ROMA AL TIMAVO

APPUNTI DI RICERCA

Indice

 

DEI ED EROI AL TIMAVO

Valentina Degrassi

Un discorso, anche se riassuntivo, sui culti che si svilupparono in epoca romana nell'area sacra del Timavo non può prescindere da una breve analisi della sua situazione in epoche precedenti.


La prima forma di occupazione stabile dell'area risale ad un momento avanzato dell'epoca del Primo Ferro, inquadrabile nell'ambito della metà dell'VIII secolo a.C., certamente connesso alla presenza dell'approdo naturale che sfruttava il breve corso del fiume o il vicino bacino, ed alla vicinanza di numerose sorgenti che assicuravano un facile rifornimento d'acqua potabile. Pur in assenza di strutture riferibili a sistemazioni di sponda, le due stazioni archeologiche del III Ramo del Timavo e di Moschenizze, in riva destra del fiume Locavaz testimoniano, per questo periodo, la presenza di insediamenti ubicati in aree perispondali in un momento in cui la tipica forma di occupazione stabile è quella dell'abitato d'altura.
E' probabile che il sistema del Timavo, foci e vicino bacino, rivestisse carattere commerciale: in quest'area infatti sboccavano, attraverso le pendici del Flondar e dell'Ermada e probabilmente lungo un alveo pedecarsico dell'Isonzo, due diramazioni delle vie carovaniere, conosciute poi col nome di "vie dell'ambra" che attuavano il collegamento diretto più rapido con gli empori situati sul mar Baltico ed in area danubiano-carpatica
1. In tal senso, non va sottovalutato il fatto che il Timavo è il porto più settentrionale dell'Adriatico, sede ideale dell'"intimo seno" descritto più volte dalle fonti2, raccordo ideale tra rotte commerciali di terra e di mare3.
Non sappiamo se in quest'epoca fosse già venerata qualche divinità, anche se sembra estremamente probabile, vista la presenza in uno stesso luogo di autentici fenomeni naturali, quali l'erompere di un fiume sotterraneo e lo sgorgare di sorgenti salmastre, dolci e salutari, direttamente collegati ad approdi tranquilli e ad importanti direttrici commerciali. La zona era, di conseguenza, molto trafficata e conosciuta, condizione questa che, in epoca protostorica, sta alla base del costituirsi di un centro sacro attorno ad una divinità epicorica
4: ad un area sacra forse alludono Polibio (POLYB. in STRAB: V.1.8.p.214C) e Varrone (VARRO frg.89, p.159 S.) quando riportano la notizia secondo la quale gli abitanti del luogo, gli indigeni, chiamavano il Timavo "fonte e madre del mare" o più semplicemente "mare"5.
Difficile è per il momento dare un nome di popolo a questi "indigeni": l'area del Timavo è infatti il confine naturale tra Veneti ed Histri e se gli etimi di nomi come Tergeste, Timavus/Temavus
6 o lo stesso "mare" riportano all'ambiente veneto, le evidenze archeologiche documentano una realtà multiforme e certamente mista, tipica delle aree di frontiera, dove gli elementi veneti si fondono e si integrano con quelli presenti in area slovena.
Tra VI e IV secolo a.C. lo scalo del Timavo è certamente vitale: seppure in assenza di conferme archeologiche
7, sembrerebbe lecito presupporre la presenza attiva di commercianti greci e in seguito magnogreci. Il culto di Diomede infatti, nominato al Timavo espressamente da Strabone (STRAB.V.1.8.p.214C) e collegato alla presenza di un'area sacra a lui dedicata, si propaga lungo le coste alto adriatiche proprio in questo periodo, favorito prima dalla politica greca e poi da quella siracusana che, utilizzando la figura dell'eroe, strinsero "alleanze" commerciali con le popolazioni indigene8, mirando ad instaurare una forma di "dominio" sulle rotte commerciali dell'Adriatico. In altre parole, laddove veniva individuato un "punto chiave" sotto il profilo commerciale, là la figura di Diomede veniva utilizzata come strumento di propaganda per stabilire "rapporti diplomatici con le genti non-greche dell'Adriatico". Capire in che forma di culto si esplicitassero poi questi rapporti, non è facile: per l'area veneta, concettualmente legata al culto eroico, la testimonianza diretta di Strabone, così come i dati archeologici, autorizzerebbero a ricostruire un culto di questo tipo9.
Anche la figura di Antenore, tradizionalmente legata al Timavo (VIRG. Aen. I, vv.240-253)
10, potrebbe nascondere in realtà, contatti antichissimi di natura commerciale che legarono i Focei, i primi navigatori fra i Greci, a genti di stirpe veneta11. In ogni caso, rimane pur valida l'ipotesi che il racconto mitico miri semplicemente a fornire antenati comuni a Romani e Veneti, tradizionali alleati nelle guerre contro i Galli12.
Con il III secolo a.C, ma più massicciamente con il II, l'area del Timavo entra nella zona d'influenza della politica romana. Le guerre tra Romani ed Istri furono tre, combattute rispettivamente nel 221, nel 178-177 e nel 129 a.C., delle quali la seconda riguardò più da vicino l'area del Timavo, sede di uno dei primi scontri diretti del quale ci da un resoconto puntuale Tito Livio. Tuttavia, una recente interpretazione, basata su una rilettura delle fonti, da luogo ad una nuova e suggestiva ipotesi secondo la quale l'aperta ostilità dimostrata dagli Istri alla fondazione di Aquileia nel 181 a.C., sfociata in scontri anche precedenti alla data tradizionale del 178 a.C., andrebbe spiegata con il timore di perdere il controllo degli sbocchi a mare delle vie dell'Ambra ed i traffici marittimi ad essi collegati
13, dirottati definitivamente su Aquileia, la cui vocazione emporiale di antica data è dimostrata da recenti rinvenimenti archeologici14. Cosa che puntualmente avvenne: dal II secolo a.C. in poi Aquileia, come nuova colonia latina, diviene di fatto il terminale commerciale delle vie di traffico del Nord-Est.
E' probabile che i Romani monumentalizzassero l'area di culto del Timavo già nel 177 a.C.
15 cosa che sicuramente fecero in occasione dell'ultima campagna, nel 129 a.C., come dimostra il rinvenimento della base del console Tuditano e come sappiamo da Plinio (NH III.19.129). Per tutta l'epoca imperiale il sito manterrà il suo carattere sacrale: dalle epigrafi e dal materiale archeologico sappiamo che qui si venerarono Ercole, Saturno, la Spes Augusta, Libero Augusto ma soprattutto Temavus. Nel corso del IV secolo d.C., con l'avvento del cristianesimo, qui si costruirà la "piccola cappella vicina al corso del fiume" destinata a divenire nel tempo la basilica di S. Giovanni in Tuba.

1 N. Negroni Catacchio 1972, p.8: la via legata al corso dell'Isonzo si attiva nel bronzo finale. Eadem 1976, in particolare pp. 39-42, dove si sottolinea l'importanza del sistema Isonzo-foci del Timavo.
2 Vedi le tesi espresse in A. Grilli 1973 e 1991: in ambedue i scritti si propone l'identificazione tra il mitico Eridano, il fiume dell'Ambra, ed il fiume lungo il quale si attivava di volta in volta una via carovaniera di collegamento con le zone di provenienza della preziosa resina.
3 Sull'individuazione dell'area del Timavo come cerniera tra vie carovaniere e rotte marittime, M. Buora 1988, p.43. Da ultimo L. Braccesi 1994 p.89 e ss. Vedi anche F. Maselli Scotti 1996, in particolare p.126.
4 P. Cassola Guida 1997, Insediamenti preromani nel territorio di Aquileia, in AAAd 29, pp.57-82; in particolare vedi pp.77-78.
5 V. Vedaldi Jasbez 1994, s.v. "Timavus" nn.120 e 122. Sulla divinità protostorica: A.M. Adam, Traces de lieux de culte de l'Age du Fer ed Frioul, in AAAd 37, 1991, pp.45-69, in part.p.51
6 Va tuttavia notata la forte incidenza del nome in area carnica.
7 In generale, tutta l'area del Carso triestino e goriziano è estremamente avara di reperti archeologici databili in quest'epoca: fanno eccezione i castellieri di Monrupino e Rupinpiccolo, che hanno restituito materiale ceramico d'importazione veneta riferibile al III Atestino (VI - V a.C.), ed il castelliere di Redipuglia con le due necropoli di Redipuglia e Ronchi che ne testimoniano la vitalità fino alla fine del V a.C.: cfr. P. Cassola Guida 1983, Redipuglia, in Preistoria del Caput Adriae, Trieste, pp.194-195. Sulle necropoli: L. Tonon 1977, Le necropoli di Ronchi e Redipuglia, in Atti del Convegno "Le età del bronzo e del ferro nell'Isontino", Gorizia, pp.115-119. A Redipuglia, il rinvenimento di un deposito di bronzetti votivi di fabbricazione emiliana ha indotto a ritenere che il castelliere si trovasse lungo un asse di penetrazione commerciale gravitante intorno all'area aquileiese, cfr.P. Cassola Guida 1989, I bronzetti friulani a figura umana, Roma, passim.
8 Mastrocinque 1987 cit., pp.79-96. Per il legame tra Diomede ed i Siracusani, Braccesi 1994 cit., pp.85 e ss.
9 Mastrocinque 1987 cit., passim.
10 Braccesi 1994 cit., pp.163 e ss.
11 V. Manfredi, L. Braccesi 1992, p.177 e ss. Cfr. anche Mastrocinque 1987 cit., p.44 e ss.
12 F. Fontana 1997, in particolare p.139 e ss.
13 R. Rossi (1992) 1996, pp.295 e ss. Dopo la caduta di Nesazio, Mutina e Faveria, caposaldi degli Istri, tendenzialmente si ammette che questi finirono di costituire un problema per Roma: fatto questo sembrerebbe essere smentito dalla precaria situazione della colonia, sfociata nella seconda deduzione di Aquileia nel 169: cfr. Bandelli 1988, pp.46 e ss.
14 F. Maselli Scotti 1993 cit.: la vocazione emporiale di Aquileia è certamente precedente alla colonia latina, come dimostrano i recenti ritrovamenti effettuati negli ultimi scavi a cura della soprintendenza per i B.A.A.A.A.S. del Friuli Venezia Giulia: F. Maselli Scotti et Alii 1998, Aquileia: a Protohistorical Human Setting, "Atti del XIII Congresso UISP", 4, Forlì, pp.827-833; vedi anche i contributi di F. Maselli Scotti, V. Degrassi e L. Mandruzzato, C. Tiussi in Prima dei Romani, Scoperte di preistoria e protostoria fra colline e mare, 1996-1997, Aquileia.
15 Fontana 1997 cit., pp.149 e ss.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

G. BANDELLI 1988, Ricerche sulla colonizzazione romana della Gallia Cisalpina, Le fasi iniziali e il caso aquileiese, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 1, Roma
L. BOSIO 1967, I porti e le vie di traffico nella fascia lagunare veneta prima della conquista romana, in Venetia I, Padova
L. BOSIO 1989, Sentieri e piste protostoriche nell'area dell'attuale Friuli, "Arch. Veneta" 10, pp.7-19
L. BRACCESI 1994, Grecità di frontiera. I percorsi occidentali della leggenda, Padova
L. BRACCESI E V. MANFREDI 1992, Mare Greco, eroi ed esploratori nel Mediterraneo antico, Milano
M. BUORA 1988, Viabilità ed insediamenti nell'antico Friuli, in La Venetia nell'area padano danubiana pp. 41-57
F. FONTANA 1997, I culti di Aquileia repubblicana. Aspetti della politica religiosa in Gallia Cisalpina tra il III ed il II sec. a.C., "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 9, Roma
A. GRILLI 1973, Il territorio di Aquileia nei geografi antichi, in AAAd. 15, 1, pp.223-257
A. GRILLI 1991, L'arco adriatico fra preistoria e leggenda, in AAAd. 37, pp.15-44
F. MASELLI SCOTTI 1983, Stazione del Terzo Ramo del Timavo, in Preistoria del Caput Adriae, Trieste, pp.209-211
F. MASELLI SCOTTI 1996, Presupposti per l'individuazione di Aquileia come terminale della via dell'Ambra, in Lungo la via dell'Ambra. Apporti altoadriatici alla romanizzazione dei territori del Medio Danubio (I sec. a C.- I sec. d.C.), Udine, pp.125-129
A. MASTROCINQUE 1987, Santuari e divinità dei Paleoveneti, Padova
M. MIRABELLA ROBERTI 1976, La basilica paleocristiana di S. Giovanni al Timavo, in AAAd. 10, pp. 63-75
N. NEGRONI CATACCHIO 1972, La problematica dell'ambra nella protostoria italiana, "Padusa" 8, 1-2, pp.3-20
N. NEGRONI CATACCHIO 1976, I passi alpini orientali e l'alto Adriatico, in AAAd. 9, pp.21-59
A. OSENDA 1968, Relazione sul rinvenimento di una stazione romana e di una preistorica nei pressi della risorgiva di Moschenizze (Carso Triestino), "Atti e Memorie della Commissione Grotte Eugenio Boegan", 8, pp.163-168
F. ROSSI (1992) 1996, Gentes ferae et...latrociniis maritimis infames, in Scritti di Storia Romana, Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Scienze dell'Antichità 7, pp.289-297
A. PROSDOCIMI 1986, Contatti di lingue nella Decima Regio, in AAAd. 28, pp.15-42
V. VEDALDI JASBEZ 1994, La Venetia orientale e l'Histria, Le fonti letterarie greche e latine fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 5, Roma

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

L'AREA SACRA PRESSO IL TIMAVO

Federica Fontana

La consistenza del culto al dio Timavo, nell'area sacra presso le foci del fiume, a S. Giovanni in Tuba (Duino), risulta estremamente difficile da definire.

 

Tutte le iscrizioni che ci sono rimaste risalgono ad età tardo-repubblicana, ma nessuna di esse risulta essere anteriore alle dediche poste al dio Timavo ad Aquileia e a Duino dal console del 129 a.C., C. Sempronius Tuditanus1. Due dei dedicanti, sulla base della comune articolazione del nome, potrebbero essere identificati come personaggi di origine veneta, che votano al dio piccole basi con un testo semplice e una formula disposta su due righe2. Le altre iscrizioni, invece, non presentano particolari elementi di interesse.
Il culto, su base epigrafica, sembra, dunque, attestato in un arco cronologico abbastanza definito, ovvero non prima del 129 a.C. e non dopo l'età augustea, e si riferisce chiaramente all'ambito etnico e culturale venetico o nord-adriatico
3.
Per quanto riguarda le fonti letterarie, il luogo sacro al Timavo è messo in rapporto con due tradizioni mitiche legate ai nostoi, i tormentati viaggi degli eroi greci e troiani all'indomani della caduta di Troia: quella del troiano Antenore e quella del greco Diomede. Delle due la prima è chiaramente legata alla valorizzazione in chiave troiana dell'origine dei Veneti, in funzione della loro alleanza con i Romani, discendenti di Enea. Il collegamento esplicito tra Diomede e il Timavo si deve, invece, esclusivamente a Strabone nel V libro, V, 1, 8 [C214-215] della sua Geografia.
Va in ogni caso detto che in epoca romana le due tradizioni erano compresenti e sicuramente non erano ignorate da chi ne sceglieva una a scapito dell'altra.

Antenore La leggenda di Antenore al Timavo, sconosciuta ad Omero, si afferma parallelamente a quella sull'origine dei Veneti come discendenti dagli Eneti della Paflagonia, giunti in Adriatico al seguito del troiano Antenore e dei suoi figli
4; essa avrebbe avuto diffusione, in un primo momento, nel mondo greco tramite gli "Antenoridi" di Sofocle.
La valutazione dell'origine troiana dei Veneti aveva, certamente, lo scopo di stabilire "legami di stirpe" con degli alleati che divenivano sempre più preziosi nello scontro contro i Galli
5 e, allo stesso tempo, probabilmente, di suggerire un'analogia fra le vicende dell'eroe troiano e le imprese del console C. Sempronius Tuditanus, una sorta di nuovo Antenore6. Un collegamento del Timavo con la sfera della vittoria è sottolineato, tra l'altro, dall'attributo di Ledaeo conferitogli da Marziale che, almeno in due punti, ricorda la sosta di Cillaro, il cavallo dell'immortale Polluce, figlio di Leda, presso le fonti del fiume7. Ancora in età augustea, Largo sarebbe stato autore di un poema epico su Antenore8; in seguito il tema venne ripreso esplicitamente da Lucano, che chiamò il fiume Antenoreus, implicitamente da Marziale e da Silio Italico9 e, infine, da Claudiano che lo definì Phrygius: anche in un'iscrizione del III sec. d.C. gli aquileiesi sono definiti antenorei, con un evidente richiamo alla consueta versione dello sbarco dell'eroe presso il Timavo10.
Al Timavo, dunque, che si caratterizza come tipico luogo di "sbarco antenoreo"
11, inizia l'avventura occidentale dell'eroe. Anche Livio e Virgilio ne trasmettono memoria12e mettono in relazione l'arrivo di Enea sulla costa tirrenica con quello di Antenore sulla costa adriatica, come se si trattasse di destini in qualche modo paralleli; lo stesso fa Strabone in almeno due passi della sua opera13.

Diomede Per consuetudine si afferma, proprio sulla base della testimonianza straboniana, l'esistenza di un culto di Diomede, Hera Argiva ed Artemide Etolica presso il Timavo, culto che avrebbe previsto, come in Veneto, un sacrificio di cavalli; in realtà, Strabone si limita, per quanto riguarda il Timavo, a citare la presenza di Diomede
14. E' probabile, peraltro, che nella scelta dell'excursus mitico su Diomede al Timavo abbia prevalso proprio il desiderio di parlare dei riti legati ai cavalli che si tributavano in Veneto all'eroe.
D'altra parte, la figura mitica di Diomede, scelta dal geografo, è tipica delle aree elleniche marginali, simbolo di contatti tra greci e indigeni, quest'ultimi non estranei a contatti con i primi, ma allo stesso tempo non ancora compiutamente ellenizzati
15. L'area del Timavo, zona di confine per eccellenza, come lo stesso Strabone afferma, punto di passaggio di vie commerciali protostoriche, rispondeva perfettamente a queste caratteristiche16.
La mancata citazione della tradizione antenorea doveva dipendere dalla volontà di Strabone di confutare l'insieme delle vicende mitiche legate all'arrivo dell'eroe nell'alto Adriatico e quindi, implicitamente, l'origine antenorea e troiana degli Eneti/Veneti, poiché egli considerava questi ultimi di origini indigene17.

Sarebbe, peraltro, importante riuscire a stabilire quale fosse la realtà sacra del Timavo ovvero se, sulla base della testimonianza straboniana, sia possibile dedurre l'esistenza di un vero e proprio tempio a Diomede.
Il testo di Strabone non è, in realtà, di interpretazione così lineare. Esso viene comunemente tradotto come la testimonianza di "un tempio a Diomede presso il Timavo"
18 oppure di "un tempio di Diomede, il Timavo"19.
Ma una attenta rilettura del testo porterebbe ad una nuova proposta, ovvero che la zona del Timavo fosse un alsos/lucus, un bosco sacro.
20 La tipologia dell'alsos, infatti, è quella del santuario di frontiera, quello, cioè, in cui sono dominanti i caratteri di tramite tra mondi culturali, politici e religiosi diversi, ma compresenti. Esso si colloca, per l'appunto, ai margini del territorio occupato e trasformato dall'uomo, posto, in qualche modo, a garanzia del processo di civilizzazione. L'area del Timavo, punto di confine tra area veneta ed istrica, comprende in sé tutti questi elementi21.
Ciò che risulta di maggiore interesse è il fatto che l'alsos/lucus si caratterizzi come luogo sacro non strutturato in modo preciso e non dedicato ad un'unica divinità
22. In particolar modo, poi, nei luci, contrariamente a quello che si verifica per gli alse greci, è la particolarità del paesaggio a definirne la sacralità e non tanto la presenza di una divinità precisa.

Un altro spunto in questa direzione ci è fornito dal Bellum Histricum di Ostio, poeta epico vissuto probabilmente nella seconda metà del II sec. a.C., la cui opera si pone ormai unanimemente in relazione con la spedizione di Tuditano del 129 a.C
23. Si tratta di due frammenti, fra cui, però, già Festo aveva intravisto una lacuna di circa mezzo verso, "per gentis alte aetherias atque [--------] violabis templa antiqua <deum>", e di un altro frammento, il cui rapporto con i precedenti non è chiaro, "dia Minerva <simul> simul autem invictus Apollo arquitenens Latonius".
In riferimento alla descrizione dell'impresa bellica di Tuditano, questi frammenti sembrano segnalare l'esistenza di antichi santuari degli dei e, soprattutto, un accostamento fra divinità difficilmente associate in un'unica impresa, come Apollo Latonius, chiara allusione al culto delio del dio, e Minerva. Si può avanzare l'ipotesi che in questa citazione si configuri un'allusione, più o meno esplicita, al pantheon delfico, nel quale coesistono e combattono assieme contro i Galli Apollo, Artemis, Dionysos e Athena. Che tale patrimonio mitologico e religioso fosse largamente impiegato nell'Italia centrale e nella Gallia Cisalpina nel corso delle lunghe e difficili guerre contro le varie tribù di origine celtica, è ampiamente dimostrato da contesti come quello lunense, dai templi di Civitalba, della Catona, presso Arezzo, e di Talamone e, probabilmente, da quello di Monastero
24.
Sarebbe, a questo punto, suggestivo proporre un riferimento all'esistenza di un tempio precedente l'arrivo del console nel 129 a.C., collegato forse ad un evento bellico contro delle popolazioni "barbare" e, quindi, un'allusione proprio al tempio di Apollo e Borea a Monastero (Aquileia), all'interno del quale egli pose, in un secondo momento, la nota dedica. Ciò che risulta curioso, infatti, è che il punto in cui Festo inserisce questi frammenti è proprio la spiegazione della voce tesca, che è stata recentemente accostata al concetto di lucus. I tesca sarebbero, appunto, luoghi posti al di fuori dello spazio umanizzato, in cui domina incontrastata qualche figura divina.

Un aspetto curioso è anche il fatto che la dimensione del lucus, soprattutto in Grecia, era sacra ad Apollo e si collegava concettualmente all'età dell'oro, dimensione peculiare di Saturno
25, cui era dedicato un culto sia al Timavo26, sia, probabilmente, ad Aquileia nei pressi di Monastero27. Del resto, il carattere ctonio del Timavo, che riemergeva dopo un lungo percorso sotterraneo, non doveva sfuggire agli antichi e poteva costituire un formidabile trait d'union con la sfera di competenza di Saturno28.
In conclusione, si potrebbe dire che la presenza di dediche da parte di personaggi di origine veneta risalirebbe verosimilmente ad una tradizione santuariale paleoveneta
29 oppure potrebbe collegarsi direttamente alla rifunzionalizzazione del Timavo come luogo di sbarco di eroi, operata da Tuditano in chiave mitica e celebrativa, con un esplicito richiamo alla leggenda antenorea. Questa operazione doveva trovare chiaramente maggiore rispondenza in ambiente culturale veneto, in cui, oltre tutto, lo spazio sacro del lucus era largamente presente30. Ed è anche probabile che tale dimensione esprimesse il convergere degli interessi veneti e romani per la costa adriatica, contro l'avanzata degli Istri e dei Galli Carni31.
La documentazione archeologica, peraltro, non ci soccorre per quanto riguarda la natura e la tipologia dei monumenti di culto presenti nella zona, per quanto sia comunemente accettato che sia attestata in loco una frequentazione molto antica
32. La particolare natura dell'area sacra consentiva la compresenza di divinità fra loro diverse e non è possibile definirne con precisione l'ambito di pertinenza; non si sa, in effetti, quale fosse il tipo di culto prestato ad un Fons (Timavi?), anche perché non di rado i culti legati alle fonti non avevano nulla a che fare con la sanatio33, la guarigione, o a Spes Augusta, per i quali fra l'altro non si è certi della collocazione, dato che le relative dediche furono rinvenute sulla retrostante collina di S. Antonio, presso Monfalcone (Go), nelle vicinanze di un impianto termale romano34.
Per quanto riguarda, infine, il culto di Ercole e Silvano, esso è sicuramente attestato in età imperiale
35, mentre dalla fine I - inizi II sec. d.C. è noto quello di Mitra36.



1 Sui problemi di datazione di queste epigrafi, in generale, cfr. G. Bandelli 1988a, pp. 93 s.; M. Buora, C. Zaccaria 1989, C. 310.
2 Si tratta di un personaggio con probabile gentilizio [-]eugicus e di un M(anius) Tivalicus, entrambi privi di filiazione e cognomen; cfr. C. Zaccaria 1991, p. 198, nt. 39. La terminazione in -icus è particolarmente attestata nei patronimici venetici: cfr. G. B. Pellegrini, A. L. Prosdocimi 1967, La lingua venetica, I-II, Padova, pp. 548 s., CA 67; M. Lejeune 1974, Manuel de la langue vénète, Heidelberg, pp. 86 s., n. 77.
3 Per un parere concorde, seppure sulla base di un'erronea lettura del noto passo straboniano relativo al Timavo, cfr. A. Mastrocinque 1987, p. 84.
4 Cfr. L. Braccesi 1984b, pp. 45 s. e 98 s.; D. Briquel 1990, pp. 126 s.; L. Capuis 1990, p. 151.
5 Cfr. F. Cássola 1979, p. 94; Braccesi 1984b cit., pp. 48 s. e 80 s.; Briquel 1990 cit., p. 126 s.
6 Cfr. L. Braccesi 1984a, p. 21 e Braccesi 1984b cit., pp. 48 s. e 98 s.; L. Capuis 1993, p. 32. Il primo ad aver suggerito una relazione tra la tragedia di Accio e Tuditano è stato Gabba; cfr. E. Gabba 1976b, Sulla valorizzazione politica della leggenda delle origini troiane di Roma fra il III e II secolo a.C., in I canali, p. 93. Dell'intenzione di Tuditano di far celebrare epicamente le sue imprese sappiamo da Lucilio, il quale, rinunciando all'incarico offertogli dal console, dichiara che meglio se ne occuperà un altro poeta, identificato dagli studiosi con Ostio, autore di un Bellum Histricum, di cui rimangono alcuni frammenti; cfr. Corbato 1989, p. 46.
7 Cfr. Marziale, Ep. IV, 25 e VIII, 28, 7-8. Per quanto riguarda la comparsa simbolica di entrambi i Dioscuri o anche di uno solo presso luoghi sacri, soprattutto fonti o laghi, in connessione con battaglie importanti, cfr. R. Schilling 1960, Les Castores romaines à la lumière des traditions indoeuropeénnes, in Hommages à G. Dumèzil, Bruxelles, pp. 177 s.
8 Cfr. Ovidio, Pont. 4, 16, vv. 17-18: "Largus/Gallica qui Phrygium duxit in arva senem". Cfr. Braccesi 1984a cit., p. 23. Per quanto concerne l'interesse degli intellettuali di età augustea nei confronti di Antenore, cfr. Braccesi 1984b cit., pp. 61 s.
9 Per la connessione dei passi di Marziale, Ep. XIII, 89 e di Silio Italico, 12, 215, con la leggenda di Antenore, cfr. Braccesi 1984a cit., p. 23 e Braccesi 1984b cit., pp. 82 s. e 100.
10 Cfr. Lucano 7, 194; Claudiano. 7, 120. Per l'iscrizione, cfr. L. Moretti 1980, Epigrafica, "Rfil" 108, p. 445. Su Aquileia come fondazione antenorea secondo Virgilio, cfr. Braccesi 1984b cit., pp. 118 s.
11 Si tratta, in genere, di luoghi in altura poco elevata, vicino al mare, con corsi d'acqua e paludi; cfr. D. Musti 1988, pp. 95 s. Vedi, inoltre, Capuis 1990 cit., p. 163.
12 Cfr. Braccesi 1984a cit., p. 19 e Braccesi 1984b cit., pp. 98 s.
13 Vedi Strabone. I, 3, 2 [C48] III, 2, 13 [C150] Sulla complementarietà delle due tradizioni, cfr. Braccesi 1984b cit., pp. 123 s.; Briquel 1990 cit., pp. 130 s.
14 Cfr. Braccesi 1984b cit., pp. 13 s.; Mastrocinque 1987 cit., p. 84; M.J. Strazzulla Rusconi 1987a, pp. 86 s.; L. Braccesi 1988, p. 137; sull'argomento vedi anche E. Lepore 1989, Diomede, in L'epos greco in Occidente, Taranto 1980 [1989], pp.113 s.; E. Lepore 1984, Artemis Laphria dall'Etolia al Veneto. A proposito di Strabone V, 1, 9, C215, in Recherches sur les cultes grecs et l'Occident. 2, Napoli, pp.109 s; E. Lepore 1986, Epiteti a divinità plurime. Artemide Laphria, in Les grandes figures religieuses, Paris, pp.149 s; C. Montepaone 1993, L'alsos - lucus, forma idealtipica artemidea: il caso di Ippolito, in Bois sacrés, p. 71.
15 Cfr. Braccesi 1988 cit., p. 140; Musti 1988 cit., pp. 181 s.
16 Strabone. V, 1, 9, ritiene il Timavo punto di confine tra Veneti ed Istri. Cfr. Braccesi 1988, pp. 134 s.; J.M. Adam 1989, p. 25. Sull'argomento vedi F. Rittatore Vonwiller, La diffusione dell'ambra in Europa e in Italia durante la protostoria, in Studi e ricerche sulla problematica dell'ambra, I, Roma 1975, pp.215 s
17 Cfr. Braccesi 1988 cit., pp. 139 s. La troianizzazione degli indigeni costituiva, come si è detto, un procedimento tipico della propaganda ateniese, finalizzata alla creazione di rapporti proficui sulla base di comuni antenati con le popolazioni locali, anche nella fase di espansione nel golfo Adriatico; cfr. X. Perret 1976, Athènes et les lègendes troyennes d'occident, in Mélanges J. Heurgon, 2, Roma, pp. 791 s.; L. Braccesi 1978, Problemi di archaiologia, Bologna, pp. 47 s.
18 Per questa traduzione, che comporterebbe un emendamento del testo straboniano, cfr. F. Cássola 1972, Storia di Aquileia in età romana, in AAAd 1, p. 24.
19 Cfr. L: Capuis 1993, p. 19. Vedi inoltre F. Lasserre 1967, Strabon, Géographie, tome III Livre V et VI, Paris, p. 48; N. Biffi 1988, L'Italia di Strabone, Testo, traduzione e commento dei libri V e VI della Geografia, Bari, p. 19.
20 Su questa problematica, cfr., in generale, Bois sacrés. Sulla questione lacus/lucus Timavi, cfr. A. Degrassi 1962a, pp. 216 s., che pensava, appunto, alla possibilità di un emendamento del testo in favore di lucus.
21 Cfr. Cássola 1979 cit., pp. 83 s.; Braccesi 1984a cit, pp. 20 s. Per l'importanza del lucus anche nel mondo celtico e veneto, cfr. M.Lejeune 1993, pp. 93 s.
22 L'alsos può contenere un vero e proprio edificio sacro oppure essere qualificato semplicemente da are e statue di divinità; cfr. F. Coarelli 1993, I luci del Lazio: la documentazione archeologica, in Bois sacrés, pp. 46 s.
23 Cfr. Braccesi 1984a cit., p. 21; C. Corbato 1989, p. 46.
24 Cfr. con bibliografia precedente, F. Fontana, I culti di Aquileia repubblicana, aspetti della politica religiosa in Gallia Cisalpina tra il III ed il II sec. a.C., "Studi e ricerche sulla Gallia Cisalpina" 9, 1997, Roma.
25 Questi boschi sacri, collegati in qualche modo anche alla sfera oracolare, sono luoghi non coltivati non perché aridi, ma in quanto naturalmente abbondanti, cfr. D. E. Birge 1982, Sacred groves in the ancient Greek world, Berkeley, p. 18; F. Graf 1993, Bois sacrés et oracles en Asie Mineure, in Bois sacrés, pp. 24 s. La dimensione di Saturno come divinità agraria non era per l'appunto, quella del dio che garantisce il funzionamento dei cicli naturali, ma quella di chi presiede alla produzione spontanea senza la mediazione dell'uomo; cfr. I. Chirassi Colombo 1975-76, Acculturazione e morfologia di culti alpini, "CstItRom" 7, p. 176.
26 Si tratta di un mortarium con un'iscrizione Numen/Saturni di età tardo-repubblicana o protoaugustea, cfr. F. Maselli Scotti 1979, pp.372 s.; A. Mastrocinque 1994, p. 101
27 Sul culto di Saturno al Timavo e sull'iscrizione Satu[---], proveniente forse dalle Marignane e attualmente conservata presso la via Gemina (sig. Sandrin), cfr. G. Cuscito 1989, pp.91 s.
28 Sul carattere ctonio del culto a Saturno cfr. Mastrocinque 1994 cit., pp. 100 s. Non pare sostenuta adeguatamente l'ipotesi che Saturno sia una interpraetatio successiva del dio Timavo, cfr. Maselli Scotti 1979 cit., pp. 373 s.
29 Per questa teoria sulla presenza di un santuario paleoveneto, cfr. Buora, Zaccaria 1989 cit., cc. 309 s.; A.M. Adam 1991, p. 66.
30 Per quanto riguarda il mondo religioso osco e celtico, Lejeune 1993 cit., pp. 93 s.
31 Segno di questo fenomeno potrebbe essere l'abbandono, a partire dal V sec. a.C., delle sedi sull'altopiano a favore di una frequentazione dei siti sulla costa; dalla seconda metà del III sec. a.C. l'influenza veneta su quest'area sembra, in effetti, aumentare e si può riconoscere anche sulla base delle testimonianze archeologiche; Adam 1989 cit., pp. 21 s. e 29 s. Va notato, in ogni caso, che l'idronimo Timavus è di matrice venetica; cfr. M. Doria 1972, Toponomastica preromana dell'alto Adriatico, in AAAd 1, pp. 28 s.
32 Nelle grotte carsiche dell'area tra Aurisina e il Timavo è stato rinvenuto molto materiale protostorico e romano, cfr da ultimo M. Durigon 1999, Le grotte del Carso in età romana, "A.Tr", s. IV, 59, passim.
33 Cfr. ad esempio J. Scheid 1991, Sanctuaires et thermes sous l'Empire, in Les thermes romains, pp.205 s. e J. Scheid 1992, Epigraphie et sanctuaires guérisseurs en Gaule, "MEFRA" 104, pp.27 s. dove l'autore critica recisamente la tendenza ad attribuire questo valore a tutti i santuari in cui sia presente l'acqua.
34 Cfr. InIt X, 4, nn. 320 s. e 324 s.; vedi, inoltre, A. Degrassi 1962b, pp. 723 s.; G. Cuscito 1976, pp.49 s.; Cuscito 1989 cit., pp. 80 s..
35 Cfr. InIt X, 4, nn. 322 e 328. Vedi anche Cuscito 1989 cit., pp. 82 s.
36 Sul Mitreo al Timavo vedi da ultimo F. Maselli Scotti 1988, La ceramica nelle fortificazioni di età romana in Friuli, in T. Miotti, Castelli del Friuli, VII. I sette castra di Paolo Diacono ed altri studi castellologici, Bologna, pp. 269 e 281; F. Maselli Scotti 1992, p. 370. F. Maselli Scotti 1994, Le difese ad oriente di Aquileia al tempo dell'invasione attilana, in Attila flagellum Dei?, Convegno Internazionale di studi storici sulla figura di Attila e sulla discesa degli unni in Italia nel 452 d.C. (a cura di S. Blason Scarel), "Studia Historica" 192, Roma.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

J. M. ADAM 1989, Le territoire d'Aquilée avant la fondation de la colonie: sources littéraires et réalités archéologiques, in AAAd 35, pp.13 e s.
A. M. ADAM 1991, Traces de lieux de culte de l'age du fer en Frioul, in AAAd 37, p. 45 e s.
G. BANDELLI 1988, Ricerche sulla colonizzazione della Gallia Cisalpina. Le fasi iniziali e il caso aquileiese, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 1, Roma
L. BERTACCHI 1967, Una piccola ara dedicata a Timavo, "AqN" 38, cc.7 e s.
BOIS SACRES, AAVV, Les bois sacrés. Actes du colloque International organise par le Centre Jean Berard et l'Ecole Pratique des Hautes Etudes, Napoli, 23-25 novembre 1989, Napoli 1993
L. BRACCESI 1984a, La leggenda di Antenore, Un mito greco di area veneto-illirica, in Il crinale d'Europa. L'area illirico danubiana nei suoi rapporti con il mondo classico, Roma
L. BRACCESI 1984b, La leggenda di Antenore da Troia a Padova, Padova
L. BRACCESI 1988, Indizi per una frequentazione micenea dell'Adriatico, in E. AQUARO, L. GODART, F. MAZZA, D. MUSTI (a cura di), Momenti precoloniali nel Mediterraneo antico, Roma
D. BRIQUEL 1990, Dionigi di Alicarnasso o le ragioni di un silenzio, in Padova per Antenore, Padova
G. BRUSIN 1968, Un tempio del Timavo ad Aquileia, "AqN" 39, cc.15 s.
M. BUORA, C. ZACCARIA 1989, Notiziario epigrafico, "AqN" 60, cc.309 s.
L. CAPUIS 1990, Antenore e l'archeologia. Le varie chiavi di lettura del mito, in Padova per Antenore, Padova
L. CAPUIS 1993, I Veneti, Società e cultura di un popolo dell'Italia preromana, Milano
F. CÁSSOLA 1979, Le popolazioni preromane del Friuli nelle fonti letterarie, in AAAd 15, 1, pp.83 e s.
C. CORBATO 1989, Aquileia nei frammenti di Ostio, in AAAd 35, pp.43 e s.
G. Cuscito 1976, Revisione delle epigrafi di età romana rinvenute intorno al Timavo, in AAAd 10, pp.47 e s.
G. CUSCITO 1989, Il "Lacus Timavi" dall'antichità al Medioevo, in Il Timavo, immagini, storia, ecologia di un fiume carsico, Trieste
A. DEGRASSI 1962a, Lacus Timavi, in Scritti vari II, Roma, pp.216 e s.
A. DEGRASSI 1962b, Le grotte carsiche nell'età romana, in Scritti vari II, Roma, pp. 723 e s
M. DURIGON 1999, Le grotte del Carso in età romana, "A.Tr", s. IV, 59
M LEJEUNE 1993, "Enclos sacré" dans les épigraphies indigenes d'Italie, in Bois sacres, pp.93 e s.
F. MASELLI SCOTTI 1979, Il territorio sud-orientale di Aquileia, in AAAd 15, 1,pp.366-370 xx
F. MASELLI SCOTTI 1982, Materiali romani rinvenuti alle fonti del Timavo, S. Giovanni in Tuba-Duino, "Relazioni" 1, Trieste, pp.81 e s.
F. MASELLI SCOTTI, 1983-84, Problemi suscitati dai recenti scavi di Duino (Trieste), "ACMT", Quaderno XIII, 2, pp. 45 e s.
F. MASELLI SCOTTI 1992 (1990), Due fortificazioni tardoantiche ad oriente di Aquileia, in Felix temporis reparatio, Atti del Convegno Internazionale, Milano 8- 10 marzo 1990 (a cura di G. SENA CHIESA e E.A. ARSLAN), Milano
A. MASTROCINQUE 1987, Santuari e divinità dei Paleoveneti, Padova
A. MASTROCINQUE 1994, Il culto di Saturno nell'Italia settentrionale romana, in Culti pagani nell'Italia settentrionale, Trento
D. MUSTI 1988, Il processo di formazione e diffusione delle tradizioni greche sui Dauni e su Diomede, in Strabone e la Magna Grecia. Città e popoli dell'Italia antica. Padova
M. J. STRAZZULLA RUSCONI 1987, Le terrecotte architettoniche della Venetia romana. Contributo allo studio della produzione fittile nella Cisalpina (II a.C.- II d.C.), Roma
C. ZACCARIA 1991, Romanizzazione e onomastica. Testimonianze epigrafiche ad Aquileia e nell'Italia nordorientale, in AAAd 37, pp.189 e s.

 

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

Indice