E adesso ammazzateci tutti».
Di slogan, parole dordine, frasi urlate tra lindignazione,
la paura e la disperazione, ne ho lette e sentite tante ai funerali
dei morti per mano di mafia.
Al funerale del dirigente
comunista siciliano Pio La Torre, a quelli dei magistrati Falcone
e Borsellino, tante cerimonie per seppellire le vittime delleterna
guerra che Cosa Nostra, Camorra e Ndrangheta combattono
contro lItalia e gli italiani. Ho visto le lenzuola bianche
dei palermitani che non avevano più parole da dire e da
scrivere dopo la strage di Capaci, ho sentito le frasi ritmate
e urlate come allo stadio, a Forcella, ai funerali di Annalisa
Durante, ragazza di quindici anni vittima innocente di una faida
di camorra. Ho visto la gente muta e a testa bassa a Lamezia
Terme ai funerali dellispettore Aversa e di sua moglie.
Ma parole come quelle no, non le avevo mai viste prima.
«E adesso ammazzateci
tutti». Un lenzuolo bianco, la scritta con lo spray nero.
Dietro, a reggerlo, quattro ragazzi e una ragazza. Facce commosse,
indignate, preoccupate. Facce comuni di ragazzi doggi.
La maglietta bianca e i jeans stinti del primo, i capelli ricci
e gli occhiali neri e il pizzetto alla moda del secondo, la faccia
da bravo ragazzo del liceo e i capelli corti del terzo, la chioma
nera e gli occhi pieni di lacrime dellunica ragazza. «Ammazzateci
tutti». Voi che dominate il nostro territorio, voi che
controllate economia, politica, istituzioni, voi don, mammasantissima,
capibastone, voi che disponete di ricchezze immense, di eserciti,
di squadroni della morte, voi che avvelenate la nostra gioventù
con le droghe, ecco: voi che avete rubato la nostra vita e il
nostro futuro, ora uccideteci. Parole disperate. Quale altro
giudizio si può dare? Se dei ragazzi che hanno la vita
davanti a sé, la bellezza, la forza della salute, la potenza
della conoscenza che a fatica conquisti giorno dopo giorno, libro
dopo libro, scrivono quelle parole e le mostrano allintero
Paese, quasi ad urlare allItalia, alla politica, alla cultura,
alleconomia che hanno cancellato dai loro progetti la Calabria,
allora è finita. Penso a tutto questo, mentre sono a Locri,
Calabria, cuore della Ndrangheta, la mafia più potente
tra le mafie mondiali, nel giorno dei funerali di Francesco Fortugno.
Franco, un medico di 54
anni appassionato di politica che da pochi mesi è il vicepresidente
del Consiglio regionale della Calabria. Lo uccidono il 16 ottobre.
Un giorno particolare, il giorno che lUnione ha scelto
per fare le sue primarie. Prodi, Bertinotti, Mastella, Scalfarotto,
Panzini: è la prima volta che lItalia, dal Trentino
alla Sicilia, partecipa a questo esperimento allamericana
per decidere chi sarà il leader di uno schieramento. Milioni
di persone si mettono in fila davanti ai seggi improvvisati in
sedi di partito, circoli, uffici dei comuni, finanche case e
studi privati. E una festa. Quella domenica pomeriggio,
Franco Fortugno è davanti al seggio di Locri. Ha votato,
ha fatto votare, ha stretto mani, salutato amici, conoscenti,
semplici elettori. Sorride a tutti. Forse anche a quelluomo
giovane tutto vestito di nero, il cappellino calcato in testa
a coprire metà del volto che si avvicina al seggio. E
il killer venuto dalla notte della mafia. Spara cinque colpi
con la precisione del chirurgo: cinque colpi, tutti andati a
segno. Poi indietreggia e con calma va via. Il corpo del medico
Fortugno è a terra. E il primo delitto politico
eccellente della Ndrangheta.
«Non è così.
Non può essere così. Non deve essere così».
Nicola Adamo è un uomo politico calabrese che ha fatto
la gavetta del funzionario del Pci fin da ragazzo.
Oggi è vicepresidente della Giunta regionale calabrese.
Conosce la sua terra, i suoi umori, le sue eterne contraddizioni
palmo per palmo, ne sa decifrare le parole e i silenzi. «Bisogna
fare qualcosa», mi dice, «reagire, coinvolgere intellettuali,
forze vive, calabresi che hanno avuto fortuna, che si sono affermati
nel mondo per circondare questi ragazzi di affetto e attenzione,
per fargli sentire che non sono soli. Che noi, la politica, vogliamo
combattere la Ndrangheta, rinnovare questa terra. E vogliamo
farlo con loro. No, quelle non possono e non devono essere parole
disperate. Quello slogan deve diventare la bandiera della nostra
resistenza contro la Ndrangheta. Ammazzateci tutti, perché
noi vi combatteremo sempre, perché con voi la Calabria
muore». Nicola non è un ottimista di natura, ma
è una persona tenace e combattiva. Quei volti visti al
funerale di Fortugno, le facce dei ragazzi, la loro disperata
indignazione, lo hanno colpito. «Dobbiamo fare qualcosa,
dare un risposta ferma», mi dice mentre ci salutiamo.
Penso che sia giusto, che tutti anche i noi giornalisti
dobbiamo fare di più per questa terra, perché
qui tra le foreste dellAspromonte e il mare di questi
paesi che una volta furono Magna Grecia - si sta giocando una
partita che non riguarda solo la Locride o la Calabria, ma lItalia
intera. E penso anche che questo Paese debba francamente vergognarsi.
Per le complicità con la mafia di tanti uomini politici,
per le sue distrazioni (sono cose dei calabresi), per il livello
della sua informazione che ha bisogno del morto eccellente o
di una alluvione, un terremoto preferibilmente con dei bambini
sotto le macerie, di una catastrofe per parlare di Sud; per lassenza
del capo del governo ai funerali di Fortugno e per le parole
scritte sullo striscione dei ragazzi di Locri.
«E adesso ammazzateci
tutti», in quale altro paese civile si scrivono parole
così? E le scrivono dei ragazzi, il futuro del mondo,
come recita la retorica. La futura classe dirigente. Il domani.
Sì, questo paese, il paese delle collusioni, delle leggi
vergogna, dellincoerenza assunta come valore, del passaggio
repentino da una bandiera allaltra, degli uomini politici
che stringono le mani ai boss per qualche voto, deve vergognarsi.