ROMA AL TIMAVO

APPUNTI DI RICERCA

Indice

 

 

ABITARE SUL LACUS TIMAVI

Valentina Degrassi

 

Le modalità d'insediamento che caratterizzano il Lacus Timavi e l'area limitrofa in epoca romana si basano sull'adozione del sistema della "villa rustica": specie di microcosmo autosufficiente, composto dall'edificio in se stesso e da una proprietà terriera annessa, che oltre a soddisfare il fabbisogno interno, provvedeva alla produzione di un surplus destinato all'esportazione di piccola e media portata.


Gli scavi archeologici, recenti e passati, condotti nella nostra zona, hanno evidenziato resti riferibili a parecchie ville delle quali sono state indagate soprattutto le aree residenziali (pars urbana): non va tuttavia dimenticato che quasi mai è stata riportata alla luce la totalità dei complessi, fatto che avrebbe potuto illuminare sulle capacità di sfruttamento delle risorse di terra e di mare annesse alle proprietà (pars rustica). E' infatti possibile che sul Lacus Timavi si affacciassero anche ville maritimae, caratterizzate quindi da un maggior sviluppo delle aree residenziali e da un sistema di produzione incentrato sull'attività ittica, data la vicinanza del mare
1. In tal senso non va sottovalutata la piccola portualità che caratterizza tutte le ville "di costa" riportate alla luce, fatto che pone l'accento sulla mobilità che le caratterizzava rispetto le ville dislocate lungo percorsi di terra2 e di conseguenza, sulle capacità di stoccaggio e di smistamento di prodotti anche estranei alle singole produzioni di ciascuna di esse.
Il modello abitativo che gli scavi, recenti e passati, hanno riportato alla luce, è caratterizzato dalla villa di media grandezza: l'isoletta che divideva il Lacus Timavi dal mare aperto, la prima delle Insulae Clarae della costa nord orientale dell'Adriatico, ospitava ville dotate di complessi termali, famosi per le proprietà medicamentose delle loro acque. Altre ville contornavano la sponda settentrionale del Lacus, sfruttando le estreme pendici del Carso monfalconese; altre ancora si susseguivano lungo la zona costiera che proseguiva verso Trieste. Un gruppo a se, forse strettamente legato all'organizzazione delle vicine cave, era dislocato presso Aurisina, lungo la via publica che dirigeva verso Prosecco.
Allo stato attuale delle ricerche sembra difficile proporre tipologie architettoniche fisse, causa soprattutto la parzialità delle indagini archeologiche fatte su ogni singolo complesso. In linea generale sembra aver goduto particolare fortuna la villa sviluppata su terrazze, scelta favorita dalla morfologia del Carso giuliano, o con planimetria ad U, cioè articolata intorno ad un'area scoperta centrale, porticata o meno, modello questo ampiamente attestato in tutta l'Italia Nord-orientale
3.
Una caratteristica che ricorre costante in questi complessi è la cura generale prestata alla realizzazione delle aree residenziali, testimoniata dall'introduzione di ampliamenti e migliorie tecnologiche nelle fasi successive ai primi impianti
4, dalla costante presenza di mosaici, dal riconoscimento di avancorpi panoramici o di portici, provati dal rinvenimento di basi calcaree di colonna, seppur in fasi di distruzione.
Un'altra evidenza che si ripete con continuità è la presenza di strutture che testimoniano forme di interazione con il mare: piccoli bacini-vivai o approdi privati che permettevano di prolungare, fino alla parte più interna dell'arco adriatico, quel sistema di lagune e di navigazione a piccolo cabotaggio ad esse collegata, che prendeva avvio da Ravenna
5 ed aveva il suo naturale proseguimento, pur nelle mutate condizioni ambientali, nella fitta rete portuale che caratterizzava la costa istriana. In tal senso, l'area del Timavo con il suo porto si poneva come cerniera tra due mondi diversi e complementari: tra i navicularii che seguivano la costa frastagliata dell'Adriatico orientale, ricca di promontori ed insenature, ed i nautae che con le loro imbarcazioni a fondo piatto, solcavano i canali delle lagune venete nord-occidentali e che già agli occhi dei contemporanei parevano navigare fra i prati (Cassiodoro, Variae XII, 24)6.

Dati sulla presenza di un fundus, in termini di aree coltivabili annesse alla villa, sono stati desunti, a livello archeologico, solo per la villa dell'Enel di Monfalcone, grazie al riconoscimento dei magazzini per lo stoccaggio di derrate alimentari e, per via trasversale, dal ritrovamento della fornace del Locavaz che, con ogni probabilità, produceva anfore anche per la commercializzazione di prodotti dell'entroterra. A ciò si aggiunga l'ultima fase della villa del Randaccio, a carattere produttivo anche se di dubbio riconoscimento, mentre pur nell'assenza di dati archeologici sicuri, va ricordata la villa segnalata dal Puschi presso Canovella degli Zoppoli, dotata di vani con dolii incassati nel pavimento, quindi ancora a scopo conservativo, e il Praedium Sextilianum (da cui Sistiana), proprietà terriera dei Sextili annessa ad una villa, la cui localizzazione andrebbe a colmare il vuoto archeologico rappresentato dall'omonima baia, ben percepibile alla sola lettura cartografica
7. Anche nella villa della Punta a Monfalcone, in un complesso nettamente separato dalla pars urbana, sembra di poter riconoscere l'area riservata alla produzione, dove alcune strutture
possono forse essere riconducibili ad un torchio
8.
Qualche elemento in più sul potenziale produttivo dell'area viene fornito dalle fonti: grazie a Plinio (NH.XIV.3.50; NH.IV.6.60; NH.XVII.4.31) molto conosciamo sulla produzione in età augustea del Pucino, vitigno coltivato esclusivamente nella zona tra il Villaggio del Pescatore e Duino
9, mentre forme di attività ittica sono desumibili sulla base di Marziale (Ep.XIII.89), che decanta il lupus (branzino) del Timavo, pesce famoso per la qualità delle sue carni bianche10, e di Cassiodoro (Variae, XII, 22) che, sebbene in epoca molto più tarda ed in un contesto esteso all'Istria, sottolinea la facilità di allevamento di molluschi e pesci11. Molto diffuso doveva essere inoltre l'allevamento ovino: ancora da Marziale (Ep.VIII.28.7-8) sappiamo infatti che nella zona limitrofa al Timavo si producevano grandi quantitativi di lana12. E' probabile che le prime fasi del processo di lavorazione si svolgessero direttamente nelle ville13, che quindi dovevano essere attrezzate per garantire tosatura, lavaggio preliminare, cardatura e pettinatura della lana. Per quanto concerne invece, le complesse fasi di tinteggiatura, nelle quali era basilare l'impiego del "succo" del murex, mollusco ampiamente attestato, ad esempio, nello scavo della via di via Colombo di Monfalcone o nella "casa Pahor" al Villaggio del Pescatore, vanno ricordate le ville della costa triestina ed istriana14, spesso dotate di strutture interpretabili come fulloniche, alle quali, proprio in virtù di questa fitta rete di piccoli scali, facilmente arrivavano la lana "grezza", se non addirittura quantitativi del prezioso mollusco.
Anche le cave di Aurisina si integrano in un quadro di sfruttamento di ogni risorsa esistente nel fundus: durante gli scavi all'omonima villa, il rinvenimento di materiale lapideo semilavorato ha suggerito la possibilità che vi risiedessero anche persone in qualche modo legate con lo sfruttamento delle cave
15.
Per quanto concerne la cronologia, possiamo individuare nella seconda metà del I secolo a.C., con particolare riferimento all'età augustea, un momento di espansione edilizia iniziale, forse favorito dal ripristino e dal potenziamento dei collegamenti stradali voluto da Augusto. Tra I e II secolo l'area si mantiene vitale: in tale periodo infatti si inquadrano fasi di ristrutturazione ed ampliamento riconoscibili in numerose ville della zona, alle quali però fanno riscontro anche alcuni casi di abbandono dei complessi. Per quanto concerne i secoli successivi, solo in pochi casi la vita si prolunga fino al III, mentre il IV secolo sembra caratterizzato da una crisi generalizzata: solo la villa del Randaccio a Duino Aurisina testimonia il perdurare di attività produttive anche se di dubbia identificazione.



1 F. Fontana 1993, sul concetto di villa maritima vedi in particolare pp.201 e ss.
2 Si veda il caso della villa segnalata da A. Puschi (Scoperte archeologiche, "A.Tr" 18, 1892, pp.264-265) presso la baia di Canovella degli Zoppoli: chi ha presente la conformazione della costa in quel punto, può facilmente comprendere come un collegamento via terra fosse estremamente difficoltoso. Molto più agevole quello via mare, soprattutto considerando che la villa, se l'intuizione di F. Scotti (1979, p.361 e nt.41 p.375) si rivelasse esatta, era posta sul terminale del tragitto compiuto dai blocchi, provenienti dalle cave di Aurisina, per raggiungere le aree d'imbarco.
3 M.J. Strazzulla, C. Zaccaria 1983/84, pp.118 e ss.
4 E' il caso della villa di Via delle Mandrie ad esempio, che introduce in seconda fase il sistema di riscaldamento basato sull'utilizzo dell' ipocausto, adattando a piccola zona termale un'ala della casa.
5 Sulla navigazione endolagunare, G. Uggeri 1978, Aquileia e Ravenna: via di terra e vie d'acqua, in AAAd 13, pp. 47-79; Idem 1987, La navigazione interna della Cisalpina, in AAAd 29, pp.305-354; Idem 1990, Aspetti archeologici della navigazione interna nella Cisalpina, in AAAd 36, pp.175-196. Vedi anche G. Rosada 1988, La direttrice endolagunare e per acque interne nella decima regio maritima: tra risorsa naturale e organizzazione antropica, in La Venetia nell'area padano-danubiana, le vie di comunicazione, (Atti del convegno internazionale, Venezia 6-10 aprile 1988) Padova, pp.154-182.
6 A. Mastrocinque 1990/91, Vie d'acqua e battellieri nel Polesine romano, "Padusa" 26/27 n.s., pp.317-330. Sulla "stazioni di laguna" vedi A. Marchiori, Sistemi portuali della Venetia romana, in AAAd 36, 1990, pp.197-226. Il sistema di lagune in epoca romana si chiudeva con la laguna di Marano, essendo quella di Grado di formazione più recente: R. Marocco, Evoluzione tardo pleistocenica-olocenica del delta del fiume Tagliamento e delle lagune di Marano e Grado (Golfo di Trieste), "Il Quaternario" 4(1b), 1991, pp.223-232
7 P. Kandler, G. Sforzi 1842, p.4: anche in questo caso i resti descritti si rifanno ad una realtà residenziale collegata molto probabilmente ad un piccolo scalo portuale.
8 Fino ad oggi manca una pubblicazione esauriente del complesso: i pochi elementi interpretativi sono deducibili sulla base del rilievo pubblicato in L. e P. Bertacchi 1988. Altre preziose informazioni sono desumibili sulla base delle fotografie di scavo conservate nell'archivio fotografico del Museo di Aquileia.
9 La localizzazione dell'area di produzione del Pucino va di pari passo con la localizzazione di Castellum Pucinum, località nominata nella Tabula Peutingeriana e negli itinerari, e riconosciuta ora in Prosecco, ora in Duino. Per quanto concerne l'area di produzione, in C. Marchesetti 1877, Del sito dell'antico Pucino e del vino che vi cresceva, "A.Tr" n.s. 5, p.431 e ss., si propone la Val Catino quale unico sito adatto alla coltura di questo particolare vitigno, in grado di rispecchiare le caratteristiche riportate dalle fonti. Da ultimo vedi F. Maselli Scotti 1992, passim.
10 V. Vedaldi Jasbez 1994, s.v. "Timavus", n.141.
11 Strutture forse riconducibili a recinti di allevamento del pesce sono emerse nella villa di via Colombo a Monfalcone. Vasche per la preparazione del garum, la nota salsa di pesce, sono state invece riconosciute nel complesso di Cedas: Fontana 1993 cit., p.182 e nt.627.
12 Vedaldi Jasbez 1994 cit., s.v. "Timavus" n.140.
13 A. Giovannini 1993. pp.9 e ss.
14 Fontana 1993 cit., pp.184-185, p.186 nt.641, p.194.
15 F. Maselli Scotti 1976, p.63 e ss.; F. Maselli Scotti 1979 pp.358-360.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

L. BERTACCHI 1974, Un anno di scavi archeologici ad Aquileia, in AAAd 5, 1974, p.392 e ss.
L. BERTACCHI 1979, Presenze archeologiche romane nell'area meridionale del territorio di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp.259-289
L. E P. BERTACCHI 1988, L'imbarcazione romana di Monfalcone, Udine
A. DEGRASSI 1955, I porti romani dell'Istria, in AA.VV Anthemon, Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze, pp.119 e ss.
A DEPRETIS 1991, Attività del Gruppo di ricerche archeologiche di Monfalcone negli anni sessanta, in Ad Aquas Gradatas, segni Paleocristiani a S.Canzian d'Isonzo, S. Canzian d'Isonzo, pp.70 e ss.
M. DORIA 1985, Noterelle toponomastiche 2, Sistiana, "QGS" 6, pp.133-136
F. FONTANA 1993, La villa romana di Barcola, a proposito delle villae maritimae della Regio X, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 4, Roma
A .GIOVANNINI 1993, L'allevamento ovino e l'industria tessile in Istria, "AMSIA" 93, 41 n.s., pp.7-34
P. KANDLER, G. SFORZI 1842, Esplorazioni di antichità nella città ed agro tergestino, Trieste
F. MASELLI SCOTTI 1976, Lo scavo di un edificio romano ad Aurisina, "AMSIA" 76, p.63 e ss.
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp.345-381
F MASELLI SCOTTI- VENTURA 1991, Randaccio - Scavi 1990, "AMSIA" 91, n.s. 39, pp.264-266
F. MASELLI SCOTTI 1992 (1990), Due fortificazioni tardo antiche ad oriente di Aquileia, in Felix temporis reparatio, Atti del convegno "Milano capitale dell'Impero romano", Milano 8-11 marzo 1990, Milano, pp.369-373
A MARCHIORI 1982, Le terme romane di Monfalcone, "Aq.N" 53, 1982, cc. 102-128
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/84, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT" Quaderno XIII-2, pp.113-170
V. VEDALDI JASBEZ 1994, La Venetia orientale e l'Histria. Le fonti greche e latine fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 5, Roma
M. VERZAR BASS 1986, La trasformazioni agrarie tra Adriatico nord-orientale e Norico, in A. Giardina (a cura di), Società romana ed Impero tardoantico. Le merci, gli insediamenti, 3, Roma-Bari, pp.647 e ss.
M. VERZAR BASS 1994, E.A.A. II suppl. 1971-1994, s.v. "Venetia et Histria"

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

LE VILLE DEL "LACUS TIMAVI"

Valentina Degrassi (VD), Paola Ventura (PV)

Il piccolo catalogo abbraccia i territori dei comuni di Duino Aurisina e di Monfalcone, limitato quest'ultimo, all'area strettamente legata al Lacus Timavi. Sono stati considerati inoltre, solo i complessi dei quali si è reso disponibile un rilievo: delle altre ville si forniscono esclusivamente notizie di carattere generale, qui di seguito.


COMUNE DI DUINO AURISINA
Alcuni rinvenimenti sicuramente riferibili ad una villa sono stati segnalati dal Kandler e dallo Sforzi nella baia di Sistiana
1. In particolare si trattava di frammenti di suspensurae, quindi riconducibili all'ala termale di un complesso residenziale, e di scarsi lacerti di mosaico. La località, segnalata come "Braida Vecchia", è stata localizzata alla base della baia, vicinissima al mare: è verosimile che il porticciolo del tipo a mandracchio segnalato dal Kandler e dalla Scrinari, costituisse l'approdo privato della villa, sull'esempio di tutti gli altri complessi considerati.
Un'altra villa va sicuramente posizionata a Canovella degli Zoppoli, sul primo terrazzo prospiciente il mare
2. Segnalata dal Puschi, sappiamo che si ornava di un mosaico "a stelle nere" e di altri tre vani pavimentati in mosaico monocromo bianco e cornice nera. Il Puschi ne individuò anche l'ala "rustica", dove vide, prima che venissero distrutti, alcuni dolia incassati nel terreno utilizzati, presumibilmente, per la conservazione di derrate alimentari. Il complesso era dotato anche di un sacello di culto, come testimonia un frammento di bacile in pietra offerto alla Bona Dea da parte di Ursa, rinvenuto sul posto3. Con l'individuazione di questa villa prende corpo il suggerimento espresso da F.Scotti sull'esistenza di uno scalo romano a Cannovella, forse da collegare all'attività estrattiva della cava di cui lo scalo poteva costituire il terminale d'imbarco4.
Un altro complesso di grandi dimensioni è stato segnalato dal Kandler sulla costa di Santa Croce: attualmente sono in corso accertamenti per individuarne la posizione ed eventualmente, rilevarne i resti subacquei. Oltre a questi rinvenimenti, va infine citata la necropoli segnalata da A. Schmid (1975) presso Slivia: non è possibile dire se questa fosse riferibile ad una villa o semplicemente alla via interna che dirigeva verso Fiume. In ogni caso è probabile che l'area fosse in uso ad una comunità in qualche modo legata alla stazione doganale di Prepotto.

COMUNE DI MONFALCONE
Dagli appunti manoscritti di A. Puschi apprendiamo dell'esistenza di una villa vicino all'attuale stazione ferroviaria di Monfalcone. Gli scavi da lui eseguiti, inediti e per questo estremamente difficili da interpretare, hanno messo in luce, molto probabilmente, l'area di un peristilio ornato da una balaustra in calcare. Da questa villa proviene un frammento di iscrizione pubblicato da P. Sticotti, riferibile al genio tutelare. Il gentilizio, purtroppo frammentario, rimanda alla gens Pomponia o Pompeia
5.
Un altro complesso di grandi dimensioni doveva trovarsi sotto le pendici del colle della Rocca, nell'area dell'attuale Piazza del Popolo, del quale ce ne da notizia il Del Ben. Il rinvenimento di fistulae in piombo con bollo ci permette di inquadrare la villa nell'ambito del I secolo d.C.
Un altro rinvenimento di estremo interesse va posizionato nell'area limitrofa alla chiesa della Marcelliana
6. Il rilievo, molto frammentario, è riconducibile ad un cortile porticato sul quale si affacciava un ambiente mosaicato. Il mosaico b/n con motivo ad ottagoni collegati da squadre, inquadranti un quadrato (o rettangolo) con losanghe di risulta agli angoli, è databile nell'ambito del II d.C. La posizione di questo complesso assume particolare interesse nel quadro di identificazione di un possibile paleo-delta del ramo isontino che avrebbe sfociato nel Lacus Timavi: è probabile infatti che il corso d'acqua scorresse tra l'area della Marcelliana che, ricordiamo, è sede plebanale, e le pendici dei colli monfalconesi.

VD

1 Su questa villa vedi F. Fontana 1993 passim, con bibliografia precedente. Un ringraziamento a C. Pristavez, socio del GSF, che ci ha fornito il materiale cartografico necessario alla sua localizzazione.
2 La villa è stata recentemente posizionata grazie ad un sopralluogo del GSF: frammenti di embrici sono a tutt'oggi adoperati nei muretti divisori dei campi. Su questa villa e sulla successiva è in corso uno studio particolareggiato: cfr. S. Flego, L. Rupel, M. Zupancic, Contributo alla topografia dei siti archeologici sul declivio tra Sistiana e Grignano (cc. Santa Croce ed Aurisina), c.s.
3 P. Sticotti, p.210 nt.3: "il nome della località è Srednje, "campi di mezzo", ma il vocabolo più antico sarebbe Conovello..."
4 F. Maselli Scotti 1979, p.357.
5 P. Sticotti 1908, p.282 e ss.
6 L. Bertacchi 1979, p.285

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

L. BERTACCHI 1979, Presenze archeologiche romane nell'area meridionale del territorio di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp. 259-289
F. DEL BEN 1790, Notizie storiche e geografiche della Desena e Territorio della Terra di Monfalcone, Manoscritto, Biblioteca comunale di Monfalcone
P. KANDLER, G. SFORZI 1842, Esplorazioni di antichità nella città ed agro tergestino, Trieste
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio di sud-orientale di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp. 345-381
A. PUSCHI 1892, Scoperte archeologiche a Trieste e nel suo agro, "A.Tr" n.s. 18, pp.264 e ss.
A. SCHMID 1975, S. Antonio Abate sopra Slivia. Ricerche storico - topografiche, "Alpi Giulie" 69/1
V. SCRINARI 1951, Tergeste, Roma-Spoleto
P. STICOTTI 1908, Antichità scoperte a Trieste e nel suo agro, "A.Tr" 4, s. III, pp.279-288
P. STICOTTI 1911, Recenti scoperte di antichità avvenute a Trieste e nel suo territorio, "A.Tr" 6, s. III, pp.171 e ss.
1 Su questa villa vedi F. Fontana 1993 passim, con bibliografia precedente. Un ringraziamento a C. Pristavez, socio del GSF, che ci ha fornito il materiale cartografico necessario alla sua localizzazione.
2 La villa è stata recentemente posizionata grazie ad un sopralluogo del GSF: frammenti di embrici sono a tutt'oggi adoperati nei muretti divisori dei campi. Su questa villa e sulla successiva è in corso uno studio particolareggiato: cfr. S. Flego, L. Rupel, M. Zupancic, Contributo alla topografia dei siti archeologici sul declivio tra Sistiana e Grignano (cc. Santa Croce ed Aurisina), c.s.
3 P. Sticotti, p.210 nt.3: "il nome della località è Srednje, "campi di mezzo", ma il vocabolo più antico sarebbe Conovello..."
4 F. Maselli Scotti 1979, p.357.
5 P. Sticotti 1908, p.282 e ss.
6 L. Bertacchi 1979, p.285

 

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DI AURISINA 1


Nel 1976, in occasione di lavori edilizi, è stato parzialmente indagato sul lato destro dell'attuale strada provinciale un edificio che doveva sorgere già in antichità lungo la via che si dirigeva dal Lisert verso Trieste sul costone carsico.
Vennero messi in luce tre vani contigui, con muri in conci calcarei legati da malta; uno degli ambienti era pavimentato con tessere in cotto e riquadro centrale a mosaico bianco-nero ornamentale, i due adiacenti in cocciopesto; dal primo si dipartiva una canaletta. Più ad Ovest sorgeva un altro vano di maggiori dimensioni, di cui è nota solo parte del perimetro, probabilmente da collegare ai tre già menzionati, che comunque trovavano prosecuzione a Nord e ad Ovest.
Una datazione piuttosto antica dell'impianto, oltreché dal tipo di pavimentazione del primo vano, è resa possibile dai frammenti di ceramica a vernice nera trovati nelle fondazioni, che rimandano al I sec. a.C.; la durata dell'edificio, o almeno di questa sua parte, è limitata a pochi decenni, in quanto nello strato di crollo si è rinvenuta una moneta di Augusto, databile fra 10 e 3 a.C.. I restanti materiali rinvenuti negli strati di frequentazione - particolarmente abbondante la sigillata nord-italica - confermano una datazione entro la metà del I sec. d.C.; allo stesso ambito cronologico rimanda una fibula di tradizione tardo La Tène. Di particolare interesse è il rinvenimento di una gemma incisa con figura femminile (forse Diana o Nemesi), databile agli inizi del I sec. a.C., e di due elementi decorativi bronzei (una cornice curvilinea ed un elemento circolare a decorazione vegetale), recuperati in una buca a breve distanza dall'area di scavo.
Tutti questi elementi portano ad una definizione dell'edificio - per il quale, seppure solo parzialmente indagato, si può ricostruire un'area di 300 mq c.ca - come zona abitativa di una villa di elevato livello; è presumibile che la ricchezza del dominus fosse connessa con l'attività estrattiva delle vicine cave, il cui sfruttamento inizia come noto in epoca cesariana - si segnala peraltro la presenza di rocchi di colonna ed elementi semilavorati.
L'edificio è attualmente interrato, in un'area parzialmente edificata.

PV

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

A. GRILLI, G. MENG,1978/79, La strada romana sul Carso triestino, "Atti CeRDAC" 10, p. 70
F. MASELLI SCOTTI 1976, Lo scavo di un edificio romano ad Aurisina, "AMSIA" 76, pp. 61-80
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp. 358-361
F. MASELLI SCOTTI 1981, Villa rustica (scavo 1976): Aurisina, Duino-Aurisina (Trieste), "Relazioni" 1, pp. 75-80
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/84, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT" Quaderno XIII-2, pp.157 n.7

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

 

CASA DELLA TORRE PIEZOMETRICA 2


Il sito, collocato a monte della strada statale immediatamente prima dello svincolo autostradale per Trieste ed oggetto di un rinvenimento casuale nel 1973, era occupato da un edificio costruito con muri a secco in pietre calcaree ben squadrate, conservati fino ad un metro in altezza: si sono riconosciuti quattro vani, di cui due scavati: solo uno di essi presentava il pavimento in lastre calcaree, mentre degli altri ci si limitava ad individuare le soglie; veniva inoltre rilevato un probabile focolare o resti di forno. Tra il materiale recuperato - non più rintracciabile - si segnalano frammenti di ceramica a vernice nera (fra cui una coppa Lamboglia 2 ?), che permettono una datazione dell'edificio alla seconda metà del I sec. a.C.; erano inoltre presenti ceramica grezza, frammenti di anfora, laterizi.
Mancano elementi più precisi per una definizione tipologica dell'insediamento; la sua posizione in passato ha fatto propendere per l'interpretazione come villa costiera, tuttavia le ipotesi più recenti vi riconoscono un insediamento di genti locali, con tecniche costruttive di tradizione protostorica.

PV


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

D. CANNARELLA 1975, Guida del Carso triestino, Trieste, pp. 169-170
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp. 357-358
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/84, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT" Quaderno XIII-2, p. 158 n.9


Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DEL RANDACCIO 3

 

A monte della ss.14, nell'ambito del parco dell'acquedotto Randaccio, dove è venuto casualmente alla luce a seguito di uno scasso, è stato indagato a più riprese fra il 1977 e il 1994 un edificio di notevole levatura, adagiato sul declivio del costone carsico di cui sfrutta in parte la naturale pendenza, seguendo un orientamento N65°W-S65°E. Il complesso - del quale si sono riconosciuti 40 vani, su una superficie totale di oltre 1300 mq - risulta fino ad ora delimitato solo sui lati NW e NE, mentre non ne è nota l'estensione in direzione SE e SW. Esso è costruito su tre livelli, con vani parzialmente incassati nella roccia di base e circoscritti da muri in conci calcarei legati da malta; a causa della morfologia del terreno e delle modalità costruttive - nonché di quelle di abbandono e distruzione, che sembrano essere state graduali - la sua conservazione e leggibilità non sono uniformi: nella fascia più alta sono conservati solo i muri a livello fondazionale e non i pavimenti, in quella bassa le strutture sono in parte sommerse dall'acqua di falda, alimentata anche dalle sorgenti carsiche che vengono incanalate nell'acquedotto.
Una lettura delle strutture e delle loro sovrapposizioni ha permesso di distinguere quattro fasi principali: la più antica è caratterizzata da vani di piccole dimensioni, forse pertinenti al settore rustico, come indicherebbero i pavimenti a cocciopesto ed un grosso dolio interrato; essa si data ancora all'epoca repubblicana (inizi I sec. a.C.), in base alla presenza di ceramica a vernice nera, megarese, anfore Lamboglia 2.

Veduta degli scavi della Villa del Randaccio a San Giovanni di Duino

In età augustea vengono costruiti i primi pavimenti a mosaico bianco-nero a decorazione geometrica, modificati e parzialmente rifatti in una fase successiva (fine I - inizi II sec. d.C.): si segnalano in particolare motivi a crocette, a mura merlate, a stelle di losanghe. Nella terza fase viene anche effettuato un ampliamento, con l'aggiunta dell'ala occidentale, che comprende tra l'altro un vano a suspensurae. I materiali relativi alle fasi alto-imperiali comprendono ceramica a pareti sottili, sigillata italica (Goudineau 38 e 39) e orientale (ES B Hayes 60 e 63), vetri; le anfore sono rappresentate principalmente da Dressel 6, sono attestati inoltre diversi bolli laterizi, fra cui L(UCI) ABUD(I) RUF(I) SICULEIAN(I), T(ITI) R(EGI) DIAD(UMENIANI), L(UCI) MINUC(I) PUDENTIS.
Mentre alcuni vani risultano abbandonati già alla fine del II sec. d. C. per la presenza di sigillata africana A negli strati di distruzione, alla metà del III sec. d.C. è stato possibile ricondurre alcuni pavimenti a cubetti; più in generale ad epoca tarda è ascrivibile la probabile riconversione del complesso a fini produttivi, con l'inserzione di alcune vasche ed un focolare; l'uso dell'edificio è comunque proseguito fino ad epoca costantiniana, cui rimanda una moneta.
Il complesso così individuato può avere assolto nelle sue varie fasi tanto la funzione di villa - caratterizzata dalla compresenza di pars dominica e pars rustica - quanto il ruolo di mansio, connessa al percorso Aquileia - Tergeste, identificato sul terreno e dalle fonti antiche: in rapporto a queste ultime è stata proposta l'identificazione dell'importante monumento con la Fons Timavi degli itinerari antichi, raffigurata anche nella Tabula Peutingeriana.

PV


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

L. BERTACCHI 1988, La Venetia orientale, in La Venetia nell'area padano-danubiana. Le vie di comunicazione, Convegno internazionale, Venezia 6-10 aprile 1988, Padova 1990, pp. 642-643
F. MASELLI SCOTTI 1977, Notiziario archeologico ..., "AMSIA" 77, pp. 457-459
F. MASELLI SCOTTI 1977, Notiziario. Trieste, "AqN" 48, cc. 370-371
F. MASELLI SCOTTI 1978, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, "AMSIA" 78, pp. 385-386
F. MASELLI SCOTTI 1978, Notiziario. Trieste, "AqN" 49, cc. 241-242
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd 15, 1, pp. 366-370
F. MASELLI SCOTTI 1980, Notiziario. Area dell'Acquedotto Randaccio, "AqN" 51, cc. 385-386
F. MASELLI SCOTTI 1981, Notiziario. Comune di Duino Aurisina, "AqN" 52, cc. 234-235
F. MASELLI SCOTTI 1981/82, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, Anni 1979-80. Comune di Duino-Aurisina. Acquedotto Randaccio, "AMSIA" 81/82, p. 491
F. MASELLI SCOTTI 1982, Notiziario. Trieste - Comune di Duino-Aurisina. Area dell'Acquedotto Randaccio, "AqN" 53, c. 309
F. MASELLI SCOTTI 1983, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, Anni 1980-82. Comune di Duino-Aurisina. Acquedotto Randaccio, "AMSIA" 83, p. 245
F. MASELLI SCOTTI 1985, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, Anni 1983-1985. Comune di Duino-Aurisina. Acquedotto Randaccio, "AMSIA" 51, p. 241
F. MASELLI SCOTTI 1985, Notiziario. Duino-Aurisina - Area dell'Acquedotto Randaccio (Trieste),
F. MASELLI SCOTTI 1986, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, Anno 1986. Comune "AqN" 56, cc. 449-450di Duino-Aurisina. Acquedotto Randaccio, "AMSIA" 86, pp. 157-158
F. MASELLI SCOTTI 1991, Duino Aurisina, fraz. S. Giovanni di Duino, "Relazioni" 8, p. 203
F. MASELLI SCOTTI, P. VENTURA 1991, Randaccio - Scavi 1990, "AMSIA" 91, pp. 263-266
M. MIRABELLA ROBERTI 1990, Via Gemina, in AAAd 36, p. 70
M.J. STRAZZULLA-RUSCONI, C. ZACCARIA 1983/1984, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, pp.121-122, p. 157 n.9

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

STRUTTURE "CASA PAHOR" 4


In seguito a lavori edilizi, a margine della strada che scende al Villaggio del Pescatore, è venuta alla luce parte di un edificio, indagato in due riprese (1981-1982, 1989), anche in questo caso solo parzialmente, con l'esecuzione di trincee esplorative. Nella più settentrionale di esse (trincea G) si sono rinvenuti i resti di un ambiente, che confinava con almeno altri due, con orientamento N38°E; i vani erano perimetrati da muri in conci calcarei legati da malta e costruiti sfruttando in parte il pendio, gradonato con incisione del substrato: ciò ha comportato in generale una conservazione solo a livello fondazionale. Né in pianta né in alzato sono pertanto riconoscibili diverse fasi. Tuttavia si è dimostrato interessante lo studio dei livelli sottofondazionali, sia esternamente all'ambiente meglio delimitato (con la presenza di battuti, nonché di mattoncini da suspensurae in uno strato di crollo e forse tracce di una canaletta), sia al suo interno: il materiale di riempimento è infatti rappresentato da elementi troncopiramidali in terracotta, probabili divisori di fornace, qui in posizione secondaria; è significativa per la cronologia dell'impianto la presenza di terra sigillata italica, ceramica a vernice rossa interna, ceramica comune e anfore Dressel 6A e 6B, forse ovoidali adriatiche: l'insieme del materiale consente una generica datazione al I sec. d.C.

Veduta degli scavi di Casa Pahor al Villaggio del Pescatore

Leggermente diverso si presenta il quadro nella zona immediatamente a S-SW, separata dalla precedente da una rottura di pendenza delle bancate di strato: ciò conferma da un lato una costruzione a più livelli lungo il pendio, benché non si riesca in questo caso nemmeno ad individuare una serie di vani, trattandosi solamente di tre monconi di muri paralleli alla linea di massima pendenza e di una superficie a cocciopesto, ad essi non correlata, forse preparazione per una pavimentazione maggiormente rifinita; d'altra parte si distingue la tecnica costruttiva, per l'utilizzo di muri con paramento in laterizi e riempimento a sacco in calcare. In quest'area si è inoltre definito un più lungo arco cronologico, in quanto si sono individuati - sempre nei livelli basali - ceramica grigia, ceramica a vernice nera (coppa Lamboglia 28, Lamboglia 5, Lamboglia 6?, Lamboglia 8?), generalmente ascrivibile a produzioni padane ed adriatiche, lucerna cilindrica a vernice nera ed anfore Lamboglia 2, che ci riportano nell'ambito del I sec. a.C., accanto a sigillata nord-italica decorata, ceramica a pareti sottili, anfore Dressel 6A, 6B ed italiche forse a fondo piatto (Forlimpopoli ?). Il termine cronologico più recente è rappresentato da rari frammenti di sigillata chiara A rinvenuta nei livelli superficiali. Una connotazione maggiormente utilitaria di questo settore è ipotizzabile per la presenza di fusaiole e rari resti di fauna (rare ossa, più abbondanti conchiglie di Murex).
E' infine da segnalare che altri due saggi hanno restituito solamente sacche di terra rossa con materiale ceramico protostorico (età del Ferro evoluto) e romano.
Allo stato attuale i dati in nostro possesso sono del tutto insufficienti per una definizione tipologica dell'edificio, pare trattarsi comunque della parte rustica di una villa, la cui durata si può indicare dal I sec. a.C. al III sec. d.C. E' altresì probabile che facesse parte di un unico complesso assieme ai resti del cosiddetto Palazzo di Attila.

PV

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

F. MASELLI SCOTTI 1982, Trieste - Comune di Duino Aurisina. Villaggio del Pescatore, "AqN" 53, c. 310
F. MASELLI SCOTTI 1983, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, Anni 1980-1982. Comune di Duino Aurisina. Villaggio del Pescatore (p.c. 103/1, 103/2, 104/2, 104/3), "AMSIA" 83, p. 248
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/1984, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, p. 157 n.11

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

PALAZZO D'ATTILA 5

Il sito si estende sulla cima del rilievo carsico dominante sulla baia detta "del Boccatino" o "Val Catin", interrata negli anni '50 per permettere l'estendersi del Villaggio del Pescatore. I resti attualmente visibili, attribuiti per lungo tempo ad epoca medievale, sono situati sulla cima del rilievo retrostante l'area corrispondente a Casa Pahor, precedentemente descritta. Fino al 1880 circa, tra i resti imponenti sopra la scogliera, era visibile una cavità, interpretata allora come volta di una chiesa, oggi non riconoscibile perché probabilmente interrata.
L'area fu "riscoperta" intorno agli anni '70 ad opera del CAI che vi rinvenne alcune tessere di mosaico bianche e nere. Allo stato attuale sono visibili alcuni resti di strutture murarie e pavimentali. Nella zona più occidentale sono riconoscibili due muri congiunti ad angolo retto, costruiti in pietre squadrate legate con malta, conservate per un altezza massima di sette filari. Circa sette metri ad ovest di queste strutture si osserva la presenza di un piano pavimentale in cocciopesto realizzato con pietra carsica e malta e con inclusi laterizi. In tutta l'area si notano ancora sporadici frammenti di elementi strutturali in laterizio.

Rovine del palazzo d'Attila prima della grande guerra

Alcune fotografie inedite, conservate presso i Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, risalenti a tempi precedenti alla Prima Guerra, mostrano il sito in un momento in cui lo stato di conservazione era certamente migliore: al tempo del Puschi, che scattò le foto in oggetto, l'acqua giungeva fin sotto la scogliera, alle cui estreme pendici la tradizione popolare ed il Kandler vogliono si trovassero anelli di ferro infissi nella roccia per permettere l'attracco delle navi. Le rovine, che si conservano ancora oggi con alzati di c.ca 50-80 cm, sono difficilmente interpretabili, per quanto l'estrema vicinanza delle strutture di casa Pahor lascia presumere che si tratti di un terrazzo superiore pertinente forse al medesimo complesso, considerando anche il fatto che tutta la metà settentrionale della baia fu adibita a necropoli.
Il Puschi vi riconobbe le rovine del Castellum Pucinum, seguendo quindi l'ipotesi di P. Kandler, che a più riprese collocò il borgo nella Val Catino. In effetti la consistenza delle rovine come riportata dalla foto, la datazione "alta" attribuita al complesso Pahor e soprattutto la visuale completa sia sul mare che sulla strada, assicurata dalla posizione strategica sul ciglio della scogliera, ben si adatterebbero ad un sito di carattere militare.

VD


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

R.F. BURTON 1992 (1881), Le terme romane di Monfalcone (aqua dei et vitae), Monfalcone
P. KANDLER, G. SFORZI 1842, Esplorazioni di antichità nella città ed agro tergestino, Trieste
P. KANDLER 1874, Discorso sul Timavo, Trieste
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd 15, 1 pp. 345-381

Abitare sul Lacus Timavi

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

CASA DEL LOCAVAZ 6

 

 

In località Poloska, fra le ss. 14 e 55, nei pressi di una delle due fornaci situate nel solco di Moschenizze, in occasione dello scavo di un tratto di oleodotto è stato individuato e parzialmente scavato - nel 1978 - un edificio con orientamento NO - SE, per una superficie riconosciuta di 300 mq c.ca. Si sono messi in luce tre vani contigui, in parte ricavati nella roccia di base, con muri in conci calcarei legati da malta; un ambiente era pavimentato in cocciopesto con sottofondo in scaglie calcaree, un altro - fiancheggiato da una canaletta - da un mosaico, di cui si sono potuti riconoscere solo una larga fascia bianca lungo uno dei lati brevi del vano ed una fascia nera che incorniciava sui due lati lunghi il riquadro centrale non conservato.
Fra i materiali recuperati nel corso delle indagini si segnalano frammenti di ceramica a vernice nera e a pareti sottili, di sigillata nord-italica, di vetro, oggetti in bronzo, laterizi ed elementi in marmo.
La presenza di materiali di un certo pregio può far ipotizzare un uso abitativo dell'edificio, presumibilmente connesso alla fornace individuate immediatamente a monte (di cui non si è potuta però determinare la produzione): una vasca rettangolare è stata ricollegata al deposito e decantazione dell'argilla. Non si può tuttavia escludere che tanto la villa che la fornace facessero parte di un più vasto complesso, includente anche una seconda fornace localizzata a Nord della prima e più ampiamente indagata, individuando anche uno scarico ad essa relativo: è stata così accertata la fabbricazione di laterizi, anfore Lamboglia 2 e ceramica comune.

PV

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

F. MASELLI SCOTTI 1978, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, "AMSIA" 78, pp. 387-389
F. MASELLI SCOTTI 1978, Notiziario. Trieste, "AqN" 49, c. 242
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sudorientale di Aquileia, in AAAd. 15, 1, p. 371
F. MASELLI SCOTTI 1987, La produzione del vasellame fittile nel territorio di Aquileia, in AAAd 29, 2, p. 439
M. MIRABELLA ROBERTI 1990, Via Gemina, in AAAd 36, p. 69
A. SCHMID 1979, Vecchie e nuove scoperte lungo l'antica rete stradale del Timavo, "Alpi Giulie" 73, p. 37
M.J. STRAZZULLA-RUSCONI, C. ZACCARIA 1983/84, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, p. 157, n. 10

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DEI TAVOLONI 7

 

 

La villa fu inizialmente indagata da Mirabella Roberti negli anni 50 che ne descrisse i resti, consistenti in un lungo corridoio lungo c.ca 15 metri fiancheggiato da alcune stanze. Ogni passaggio aveva una soglia in pietra, i pavimenti erano in cocciopesto, opus spicatum, e "battuto" realizzato con piccole pietre "triangolari o poligonali" irregolari bianche, inquadrato da una cornice in tassellato monocromo nero. Successivamente l'area fu ripresa dal Gruppo Archeologico Monfalconese che vi condusse alcune indagini nel 1962. In quell'occasione, si verificò che la superficie in battuto era fortemente danneggiata e fu portato alla luce un ulteriore pavimento in spicato.
Negli anni 70 la villa fu indagata quasi interamente sotto la direzione della Soprintendenza di Padova e la supervisione di L. Bertacchi. Di quest'ultima indagine esiste un'ampia documentazione fotografica ed un rilievo planimetrico, incompleto se rapportato alle fotografie, depositato presso l'archivio disegni del Museo Nazionale di Aquileia, rilievo che, ancora una volta, risulta caratterizzato da un' ampia area scoperta pseudo-quadrata attorno alla quale i vani, destinati ad uso rustico, si dispongono regolarmente.
In base ad alcune fotografie si potrebbe ipotizzare che il cortile fosse pavimentato in cocciopesto decorato da scaglie (definite nella didascalia della foto come "ciottoli di fiume"), fatto che unitamente alla descrizione di Mirabella del pavimento "a terrazzo", del tutto simile a quello della limitrofa villa di via delle Mandrie, alzerebbe la datazione del complesso alla seconda metà del I sec.a.C. Una datazione piuttosto alta è confermata dal rinvenimento, durante gli scavi del 1950, di frammenti di vetro policromo del tipo "murrino", mentre sulla base di una moneta di Claudio databile al 41 d.C. -TI. CALUDIUS CAESAR AUG. P.M.TR.P. IMP (EVENT. P.P.). Testa rivolta a sx V\ LIBERTAS AUGUSTA S.C.- si può ipotizzare che nella villa la vita perdurò almeno fino al I d.C.
Probabilmente legata a questa villa è la serie di rinvenimenti annotati da A. Puschi su uno dei suoi manoscritti: a partire dalla "vasca romana", segnalata a nord degli attuali magazzini Rosso ancora in carte del 1917, egli mise in luce un lungo muro con direzione sud-ovest provvisto o ornato da semicolonne, poste a distanze regolari verso il lato "a monte" (e quindi verso i colli), intonacate. Il muro si legava in prossimità delle Fontanelle, ad altre strutture di cotto che Puschi descrisse come "specie di molo". E' possibile che ci si trovi di fronte ad una struttura di recinzione della villa, collegata, analogamente ai complessi limitrofi, ad un piccolo scalo portuale.

VD


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

A. DEPETRIS 1991, Attività del gruppo di ricerche archeologiche di Monfalcone negli anni sessanta, in Ad Aquas Gradatas, Segni romani e paleocristiani a S. Canzian d'Isonzo, S. Canzian d'Isonzo, pp. 71-72
L. BERTACCHI 1979, Presenze archeologiche romane nell'area meridionale, AAAd 15, 1, pp. 259-289
M. MIRABELLA ROBERTI 1954, Monfalcone, Venetia, Trieste, "Fasti Archeologici" VII, p.289 c. 3731
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/1984, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, pp.113-170

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DELL'ENEL 8

 

La villa è stata distrutta dalla costruzione della statale 14 e poi da quella della centrale ENEL, durante i lavori della quale andò perduto un intero mosaico. Nel 1965, su segnalazione del Gruppo Archeologico Monfalconese, la Soprintendenza di Padova condusse gli scavi nell'area tra la recinzione della centrale e la strada: l'indagine portò alla luce muri e pavimenti in mosaico, nonchè "diversi recipienti vinari di terracotta di grandi dimensioni profondamente ancorati al suolo". Da notizie orali infine, durante i lavori di recinzione dell'ex officina Bon, si rinvennero, sempre lungo la statale, alcuni "orci" che furono distrutti durante la notte: controlli effettuati durante la costruzione dell'attuale Coop, che occupa attualmente l'area dell'officina Bon, non hanno tuttavia portato a risultati.
Ricognizioni in questa zona ne compì il Puschi negli anni tra il 1890 ed il 1907 ca. In un suo manoscritto, conservato nella biblioteca dei Civici Musei di Trieste, egli riferisce di un "lungo muro" leggibile tra casa Bonavia e le Fontanelle, che potrebbe, in via puramente ipotetica, collegare l'area di Via Colombo a questa.
Anche per questa villa, oltre al rilievo, esiste una buona documentazione fotografica conservata presso il Laboratorio fotografico del Museo di Aquileia. Tra i negativi ne va segnalato uno in particolare, dove appare chiaramente visibile un ambiente, troncato dal piano della strada statale, più bassa rispetto le quote di calpestio della villa, pavimentato con un mosaico nero a crocette (quattro tessere bianche accostate per i vertici), inquadrato da una fascia a triangoli alternati in bianco-nero e da ulteriori due fasce di collegamento alle strutture perimetrali, la prima bianca e la seconda nera ad ordito diagonale.
Il motivo a crocette, nella variante a crocette bianche su fondo nero, appare ben attestato in tutta l'area limitrofa in contesti tardo-repubblicani ed augustei: in particolare, si segnalano confronti stringenti nella villa del Randaccio, nella villa di Ronchi dei Legionari, dove appare databile nella seconda metà del I .a.C. sulla base di associazioni con tassellati ad inserzioni di scaglie, e nella villa di Barcola, dove lo si ritrova in contesti di seconda metà del I sec. a.C.

VD



BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

A. DEPETRIS 1991, Attività del gruppo di ricerche archeologiche di Monfalcone negli anni sessanta, in Ad Aquas Gradatas, Segni romani e paleocristiani a S. Canzian d'Isonzo, S. Canzian d'Isonzo, pp. 71-72
F. FONTANA 1993, La villa romana di Barcola, a proposito delle villae maritimae della Regio X, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 4, Roma
F. MASELLI SCOTTI 1978, Scavi della Soprintendenza archeologica di Trieste, "AMSIA" 78, pp. 385-386
F. MASELLI SCOTTI, P. VENTURA 1991, Notiziario archeologico. Ronchi dei Legionari. Scavo di una villa romana, "Aq.N" 62, cc. 237 e ss.
F. MASELLI SCOTTI 1995, Mosaici dell'Agro sud-orientale di Aquileia, "AISCOM", Atti del II Colloquio, Bordighera, pp.9-16

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DI VIA COLOMBO 9

La villa, indagata dalla Soprintendenza ai B.A.A.A.A.S. del Friuli Venezia Giulia nel corso di tre campagne di scavo nel 1992, 1994 e 1996, può essere strutturalmente divisa in due parti: una abitativa, confinata a Nord lungo le propaggini della dorsale carsica, ed una adibita ad attività produttive o di appoggio al sistema centrale, impostata in area umida. Quest'ultima si configura come un ampio bacino di 20 metri X 15, delimitato da strutture in blocchi calcarei alte c.ca 1 metro e 60, provvisto di un ampio varco d'entrata ad Est, e di un'apertura di sfogo di c.ca 50 cm., aperta sul lato Sud. Al momento dello scavo questa risultava in parte chiusa con un muretto a secco: se essa serviva, come probabile, a regimentare il livello delle acque interne, doveva necessariamente essere completata da strutture se-movibili in legno o in altro materiale deperibile sul tipo documentato nell'insediamento romano di Corte Caravella, dove sono stati riconosciuti con certezza sistemi di regimazione idraulica in ambiente di laguna, anche in questo caso legati ad attività di peschiere.
La sedimentazione interna del bacino è apparsa caratterizzata al letto da un orizzonte tabulare di argille torbose, fatto questo che ha permesso di ricostruire un ambiente di tipo lagunare caratterizzato da acque calme e miste: il cospicuo materiale archeologico restituito da questa unità è inquadrabile nel suo insieme alla prima metà del I secolo d.C., come provato dal rinvenimento di bolli su tegola tipo TI.NUCI; L.KARMINI; (...)TROSI; (...)RARI (GOMEZEL 1996). Nella medesima unità, l'elevata percentuale di resti malacologici riferibili a muricidi (oltre che a Cardium ed a Ostrea), ha fatto avanzare l'ipotesi che il bacino assolvesse anche a funzioni vivaistiche finalizzate alla produzione di questo mollusco, apprezzato per il suo impiego in ambito tessile.

Villa di Via Colombo a Monfalcone

 

L'area abitativa si estende a Nord e, analogamente a quanto riscontrato per le ville limitrofe, si può presupporre che anche il complesso di via Colombo si articolasse su piani diversi, conferendo mobilità strutturale all'edificio: sulla base dei rinvenimenti del 1996 è possibile proporre la presenza di un cortile o comunque di un'area scoperta a Nord dei vani 2 e 6, aperti su di esso con varchi di ampie proporzioni, dotati di soglie calcare delle quali si sono rinvenute le fondazioni. E' possibile quindi che la villa si estendesse ulteriormente a Nord, verso la via publica, racchiudendo con un altro avancorpo il cortile centrale.
Il collegamento con il bacino si attuava attraverso un corridoio, 3, sul quale affacciavano i vani 1, 2 e forse 6. Di questi il vano 1, con soglia calcarea provvista dell'incavo per una porta a battente, presentava lacerti di mosaico in tassellato bianco mentre nel vano 2 si conservava pressoché completo un mosaico a tappeto con motivo geometrico a squame bipartite. Una cornice a doppia fascia nera divideva il tappeto dalla balza marginale bianca a campitura diagonale, e presentava a contatto del disegno geometrico una sottile fascetta di tre file di tessere rosa, particolare questo la cui maggior incidenza nella nostra area ha indotto ad ipotizzare che gli artigiani potessero in qualche modo essere collegati con l'attività estrattiva delle cave di Aurisina (MASELLI SCOTTI 1994; FONTANA 1993). Rimane qualche perplessità circa la posizione di questo vano nel contesto planimetrico generale: appare infatti isolato dagli altri vani attraverso due "corridoi" di c.ca un 1 metro, fatto non facilmente spiegabile anche in un contesto di più fasi edilizie, del resto provate dal rinvenimento di strutture rasate, come nel vano 6, originariamente diviso in due, dove in seconda fase viene creato una sorta di piccolo atrio comunicante con il cortile centrale, che introduce al corridoio 3 attraverso un vano di passaggio fiancheggiato da due colonne delle quali sono stati rinvenuti i due pilastri calcarei, in parte fondati sulla rasatura della precedente struttura.
Sulla base del materiale rinvenuto negli strati fondazionali, il primo impianto della villa andrebbe fissato nel terzo quarto del I sec. a.C., datazione peraltro confermata dal mosaico del vano 2, mentre la seconda fase di espansione, che previde anche la costruzione del bacino, è databile intorno alla metà del I d.C.
L'abbandono del complesso deve comunque essere avvenuto piuttosto precocemente, nell'ambito del II d.C.: non è stato infatti rinvenuto materiale archeologico più tardo, a differenza della vicina villa di via delle Mandrie.

Un complesso di depositi massivi di franca origine alluvionale sigillava uniformemente le strutture archeologiche: in area limitrofa alla villa è stata portata alla luce una lunga struttura isolata, a riprova dell'interazione con l'ambiente umido, che in più punti risultava letteralmente "divelta" da un'ondata di piena fluviale. Essa aveva agito da "trappola stratigrafica" favorendo la concentrazione di depositi eterogenei portati in carico dal flusso d'acqua: tra di essi, il materiale ligneo, sottoposto a datazione al radiocarbonio, ha fornito una datazione compresa tra II e IV d.C.

Su come variasse il paesaggio idrogeologico dall'epoca tardoantica in poi non è dato sapere sulla sola base archeologica: le fonti parlano del disastro del 589 d.C., paragonato dai cronisti al Diluvio Universale, ma bisogna scendere appena al 1490 per ritrovare notizie su rotte catastrofiche dell'Isonzo: in tale data il fiume in piena modificò l'ampia curva del suo alveo verso Villesse, tanto da distruggere la chiesa e la canonica di San. Pier d'Isonzo, invadendo addirittura Aquileia e riversandosi poi in mare attraverso l'Isonzatto, detto anche Vecchio Isonzo, presso Isola Morosini.

VD



BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

C. BALISTA 1986, Letture sedimentologiche e geoarcheologiche relative all'insediamento romano di Corte Caravella (Loreo), "Q. Arch. V." 2, pp.31-37
L. BERTACCHI 1974, Un anno di scavi archeologici ad Aquileia, in AAAd 5, pp.385-399
V. DEGRASSI, P.VENTURA 1999, Ricerche nell'area del Lacus Timavi, la rete stradade nelle fonti archivistiche, in AAAd 45, pp.125-145
F. FONTANA 1993, La villa romana di Barcola, a proposito delle villae maritimae della Regio X, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 4, Roma
A .GIOVANNINI 1993, L'allevamento ovino e l'industria tessile in Istria, "AMSIA" 93, 41 n.s., pp.7-34
C. GOMEZEL 1996, I Laterizi Bollati del Friuli Venezia Giulia (Analisi, problemi, prospettive), l"Album"4, Portogruaro
F. MASELLI SCOTTI 1993, Recenti scoperte nel territorio di Monfalcone, "Atti del III Congresso dell'associazione culturale bisiaca", Monfalcone, pp.7-12
F. MASELLI SCOTTI 1995, Mosaici dell'Agro sud-orientale di Aquileia, "AISCOM", Atti del II Colloquio, Bordighera, pp.9-16
SENESI MASTROCINQUE 1985, L'insediamento romano do Corte Caravella (Loreo). Rapporto preliminare, "Q.Arch. V". 1, pp.11-28
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/1984, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, pp.113-170

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DI VIA DELLE MANDRIE 10

La villa, indagata a partire dal 1990, presenta una planimetria ad "U", caratterizzata da un corpo centrale articolato su più livelli e due avancorpi racchiudenti un'area scoperta, tipo cortile, adibita, almeno nell'ultima fase di vita del complesso, a rifiutaia. Gli scavi ne hanno portato alla luce tutto il settore centro occidentale, mentre quello orientale corre sotto ed aldilà dell'attuale via delle Mandrie.
Il materiale archeologico estremamente eterogeneo, rinvenuto per la maggior parte durante lo scavo del cortile, copre un intervallo di tempo che va dal I secolo d.C. a tutto il III. E' tuttavia possibile rialzare la data di costruzione del complesso alla seconda metà del I secolo a.C., sulla base del materiale edilizio -bolli TI.NUCULA e Q.PETILI (GOMEZEL 1996), rinvenuto reimpiegato nella costruzione di alcune strutture di II fase.
Il corpo centrale della villa si articolava in vari ambienti disposti l'uno a fianco all'altro, dei quali tre (vani 1, 4 e 5) presentavano un pavimento costituito da uno strato unico di scaglie calcaree bianche e nere e cemento, il tutto pressato a formare un piano compatto, lisciato in superficie con un sottile velo di calce (la "lorica ex calce et harena"), dove solo l'inserimento di rari frammenti di cotto sembra rispondere ad intenti decorativi. Simili pavimenti, che si avvicinano al tipo di resa dei signini classici pur impiegando materiali diversi, possono essere datati a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. (DE VOS 1985).

Una veduta del pavimento in opus spicatum nella villa di via delle Mandrie a Monfalcone

Altri tre ambienti (vani 2, 2a e 2b), presentavano i pavimenti in opus spicatum, cioè a piccoli mattoncelli disposti a spina di pesce: l'utilizzo di questi vani come piccola area termale, suggerita per la prima fase dal rinvenimento del basamento di una probabile stufa (Settefinestre 1985 **), è stata confermata per la seconda fase di utilizzo della villa. Tra la seconda metà del I d.C e gli inizi del II viene infatti introdotto il sistema di riscaldamento ad ipocausto: le soglie di passaggio ed i vani stessi vengono rimpiccioliti, esternamente ai vani vengono addossate strutture interpretabili come "caldaie" e i pavimenti in spicatum sfruttati come basamento di suspensurae atte a sostenere nuovi pavimenti in mosaico. Questi ultimi sono per noi perduti, ma la loro presenza è stata confermata dal rinvenimento negli strati di distruzione di tessere sciolte insieme a spezzoni dei tubi utilizzati per il riscaldamento delle pareti.
La villa era dotata comunque di altre stanze pavimentate a mosaico, come testimonia il rinvenimento in un vano di parte di una fascia perimetrale in tessere nere con orditura diagonale.
L'avancorpo superstite, articolato in più vani dei quali si sono perse le superfici di calpestio, conserva un piccolo vano dotato di suspensurae a base quadrata ed. appare caratterizzato da un lungo muro che si estendeva diritto ed isolato per parecchi metri in direzione sud. La situazione stratigrafica che lo interessava ha permesso di ipotizzare la sua funzione di collegamento tra la villa ed un corso d'acqua, del quale non è stata ancora chiarita la natura, per quanto l'ipotesi più ragionevole lo colleghi ad un ramo secondario dell'Isonzo.
Durante un controllo effettuato nel 1999 è stato possibile verificare che questa struttura si collega ad un'altra ad essa perpendicolare: il modello ricostruttivo porterebbe ad immaginare una darsena o simili sull'esempio della vicina villa di via Colombo.
Il rinvenimento durante gli scavi, di pesi da telaio, tra i quali uno in pietra, può forse essere ricondotto a forme di attività legate all'allevamento ovino.

VD


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

M DE VOS 1985, Tecnica e tipologia dei rivestimenti pavimentali e parietali, in Settefinestre *, pp.74 e ss.
C. GOMEZEL 1996, I Laterizi Bollati del Friuli Venezia Giulia (Analisi, problemi, prospettive), l"Album" 4, Portogruaro
F. MASELLI SCOTTI 1993, Recenti scoperte nel territorio di Monfalcone, "Atti del III Congresso dell'associazione culturale bisiaca", Monfalcone, pp.7-12
F. MASELLI SCOTTI 1995, Mosaici dell'Agro sud-orientale di Aquileia, "AISCOM", Atti del II Colloquio, Bordighera, pp.9-16
M.L. MORRICONE MATINI 1967, (a cura di) Mosaici Antichi in Italia. Regione Prima, Roma: Reg.X Palatium, Roma
Settefinestre, A CARANDINI, A. RICCI (a cura di), Settefinestre, Una villa schiavistica nell'Etruria romana, 1-3, Modena, 1985

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

VILLA DELLA PUNTA 11

 

La villa è stata indagata tra il 1970 ed il 1973 a cura del Museo d'Aquileia sotto la direzione di Luisa Bertacchi. Il complesso, a parte il rilievo planimetrico, non è stato ancora pubblicato esaustivamente; esiste tuttavia una notevole documentazione fotografica degli scavi, conservata presso il laboratorio fotografico del Museo di Aquileia. In base alla planimetria si riconoscono una trentina di ambienti articolati in due corpi contrapposti, collegati da una piccola ala orientale con vani a disposizione paratattica. La corte interna che ne risulta, sembra fungere da fulcro organizzativo per l'intero complesso che appare suddiviso in spazi destinati ad usi specifici.
Nelle ali a Nord ed a Nord-Est va riconosciuta l'area residenziale: in quest'ultima le superfici dei vani, che presentano soglie di pietra calcarea, appaiono rivestite da tessellati in cotto con emblema reso in mosaico geometrico bianco-nero con motivi a pelte contrapposte inquadrate da triangoli, combinazioni di squadre inquadrate da una fascia di tessere alternate bianche e nere. Un vano, probabilmente triclinare, presenta il riquadro rettangolare, eccentrico, reso ad esagoni delineati in nero su fondo bianco, motivo questo tipico del repertorio della prima metà del I secolo d.C., presente anche nella villa di Barcola. La fascia in tessellato nero che riquadra gli esagoni, affianca anche le due strutture che fiancheggiano l'entrata alla sala. Un lungo corridoio unifica l'intera ala che nella sua metà Sud sembra essere destinata ad area rustica: compaiono superfici in cocciopesto (idraulico?) e in opus spicatum. Apparentemente non sembra ci sia comunicazione diretta tra le due aree.
L'ala a nord, in base alle superfici, potrebbe costituire il nucleo più antico del complesso: piccoli vani quadrati presentano superfici in tassellato di cotto con pseudo-emblemata centrali resi in tassellato o in battuto impreziositi da tarsie di marmo di forma geometrica (cerchi, triangoli, quadrati). L'uso di queste tecniche miste, attestato a Pompei in superfici di diversa destinazione, ma con particolare frequenza in atri o in bacini d'impluvio (DE VOS 1984), è particolarmente frequente in epoca tardo-repubblicana e permette di inquadrare nella seconda metà del I a.C. la fase iniziale della villa. In area limitrofa si possono citare a confronto i pavimenti della villa di Aurisina, sebbene più semplici, e alcuni pavimenti della villa di Ronchi, caratterizzati dall' associazione di tessellati con inserzioni di scaglie policrome ed emblema centrale in opus sectile realizzato con tarsie di marmo geometriche (MASELLI SCOTTI, VENTURA 1991).
L'ala ad Ovest rimane di problematica identificazione: un suo utilizzo rustico potrebbe essere proposto sulla base del rinvenimento di una pressa da olive di forma rotonda con foro centrale per il montante e di un plinto in pietra con due incassi rettangolari (visibile nel rilievo), forse riconducibile ad un lapis pedicinus (Settefinestre 2, 1985), la base per i montanti esterni di un torcular di cui si sarebbe persa la base di spremitura, solitamente delineata sul pavimento, che andrebbe ricercata nell'area antistante, pavimentata in sesquipedali di cotto.
Più complessa e forse identificabile con un'area termale votata all'utilizzo delle acque sulfuree che sgorgano spontanee nei pressi, è la serie di vani che chiude a settentrione l'ala Ovest e che, in base alla posizione delle soglie, sembra aprirsi su un altro "cortile" affacciato sulla laguna dove, a poche decine di metri di distanza, è stata rinvenuta una barca. Il celebre mosaico con riquadro centrale raffigurante due delfini neri affrontati ad un tridente in campo bianco, rinvenuto in questa ala della villa (fine I d.C., BERTACCHI 1979), è pertinente ad un vano che, in base al rilievo, sembra essere isolato e non avere comunicazione con i vani limitrofi. Tra questi va segnalata una grande vasca con rivestimento in cocciopesto idraulico e gradino d'entrata alla quale se ne addossano altre tre più piccole, poste ad una quota inferiore.
La barca precedentemente descritta, è ora restaurata e visitabile in un padiglione del Museo Nazionale di Aquileia: contrariamente ad altri rinvenimenti di questo tipo effettuati nel Nord Adriatico, che testimoniano il perdurare della tecnica detta "a cucitura", le barche di Monfalcone e di Grado sono del tipo "a mortase e tenoni", a riprova del loro utilizzo in mare aperto (BELTRAME 1997).

VD


BIBLOGRAFIA ESSENZIALE

C. BELTRAME 1997, Sutiles naves e navigazione per acque interne in età romana, "Padusa" 32/33 n.s.,pp.137-143
L.BERTACCHI 1974, Un anno di scavi archeologici ad Aquileia, in AAAd 5, pp.392 e ss.
L. BERTACCHI 1979, Presenze archeologiche romane nell'area meridionale, AAAd 15, 1, p.83 e ss.
L. E P. BERTACCHI 1988, L'imbarcazione romana di Monfalcone, Udine
M. DE VOS 1984, Pavimenti e Mosaici, in Pompei 79, a cura di F. Zevi, Napoli, pp.161-176
F. FONTANA 1993, La villa romana di Barcola, a proposito delle villae maritimae della Regio X, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 4, Roma
F. MASELLI SCOTTI, P. VENTURA 1991, Notiziario archeologico. Ronchi dei Legionari - Scavo di una villa romana, "Aq.N" 62, cc.237 e ss.
Pompei 79, F. ZEVI (a cura di), Pompei 79. Raccolta di studi per il decimonono centenario dell'eruzione vesuviana, Napoli, 1979
Settefinestre, A CARANDINI, A. RICCI (a cura di), Settefinestre, Una villa schiavistica nell'Etruria romana, 1-3, Modena, 1985
M.J. STRAZZULLA, C. ZACCARIA 1983/1984, Spunti per un'indagine sugli insediamenti rustici di età romana nel territorio aquileiese, "ACMT", Quaderno XIII-2, pp.113-170

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

TERME ROMANE di MONFALCONE 12

 

Il centro terapeutico "moderno", oggi abbandonato, sorge sui resti di quello romano, noto fin dal XV secolo sulla base delle testimonianze di eruditi dell'epoca interessati al fenomeno delle sorgenti calde e medicamentose. Sulla base di queste descrizioni, è stato possibile ricostruire un complesso suddiviso in più edifici eretti presso le sorgenti dell'isoletta di S. Antonio: di questi il più importante era dotato di un'ampia vasca di raccolta per le acque termali, una piscina, con gradinate d'accesso di marmo, mentre un altro si articolava in esedre e colonnati, forse interpretabili come giardino annesso ai bagni o come palestra. Dalla zona vennero recuperate anche alcune fistulae aquariae di piombo bollate -AQ(uileiensium servus).DEMET(rius).F(ecit); AQ(uileiensium servus) IUVENAL(is) F(ecit)-, evidentemente utilizzate per il trasporto dell'acqua, lacerti di pavimentazione a "mosaico di quadrelloni di cotto di tre quarte per lato" ed una finestrella in pietra.
Scavi regolari risalgono appena al 1911, diretti da E. Maionica, effettuati inizialmente nel cortile delle terme romane, dove "si trovò un edificio con cinque stanze, ben costruite, di un'area di ca 15 mq ciascuna, con ammattonato di piccoli tasselli di terracotta e tracce de rivestimento interno ed esterno con intonaco ricoperto di pitture ad affresco. A sinistra dello stesso ci sono alcuni lavabo di dimensioni più piccole...".
Il rilievo, conservato nell'archivio-disegni del Museo Nazionale di Aquileia, mostra una serie di vani articolati attorno ad un cortile centrale con un portico dotato di basi calcaree davanti all'ala orientale, probabilmente estendibile anche al corpo settentrionale. L'ala settentrionale è chiusa da una lunga struttura che si suppone perimetrale, ripresa anche ad Ovest dell'edificio termale del 1800. Tutte le superfici risultano rivestite in tessellato di cotto. Due vani a Nord presentano infine la soglia calcarea d'accesso.
Dalla zona delle terme provengono anche due iscrizioni con dedica alla Fons che inducono a ricostruire anche uno spazio sacro all'interno del complesso terapeutico: il culto è riconducibile probabilmente a quello di Fons Timavi, connesso con il culto delle acque, che godette di particolare fortuna con il I sec. d.C. Legami alla sfera magico-cultuale provengono infine da tarde leggende della tradizione locale che parlano delle "Fate", figure che abitavano una grotta nei pressi delle sorgenti conosciuta anche con il nome di "Diavolo Zoppo", nelle quali si potrebbe leggere un indizio di "substrato mitologico comune" (MARCHIORI 1982) con le popolazioni delle Alpi Orientali ed in particolare con due centri terapeutici di Lagole di Calalzo in Cadore e Comano in Trentino. Tale legame verrebbe in qualche modo rafforzato dal rinvenimento nella chiesa di S. Giovanni di un'iscrizione con dedica alle Fatae.
Il ritrovamento infine di tre iscrizioni con dedica alla Spes Augusta per grazia ricevuta, riutilizzate nell'alzato dell'abside della chiesa di S. Giovanni in Tuba, ha indotto ad ipotizzare uno sdoppiamento tra localizzazione del centro termale e quella del centro di culto: quest'ultimo, situato lungo la via Gemina, in una posizione estremamente favorevole per qualsiasi area sacra, avrebbe accolto gli ex-voto delle persone che si fossero curate nelle terme decentrate sull'isoletta del Lacus Timavi.

VD


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

G. CUSCITO 1976, Revisione delle epigrafi di età romana rinvenute attorno al Timavo, in AAAd 10, pp.48 e ss.
M. DURIGON 1999, Le grotte del Carso in età romana, "A.Tr" 59, s. IV
A. MARCHIORI 1982, Le terme romane di Monfalcone, localizzazione del centro termale, "Aq.N" 53, coll.101-128
E. MAIONICA 1912, Scoperte archeologiche al Timavo e alle terme di Monfalcone, "Forum Julii" II, 9
E. REISCH 1913, Die Grabungen des Oesterreicheschen archaologischen Instituts warhend del Jahre 1912-1913, „Oesterr Jahresh.", XVI, Beiblatt

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

Indice