Quando la pelle di una bambina non fa che
piangere dell'insulto che l'ha segnata a solchi, a graffi, a
innocenza imbrattata. Quando non fa che dire, una bambina - e
magari bisbigliandolo e magari adenti stretti - di una paura
incastrata tra lo stomaco e poco più sotto.
Quando quella bambina rivela sottovoce di un rancore che le cresce
dentro e non è solo per la ferocia che l'ha inchiodata
a terra un giorno - o forse più giorni - ma è perché
lei non poteva fare altro che assistere impotente alla propria
agonia di femmina non ancora femmina, di donna non ancora donna
e di bambina non più bambina. Quando sussurra ad occhi
chiusi, le ciglia incollate a serrare una vista che ha già
guardato troppo più avanti dei suoi dieci anni, che le
è rimasto impresso addosso un tormento, un sospeso di
sé, un buco lasciato timbrato indelebile tra le braccia,
la pancia e le gambe. Quando i suoi sogni non sono diventati
altro che una fuga continua in cerca di un nascondiglio e di
una nuova faccia da mettere su al posto di quella violata "ché
magari così non mi riconoscono e non mi fanno più
diventare un animale da sacrificare, da strappare a morsi, perché
sono proprio morsi quelli che m'hanno dato al fianco e ai miei
giochi!". Quando le sue mani battono insistenti il ritmo
di una richiesta d'ascolto e battono forte sui muri, sulle porte,
su tutto quello che può fare rumore e alla fine battono
sul cuore di due persone che potrebbero esserle genitori.
Quando, dall'altra parte, una siderale ragione di stato.
|
Abbiamo voluto
riportare questo breve, intenso, scritto di Ilaria (mi permette
il tu?) perché ci ha fatto male, fatto male dentro. E'
un dolore, però, che non vogliamo, non dobbiamo, dimenticare. |