DEI ED EROI AL TIMAVO
Valentina Degrassi
Un discorso, anche se riassuntivo, sui culti che si svilupparono in epoca romana nell'area sacra del Timavo non può prescindere da una breve analisi della sua situazione in epoche precedenti. |
La prima forma di occupazione stabile dell'area risale ad un
momento avanzato dell'epoca del Primo Ferro, inquadrabile
nell'ambito della metà dell'VIII secolo a.C., certamente
connesso alla presenza dell'approdo naturale che sfruttava il
breve corso del fiume o il vicino bacino, ed alla vicinanza di
numerose sorgenti che assicuravano un facile rifornimento d'acqua
potabile. Pur in assenza di strutture riferibili a sistemazioni
di sponda, le due stazioni archeologiche del III Ramo del Timavo
e di Moschenizze, in riva destra del fiume Locavaz testimoniano,
per questo periodo, la presenza di insediamenti ubicati in aree
perispondali in un momento in cui la tipica forma di occupazione
stabile è quella dell'abitato d'altura.
E' probabile che il sistema del Timavo, foci e vicino bacino,
rivestisse carattere commerciale: in quest'area infatti
sboccavano, attraverso le pendici del Flondar e dell'Ermada e
probabilmente lungo un alveo pedecarsico dell'Isonzo, due
diramazioni delle vie carovaniere, conosciute poi col nome di
"vie dell'ambra" che attuavano il collegamento diretto
più rapido con gli empori situati sul mar Baltico ed in area
danubiano-carpatica1. In tal senso, non va sottovalutato il fatto che il
Timavo è il porto più settentrionale dell'Adriatico, sede
ideale dell'"intimo seno" descritto più volte dalle
fonti2, raccordo ideale tra rotte commerciali di terra e
di mare3.
Non sappiamo se in quest'epoca fosse già venerata qualche
divinità, anche se sembra estremamente probabile, vista la
presenza in uno stesso luogo di autentici fenomeni naturali,
quali l'erompere di un fiume sotterraneo e lo sgorgare di
sorgenti salmastre, dolci e salutari, direttamente collegati ad
approdi tranquilli e ad importanti direttrici commerciali. La
zona era, di conseguenza, molto trafficata e conosciuta,
condizione questa che, in epoca protostorica, sta alla base del
costituirsi di un centro sacro attorno ad una divinità epicorica4:
ad un area sacra forse alludono Polibio (POLYB. in STRAB:
V.1.8.p.214C) e Varrone (VARRO frg.89, p.159 S.) quando riportano
la notizia secondo la quale gli abitanti del luogo, gli indigeni,
chiamavano il Timavo "fonte e madre del mare" o più
semplicemente "mare"5.
Difficile è per il momento dare un nome di popolo a questi
"indigeni": l'area del Timavo è infatti il confine
naturale tra Veneti ed Histri e se gli etimi di nomi come
Tergeste, Timavus/Temavus6 o lo stesso "mare" riportano all'ambiente
veneto, le evidenze archeologiche documentano una realtà
multiforme e certamente mista, tipica delle aree di frontiera,
dove gli elementi veneti si fondono e si integrano con quelli
presenti in area slovena.
Tra VI e IV secolo a.C. lo scalo del Timavo è certamente vitale:
seppure in assenza di conferme archeologiche7,
sembrerebbe lecito presupporre la presenza attiva di commercianti
greci e in seguito magnogreci. Il culto di Diomede infatti,
nominato al Timavo espressamente da Strabone (STRAB.V.1.8.p.214C)
e collegato alla presenza di un'area sacra a lui dedicata, si
propaga lungo le coste alto adriatiche proprio in questo periodo,
favorito prima dalla politica greca e poi da quella siracusana
che, utilizzando la figura dell'eroe, strinsero
"alleanze" commerciali con le popolazioni indigene8,
mirando ad instaurare una forma di "dominio" sulle
rotte commerciali dell'Adriatico. In altre parole, laddove veniva
individuato un "punto chiave" sotto il profilo
commerciale, là la figura di Diomede veniva utilizzata come
strumento di propaganda per stabilire "rapporti diplomatici
con le genti non-greche dell'Adriatico". Capire in che forma
di culto si esplicitassero poi questi rapporti, non è facile:
per l'area veneta, concettualmente legata al culto eroico, la
testimonianza diretta di Strabone, così come i dati
archeologici, autorizzerebbero a ricostruire un culto di questo
tipo9.
Anche la figura di Antenore, tradizionalmente legata al Timavo
(VIRG. Aen. I, vv.240-253)10, potrebbe nascondere in realtà, contatti
antichissimi di natura commerciale che legarono i Focei, i primi
navigatori fra i Greci, a genti di stirpe veneta11. In ogni caso, rimane pur valida l'ipotesi che il
racconto mitico miri semplicemente a fornire antenati comuni a
Romani e Veneti, tradizionali alleati nelle guerre contro i Galli12.
Con il III secolo a.C, ma più massicciamente con il II, l'area
del Timavo entra nella zona d'influenza della politica romana. Le
guerre tra Romani ed Istri furono tre, combattute rispettivamente
nel 221, nel 178-177 e nel 129 a.C., delle quali la seconda
riguardò più da vicino l'area del Timavo, sede di uno dei primi
scontri diretti del quale ci da un resoconto puntuale Tito Livio.
Tuttavia, una recente interpretazione, basata su una rilettura
delle fonti, da luogo ad una nuova e suggestiva ipotesi secondo
la quale l'aperta ostilità dimostrata dagli Istri alla
fondazione di Aquileia nel 181 a.C., sfociata in scontri anche
precedenti alla data tradizionale del 178 a.C., andrebbe spiegata
con il timore di perdere il controllo degli sbocchi a mare delle
vie dell'Ambra ed i traffici marittimi ad essi collegati13, dirottati definitivamente su Aquileia, la cui
vocazione emporiale di antica data è dimostrata da recenti
rinvenimenti archeologici14. Cosa che puntualmente avvenne: dal II secolo a.C.
in poi Aquileia, come nuova colonia latina, diviene di fatto il
terminale commerciale delle vie di traffico del Nord-Est.
E' probabile che i Romani monumentalizzassero l'area di culto del
Timavo già nel 177 a.C.15 cosa che sicuramente fecero in occasione
dell'ultima campagna, nel 129 a.C., come dimostra il rinvenimento
della base del console Tuditano e come sappiamo da Plinio (NH
III.19.129). Per tutta l'epoca imperiale il sito manterrà il suo
carattere sacrale: dalle epigrafi e dal materiale archeologico
sappiamo che qui si venerarono Ercole, Saturno, la Spes Augusta,
Libero Augusto ma soprattutto Temavus. Nel corso del IV secolo
d.C., con l'avvento del cristianesimo, qui si costruirà la
"piccola cappella vicina al corso del fiume" destinata
a divenire nel tempo la basilica di S. Giovanni in Tuba.
1 N. Negroni Catacchio 1972,
p.8: la via legata al corso dell'Isonzo si attiva nel bronzo
finale. Eadem 1976, in particolare pp. 39-42, dove si sottolinea
l'importanza del sistema Isonzo-foci del Timavo.
2 Vedi le tesi espresse in A. Grilli 1973 e 1991: in ambedue i
scritti si propone l'identificazione tra il mitico Eridano, il
fiume dell'Ambra, ed il fiume lungo il quale si attivava di volta
in volta una via carovaniera di collegamento con le zone di
provenienza della preziosa resina.
3 Sull'individuazione dell'area del Timavo come cerniera tra vie
carovaniere e rotte marittime, M. Buora 1988, p.43. Da ultimo L.
Braccesi 1994 p.89 e ss. Vedi anche F. Maselli Scotti 1996, in
particolare p.126.
4 P. Cassola Guida 1997, Insediamenti preromani nel territorio di
Aquileia, in AAAd 29, pp.57-82; in particolare vedi pp.77-78.
5 V. Vedaldi Jasbez 1994, s.v. "Timavus" nn.120 e 122.
Sulla divinità protostorica: A.M. Adam, Traces de lieux de culte
de l'Age du Fer ed Frioul, in AAAd 37, 1991, pp.45-69, in
part.p.51
6 Va tuttavia notata la forte incidenza del nome in area carnica.
7 In generale, tutta l'area del Carso triestino e goriziano è
estremamente avara di reperti archeologici databili in
quest'epoca: fanno eccezione i castellieri di Monrupino e
Rupinpiccolo, che hanno restituito materiale ceramico
d'importazione veneta riferibile al III Atestino (VI - V a.C.),
ed il castelliere di Redipuglia con le due necropoli di
Redipuglia e Ronchi che ne testimoniano la vitalità fino alla
fine del V a.C.: cfr. P. Cassola Guida 1983, Redipuglia, in
Preistoria del Caput Adriae, Trieste, pp.194-195. Sulle
necropoli: L. Tonon 1977, Le necropoli di Ronchi e Redipuglia, in
Atti del Convegno "Le età del bronzo e del ferro
nell'Isontino", Gorizia, pp.115-119. A Redipuglia, il
rinvenimento di un deposito di bronzetti votivi di fabbricazione
emiliana ha indotto a ritenere che il castelliere si trovasse
lungo un asse di penetrazione commerciale gravitante intorno
all'area aquileiese, cfr.P. Cassola Guida 1989, I bronzetti
friulani a figura umana, Roma, passim.
8 Mastrocinque 1987 cit., pp.79-96. Per il legame tra Diomede ed
i Siracusani, Braccesi 1994 cit., pp.85 e ss.
9 Mastrocinque 1987 cit., passim.
10 Braccesi 1994 cit., pp.163 e ss.
11 V. Manfredi, L. Braccesi 1992, p.177 e ss. Cfr. anche
Mastrocinque 1987 cit., p.44 e ss.
12 F. Fontana 1997, in particolare p.139 e ss.
13 R. Rossi (1992) 1996, pp.295 e ss. Dopo la caduta di Nesazio,
Mutina e Faveria, caposaldi degli Istri, tendenzialmente si
ammette che questi finirono di costituire un problema per Roma:
fatto questo sembrerebbe essere smentito dalla precaria
situazione della colonia, sfociata nella seconda deduzione di
Aquileia nel 169: cfr. Bandelli 1988, pp.46 e ss.
14 F. Maselli Scotti 1993 cit.: la vocazione emporiale di
Aquileia è certamente precedente alla colonia latina, come
dimostrano i recenti ritrovamenti effettuati negli ultimi scavi a
cura della soprintendenza per i B.A.A.A.A.S. del Friuli Venezia
Giulia: F. Maselli Scotti et Alii 1998, Aquileia: a
Protohistorical Human Setting, "Atti del XIII Congresso
UISP", 4, Forlì, pp.827-833; vedi anche i contributi di F.
Maselli Scotti, V. Degrassi e L. Mandruzzato, C. Tiussi in Prima
dei Romani, Scoperte di preistoria e protostoria fra colline e
mare, 1996-1997, Aquileia.
15 Fontana 1997 cit., pp.149 e ss.
BIBLIOGRAFIA
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Romano d'Occidente, "Studi e Ricerche sulla Gallia
Cisalpina" 5, Roma
Tempus Edax Rerum
"Il tempo che divora ogni cosa"
L'AREA
SACRA PRESSO IL TIMAVO
Federica
Fontana
La
consistenza del culto al dio Timavo, nell'area sacra
presso le foci del fiume, a S. Giovanni in Tuba (Duino),
risulta estremamente difficile da definire. |
Tutte
le iscrizioni che ci sono rimaste risalgono ad età
tardo-repubblicana, ma nessuna di esse risulta essere anteriore
alle dediche poste al dio Timavo ad Aquileia e a Duino dal
console del 129 a.C., C. Sempronius Tuditanus1. Due dei dedicanti, sulla
base della comune articolazione del nome, potrebbero essere
identificati come personaggi di origine veneta, che votano al dio
piccole basi con un testo semplice e una formula disposta su due
righe2. Le altre iscrizioni,
invece, non presentano particolari elementi di interesse.
Il culto, su base epigrafica, sembra, dunque, attestato in un
arco cronologico abbastanza definito, ovvero non prima del 129
a.C. e non dopo l'età augustea, e si riferisce chiaramente
all'ambito etnico e culturale venetico o nord-adriatico3.
Per quanto riguarda le fonti letterarie, il luogo sacro al Timavo
è messo in rapporto con due tradizioni mitiche legate ai nostoi,
i tormentati viaggi degli eroi greci e troiani all'indomani della
caduta di Troia: quella del troiano Antenore e quella del greco
Diomede. Delle due la prima è chiaramente legata alla
valorizzazione in chiave troiana dell'origine dei Veneti, in
funzione della loro alleanza con i Romani, discendenti di Enea.
Il collegamento esplicito tra Diomede e il Timavo si deve,
invece, esclusivamente a Strabone nel V libro, V, 1, 8 [C214-215]
della sua Geografia.
Va in ogni caso detto che in epoca romana le due tradizioni erano
compresenti e sicuramente non erano ignorate da chi ne sceglieva
una a scapito dell'altra.
Antenore La leggenda di Antenore al Timavo, sconosciuta ad Omero,
si afferma parallelamente a quella sull'origine dei Veneti come
discendenti dagli Eneti della Paflagonia, giunti in Adriatico al
seguito del troiano Antenore e dei suoi figli4; essa avrebbe avuto
diffusione, in un primo momento, nel mondo greco tramite gli
"Antenoridi" di Sofocle.
La valutazione dell'origine troiana dei Veneti aveva, certamente,
lo scopo di stabilire "legami di stirpe" con degli
alleati che divenivano sempre più preziosi nello scontro contro
i Galli5 e, allo stesso tempo,
probabilmente, di suggerire un'analogia fra le vicende dell'eroe
troiano e le imprese del console C. Sempronius Tuditanus, una
sorta di nuovo Antenore6. Un collegamento del Timavo con la sfera
della vittoria è sottolineato, tra l'altro, dall'attributo di
Ledaeo conferitogli da Marziale che, almeno in due punti, ricorda
la sosta di Cillaro, il cavallo dell'immortale Polluce, figlio di
Leda, presso le fonti del fiume7. Ancora in età augustea,
Largo sarebbe stato autore di un poema epico su Antenore8; in seguito il tema venne
ripreso esplicitamente da Lucano, che chiamò il fiume
Antenoreus, implicitamente da Marziale e da Silio Italico9 e, infine, da Claudiano
che lo definì Phrygius: anche in un'iscrizione del III sec. d.C.
gli aquileiesi sono definiti antenorei, con un evidente richiamo
alla consueta versione dello sbarco dell'eroe presso il Timavo10.
Al Timavo, dunque, che si caratterizza come tipico luogo di
"sbarco antenoreo"11, inizia l'avventura occidentale dell'eroe.
Anche Livio e Virgilio ne trasmettono memoria12e mettono in relazione
l'arrivo di Enea sulla costa tirrenica con quello di Antenore
sulla costa adriatica, come se si trattasse di destini in qualche
modo paralleli; lo stesso fa Strabone in almeno due passi della
sua opera13.
Diomede Per consuetudine si afferma, proprio sulla base della
testimonianza straboniana, l'esistenza di un culto di Diomede,
Hera Argiva ed Artemide Etolica presso il Timavo, culto che
avrebbe previsto, come in Veneto, un sacrificio di cavalli; in
realtà, Strabone si limita, per quanto riguarda il Timavo, a
citare la presenza di Diomede14. E' probabile, peraltro,
che nella scelta dell'excursus mitico su Diomede al Timavo abbia
prevalso proprio il desiderio di parlare dei riti legati ai
cavalli che si tributavano in Veneto all'eroe.
D'altra parte, la figura mitica di Diomede, scelta dal geografo,
è tipica delle aree elleniche marginali, simbolo di contatti tra
greci e indigeni, quest'ultimi non estranei a contatti con i
primi, ma allo stesso tempo non ancora compiutamente ellenizzati15. L'area del Timavo, zona
di confine per eccellenza, come lo stesso Strabone afferma, punto
di passaggio di vie commerciali protostoriche, rispondeva
perfettamente a queste caratteristiche16.
La mancata citazione della tradizione antenorea doveva dipendere
dalla volontà di Strabone di confutare l'insieme delle vicende
mitiche legate all'arrivo dell'eroe nell'alto Adriatico e quindi,
implicitamente, l'origine antenorea e troiana degli Eneti/Veneti,
poiché egli considerava questi ultimi di origini indigene17.
Sarebbe, peraltro, importante riuscire a stabilire quale fosse la
realtà sacra del Timavo ovvero se, sulla base della
testimonianza straboniana, sia possibile dedurre l'esistenza di
un vero e proprio tempio a Diomede.
Il testo di Strabone non è, in realtà, di interpretazione così
lineare. Esso viene comunemente tradotto come la testimonianza di
"un tempio a Diomede presso il Timavo"18 oppure di "un tempio
di Diomede, il Timavo"19.
Ma una attenta rilettura del testo porterebbe ad una nuova
proposta, ovvero che la zona del Timavo fosse un alsos/lucus, un
bosco sacro.20 La tipologia dell'alsos,
infatti, è quella del santuario di frontiera, quello, cioè, in
cui sono dominanti i caratteri di tramite tra mondi culturali,
politici e religiosi diversi, ma compresenti. Esso si colloca,
per l'appunto, ai margini del territorio occupato e trasformato
dall'uomo, posto, in qualche modo, a garanzia del processo di
civilizzazione. L'area del Timavo, punto di confine tra area
veneta ed istrica, comprende in sé tutti questi elementi21.
Ciò che risulta di maggiore interesse è il fatto che
l'alsos/lucus si caratterizzi come luogo sacro non strutturato in
modo preciso e non dedicato ad un'unica divinità22. In particolar modo, poi,
nei luci, contrariamente a quello che si verifica per gli alse
greci, è la particolarità del paesaggio a definirne la
sacralità e non tanto la presenza di una divinità precisa.
Un altro spunto in questa direzione ci è fornito dal Bellum
Histricum di Ostio, poeta epico vissuto probabilmente nella
seconda metà del II sec. a.C., la cui opera si pone ormai
unanimemente in relazione con la spedizione di Tuditano del 129
a.C23. Si tratta di due
frammenti, fra cui, però, già Festo aveva intravisto una lacuna
di circa mezzo verso, "per gentis alte aetherias atque
[--------] violabis templa antiqua <deum>", e di un
altro frammento, il cui rapporto con i precedenti non è chiaro,
"dia Minerva <simul> simul autem invictus Apollo
arquitenens Latonius".
In riferimento alla descrizione dell'impresa bellica di Tuditano,
questi frammenti sembrano segnalare l'esistenza di antichi
santuari degli dei e, soprattutto, un accostamento fra divinità
difficilmente associate in un'unica impresa, come Apollo
Latonius, chiara allusione al culto delio del dio, e Minerva. Si
può avanzare l'ipotesi che in questa citazione si configuri
un'allusione, più o meno esplicita, al pantheon delfico, nel
quale coesistono e combattono assieme contro i Galli Apollo,
Artemis, Dionysos e Athena. Che tale patrimonio mitologico e
religioso fosse largamente impiegato nell'Italia centrale e nella
Gallia Cisalpina nel corso delle lunghe e difficili guerre contro
le varie tribù di origine celtica, è ampiamente dimostrato da
contesti come quello lunense, dai templi di Civitalba, della
Catona, presso Arezzo, e di Talamone e, probabilmente, da quello
di Monastero24.
Sarebbe, a questo punto, suggestivo proporre un riferimento
all'esistenza di un tempio precedente l'arrivo del console nel
129 a.C., collegato forse ad un evento bellico contro delle
popolazioni "barbare" e, quindi, un'allusione proprio
al tempio di Apollo e Borea a Monastero (Aquileia), all'interno
del quale egli pose, in un secondo momento, la nota dedica. Ciò
che risulta curioso, infatti, è che il punto in cui Festo
inserisce questi frammenti è proprio la spiegazione della voce
tesca, che è stata recentemente accostata al concetto di lucus.
I tesca sarebbero, appunto, luoghi posti al di fuori dello spazio
umanizzato, in cui domina incontrastata qualche figura divina.
Un aspetto curioso è anche il fatto che la dimensione del lucus,
soprattutto in Grecia, era sacra ad Apollo e si collegava
concettualmente all'età dell'oro, dimensione peculiare di
Saturno25, cui era dedicato un culto
sia al Timavo26, sia, probabilmente, ad
Aquileia nei pressi di Monastero27. Del resto, il carattere
ctonio del Timavo, che riemergeva dopo un lungo percorso
sotterraneo, non doveva sfuggire agli antichi e poteva costituire
un formidabile trait d'union con la sfera di competenza di
Saturno28.
In conclusione, si potrebbe dire che la presenza di dediche da
parte di personaggi di origine veneta risalirebbe verosimilmente
ad una tradizione santuariale paleoveneta29 oppure potrebbe collegarsi
direttamente alla rifunzionalizzazione del Timavo come luogo di
sbarco di eroi, operata da Tuditano in chiave mitica e
celebrativa, con un esplicito richiamo alla leggenda antenorea.
Questa operazione doveva trovare chiaramente maggiore rispondenza
in ambiente culturale veneto, in cui, oltre tutto, lo spazio
sacro del lucus era largamente presente30. Ed è anche probabile che
tale dimensione esprimesse il convergere degli interessi veneti e
romani per la costa adriatica, contro l'avanzata degli Istri e
dei Galli Carni31.
La documentazione archeologica, peraltro, non ci soccorre per
quanto riguarda la natura e la tipologia dei monumenti di culto
presenti nella zona, per quanto sia comunemente accettato che sia
attestata in loco una frequentazione molto antica32. La particolare natura
dell'area sacra consentiva la compresenza di divinità fra loro
diverse e non è possibile definirne con precisione l'ambito di
pertinenza; non si sa, in effetti, quale fosse il tipo di culto
prestato ad un Fons (Timavi?), anche perché non di rado i culti
legati alle fonti non avevano nulla a che fare con la sanatio33, la guarigione, o a Spes
Augusta, per i quali fra l'altro non si è certi della
collocazione, dato che le relative dediche furono rinvenute sulla
retrostante collina di S. Antonio, presso Monfalcone (Go), nelle
vicinanze di un impianto termale romano34.
Per quanto riguarda, infine, il culto di Ercole e Silvano, esso
è sicuramente attestato in età imperiale35, mentre dalla fine I -
inizi II sec. d.C. è noto quello di Mitra36.
1 Sui problemi di datazione di queste epigrafi, in generale, cfr.
G. Bandelli 1988a, pp. 93 s.; M. Buora, C. Zaccaria 1989, C. 310.
2 Si tratta di un personaggio con probabile gentilizio [-]eugicus
e di un M(anius) Tivalicus, entrambi privi di filiazione e
cognomen; cfr. C. Zaccaria 1991, p. 198, nt. 39. La terminazione
in -icus è particolarmente attestata nei patronimici venetici:
cfr. G. B. Pellegrini, A. L. Prosdocimi 1967, La lingua venetica,
I-II, Padova, pp. 548 s., CA 67; M. Lejeune 1974, Manuel de la
langue vénète, Heidelberg, pp. 86 s., n. 77.
3 Per un parere concorde, seppure sulla base di un'erronea
lettura del noto passo straboniano relativo al Timavo, cfr. A.
Mastrocinque 1987, p. 84.
4 Cfr. L. Braccesi 1984b, pp. 45 s. e 98 s.; D. Briquel 1990, pp.
126 s.; L. Capuis 1990, p. 151.
5 Cfr. F. Cássola 1979, p. 94; Braccesi 1984b cit., pp. 48 s. e
80 s.; Briquel 1990 cit., p. 126 s.
6 Cfr. L. Braccesi 1984a, p. 21 e Braccesi 1984b cit., pp. 48 s.
e 98 s.; L. Capuis 1993, p. 32. Il primo ad aver suggerito una
relazione tra la tragedia di Accio e Tuditano è stato Gabba;
cfr. E. Gabba 1976b, Sulla valorizzazione politica della leggenda
delle origini troiane di Roma fra il III e II secolo a.C., in I
canali, p. 93. Dell'intenzione di Tuditano di far celebrare
epicamente le sue imprese sappiamo da Lucilio, il quale,
rinunciando all'incarico offertogli dal console, dichiara che
meglio se ne occuperà un altro poeta, identificato dagli
studiosi con Ostio, autore di un Bellum Histricum, di cui
rimangono alcuni frammenti; cfr. Corbato 1989, p. 46.
7 Cfr. Marziale, Ep. IV, 25 e VIII, 28, 7-8. Per quanto riguarda
la comparsa simbolica di entrambi i Dioscuri o anche di uno solo
presso luoghi sacri, soprattutto fonti o laghi, in connessione
con battaglie importanti, cfr. R. Schilling 1960, Les Castores
romaines à la lumière des traditions indoeuropeénnes, in
Hommages à G. Dumèzil, Bruxelles, pp. 177 s.
8 Cfr. Ovidio, Pont. 4, 16, vv. 17-18: "Largus/Gallica qui
Phrygium duxit in arva senem". Cfr. Braccesi 1984a cit., p.
23. Per quanto concerne l'interesse degli intellettuali di età
augustea nei confronti di Antenore, cfr. Braccesi 1984b cit., pp.
61 s.
9 Per la connessione dei passi di Marziale, Ep. XIII, 89 e di
Silio Italico, 12, 215, con la leggenda di Antenore, cfr.
Braccesi 1984a cit., p. 23 e Braccesi 1984b cit., pp. 82 s. e
100.
10 Cfr. Lucano 7, 194; Claudiano. 7, 120. Per l'iscrizione, cfr.
L. Moretti 1980, Epigrafica, "Rfil" 108, p. 445. Su
Aquileia come fondazione antenorea secondo Virgilio, cfr.
Braccesi 1984b cit., pp. 118 s.
11 Si tratta, in genere, di luoghi in altura poco elevata, vicino
al mare, con corsi d'acqua e paludi; cfr. D. Musti 1988, pp. 95
s. Vedi, inoltre, Capuis 1990 cit., p. 163.
12 Cfr. Braccesi 1984a cit., p. 19 e Braccesi 1984b cit., pp. 98
s.
13 Vedi Strabone. I, 3, 2 [C48] III, 2, 13 [C150] Sulla
complementarietà delle due tradizioni, cfr. Braccesi 1984b cit.,
pp. 123 s.; Briquel 1990 cit., pp. 130 s.
14 Cfr. Braccesi 1984b cit., pp. 13 s.; Mastrocinque 1987 cit.,
p. 84; M.J. Strazzulla Rusconi 1987a, pp. 86 s.; L. Braccesi
1988, p. 137; sull'argomento vedi anche E. Lepore 1989, Diomede,
in L'epos greco in Occidente, Taranto 1980 [1989], pp.113 s.; E.
Lepore 1984, Artemis Laphria dall'Etolia al Veneto. A proposito
di Strabone V, 1, 9, C215, in Recherches sur les cultes grecs et
l'Occident. 2, Napoli, pp.109 s; E. Lepore 1986, Epiteti a
divinità plurime. Artemide Laphria, in Les grandes figures
religieuses, Paris, pp.149 s; C. Montepaone 1993, L'alsos -
lucus, forma idealtipica artemidea: il caso di Ippolito, in Bois
sacrés, p. 71.
15 Cfr. Braccesi 1988 cit., p. 140; Musti 1988 cit., pp. 181 s.
16 Strabone. V, 1, 9, ritiene il Timavo punto di confine tra
Veneti ed Istri. Cfr. Braccesi 1988, pp. 134 s.; J.M. Adam 1989,
p. 25. Sull'argomento vedi F. Rittatore Vonwiller, La diffusione
dell'ambra in Europa e in Italia durante la protostoria, in Studi
e ricerche sulla problematica dell'ambra, I, Roma 1975, pp.215 s
17 Cfr. Braccesi 1988 cit., pp. 139 s. La troianizzazione degli
indigeni costituiva, come si è detto, un procedimento tipico
della propaganda ateniese, finalizzata alla creazione di rapporti
proficui sulla base di comuni antenati con le popolazioni locali,
anche nella fase di espansione nel golfo Adriatico; cfr. X.
Perret 1976, Athènes et les lègendes troyennes d'occident, in
Mélanges J. Heurgon, 2, Roma, pp. 791 s.; L. Braccesi 1978,
Problemi di archaiologia, Bologna, pp. 47 s.
18 Per questa traduzione, che comporterebbe un emendamento del
testo straboniano, cfr. F. Cássola 1972, Storia di Aquileia in
età romana, in AAAd 1, p. 24.
19 Cfr. L: Capuis 1993, p. 19. Vedi inoltre F. Lasserre 1967,
Strabon, Géographie, tome III Livre V et VI, Paris, p. 48; N.
Biffi 1988, L'Italia di Strabone, Testo, traduzione e commento
dei libri V e VI della Geografia, Bari, p. 19.
20 Su questa problematica, cfr., in generale, Bois sacrés. Sulla
questione lacus/lucus Timavi, cfr. A. Degrassi 1962a, pp. 216 s.,
che pensava, appunto, alla possibilità di un emendamento del
testo in favore di lucus.
21 Cfr. Cássola 1979 cit., pp. 83 s.; Braccesi 1984a cit, pp. 20
s. Per l'importanza del lucus anche nel mondo celtico e veneto,
cfr. M.Lejeune 1993, pp. 93 s.
22 L'alsos può contenere un vero e proprio edificio sacro oppure
essere qualificato semplicemente da are e statue di divinità;
cfr. F. Coarelli 1993, I luci del Lazio: la documentazione
archeologica, in Bois sacrés, pp. 46 s.
23 Cfr. Braccesi 1984a cit., p. 21; C. Corbato 1989, p. 46.
24 Cfr. con bibliografia precedente, F. Fontana, I culti di
Aquileia repubblicana, aspetti della politica religiosa in Gallia
Cisalpina tra il III ed il II sec. a.C., "Studi e ricerche
sulla Gallia Cisalpina" 9, 1997, Roma.
25 Questi boschi sacri, collegati in qualche modo anche alla
sfera oracolare, sono luoghi non coltivati non perché aridi, ma
in quanto naturalmente abbondanti, cfr. D. E. Birge 1982, Sacred
groves in the ancient Greek world, Berkeley, p. 18; F. Graf 1993,
Bois sacrés et oracles en Asie Mineure, in Bois sacrés, pp. 24
s. La dimensione di Saturno come divinità agraria non era per
l'appunto, quella del dio che garantisce il funzionamento dei
cicli naturali, ma quella di chi presiede alla produzione
spontanea senza la mediazione dell'uomo; cfr. I. Chirassi Colombo
1975-76, Acculturazione e morfologia di culti alpini,
"CstItRom" 7, p. 176.
26 Si tratta di un mortarium con un'iscrizione Numen/Saturni di
età tardo-repubblicana o protoaugustea, cfr. F. Maselli Scotti
1979, pp.372 s.; A. Mastrocinque 1994, p. 101
27 Sul culto di Saturno al Timavo e sull'iscrizione Satu[---],
proveniente forse dalle Marignane e attualmente conservata presso
la via Gemina (sig. Sandrin), cfr. G. Cuscito 1989, pp.91 s.
28 Sul carattere ctonio del culto a Saturno cfr. Mastrocinque
1994 cit., pp. 100 s. Non pare sostenuta adeguatamente l'ipotesi
che Saturno sia una interpraetatio successiva del dio Timavo,
cfr. Maselli Scotti 1979 cit., pp. 373 s.
29 Per questa teoria sulla presenza di un santuario paleoveneto,
cfr. Buora, Zaccaria 1989 cit., cc. 309 s.; A.M. Adam 1991, p.
66.
30 Per quanto riguarda il mondo religioso osco e celtico, Lejeune
1993 cit., pp. 93 s.
31 Segno di questo fenomeno potrebbe essere l'abbandono, a
partire dal V sec. a.C., delle sedi sull'altopiano a favore di
una frequentazione dei siti sulla costa; dalla seconda metà del
III sec. a.C. l'influenza veneta su quest'area sembra, in
effetti, aumentare e si può riconoscere anche sulla base delle
testimonianze archeologiche; Adam 1989 cit., pp. 21 s. e 29 s. Va
notato, in ogni caso, che l'idronimo Timavus è di matrice
venetica; cfr. M. Doria 1972, Toponomastica preromana dell'alto
Adriatico, in AAAd 1, pp. 28 s.
32 Nelle grotte carsiche dell'area tra Aurisina e il Timavo è
stato rinvenuto molto materiale protostorico e romano, cfr da
ultimo M. Durigon 1999, Le grotte del Carso in età romana,
"A.Tr", s. IV, 59, passim.
33 Cfr. ad esempio J. Scheid 1991, Sanctuaires et thermes sous
l'Empire, in Les thermes romains, pp.205 s. e J. Scheid 1992,
Epigraphie et sanctuaires guérisseurs en Gaule,
"MEFRA" 104, pp.27 s. dove l'autore critica recisamente
la tendenza ad attribuire questo valore a tutti i santuari in cui
sia presente l'acqua.
34 Cfr. InIt X, 4, nn. 320 s. e 324 s.; vedi, inoltre, A.
Degrassi 1962b, pp. 723 s.; G. Cuscito 1976, pp.49 s.; Cuscito
1989 cit., pp. 80 s..
35 Cfr. InIt X, 4, nn. 322 e 328. Vedi anche Cuscito 1989 cit.,
pp. 82 s.
36 Sul Mitreo al Timavo vedi da ultimo F. Maselli Scotti 1988, La
ceramica nelle fortificazioni di età romana in Friuli, in T.
Miotti, Castelli del Friuli, VII. I sette castra di Paolo Diacono
ed altri studi castellologici, Bologna, pp. 269 e 281; F. Maselli
Scotti 1992, p. 370. F. Maselli Scotti 1994, Le difese ad oriente
di Aquileia al tempo dell'invasione attilana, in Attila flagellum
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Tempus Edax Rerum
"Il tempo che divora ogni cosa"