ROMA AL TIMAVO

APPUNTI DI RICERCA

Indice

 

 

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

LE VIE DI COMUNICAZIONE

Valentina Degrassi

 

 

La zona che oggi grossomodo comprende parte del Villaggio del Pescatore, San Giovanni di Duino, il Lisert e la zona industriale di Monfalcone, corrispondeva ad un'area nota nella storiografia antica come Lacus Timavi.


Livio, storico vissuto a cavallo tra I secolo a.C. ed il successivo, la descrive con poche parole (LIV.XLI.1.2; XLI.2.1), sufficienti tuttavia a delineare un panorama assai diverso dall'attuale. L'acqua raggiungeva le pendici degli ultimi colli del Carso monfalconese, invadendo l'attuale zona industriale fino al colle di Moschenizze e spingendosi a ridosso della ss. 14 verso S. Giovanni di Duino e le foci del Timavo
1. Un' i-soletta ed un antico sistema di cordoni litoranei separava dal mare aperto questo bacino. Non sappiamo di che natura fosse questo "lago": oggi si pensa ad un estensione del sistema di lagune che caratterizza l'arco adriatico nord-occidentale, per quanto un considerevole apporto d'acqua dolce, dovuto al Timavo stesso e molto probabilmente ad un ramo secondario dell'Isonzo, può aver creato condizioni ambientali particolari, tali da giustificare la terminologia utilizzata da Livio2.
Il Lacus Timavi e le zone finitime erano inserite nella rete stradale antica attraverso due percorsi principali:
1. la via Gemina, che collegava Aquileia a Tergeste.
2. la via che collegava questa zona con la grande strada Aquileia-Emona, l'odierna Lubiana, stesa lungo la valle del Vipacco.
La prima, provenendo da Ronchi, correva lungo le falde meridionali dei colli del monfalconese a ridosso della laguna
3. Attraversava il Locavaz in prossimità dell'attuale ponte della ss.14, quindi si biforcava, per riunirsi in prossimità di S. Giovanni di Duino. Con tratto unico scendeva, attraversando la statale vicino ai Lupi di Toscana, verso la Bocche del Timavo, quindi con un ramo raggiungeva il Villaggio del Pescatore riunificandosi al tracciato principale nei pressi del bivio di Duino. Proseguiva quindi verso Sistiana ed Aurisina. Il percorso ulteriore raggiungeva Prosecco da dove un ramo scendeva a Trieste mentre l'altro proseguiva per l'Istria4.
L'altro asse partiva anch'esso dalla zona di Ronchi ma entrava nella valle delle Mucille lungo il versante nord dei colli monfalconesi: tagliava nei pressi di Selz portandosi sulle falde meridionali del Cossich, proseguiva quindi verso il lago di Doberdò, inoltrandosi nella stretta valle tra il Debelj e l'Arupacupa (loc. Vertace). Svoltava quindi per Jamiano, dove superava un'altra confluenza con la strada che si inoltrava nel Vallone, infilandosi infine nella valle di Brestovizza. Da qui puntava verso la valle della Branizza, che attraversava presso l'odierna Branik, per ricongiungersi al percorso della via Aquileia-Emona nei pressi di Aidussina (Ad Castra). Collegamenti diretti con questa via e la zona del Lacus Timavi (e quindi Duino) sono stati rilevati presso l'Ermada
5, ad est di Medeazza e lungo il versante occidentale del Flondar: ambedue si collegavano al tracciato della Aquileia-Tergeste presso S. Giovanni di Duino.
Lungo la Gemina, nell'area della biforcazione della strada, presso l'attuale acquedotto Randaccio, è stata scoperta negli anni '80 una grande villa identificata con la mansio Fons Timavi, stazione di posta nominata dagli antichi itinerari e riportata sulla Tabula Peuntingeriana
6. Sempre sulla base degli itinerari e di altri scrittori, in particolare Plinio (NH III.18.127), abbiamo qualche notizia circa i centri abitati che s'incontravano più ad est: la prima località nominata dopo la mansio è il Castellum Pucinum, borgo che l'odierna storiografia identifica con Duino7, oltre al quale si apriva il golfo di Trieste. A favore dell'identificazione di Duino con un castellum, nel senso di sito fortificato, hanno pesato i risultati di una campagna di scavo condotta in un'area adiacente alla cinta muraria dell'attuale castello8, in base ai quali è stata accertata la presenza di un' insediamento la cui ultima fase si data tra la seconda metà del I secolo a.C. e la prima metà del successivo. Su questa base, avvalorata dalla posizione strategica di Duino, naturalmente protetta e dominante rispetto la rete stradale antica, oggi si reputa che Castellum Pucinum sorse negli anni successivi alle incursioni giapidiche del 52 a.C. e che mantenne le sue funzioni difensive fino in epoca tardo-antica, tanto da essere inserito nel sistema di fortificazioni del confine orientale9.


1 In anni recenti, è stata avviata una ricerca, denominata progetto SARA, finalizzata alla ricostruzione della linea di costa tra Aquileia e Tergeste, con particolare riferimento ai mutamenti idrografici del territorio compreso tra il Tagliamento ed il Timavo: F. Maselli Scotti, V. Degrassi, P. Ventura 1998, Lacus Timavi in the Region of Venezia Giulia (Italy) from the Bronze to the Roman Age: Human Settlements and Landscapes Archaeology, Atti del XIII Congresso UISP, 4, Forlì pp.521-525; F.Maselli Scotti et Alii 1998, Aquileia: a Protohistorical Human Setting, Atti del XIII Congresso UISP, 4, Forlì, pp.827-833. Vedi da ultimo il contributo di F. Maselli Scotti in AAAd 45, 1999.
2 Vale la pena ricordare che Tacito (Annales XIV,5) utilizza il termine "lacus" riferendosi a Baia: il Baianus Lacus è uno specchio d'acqua costiero, ad acque marine, collegato al mare aperto da un canale. Sulla possibilità che l'Isonzo si gettasse con un ramo anche nell'area del golfo di Panzano, vedi supra F. Senardi.
3 I tratti di strada rinvenuti nella zona di Monfalcone sono pochissimi: solchi carrai sono attestati in pratica, solo sulle falde del colle di Moschenizze, al confine della palude. Esistono tuttavia moltissimi accenni a tratti di questa strada negli appunti manoscritti di A. Puschi, conservati ai Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, grazie ai quali è possibile ricostruire l'asse viario dal ponte di Ronchi fino a quello (o quelli) sul Locavaz: cfr. V. Degrassi, P. Ventura 1999, passim.
4 Una corrente di pensiero individua una via per l'Istria interna-Fiume lungo un percorso interno, di ascendenza protostorica, piuttosto che lungo la tradizionale via Aurisina-S. Croce-Prosecco. In base ad una od all'altra ipotesi, la Mansio Avesica nominata dall'Itinerario Antonino, situata a 12 miglia da quella di Fons Timavi lungo il percorso per Fiume (Tarsatica), andrebbe riconosciuta in Prosecco o in Zolla, località presso Monrupino; cfr. L. Bosio 1991 passim; A. Grilli 1973, pp.28-30.
5 Un nodo stradale si trovava probabilmente nei pressi di Ceroglie: già rilevato dal Gregorutti (1890-92) e dal Puschi (1905), esso permetteva da un lato si raggiungere il mare, dall'altro di collegarsi all'altopiano di Comeno.
6 La Tabula Peuntingeriana, che deve il nome al suo primo editore Peutinger, è un documento di epoca medievale copia di una sorta di carta stradale risalente al IV secolo d.C. (itinerarium pictum). Essa riporta, con tanto di indicazioni sia delle distanze sia delle stazioni di posta, gli itinerari principali in partenza da Roma. E' certamente il documento più importante in nostro possesso per ricostruire i percorsi di epoca romana: ad essa si affiancano due itinerari scritti (itineraria adnotata), nati come guide per i viaggiatori che, dovendo scegliere un percorso, potevano in base ad essi fissare le possibili tappe o conoscere le distanze tra le località da raggiungere.
7 Castellum Pucinum, la località nominata nella Tabula Peutingeriana e negli itinerari, è riconosciuta ora in Prosecco, ora in Duino (da ultimo L. Bosio 1991, p. 218 e ss). P. Kandler (1874) e con lui A. Puschi (appunti manoscritti: cfr. nt.3) identificavano il Castellum con le rovine del Palazzo d'Attila, nella Val Catino (Villaggio del Pescatore).
8 F. Maselli Scotti 1983-84, passim.
9 F. Maselli Scotti 1992 p.370, Eadem 1994, pp.180-181.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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G. SCHMIEDT 1979, Contributo della fotografia aerea alla conoscenza del territorio di Aquileia, in AAAd 15, pp 153 e ss
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Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

I BINARI DI PIETRA

Valentina Degrassi

 

 

A seguito di attente indagini effettuate a partire dagli anni '70 da alcuni soci dell'Alpina delle Giulie e in particolare dal col. A. Schmid, confermate in seguito, quanto all'esattezza delle loro conclusioni, dalle ricognizioni di A. Grilli e G. Meng, si è giunti a ricostruire sul terreno l'andamento delle strade romane del Carso triestino. Esse sono caratterizzate, e per questo riconoscibili, dalla presenza di solchi carrai, ossia solchi "d'invito", per guidare l'avanzare dei carri su suoli malagevoli come quelli dell'area carsica, caratterizzati dall'affioramento discontinuo del substrato calcareo.


La descrizione più suggestiva che potrebbe applicarsi ai solchi carrai del Carso triestino, risale al III d.C. e la dobbiamo a Claudiano (Carmi minori):
"Grandi solchi nella pietra scavata tagliano il sasso ferito per lungo tratto. Viene indicata, come vuole la tradizione, la via dell'aratro di Ercole, oppure fu il caso che compì l'opera del vomere".
L'area geografica alla quale il poeta si riferisce non è tuttavia quella giuliana, bensì quella veneta, circoscritta al fiume Aponos, presso Abano Terme
1, laddove il fiume sgorga dando vita all'area termale in un contesto fisico quindi molto simile a quello del Lacus Timavi2.
La tradizione ellenistica che Claudiano raccoglie, si riferisce alla mitica via tracciata presso l'Eridano dal divino aratro di Ercole, tradizione questa che, ancora una volta, dietro al velo del mito nasconde una realtà commerciale protostorica per la quale l'area alto-adriatica era collegata, attraverso piste terrestri, a quella centro europea.
Il mito "di casa nostra" è invece legato alla Sibilla ed al suo carro che avrebbe impresso sulla roccia viva del Carso le tracce del suo passaggio
3. Difficile è risalire alla leggenda originale, raccolta agli inizi del '900 direttamente dagli "abitanti del Carso", come specifica il Puschi; va tuttavia notato come il mito sia bene attestato anche in area istriana, spesso associato al diavolo e in ogni caso al passaggio del carro infuocato che avrebbe impresso nella roccia i solchi del suo tracciato lungo percorsi non più in uso.
Per quanto concerne le caratteristiche fisiche di queste strade, esse sono facilmente definibili: il piano stradale è spesso incassato nel fianco del colle e, laddove i solchi sembrano isolati su superfici più alte dell'attuale, anche a 40-50 cm dal suolo, bisogna immaginare sistemi di terrazzamento, oggi perduti, che attuavano il collegamento lungo i tratti lungo i quali la roccia affiorava. In un caso possiamo affermare che la strada correva "su diga": un documento fotografico del Puschi, scattato al Locavaz, lo testimonia con sorprendente chiarezza, confermando la presenza di un viadotto
4.
I solchi carrai sembrano incavati artificialmente e levigati dall'uso prolungato, non va infatti dimenticato che questi percorsi furono utilizzati anche in epoche successive a quella romana, fatto che in molti casi ne alterò forme e dimensioni.

La sezione di un solco è a tronco di cono rovescio con base minore, stondata, compresa tra i 5,5-8 cm.(quando il solco è poco deteriorato), e base maggiore che si aggira intorno ai 10 cm. per un'altezza variabile in rapporto all'utilizzo del percorso. Le rotaie, laddove si conservano ambedue, sono perfettamente parallele. Le misure che intercorrono tra i bordi interni dei solchi, presi sulla verticale della base minore, sono comprese tra i 75 e gli 85 cm., mentre quelle che intercorrono tra i bordi esterni variano tra i 102 ed i 114 cm. Ancora, la misura che intercorre tra un bordo interno e l'esterno dell'altro solco è compresa tra i 92 ed i 99 cm.5. Quest'ultima misura è particolarmente importante: se ad essa infatti togliamo il valore minimo della base minore del solco (5.5 cm.), corrispondente alla misura minima dello spessore del cerchione della ruota, otteniamo un interasse medio compreso tra gli 86.5 ed i 93.5 cm., pari a circa tre piedi romani (cm.88.5).
Recenti ricognizioni effettuate lungo la direttrice Duino-Ceroglie-Brestovizza (area di M.te Straza: tratti di binario con interassi compresi tra 85 e 95 cm.), e nell'area della Cernizza hanno portato al riconoscimento di tratti anche lunghi di strada a doppio e triplo binario. Le misure rientrano nei canoni fissati da E. Faraone e A. Schmid.
Va tuttavia rilevato che sul Carso esistono solchi carrai con interasse superiore, per alcuni dei quali A. Schmid propone un'epoca d'appartenenza diversa
6. A tale proposito è bene ricordare le parole del Puschi che, in polemica con il Cuntz a riguardo di solchi carrai con interasse intorno ai 105 cm.7, ne affermò l'esistenza di altri con interasse maggiore, da lui rilevati sia lungo il tratto oggetto di polemica presso il valico di Ad Pirum sia su tratti di strada del Carso non più in uso, tanto da essere considerati dai paesani segni del passaggio della Sibilla. A tale proposito, in alcuni suoi appunti manoscritti, apprendiamo che "la distanza tra i solchi" lungo il tracciato che corre dietro ai colli di Monfalcone (direzione Ronchi-Jamiano) è di 130 cm.(= interasse di 136 c.ca), mentre in generale, la platea stradale di epoca romana mantiene una larghezza considerevole, stimata intorno ai 5 metri8, misura questa che rientra nella media calcolata sulle grandi arterie romane9. Confronti diretti per un interasse di c.ca 4 piedi e mezzo si ritrovano in tutta l'area gallica e iberica, dove rilevamenti fatti lungo strade non più in uso dall'antichità ad oggi, condizione imprescindibili per arrivare a stabilire parametri di misura generali, hanno portato al riconoscimento di due interassi di cm 135-137 e di 145. In aree a noi più vicine, Ercolano e Pompei, l'interasse medio è risultato essere quello di 135-137 cm., mentre ad Aquileia le misurazioni fatte sul cardo che fiancheggia il lato ovest del foro, per quanto segnato da più carreggiate, ha portato al riconoscimento degli interassi di 135 e 105 cm10.
Riassumendo, possiamo affermare che esistono sul Carso due differenti interassi tra solchi carrai, analoghi ad altri misurati su tracciati di epoca romana. L'interasse di c.ca 90 cm si ritrova costante su tutta la rete rilevata negli anni '70: l'antichità del tracciato, che rimonta almeno all'epoca romana, se non protostorica, è dimostrata, almeno per quanto riguarda l'area Timavo, S. Giovanni, Duino, dai molteplici rinvenimenti di tombe sia di incinerati che di inumati
11 fatti a più riprese lungo il percorso in oggetto. Interassi di questa misura sono frequenti in area alpina e pre-alpina12 e in più casi sono ricondotti ad epoca protostorica13.
L'antichità dell'interasse di 130 cm. invece, si basa da un lato sull'opinione autorevole del Puschi, dall'altro sui dati comparativi sopraddetti. In un unico caso, segnalato dal Puschi, abbiamo la sovrapposizione, a due differenti quote, dei due tracciati che rispondono a diversi interassi.
Che le due misure rispondano a differenti epoche è una tesi già a suo tempo avanzata: l'interasse più stretto apparterebbe a vie protostoriche, quello più largo a tracciati di epoca romana che, in presenza di luoghi accidentati e di punti ad attraversamento obbligato, inglobarono piste precedenti. In effetti, se da un lato, la presenza di "piste" protostoriche sembrerebbe accertata per l'area limitrofa al Timavo, piste per le quali il solco d'invito non costituisce un unicum, rimane difficile comprendere come questi tracciati fossero poi utilizzati in epoca romana, quando necessariamente ne vennero introdotti altri con interassi maggiori: determinati tracciati costringevano alla scelta di carri con interassi più stretti, obbligando mansiones e mutationes a fornire i necessari cambi di veicolo? L'interasse più stretto poteva rispondere a forme di controllo doganale? Oppure, basandosi sulla sola testimonianza del Puschi, sul primitivo tracciato ne veniva steso un altro con un binario posto a distanze maggiori
14? Domande che, per quanto riguarda la nostra area, rimangono per ora senza risposte convincenti, soprattutto se si considera il fatto che tutta la rete viaria del Carso è stata sfruttata a lungo e fino in anni a noi vicini, per la piccola mobilità quotidiana.

1A. Mastrocinque 1987 passim. Va sottolineato che per quell'area non ci sono riscontri "fisici" ricollegabili alla descrizione di Claudiano: sarebbe per tale motivo interessante verificare se la tradizione ellenistica riportata dal poeta si riferisca genericamente al fiume dell'ambra, senza identificazioni precise tra questo ed un fiume reale, con conseguente sovrapposizione di aree geografiche diverse, avvenuta in epoca romana; cfr. su questo argomento il capitolo "Dei ed eroi al Timavo" con relativa bibliografia.
2 Aponus e Timavus si trovano "geograficamente" uniti in Lucano (Phars. VII. 192-195) e in Sidonio Apollinare (Carm.IX.194-196): ambedue collegano la sede oracolare con un Timavo euganeo, epiteto che, d'altra parte, troviamo spesso affiancato al fiume. Cfr. V. Vedaldi Jasbez 1994, La Venetia orientale e l'Histria, Le fonti letterarie greche e latine fino alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, "Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina" 5, Roma, s.v. "Timavus", nn°138 e 153.
3 Il mito è riportato da A. Puschi 1905, p.123 e da A. Schmid 1977, pp.60-61 e nt.7-9. Per la sua diffusione in aree vicine vedi B. Slapsak-S. Kojic, Sembilja-Hudic na goresem vozu, in Glasnik S.E.D. 16, 1976, 2, p.27.
4 V. Degrassi, P. Ventura 1999, fig.1.
5 Le misurazioni sono tratte da A. Schmid, E. Faraone 1971, pp.34-35.
6 Schmid, Faraone 1971 cit., p.22, riferimento R.
7 A. Puschi 1905, p.123: l'interasse di cm.105 deriverebbe dal passaggio del "carro pesante del legno".
8 Degrassi, Ventura 1999 cit, pp.134-135.
9 In realtà non vi sono regole assolute sull'ampiezza della carreggiata delle strade romane: dai sei metri delle consolari, in alcuni tratti, passiamo al metro e mezzo-due delle strade alpine: cfr. D. Sterpos (a cura di), Le strade romane in Italia, Quad. di "Autostrade" 17, p.26 e ss.
10 Misurazioni da me effettuate nel giugno 2000.
11 I rinvenimenti sono numerosi per l'area della Cernizza e per il Villaggio del Pescatore: vedi F. Burton 1985 (1887), Le terme romane di Monfalcone, passim, A. Andreolotti et Alii 1969, passim.
12 Silliers 1983 cit., p.43, dove l'autore, pur sottolineando l'antichità dei percorsi, non si pronuncia sulla loro datazione; vedi anche A. Grenier 1934, pp.368 e ss.
13 H. Schreiber 1960, pp.15 e ss.
14In effetti la testimonianza del Puschi pone non pochi problemi; si dovrebbe pensare che l'interasse più stretto appartenga ad un'epoca post-romana durante la quale il tracciato continuò ad essere in uso, provocando l'abbassamento del piano stradale: questo non inficerebbe l'antichità dei percorsi, provati dai rinvenimenti archeologici, quanto le misurazioni fisiche delle distanze tra i solchi nell'ottica di arrivare a stabilire parametri generali.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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A. SCHMID 1979, Vecchie e nuove scoperte lungo l'antica rete stradale del Timavo, "Alpi Giulie" 73, pp.34-64
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