosco bene i pregi e i valori. Poi mi sono dato alla fotografia, perché? Perché con la macchina fotografica si possono "catturare" le scene più belle che ci offre la natura. E fu proprio la fotografia a farmi scoprire tanti angoli del Mugello che non conoscevo per niente. Poi bisogna tener presente che mia madre era venuta dal Mugello ed io proprio in Mugello andai a prendere moglie. Non era nativa del Mugello era nata a Firenze, poi rimasta orfana andò a vivere con le zie a Scarperia. E in quel delizioso paese trovai un amico carissimo Luigi Savi pittore e che pittore. Nel tempo antico i pittori al proprio nome seguiva quello del padre, ecco infatti Neri di Bicci, Sano di Tito, Ugo di Cione, Giotto di Bondone, Bicci di Lorenzo. Solo uno si abbinò il nome della madre, Piero della Francesca.
Alcuni poi univano il proprio nome e quello del luogo di origine vediamo Benedetto da Maiano, Mino da Fiesole, Leonardo da Vinci, Andrea da Pontedera. Ma torniamo all'antico pittore. Luigi Savi era nato a Scarperia nel marzo del 1900 da Gosto Savi un bravo coltellinaio. E così anche il piccolo Luigi con l'andare del tempo veniva chiamato Gigi di Gosto ed è con tale nome che si conosceva Luigi Savi pittore. E lui ci teneva a quel nome, come gli antichi pittori, ma non ci teneva ad essere chiamato artista «ci vuol altro per essere chiamato artista», rispondeva sempre in modo brusco a chi lo chiamava in quel modo. Quelle poche volte che i suoi amici più cari come Nicola Lisi e Piero Bargellini gli allestivano una sua personale, lui voleva vedere che opere venivano esposte, ma soprattutto i prezzi che li quotavano «io voglio che i prezzi dei miei quadri siano bassi, alla portata di tutti li voglio rivedere nelle case del "mio" popolo, non mi importa dei soldi». E le mostre ottenevano grande successo, tutti i quadri venduti, io sono certo che non vi sia una casa dei paesi mugellani dove nel salotto "bono" non si ammiri un quadro di Gigi. Bisognava vederlo quando, capitando in qualche casa, notava un suo quadro, vibrava di gioia, era felice. E ancora oggi dopo tanti anni che è morto, di Gigi di Gosto si parla sempre, delle sue opere, della sua semplicità, del suo amore per il Mugello.
Ma ritorniamo indietro nel tempo quando ogni settimana mi recavo in Mugello a fare fotografie. Qualche volta durante i miei giri lo trovavo seduto su uno sgabello davanti al cavalletto, pennello in mano gli occhi fissi su di un vecchio casolare, lavorare di colori. Gli presentavo qual-che mia fotografia di paesaggi e gli domandavo il suo parere «bella foto-grafia, ma è la tua macchina che lo ruba alla natura tu fai uno scatto e il paesaggio è bello e pronto. Ma io caro Tofanari il paesaggio lo creo con i miei colori, come lo vedo come lo voglio, è tanta la differenza tra le tue foto e quello che faccio io.»
Un giorno gli raccontai come Berenson avesse desiderato ritornare alla Pieve di Sant'Agata. Vi era stato una prima volta per discutere su di un quadro che volevano di Agnolo Gaddi mentre lui asseriva essere di Bicci di Lorenzo. Poi il sogno si avverò, una telefonata di Berenson sia a me che al parroco della Pieve ne preannunziava l' arrivo. Ed ecco il bel pomeriggio arrivare una piccola vettura nera fermarsi proprio davanti alla Pieve. E tutti noi, Gigi di Gosto che ci teneva tanto, il parroco ed io ad accogliere il grande studioso e critico d' arte Bernardo Berenson. Gigi il pittore, sembrava pazzo dalla gioia di stringere la mano a Berenson, poi tutti dietro al parroco in chiesa. «Lei professore conosce bene la Pieve, guardi qui tutte le reliquie monumentali affastellate alla peggio intorno al Battistero e che dire dell'accecamento del grande occhio che si apriva al sommo della facciata» il parroco sembrava proprio mortificato dalle ardite iniziative di un antico predecessore che dopo aver guastato la chiesa innalzò una canonica grande come un convento; Berenson rimase zitto, non volle né approvare né aprire discussione in proposito, volle rivedere quel matrimonio mistico che lui assegnò un tempo a Bicci di Lorenzo, lodò in modo particolare la bella e antica patera etrusca sopra il portone della Pieve, poi dopo averci salutati tutti, prese la sua piccola vettura e non ritornò ai Tatti, ma volle andare a Latera a visitare la casa della povera Lisabetta. Chissà poi se sarà stata quella la sua vera casa. Ne conosceva la storia, una povera donna che durante la pestilenza del 1630 presa dal terribile morbo preferì abbandonare figli e marito per non contaminarli e andò a morire lontano.
Mentre nella piazza prospiciente la Pieve il sole al tramonto coloriva di rosa la nuda facciata, dal basso giù per la via una voce giovanile cantava:

l'amore gli è come l'ellera
dove s'attacca more
così, così il mi core
mi si è attaccato a te.

Rividi molto tempo dopo Bernardo Berenson ed insieme ricordammo la visita a Sant'Agata.
«Mi scordai di vedere i due vecchi vespasiani» mi disse, «sarà per una prossima volta. Mi saluti quel suo amico pittore, che tipo alla buona, deve saper dipingere bene. Lo saluti e gli faccia gli auguri di buon lavoro.»
Ricordi di due grandi figure che oggi non esistono più: Bernardo Berenson e Luigi Savi detto Gigi di Gosto... ricordi.