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Urlo, dunque sono!
GRANDI EVERSORI gli espressionisti in mostra a Roma
   

"Noi contemporanei siamo tutti degli ESPRESSIONISTI, degli uomini che vogliono dar forma al mondo a partire dal proprio essere".
Chi l'ha detto? niente indovinelli, tanto la soluzione è impensabile. Si tratta di un'ispirata dichiarazione di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Reich. Ciò non toglie che il regime, che con tanto macabro fervore quell'uomo incarnava, nel 1937 avrebbe bollato come "degenerate" tutte le avanguardie europee. E sarebbe interessante sapere in che modo Goebbels, l'anno seguente, accolse la notizia che, proprio a causa di quella persecuzione, il padre del movimento artistico che più egli ammirava, il pittore Ernst Ludwig Kirchner, si era sparato un colpo di pistola alla testa.

Politicamente scorrettissimo, l'Espressionismo è stato un potente fenomeno di irradiazione, capace di scaldare la più intima struttura della cultura tedesca del '900. Di toccare il suo nervo scoperto.
Hanno risposto al richiamo di quella sollevazione, spirituale ed estetica al tempo stesso, schiere di artisti. Ma anche scrittori, musicisti, architetti, registi di teatro e di cinema. Purché fossero estremi, eversivi, disperati. Un'ipotetica foto di gruppo vedrebbe sotto il medesimo flash il filo nazista Nolde e il comunista Grosz; mistici dell'astrazione come Kandinsky e realisti allucinati come Dix.
Espressionistici furono gli esordi di uomini dal destino politico opposto, come Bertolt Brecht e il poeta Gottfried Benn, autore del più perfetto elogio di quella stagione, scritto nel '33 tra i sinistri bagliori dell'alba nazi.

Potrebbero essere questi i titoli di coda dell'interessante mostra aperta al Complesso del Vittoriano di Roma dal 5 ottobre al 2 febbraio: Gli Espressionisti. 1905-1920 (catalogo Mazzotta). Cioè fortuna e continuità e duttilità di un'etichetta che ha siglato l'arrabbiatissima giovinezza dell'arte contemporanea. Circa 150 opere, tra dipinti, sculture, grafiche, raccolte a cura di Magdalena Müller e Claudio Strinati da musei di tutto il mondo.
«L'uomo chiede urlando la sua anima, un solo grido d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte urla nelle tenebre, chiama al soccorso, invoca lo spirito: l'espressionismo»: l'immagine che propone ai primi del secolo lo scrittore austriaco Hermann Bahr è elementare, indimenticabile. L'impressionista apre l'occhio. Può solo ricevere. L'espressionista spalanca la bocca. E urla. In effetti, un essere calvo e deforme aveva già urlato, com'è arcinoto, dal pontile norvegese di Edvard Munch.

E l'eco di quel grido è musica per alcuni giovani artisti che a Dresda, nel 1905, fondano un proprio gruppo, Die Brücke (Il ponte). Disprezzano l'arte che li precede. Profetizzano un nuovo avvenire di creatori e di spettatori. Non rispettano nessuno, tranne Van Gogh, Cézanne, Gauguin. Leggono avidamente Nietzsche, Strindberg, Dostoevskij. Sentono la natura come un tempio. Il loro leader indiscusso è Kirchner, tragico, geniale, sensibile fin quasi alla demenza.
«Franzi e Marcella» sono le modelle bambine che davanti ai suoi occhi si muovono come animali innocenti. Si piegano, dormono, giocano. Non posano mai. Kirchner sacrifica la propria pace sull'altare del desiderio. Il suo gesto è brutale, rapido, perché «né noi né gli altri abbiamo tempo da perdere» dirà a nome di tutti Kurt Pinthus. Il colore acido, burrascoso, stilizza corpi, alberi, case e strade di Berlino.
Donne come rapaci notturni e chic. Ecco Emil Nolde, i suoi mari esotici, le violente scene religiose coperte di un colore lavico, così di lusso da sembrare minaccioso. E poi Max Pechstein, il più «francese» di tutti. O Erich Heckel, che sa come stringere l'uomo e la natura in limpide architetture. Infine Karl Schmidt-Rottluff con le sue campiture monumentali, di colore profondo e puro.
Nel 1913 il gruppo si scioglie, ognuno va per sé. Nel frattempo, da un paio d'anni, se ne è formato un altro. Si chiama Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro). Ne fanno parte Wassily Kandinsky, la sua compagna Gabriele Münter, Franz Marc, Alexej Jawlensky, Paul Klee.
Nelle febbrili mani di Kandinsky, dal cosiddetto periodo di Murnau alle prime «improvvisazioni», il colore espressionista sente di poter slacciare il proprio splendore dal mondo reale. Come la musica. Capta non più il flusso di un'esistenza singola ma una specie di energia cosmica, senza nome. A rigore, il vero espressionista della situazione (nonché un po' futurista e un po' cubista) è Marc, con la bellezza iridescente del suo bestiario divino e metallico.
La catastrofe è qui? L'Apocalisse è ora? Ne sono convinti dei duri come Ludwig Meldner, Otto Dix, Georg Grosz (qui ci stava benissimo il più epico di tutti, Max Beckmann, e invece non c'è). Sembrano respirare solo in un clima da regolamento di conti.
Con loro l'Espressionismo passa al fuoco della Grande Guerra e immette nel corpo dell'arte massicce dosi di sdegno furibondo e di ribrezzo per il genere umano, previsioni di bombardamenti a tappeto, attese di rivoluzioni, con il gusto aspro per l'invettiva antiborghese, la protesta sociale. Si può già sentire l'urlo espressionista confondersi con il crepitio delle mitragliatrici piazzate a ogni angolo di strada nella Repubblica di Weimar.

[ Marco Di Capua
da PANORAMA del 10.10.2002
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[ K. Schmidt-Rottluff - Sera blu ]

[ M. Pechstein - Donna nuda ]

[ E.l. Kirchner . Nudi nel bosco ]

[ E. Heckel - Autoritratto ]

[ A. Jawlensky - Il guanto bianco ]

[ E. Nolde - Le monete del tributo ]

[ O. Dix - La ragazza e la morte ]
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