POSSIBILI MOVENTI DEL GOVERNO BUSH
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11 SETTEMBRE: POSSIBILI MOVENTI
DELL'AMMINISTRAZIONE BUSH
Di David Ray Griffin.
Postato Martedì, 10 gennaio 2006 da
carlo su
www.comedonchisciotte.org.
La Commissione sull'11 settembre ha compreso che nel suo mandato era indicato,
come abbiamo visto, di fornire “il resoconto più completo possibile” dei “fatti
e delle circostanze” che riguardano l'11 settembre. Tra questi fatti e queste
circostanze vi sono quelli che, secondo alcuni critici della versione ufficiale
sull'11 settembre, forniscono l'evidenza che l'amministrazione Bush ha
intenzionalmente permesso gli attentati dell'11 settembre. Alcuni critici hanno
persino suggerito che l'amministrazione Bush abbia attivamente fornito aiuto
perché avessero successo. Alla luce del fatto che sono stati scritti diversi
libri a sostegno di questa visione dei fatti, alcuni anche in inglese, lo staff
della Commissione, dato “il preciso lavoro investigativo”, sicuramente li deve
aver scoperti. O, se così non è, lo staff deve avere sicuramente saputo
dell'articolo di prima pagina del Wall Street Journal su questo argomento. I
lettori di tale articolo hanno saputo non solo che un sondaggio mostrava come il
20 % della popolazione tedesca pensasse che “lo stesso governo degli Stati Uniti
ha ordinato gli attentati” ma anche che opinioni simili erano diffuse in varie
nazioni europee.(1)
Inoltre, dei
sondaggi mostrano che percentuali significative di Americani e Canadesi credono
che il governo Usa abbia deliberatamente lasciato avvenire gli attacchi, mentre
alcuni pensano che l'amministrazione Bush li abbia effettivamente pianificati.
Avremmo ritenuto, sapendo che queste informazioni sono reperibili e che queste
opinioni sono diffuse, che la Commissione si sarebbe sentita chiamata a
rispondere a tali sospetti.
Una risposta adeguata dovrebbe contenere come minimo i seguenti elementi:
Infine, la persistenza e la diffusa
documentazione di queste accuse, implica che una risposta adeguata avrebbe
bisogno di considerare (anche solo per screditarle) le motivazioni che alcuni
critici hanno asserito l’amministrazione Bush avrebbe potuto avere per
facilitare gli attentati dell’ 11 settembre, proprio come la Commissione ha
accuratamente guardato ai motivi che Osama Bin Laden e la sua organizzazione
al-Qaeda potrebbero aver avuto per pianificare gli attentati. Naturalmente per
molti Americani non sarebbe piacevole anche solo considerare la possibilità che
il loro governo possa aver avuto motivo di facilitare tali attacchi. Ma un
resoconto, se deve essere il più completo possibile, non può decidere a priori
di restringersi alle idee che sono gradevoli.
In questo capitolo, dunque, guarderemo al Rapporto della Commissione sull’11
settembre da questa prospettiva, chiedendoci come ha risposto al fatto che
alcuni critici della versione ufficiale asserivano che l’amministrazione Bush
avesse avuto diversi motivi per lasciar avvenire gli attentati e persino per
facilitarli.
Gli attentati dell’11 settembre come “Opportunità”
Un modo di avvicinarci a questo problema potrebbe essere quello di chiedersi se
questi attacchi hanno portato all’amministrazione benefici che potevano essere
ragionevolmente previsti.
Non c’è dubbio che gli attacchi abbiano portato vantaggi. Infatti, diversi
membri dell’amministrazione Bush lo hanno detto pubblicamente. Il presidente
stesso ha dichiarato che gli attentati presentano “ una grossa opportunità.”(2)
Donald Rumsfeld ha affermato che l’11 settembre ha creato “il genere di
opportunità di rimodellare il mondo che fu offerto dalla seconda guerra
mondiale.” Condoleeza Rice aveva in mente lo stesso concetto dicendo ai membri
anziani del National Security Council [Consiglio di Sicurezza Nazionale, ndt] di
“pensare a come capitalizzare quest'opportunità fondamentalmente per cambiare... la
faccia del mondo.”(3) Il National Security Strategy of the United States of
America [Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America, ndt],
pubblicato dall’amministrazione Bush nel settembre 2002, dice: “Gli eventi
dell’11 settembre 2001 hanno aperto nuove, vaste possibilità.”(4)
Naturalmente, il fatto che questi membri dell’amministrazione Bush abbiano
descritto gli attentati come opportunità dopo che sono avvenuti non significa
necessariamente che avrebbero potuto dire prima dei fatti che attacchi di questa
natura avrebbero dato tali possibilità. Comunque, tutte queste affermazioni,
tranne l’ultima, furono fatte poco dopo l’11 settembre. Se i benefici potevano
sembrare tali così presto dopo gli attentati possiamo assumere che, qualora
queste persone avessero pensato a tali attacchi prima del tempo, avrebbero
potuto prevedere di creare tali opportunità.
Sembra perciò che la descrizione dell’amministrazione Bush degli attentati come
fonte di opportunità, insieme al fatto che almeno alcune di esse potevano essere
previste, era una parte importante degli “eventi riguardanti l’11 settembre” che
“il resoconto più completo possibile” avrebbe dovuto includere. Queste
descrizioni degli attentati come opportunità però
non sono menzionate nel “The
9/11 Commission Report” [da qui in avanti, “Rapporto della Commissione sull’11
settembre”, ndt] (5)
In ogni caso, l’idea che membri dell’amministrazione avrebbero potuto prevedere vantaggi dai catastrofici attentati del tipo di quelli avvenuti l’11 settembre, non è una deduzione basata interamente sul fatto che questi attacchi furono visti come opportunità immediatamente dopo l’11 settembre. I critici fanno riferimento ad un documento precedente all’11 settembre che parla di vantaggi che sarebbero potuti derivare da attacchi catastrofici. Abbiamo bisogno di vedere come la Commissione risponde a questa parte di fatti e circostanze che riguardano l’11 settembre.
“Una Nuova Pearl Harbour” per far avanzare la Pax Americana
Nell'autunno del 2000, un anno prima dell’11 settembre, un documento intitolato
“Rebuilding America's Defenses” [ricostruendo le difese dell'America, ndt] è
stato pubblicato da un'organizzazione che si denomina il Project for the New
American Century [Progetto per il Nuovo Secolo Americano, ndt] (PNAC). (6)
Questa organizzazione fu costituita da individui che erano membri o almeno
sostenitori delle amministrazioni Reagan e Bush I, alcuni dei quali sarebbero
diventati figure centrali nell’amministrazione Bush II. Questo gruppo comprende
Richard Armitage, John Bolton, Dick Cheney, Zalmay Khalilzad (strettamente
legato a Paul Wolfowitz(7)), Lewis "Scooter" Libby, Richard Perle, Donald
Rumsfeld, Paul Wolfowitz, e James Woolsey. Libby (ora capo dello staff di
Cheney) e Wolfowitz (ora vice di Rumsfeld) sono elencati tra coloro che hanno
partecipato direttamente al progetto “Rebuilding America's Defenses”. E’
interessante il fatto che John Lehman, membro della Commissione sull’11
settembre, è stato membro del PNAC o almeno si è pubblicamente allineato con
esso. (8)
Il documento del PNAC, dopo essersi lamentato del fatto che la spesa militare
non costituisce più come un tempo tanta parte del budget statunitense, ipotizza
che sia necessario incrementare le spese per la difesa se “la pace americana
deve essere mantenuta ed estesa” perché tale Pax Americana “deve avere
fondamenta sicure in un indiscusso predominio militare Usa.” Il modo per
acquisire e mantenere tale predominio militare è di servirsi dei vantaggi nella
“rivoluzione nelle questioni militari” resa possibile dall’avanzamento
tecnologico. Portare avanti questa trasformazione delle forze militari Usa
sarebbe stato comunque un processo molto lungo e lento, in parte perché molto
costoso. Comunque, suggerisce il documento, il processo sarebbe avvenuto più
rapidamente se l’America avesse sofferto un “qualche evento catastrofico e
catalizzatore” come una nuova Pearl Harbour. (9) Pensiamo che questa
affermazione avrebbe dovuto catturare l’attenzione di alcuni membri della
Commissione sull’11 settembre.
Per di più, dopo che si verificarono gli attentati dell’11 settembre, l’idea che
costituissero una nuova Pearl Harbour fu espressa dal presidente e da alcuni
suoi sostenitori. Proprio alla fine della giornata, si dice che il Presidente
Bush abbia scritto sul suo diario. “La Pearl Harbour del 21° secolo è avvenuta
oggi.” (10) Inoltre, quello stesso giorno, pochi minuti dopo il discorso alla
nazione del presidente, Henry Kissinger pubblicò un articolo in rete in cui
affermava: “Il governo dovrebbe farsi carico di una rappresaglia sistematica
che, si spera, finisca nel modo in cui finì l’attacco a Pearl Harbour e cioè con
la distruzione del sistema responsabile di esso.” (11)
Qualcuno potrebbe pensare che l’esistenza di queste affermazioni sarebbe stata
percepita dalla commissione sull’11 settembre come parte dei più importanti
“fatti riguardanti l’11 settembre” che si sarebbero dovuti includere nel
“resoconto più completo possibile.” Ma non c'è menzione di alcuna di queste
affermazioni in nessuna delle 567 pagine del Rapporto Kean-Zelikow.
Queste pagine sono largamente riempite, in accordo con l’indiscutibile ipotesi
della Commissione, con trattazioni su Osama bin Laden, al-Qaeda e più in
generale sul terrorismo islamico e sulla risposta dell’America a questi
fenomeni. Inoltre, dopo che la Commissione fu congedata, il suo staff pubblicò
un altro rapporto di 155 pagine sul finanziamento di al-Qaeda. (12) Questi
problemi furono ovviamente ritenuti essenziali per la comprensione dei “fatti e
delle circostanze legate agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.”
Ma il fatto che membri centrali e sostenitori dell'amministrazione Bush-Cheney
abbiano sottoscritto un documento indicante che “una nuova Pearl Harbour”
sarebbe stata utile nel promuovere i loro scopi; che alcuni sostenitori
dell’amministrazione e persino il presidente stesso abbiano paragonato gli
attentati dell'11 settembre all’attacco di Pearl Harbour; e che diversi membri
di questa amministrazione abbiano detto che l’11 settembre fornisce delle
“opportunità”, questo complesso fatto non fu ritenuto meritevole di una sola
frase nel “resoconto più completo possibile” della Commissione. In effetti il
rapporto della Commissione non menziona nemmeno il Project for the New American
Century.
Generare fondi per lo US Space Command
Una dimensione della “rivoluzione nelle questioni militari” discussa nel
documento del PNAC è così importante da meritare un trattamento separato. Questa
dimensione è la militarizzazione dello spazio, che è ora competenza di un nuovo
ramo delle forze armate americane, lo US Space Command.
Lo scopo di questo ramo è di provvedere “un dominio ad ampio spettro.” L’idea è
che le forze armate Usa, con l’aviazione, l’esercito e la marina dominino già su
aria terra e mare, Lo US Space Command assicura ora il predominio nello spazio.
“Visions for 2020” [“previsioni per il 2020”, ndt], un documento pubblicato
dallo US Space Command, pone così la questione: “l'emergente sinergia di
superiorità nello spazio, con la superiorità su terra aria e mare, porterà ad un
dominio ad ampio spettro.” (13) La descrizione del governo delle spese per lo US
Space Command come spese per la “difesa missilistica” fa sembrare la sua
missione puramente difensiva, incrementando la “sicurezza della patria”,
difendendo gli Stati Uniti da attacchi missilistici. Lo scopo della missione in
“Visions for 2020” invece afferma: “Lo US Space Command domina la dimensione
spaziale delle operazioni militari per proteggere gli interessi e gli
investimenti degli Stati Uniti.” (14) Il suo scopo primario, in altre parole,
non è proteggere il suolo americano, ma proteggere gli investimenti americani
all’estero. Questa protezione sarebbe necessaria, afferma, perché “la
globalizzazione dell’economia mondiale continuerà con l’allargare il divario tra
‘chi ha’ e ‘chi non ha’.” La missione dello US Space Command, è chiaro, è di
proteggere gli americani ‘che hanno’ da coloro nel mondo che non hanno, dato che
la globalizzazione guidata dall’America lascia coloro che non hanno con ancora
meno.
Comunque la Commissione sull’11 settembre non menziona il programma e la
missione dello US Space Command. Per capire appieno il significato di questa
omissione, è necessario comprendere che il suo programma riguarda tre settori.
Il primo è quello della tecnologia di sorveglianza nello spazio, attraverso la
quale i leader militari statunitensi possono identificare nemici delle forze
americane in qualunque parte del pianeta. (15)
Il secondo riguarda il posizionamento nello spazio di armi, come cannoni laser,
con i quali gli Stati Uniti possano distruggere i satelliti di altri paesi.
“Visions for 2020” afferma con franchezza il desiderio di essere capaci di
“negare ad altri l’uso dello spazio.” (16)
La terza parte del programma è solitamente chiamata lo “scudo difensivo
missilistico”, ma il suo scopo, come per le altre due parti, è offensivo.
Come afferma “Rebuilding America's defenses” (in un passaggio di Rahul Mahajan
intitolato “una notevole ammissione”):
Nell’era post- guerra fredda, l’America e i suoi
alleati sono diventati i primi oggetti della deterrenza e sono stati come Iraq,
Iran e Corea del Nord, che più desiderano sviluppare capacità di deterrenza.
Progettare forze militari convenzionali sarà molto più complesso e limitato
quando il territorio americano potrà essere oggetto di attacchi da stati
canaglia, per altri versi deboli, capaci di ammucchiare insieme una minima forza
missilistica balistica. Costruire un efficace sistema di difesa missilistica è
un prerequisito al mantenimento del predominio americano. (17)
Lo scopo dello “scudo di difesa missilistica” in altre parole, non è scoraggiare
altri paesi dal lanciare un primo attacco contro gli Stati Uniti. Il suo scopo è
di prevenire la capacità di altri paesi di scoraggiare gli Usa dal lanciare un
primo attacco contro di loro. (18)
Il maggiore impedimento alla realizzazione di questo programma operativo è che
sarà estremamente costoso. Secondo un esperto, richiederà ai contribuenti
americani almeno mille miliardi di dollari. (19) La difficoltà di addomesticare
gli Americani e il Congresso era la ragione principale dell’affermazione nel
documento del PNAC che il desiderio di trasformazione richiederà un tempo molto
lungo in assenza di un qualche evento catastrofico catalizzatore come una nuova
Pearl Harbour.” (20)
Nell’omettere menzione di questo progetto per raggiungere il dominio globale, la
Commissione sull’11 settembre ha dimenticato un progetto così grande che alcuni
di coloro che lo appoggiano, possiamo immaginare, potrebbero essere capaci di
concepire un attacco che costasse la vita a migliaia di Americani, se un tale
attacco sembrasse necessario ad ottenere adeguati fondi per il progetto.
Donald Rumsfeld, come abbiamo visto, era un membro del PNAC mentre questo
documento veniva prodotto. Presiedeva anche la Commission to Assess US National
Security Space Management and Organization [“Commissione per Stabilire l’
Organizzazione e Gestione della Sicurezza Spaziale Usa”, ndt] (21) Il compito di
questa Commissione, comunemente chiamata la “Commissione Rumsfeld” era di fare
proposte riguardanti lo US Space Command. Dopo avere fatto varie proposte che
“incrementassero la asimmetria tra le forze statunitensi e quelle di altre
potenze militari” il rapporto della Commissione Rumsfeld affermava che, poiché
le sue proposte sarebbero costate molti soldi e avrebbero richiesto una
significativa riorganizzazione, avrebbero probabilmente incontrato una forte
resistenza. Ma tale rapporto, che fu pubblicato il 7 gennaio 2001 dice anche:
La questione è se gli Stati Uniti saranno abbastanza saggi da agire
responsabilmente e abbastanza presto da ridurre la vulnerabilità spaziale
statunitense. O se, come in passato, un attacco invalidante contro il paese e la
sua gente, una “Pearl Harbour Spaziale” sarà il solo evento capace di
galvanizzare la nazione e far agire il governo. (22)
Nel parlare di una Pearl Harbour spaziale il rapporto intendeva un attacco
contro i suoi satelliti militari nello spazio. Gli attentati dell’ 11 settembre
non erano ovviamente di questa natura. Ma è comunque interessante che, solo
pochi mesi dopo che il PNAC aveva pubblicato le sue affermazioni su “una nuova
Pearl Harbour”, anche la Commissione Rumsfeld facesse notare che un attacco tipo
Pearl Harbour potesse essere necessario per “galvanizzare la nazione.”
Quando arrivò la nuova Pearl Harbour, Rumsfeld, nominato segretario alla difesa,
era nella posizione di ottenere più denaro per lo US Space Command. Davanti alle
telecamere, lo stesso 11 settembre, Rumsfeld disse al Senatore Carl Levin,
allora presidente del Senate Armed Services Committee [Comitato del Senato per
le Forze Armate, ndt]: "Senatore Levin, lei e altri democratici nel Congresso
avete espresso la paura che, semplicemente, non avete abbastanza denaro per i
grandi incrementi difensivi che il Pentagono cerca, specialmente per la difesa
missilistica... Un evento del genere la convince che esiste un'emergenza in
questo paese tale da far aumentare la spesa difensiva, se necessario da
immettere come Sicurezza Pubblica, per pagare le spese difensive?
Prima, quello stesso giorno, il Pentagono, che sino ad allora era stato sotto la
guida di Rumsfeld per quasi sette mesi, non era riuscito a prevenire gli
attacchi aerei contro il World Trade Center e il Pentagono stesso. Ora, quella
stessa sera, Rumsfeld stava usando la riuscita di quegli attentati per ottenere
dal Congresso più denaro per il Pentagono e, in particolare, per lo US Space
Command. Si potrebbe pensare che questa coincidenza piuttosto significativa
avrebbe catturato l’ attenzione della Commissione sull' 11 settembre, perché
suggerisce che il segretario alla difesa potrebbe non aver voluto prevenire
questa “nuova Pearl Harbour”. Ma il rapporto della Commissione, centrato
esclusivamente sui terroristi di al-Qaeda, non fa menzione di questa possibile
motivazione.
L'11 settembre Rumsfeld non era, inoltre, la sola persona incaricata di
questioni militari altamente impegnata nel promuovere lo US Space Command. Un
altro è il Generale Ralph E. Eberhart, attualmente alla testa dello US Space
Command, che è anche il comandante del NORAD. (24) Il Generale Richard Myers, ex
comandante dello US Space Command, l’11 settembre era il presidente di turno del
Joint Chiefs of Staff [Consiglio di Stato maggiore, ndt].
Una Commissione veramente”indipendente” e “imparziale” avrebbe sicuramente
commentato la significativa coincidenza che tre degli uomini incaricati della
risposta militare all’11 settembre erano apertamente dei sostenitori dello US
Space Command, che le forze armate Usa sotto il loro controllo non sono riuscite
a prevenire tali attentati, e che uno di questi uomini ha sfruttato il successo
degli attacchi per ottenere miliardi di dollari per questo ramo delle forze
armate.
Naturalmente una coincidenza non prova la complicità. A volte, quando eventi
coincidono in maniera improbabile, una coincidenza è proprio il significato
giusto di tale termine; semplicemente 'coincidenti'. Comunque è ben noto che
dopo un crimine la prima domanda da porsi è “cui prodest?” “a chi giova?”. Una
Commissione veramente indipendente avrebbe come minimo proceduto con
l’assunzione che Rumsfeld, Myers ed Eberhart dovevano essere considerati dei
possibili sospetti, che le cui azioni di quel giorno andavano rigorosamente
investigate. Invece le testimonianze di questi tre uomini furono trattate come
indiscutibili fonti di verità su quanto è veramente successo, nonostante, come
vedremo poi, le contraddizioni nei loro racconti. (25)
Il piano per attaccare l’ Afghanistan
I critici hanno asserito che un'altra possibile motivazione da parte
dell’amministrazione Bush era il suo desiderio di attaccare l’Afghanistan per
sostituire i Talebani con un governo amico degli Stati Uniti allo scopo di
promuovere gli obbiettivi economici e geopolitici americani.
La Commissione sull’11 settembre riconosce che la guerra statunitense in
Afghanistan, iniziata il 7 ottobre, meno di un mese dopo l’11 settembre, era una
guerra volta a produrre un “cambio di regime”. Secondo la Commissione, però, gli
Stati Uniti volevano un cambio di regime perché i Talebani, oltre ad essere
incapaci di portare una pace che terminasse la guerra civile, perpetravano abusi
dei diritti umani e fornivano un rifugio sicuro ad al-Qaeda. Limitando le
motivazioni degli Stati Uniti a queste, comunque, la Commissione ignora prove
abbondanti che le ragioni erano più complesse, più interessate e più ambiziose.
Al centro di queste motivazioni vi era il desiderio di permettere la costruzione
di un oleodotto multimiliardario da parte di un consorzio chiamato CentGas
(Central Asia Gas Pipeline) formato dal gigante Usa del petrolio "Unocal". Il
tragitto previsto avrebbe portato olio e gas dalla regione interna del Caspio,
con le sue enormi riserve, al mare attraverso Afghanistan e Pakistan.
Nel 2001 i
Talebani erano percepiti come un ostacolo a questo progetto.
I Talebani erano inizialmente appoggiati dagli Stati Uniti assieme all’ISI pakistano. Il progetto dell’oleodotto era diventato l’argomento cruciale in quello che Ahmed Rashid nel 1997 chiamò “il nuovo grande gioco”(26) . Un argomento di questo gioco era chi avrebbe costruito l’oleodotto: il consorzio CentGas, dominato dalla Unocal, o l'argentina Bridas Corporation. L’altra questione era quali paesi avrebbe attraversato il tracciato. Gli Stati Uniti promuovevano la Unocal e appoggiavano il suo piano di costruire il tracciato attraverso Pakistan e Afghanistan, dal momento che questo percorso avrebbe evitato sia l’Iran che la Russia. (27) Il maggiore ostacolo a questo piano era la guerra civile che andava avanti in Afghanistan sin dal ritiro dell’Unione Sovietica nel 1989. Nei tardi anni '90 il governo Usa appoggiava i Talebani sulla base della speranza che fossero capaci di unificare il paese attraverso la loro forza militare e fornire un governo stabile.
La centralità di tale questione è mostrata dal titolo che Rashid ha dato a due
dei suoi capitoli: “Romancing the Taliban, The Battle for the Pipelines” [“Corteggiando
i Talebani: la battaglia per gli 'oleodotti”, ndt] (28) In particolare, riguardo
gli Stati Uniti, Rashid dice che “la strategia sugli oleodotti è stata la forza
trainante dietro l'interesse di Washington per i Talebani.”(29) Comunque,
sebbene la Commissione Kean-Zelikow citi diverse volte i ben noti libri di
Rashid, non fa riferimento alla sua discussione sulla centralità degli oleodotti
nelle prospettive di Washington.
Dalla lettura del rapporto della Commissione, infatti, non si sospetterebbe mai
che la “guerra degli oleodotti” (come venne chiamata) fosse una grande
preoccupazione per gli Stati Uniti. Il progetto dell'oleodotto in generale e la
Unocal in particolare sono menzionati in un solo paragrafo (insieme alla nota
che lo accompagna). E qui la Commissione suggerisce che il Dipartimento di Stato
Usa era interessato al progetto dell'oleodotto della Unocal solo in quanto “la
prospettiva di condividere i profitti dell'oleodotto poteva attirare i leader
delle fazioni ad un tavolo di discussione”. Gli Stati Uniti, in altre parole,
guardavano al progetto dell'oleodotto solo come a un mezzo di pace. Questa
poteva in effetti essere la visione di alcuni dei partecipanti americani. Ma la
speranza dominante entro la Unocal e il governo Usa era che i Talebani
portassero la pace sconfiggendo i loro oppositori, prima di tutti Ahmad Shah
Masood, dopo di che il governo Usa e le Nazioni Unite avrebbero riconosciuto i
Talebani come governo dell'Afghanistan, che quindi avrebbe consentito alla
Unocal di ottenere i prestiti di cui aveva bisogno per finanziare il progetto.
(30)
Al contrario il rapporto della Commissione suggerisce che né il governo Usa né la Unocal presero la parte dei Talebani nella guerra civile. La Commissione ci dice che Marty Miller, incaricata del progetto per la Unocal, “negò di lavorare esclusivamente con i Talebani e ci disse che la sua compagnia mirava a lavorare con tutte le fazioni afgane per giungere alla necessaria stabilità per procedere col progetto”. Come è spesso il caso, il “preciso lavoro investigativo” della Commissione consiste principalmente nell'intervistare le persone e registrarne le risposte. Se la Commissione avesse consultato “Ghost Wars” di Steve Coll, che la stessa Commissione cita altrove, avrebbe saputo che sebbene “Marty Miller insisteva pubblicamente che la Unocal era rimasta 'fanaticamente neutrale' riguardo alla politica afgana,” in realtà “Marty Miller e i suoi colleghi speravano che la presa di Kabul da parte dei Talebani accelerasse i loro negoziati per l' oleodotto.”(31) Coll si riferisce qui al settembre del 1996, quando i Talebani, ampiamente finanziati da Pakistan e Arabia Saudita, presero Kabul, la capitale, forzando Masood alla fuga. Appena ciò accadde, riporta Rashid, un dirigente della Unocal “disse alle agenzie stampa che il progetto dell'oleodotto sarebbe stato più facile da implementare ora che i Talebani avevano preso Kabul.”(32) Veniamo qui lasciati a domandarci se la ricerca della Commissione Kean-Zelikow fu semplicemente inadeguata o se lasciò deliberatamente da parte informazioni che non si adattavano alla sua versione.
C'è un problema simile con l' affermazione della Commissione sulla neutralità
Usa. La Commissione dice categoricamente che “i diplomatici Usa non favorivano i
Talebani rispetto alle fazioni rivali ma erano semplicemente decisi a dare loro
una possibilità”. Le interviste sono ancora il solo supporto offerto. Se la
Commissione avesse consultato su questo argomento il libro di Rashid, avrebbe
letto che gli Stati Uniti “accettarono l'analisi dell' ISI... che una vittoria
dei Talebani in Afghanistan avrebbe reso il lavoro della Unocal molto più
facile.”(33) Rashid riporta anche che “entro poche ore dalla presa di Kabul da
parte dei Talebani”, mentre gran parte del paese rimaneva ancora sotto il
controllo delle altre fazioni, “ il Dipartimento di Stato Usa annunciava che
avrebbe stabilito relazioni diplomatiche con i Talebani.”(34) La mancanza di
neutralità Usa è similmente dimostrata da Steve Coll, che dice “il Dipartimento
di Stato aveva fatto proprio il programma della Unocal”, che significa,
naturalmente, l'appoggio ai Talebani.(35)
Rashid, riassumendo la situazione, afferma che “l' alleanza Usa-Unocal
appoggiava i Talebani e voleva una loro vittoria totale, sebbene gli Usa e la
Unocal affermassero di non averli favoriti in Afghanistan.”(36) Al contrario la
Commissione Kean-Zelikow ci dà affermazioni di pubbliche relazioni di alcuni
degli attori Usa e della Unocal, ripetute in recenti interviste, come storia
autentica.
Perché è importante puntualizzare questa distorsione? Perché il ritratto fatto
dalla Commissione sugli interessi Usa in Afghanistan suggerisce che gli Stati
Uniti non avessero bassi interessi materiali o imperialistici nell'area, il
genere di interessi che potrebbe portare un governo a escogitare un pretesto per
entrare in guerra. La questione diventa più importante se arriviamo al punto
della storia in cui gli Stati Uniti giungono a pensare ai Talebani come ad un
ostacolo più che ad un veicolo del progetto di oleodotto Unocal-CentaGas.
Nel luglio 1998, i Talebani, dopo avere fallito nel 1997 la presa della città
settentrionale di Mazar-i-Sharif, finalmente hanno successo, ottenendo il
controllo di gran parte dell'Afghanistan, incluso l'intero tracciato
dell'oleodotto. Dopo questa vittoria, immediatamente CentGas annuncia che era
“pronta a procedere.”(37) Poco dopo, però, le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania
vengono fatte esplodere portando gli Stati Uniti a lanciare un attacco con
missili cruise contro i campi di Osama bin Laden in Afghanistan. Questi eventi e
i relativi sviluppi portano la Unocal a ritirarsi da CentGas convinta che l'
Afghanistan sotto i Talebani non avrebbe mai avuto la pace e la stabilità
necessarie al progetto.(38) Rashid, finendo il suo libro a metà del 1999,
scrisse che l'amministrazione Clinton aveva spostato il suo appoggio per
l'oleodotto al percorso dall'Azerbaijan alla Turchia attraverso la Georgia,
aggiungendo che “ad oggi nessuno vuole toccare l' Afghanistan e i Talebani.”(39)
Comunque, quando l'amministrazione Bush andò al potere, decise di dare ai
Talebani un' ultima chance. Quest'ultima possibilità si presentò in un incontro
di 4 giorni a Berlino nel luglio 2001, che andrebbe menzionato in ogni resoconto
realistico di come si arrivò alla guerra in Afghanistan. Secondo il
rappresentante pakistano a questo incontro, Niaz Naik, i rappresentanti Usa,
cercando di convincere i Talebani a dividere il potere con fazioni amiche degli
Usa, dissero: “O accettate la nostra proposta di un tappeto d'oro o vi
seppelliremo sotto un tappeto di bombe”(40) Naik disse che gli fu detto dagli
americani che “le azioni militari contro l' Afghanistan sarebbero iniziate prima
che la neve cominciasse a cadere sull'Afghanistan, al massimo per la metà di
ottobre.”(41) L'attacco Usa all'Afghanistan iniziò di fatto il 7 ottobre, appena
i militari poterono essere pronti dopo l'11 settembre.
La discussione della Commissione sull'11 settembre su ciò che emerse in luglio è
molto più moderata. Alcuni membri dell'amministrazione Bush, ci viene detto, si
stavano “muovendo verso l'accordo che un ultimo sforzo dovesse essere fatto per
convincere i Talebani a cambiare posizione e dopo, se fosse fallito... gli Stati
Uniti avrebbero provato un azione nascosta per rovesciare i Talebani
dall'interno”. Non c'è menzione di Niaz Naik o dell'incontro di Berlino. La
citazione della Commissione sul fatto che gli Stati Uniti volevano che i
Talebani “cambiassero posizione”, non menziona che questo cambio non riguardava
semplicemente un cambio rispetto ad Osama Bin Laden ma anche l'unirsi ad un
“governo di unità” che permettesse al progetto Unocal di andare avanti. Né la
Commissione cita l'affermazione di ufficiali Usa che, se i Talebani avessero
rifiutato, gli Usa avrebbero usato la forza militare (non semplicemente
un'azione segreta). Eppure tutte queste informazioni erano disponibili in libri
e articoli di giornale che lo staff della Commissione dovrebbe essere in grado
di individuare.
In ogni caso, vi era ulteriore prova, ignorata dalla Commissione, che la guerra
Usa contro i Talebani era legata molto più al progetto dell'oleodotto che all'11
settembre. Per il solo fatto che l'inviato speciale del Presidente Bush in
Afghanistan, Zalmay Khalizad (citato in precedenza come membro del PNAC) e il
nuovo Primo Ministro Hamid Karzai, erano stati in precedenza nel libro paga
della Unocal. Come scrive Chalmers Johnson: “La continua collaborazione di
Khalizad e Karzai nell'Afghanistan del dopo 11 settembre suggerisce fortemente
che l'amministrazione Bush era e rimane interessata in quella regione al
petrolio quanto al terrorismo.”(43) Per di più più, già il 10 ottobre il
Dipartimento di Stato Usa aveva informato il Ministro per il Petrolio del
Pakistan che, “dati i recenti sviluppi geopolitici,” la Unocal era nuovamente
pronta a proseguire il progetto dell'oleodotto.(44) Infine, come dice uno
scrittore israeliano: “Se si guarda alla mappa delle grandi basi americane
create, si rimane colpiti dal fatto che è completamente identica al
tragitto del progettato oleodotto verso l'Oceano Indiano.”(45)
C'è perciò considerevole evidenza che, nelle parole di Chalmers Johnson, “
l'appoggio per [il doppio oleodotto per gas e petrolio dal Turkmenistan verso
sud attraverso l' Afghanistan sino alla costa del Pakistan sul Mare Arabico]
sembra essere stato un argomento importante nella decisione dell'amministrazione
Bush di attaccare l' Afghanistan il 7 ottobre 2001”, osservazione che Johnson fa
al di là di ogni accusa che l' amministrazione Bush abbia orchestrato gli
attacchi dell' 1 settembre.(46) Ma la Commissione sull'11 settembre non cita
neppure il fatto che molta gente condivida la visione di Johnson secondo cui la
guerra Usa in Afghanistan era motivata da una preoccupazione maggiore di quelle
menzionate dalla Commissione stessa.
Questa grave preoccupazione, inoltre, “non era solo di fare soldi”, suggerisce
Johnson, “ma di stabilire una presenza americana nell'Asia centrale.” Prova di
ciò è data dal fatto che gli Stati Uniti oltre a stabilire basi a lungo termine
in Afghanistan, avevano raggiunto accordi, entro un mese dall' 11 settembre, per
basi a lungo termine in Pakistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan.(47) Si può vedere che
gli Stati Uniti stanno portando avanti il consiglio espresso da Zbigniew
Brzezinski nel suo libro del 1997 The Grand Chessboard: American Primacy and Its
Geostrategic Imperatives [La Grande Scacchiera: il Primato Americano e i suoi
Imperativi Strategici, ndt], in cui ritrae l' Asia Centrale, con le sue vaste
riserve petrolifere, come la chiave per il potere mondiale. Brzezinski, che era
stato Consigliere per la Sicurezza Nazionale nell'amministrazione Carter,
ipotizzava che l'America, per continuare il suo continuo “primato” debba
assumere il controllo di questa regione. L'uso dell'11 settembre da parte
dell'amministrazione Bush per stabilire basi in diversi paesi in questa regione
costituisce un passo essenziale in quella direzione. Nel rapporto della
Commissione sull'11 settembre non vi è traccia di questo sviluppo. Gli Stati
Uniti volevano semplicemente fermare la guerra, far terminare gli abusi dei
diritti umani da parte dei Talebani e prevenire che l' Afghanistan venisse usato
come il paradiso dei terroristi. Nel mondo della Commissione Kean-Zelikow, gli
Stati Uniti non hanno maggiori ambizioni.
L' aver omesso il libro di Brzezinski costituisce inoltre l'omissione di un
precedente suggerimento del fatto che fosse utile una nuova Pearl Harbour.
Brzezinski , avendo sostenuto che la “attualee finestra di opportunità storica
per il costruttivo sfruttamento da parte dell'America del suo potere globale
potrebbe dimostrarsi relativamente breve”(48), si lamenta del fatto che
l'opinione pubblica americana potrebbe non volere usare il suo potere per scopi
imperialistici. Secondo l'analisi di Brzezinski il problema è che :
L' America è troppo democratica a casa per essere autoritaria all’estero.
Ciò
limita l'uso del potere americano e specialmente la sua capacità di
intimidazione militare... Il sacrificio economico (cioè le spese per la difesa)
e umano (perdite, persino tra soldati professionisti) richiesti in questo sforzo
non sono congeniali agli istinti democratici. La democrazia è nemica della
mobilitazione imperiale.(49) Brzezinski suggerisce comunque che questa
debolezza democratica possa essere superata. Avendo detto che “la ricerca del
potere non è uno scopo che muove la passione popolare,” aggiunge poi: “eccetto
che in condizioni di improvvisa minaccia o sfida al senso di sicurezza nazionale
del pubblico.”(50)
Ciò che renderebbe l'opinione pubblica americana disposta a fare un sacrificio
economico e umano necessario alla “mobilitazione imperiale”, suggerisce, sarebbe
“una minaccia esterna diretta, veramente massiccia e ampiamente percepita”.
Questo passaggio, verso la fine del libro, è parallelo ad un precedente passo
nel quale Brzezinski dice che il pubblico era disposto ad appoggiare “largamente
l'impegno dell'America nella Seconda Guerra Mondiale a causa dell'effetto shock
dell' attacco giapponese su Pearl Harbour.”(51) Una nuova Pearl Harbour avrebbe
di conseguenza permesso all'America di assicurarsi il suo continuo primato
tramite l'assunzione del controllo dell'Asia Centrale.
Nel decidere quali eventi appartenessero alla categoria di “eventi riguardanti
l'11 settembre”, intendendo eventi rilevanti nel capire perché e come gli
attentati avvennero, la Commissione ha deciso di includere l'affermazione di
Osama Bin Laden del 1999 che i Musulmani dovrebbero uccidere gli Americani (47).
Ciò fu considerato ovviamente rilevante. Ma la Commissione sull'11 settembre non
ha incluso il suggerimento di Brzezinski del 1997 che una nuova Pearl Harbour
avrebbe pungolato gli Americani ad appoggiare l'aumentata spesa militare
necessaria a supportare la mobilitazione imperiale, anche se la Commissione
puntualizza che l'11 settembre ebbe esattamente il risultato predetto da
Brzezinski, quando essa dice:
La nazione ha destinato enormi risorse alla sicurezza nazionale e a
contrastare il terrorismo. Tra l'anno fiscale 2001, l'ultimo budget adottato
prima dell'11 settembre, e il presente anno fiscale 2004, la spesa totale
federale per la difesa (incluse le spese per Iraq e Afghanistan), la sicurezza
nazionale e gli affari internazionali, è cresciuta di più del 50 %, da 345
miliardi di dollari a circa 547 miliardi. Gli Stati Uniti non hanno visto una
così rapida crescita nella spesa per la sicurezza dai tempi della guerra di
Korea. (361)
Ma i membri della Commissione hanno evidentemente pensato che fosse un passo
troppo grande chiedersi quale motivazione potesse essere dedotta da questo
effetto.
Vediamo ancora una volta che l' indiscussa assunzione della Commissione che gli
attentati dell' 11 settembre furono pianificati ed eseguiti interamente da
al-Qaeda sotto la guida di Osama bin Laden ha determinato in anticipo la sua
selezione di quali eventi fossero “eventi riguardanti l'11 settembre”. In linea
con quest'assunzione, la Commissione sull'11 settembre ci ha dato una
raffigurazione estremamente semplicistica delle motivazioni Usa dietro l'attacco
all'Afghanistan. La Commissione ha in particolare omesso tutti quei fatti che
suggeriscono che l'11 settembre fu più il pretesto che il fondamento per la
guerra in Afghanistan.
Il piano per attaccare l'Iraq
L'attacco dell'amministrazione Bush contro l'Iraq nel 2003 è
probabilmente l'argomento su cui la Commissione sull'11 settembre
è stata considerata più critica, affermando che non ha trovato prova di “relazione e collaborazione operativa tra Osama bin Laden e l'Iraq di Saddam Hussein”
e nessuna prova in particolare, “che l'Iraq collaborasse con
al-Qaeda nello sviluppare o portare avanti un qualche attacco contro
gli Stati Uniti”(66).
Questa affermazione,
rilasciata in un rapporto dello staff circa un mese prima della
pubblicazione del rapporto finale, ha creato molte discussioni sulla
stampa. La quantità e l'intensità di queste discussioni
furono aumentate dal fatto che il presidente, e specialmente il
vice-presidente reagirono duramente, quest' ultimo definendo
“oltraggioso” un articolo di prima pagina del New York
Times intitolato “Panel finds no Qaeda-Iraq tie” [“La
giuria non trova alcun legame tra al-Qaeda e Iraq”, ndt](52) I
commenti che ne risultarono vanno dalla colonna di William Safire, in
cui egli attacca violentemente il presidente e il vice-presidente della
Commissione per essersi fatti “intontire da uno staff di
manipolatori,” all'articolo del New York Times intitolato
“Poltical uproar:9/11 panel members debate Qaeda-Iraq tie”
[“bufera politica: i membri della giuria sull' 11 settembre
discutono dei legami tra al-Qaeda e l'Iraq” n.d.t], ad un
articolo di Joe Conason intitolato “9/11 Panel Becomes Cheney's
Nightmare”(53)[“La giuria sull' 11 settembre diventa
l'incubo di Cheney”, ndt]
Questi commenti davano l'impressione che la Commissione sull'11
settembre, forse lo staff in particolare, fosse veramente indipendente,
dicendo la verità non curandosi di quanto fosse imbarazzante per
la Casa Bianca. Questa naturalmente era pura apparenza.
Non di meno, dato che Bush e Cheney continuavano ad insistere
sull'esistenza di legami tra l'Iraq e al-Qaeda, la Commissione ha
effettivamente, in questo caso, riportato qualcosa di contrario alla
posizione pubblica della Casa Bianca.
La Commissione stava per di più rendendo noto quanto alcuni
membri dell'Amministrazione Bush spingessero per attaccare l'Iraq
immediatamente dopo l'11 settembre. Fece notare che il Segretario alla
Difesa Rumsfeld chiese al Generale Myers di trovare tutto ciò
che poteva sulla possibile responsabilità di Saddam Hussein
nell' 11 settembre. Citò pure un rapporto secondo cui, al primo
incontro a Camp David dopo l'11 settembre, Rumsfeld iniziò
chiedendo cosa si dovesse fare riguardo all' Iraq (334-35).
La Commissione ritrasse persino il vice di Rumsfeld, Wolfowitz, come
sostenitore del fatto che Saddam dovesse essere attaccato anche se ci
fosse una possibilità solo dell' 1% che egli fosse dietro agli
attentati dell' 11 settembre (335-36).(54)
Infine, la Commissione ha riportato l'affermazione di Richard Clarke
che il presidente, il giorno dopo gli attentati dell' 11 settembre, gli
disse di vedere se Saddam fosse in qualche modo legato agli attacchi
(334). La Commissione era perciò abbastanza onesta riguardo al
fatto che alcuni leader della amministrazione Bush erano pronti sin
dall'inizio ad attaccare l'Iraq a causa delle sue possibili connessioni
con l' 11 settembre o come minimo connessioni con al-Qaeda, delle quali
la Commissione afferma di non avere potuto trovare una sola prova
credibile.
La Commissione ha comunque omesso fatti riguardanti la decisione di
attaccare l' Iraq, che sarebbero dovuti essere inclusi nel
“resoconto più completo possibile”. Questi fatti
sono importanti perché la loro omissione significa che i lettori
del Rapporto della Commissione sull'11 settembre sono protetti
dall'evidenza di come fosse profondo e di vecchia data il desiderio di
attaccare l'Iraq tra alcuni dei membri dell' amministrazione Bush.
Alcuni dei fatti omessi appoggiano l'affermazione che il piano di attaccare l'Iraq era, nelle parole di Chalmer Johnson, “allo studio da almeno una decina di anni.”(55)
Nello spingersi così lontano, Johnson si riferisce al fatto che,
dopo la Guerra del Golfo nel 1991, diversi individui all'interno della
Casa Bianca e del Pentagono credevano che gli Stati Uniti sarebbero
dovuti andare a Baghdad e rovesciare Saddam Hussein, come avevano
indicato “in rapporti scritti per il Segretario alla Difesa
Cheney.”(56) Nel 1996, un documento intitolato “A clean
break” [“un'autentica spaccatura”, ndt.] fu prodotto
da un gruppo di studio guidato da Richard Perle (che l'anno seguente
sarebbe diventato un socio fondatore dello PNAC). Raccomandando che
Israele adottasse una politica di “prevenzione”, Perle e i
suoi colleghi suggerivano che Israele incominciasse a “far
arretrare la Siria”, uno sforzo che sarebbe dovuto essere
“focalizzato al rimuovere Saddam Hussein dal potere in
Iraq.” Chiedendo che Israele invadesse il Libano e poi la Siria,
questo documento include testi da Usare in discorsi per giustificare
tali azioni in modo da conquistare appoggio in America. Oltre a
“portare l'attenzione sulle armi di distruzione di massa della
Siria,” Israele avrebbe dovuto dire:
Negoziati con un regime repressivo come quello siriano richiedono un
cauto realismo... è pericoloso per Israele discutere con un
regime che uccide la sua stessa gente, apertamente aggressivo verso i
vicini... e che appoggia le più pericolose organizzazioni
terroristiche. (57) Come James Bamford fa notare in “A pretext
for war” [“un pretesto per la guerra”, ndt] queste
giustificazioni erano molto simili a quelle che sarebbero state usate
anni dopo per giustificare l' Attacco dell' America all' Iraq.(58)
L’argomento per
questo attacco americano all’Iraq divenne più visibile
l’anno seguente, dopo che fu formato il PNAC.
Nel dicembre 1997, Paul Wolfowitz e Zalmay Khalizad pubblicarono un
articolo sul Weekly Standard, il cui editore è il presidente del
PNAC William Kristol, intitolato “Saddam must go”
[“Saddam se ne deve andare”, ndt] (59). Un mese dopo questi
tre e altri 15 membri del PNAC, inclusi Donald Rumsfeld, John Bolton e
Richard Perle, mandarono una lettera al Presidente Clinton spingendolo
a Usare la forza militare per “rimuovere Saddam Hussein e il suo
regime dal potere” e così “proteggere i nostri
vitali interessi nel Golfo.” Nel maggio 1997, mandarono una
lettera a Newt Gingrich e Trent Lott, rispettivamente Presidente del
Congresso e il leader della maggioranza al Senato. Lamentandosi che
Clinton non li avesse ascoltati, i firmatari di queste lettere dissero
che gli Stati Uniti “dovrebbero stabilire e mantenere una forte
presenza militare nella regione ed essere preparati ad usare la forza
per proteggere i nostri vitali interessi nel Golfo e, se necessario,
aiutare a rimuovere Saddam dal potere.” (60) Infine, Rebuilding
America's Defenses, pubblicato dal PNAC nel settembre 2000, sottolinea
che l’Iraq sotto Saddam Hussein era una minaccia agli interessi
americani nella regione. (61)
Quando l’amministrazione Bush si insediò nel 2001, fa
notare Chalmers Johnson, “dieci dei 18 firmatari delle lettere a
Clinton e ai leader Repubblicani del Congresso, diventarono membri
dell’ amministrazione.” (62) Non fu perciò una
semplice coincidenza che, come sia Paul O’Neill che Richard Clark
hanno sottolineato, che l’ amministrazione Bush era già
intenzionata a rimuovere Saddam Hussein quando si insediò. (63)
E non è nemmeno sorprendente sapere che, subito dopo gli
attentati dell’ 11 settembre, alcuni membri dell’
amministrazione Bush volevano usare quegli attacchi come base per la
loro tanto desiderata invasione per portare ad un cambio di regime in
Iraq.
Ma la Commissione Kean-Zelikow, avendo trascurato questi precedenti,
non fornisce alcun contesto ai lettori per capire come e quanto
fortemente alcuni membri dell’ amministrazione Bush volevano
attaccare l’Iraq. Infatti, la Commissione non riesce a rendere
chiaro quanto alcuni di loro fossero pronti a scendere in guerra contro
l’ Iraq anche se non c’erano prove della complicità
negli attentati. Un'omissione cruciale a questo riguardo è il
non avere citato delle conversazioni di Rumsfeld sull’11
settembre annotate da un suo collaboratore. Questi appunti, che furono
rivelati più tardi dalla CBS News, indicano che Rumsfeld voleva
“velocemente le migliori informazioni. Giudicare se sono
sufficienti a colpire contemporaneamente S.I [Saddam Hussein]. Non solo
U.B.L. [Usama Bin Laden]. Andarci pesanti. Spazzare via tutto. Cose
collegate e non.” (64) James Bamford, dopo avere citato queste
note, dice: “Dagli appunti era chiaro che gli attentati sarebbero
stati usati come pretesto per fare guerra contro Saddam Hussein.”
(65)
La Commissione, al contrario, ci dice semplicemente che appunti di quel
giorno indicano che “il Segretario Rumsfeld diede istruzioni a
Myers di ottenere velocemente quante più informazioni
possibili” e di considerare “un ampio spettro di opzioni e
possibilità”. La Commissione poi aggiunge:
Il Segretario disse che il suo istinto era di colpire allo stesso tempo
non solo Bin Laden ma anche Saddam Hussein. Il Segretario Rumsfeld ha
successivamente spiegato che allora considerava l’uno o
l’altro o forse entrambi come responsabili. (335)
Solo dal resoconto della Commissione, assumeremmo che Rumsfeld stava
pensando di colpire Saddam Hussein se e solo se ci fossero buone prove
che egli era “la parte responsabile.” Però, come
mostrano gli appunti citati da CBS e Bamford, Rumsfeld voleva usare
l’11 settembre come base per una risposta “pesante”
che riguardasse molte minacce agli interessi americani (“Sweep it
up” [“Spazzare via tutto”] ), specialmente Saddam
Hussein, che fosse responsabile o no (“Things related or
not” [“Cose collegate e non”]). La Commissione
Kean-Zelikow, con le sue omissioni e distorsioni, ci nasconde questi
fatti.
Inoltre, proprio come la Commissione non riesce a puntualizzare la
centralità del petrolio e delle basi militari negli interessi
dell'amministrazione Bush in Afghanistan, fa lo stesso a riguardo
dell’ Iraq, sebbene questo paese abbia le seconde riserve di
petrolio note al mondo. La Commissione dice che ad una riunione del
National Security Council del 17 settembre, “il Presidente Bush
ordinò al Dipartimento della Difesa di essere pronti ad avere a
che fare con l’Iraq, Baghdad agiva contro gli interessi Usa, con
piani che includessero la possibilità di occupare i giacimenti
petroliferi iracheni”(335). Ma questo è il solo
suggerimento nel Rapporto Kean-Zelikow che l’ amministrazione
Bush potrebbe avere avuto interesse ad assumere il controllo del
petrolio iracheno.
In più, anche questa affermazione, è doppiamente
modificata. Lontana dal suggerire che Rumsfeld, Wolfowitz e altri
membri dell’ amministrazione Bush mordevano il freno per
l'attacco all’ Iraq, come rivelano le lettere del PNAC, la
Commissione suggerisce che l’amministrazione Bush avrebbe pensato
di agire contro Saddam Hussein solo se egli “avesse agito contro
gli interessi Usa.” E' lontana dal suggerire che un motivo
centrale sarebbe stato assumere il controllo del petrolio iracheno, la
Commissione indica che i piani per l’attacco avrebbero solo
“potuto” includere l’occupazione dei giacimenti di
petrolio iracheni.
Da altre fonti però ne ricaviamo uno scenario differente. Mesi
dopo l’11 settembre, ci riporta Paul O’Neill, la Defense
Intelligence Agency, che lavora per Rumsfeld, aveva iniziato a fare mappe dei campi petroliferi dell’ Iraq.
E fornì anche un documento, intitolato “Foreign suitors
for Iraqi Oilfield Contracts,” [“Pretendenti stranieri ai
contratti relativi ai giacimenti iracheni”, ndt], che proponeva
come potessero essere divise le ingenti riserve dell’Iraq. (66)
La centralità del petrolio fu anche sottolineata da Stephen
Gowans, che scrisse:
L’argomento di punta nell’agenda del Pentagono, una volta
dato ordine ai jackboot [stivali militari, ndt], di iniziare a marciare
su Baghdad, era di assicurarsi i campi petroliferi nell’Iraq
meridionale. E quando il caos emerse a Baghdad, le forze Usa lasciarono
che bande di saccheggiatori e incendiari facessero tumulti nel
“Ministero per la Pianificazione, Ministero per
l’Educazione, Ministero per l’Irrigazione, Ministero del
Commercio, Ministero dell’Industria, Ministero degli Affari
Esteri, Ministero per la Cultura e nel Ministero per
l’Informazione.”... Ma al Ministero per il Petrolio, dove
vi erano archivi e registri riguardanti tutta la ricchezza petrolifera
su cui Washington aveva una gran voglia di mettere le mani, era tutto
calmo perché a circondarlo vi era una falange di carri armati e
mezzi blindati. (67)
Questi resoconti rivelano il quadro distorto fornito dai membri della
Commissione sull’11 settembre, la cui unica menzione sul petrolio
iracheno indica che le truppe Usa, se avessero attaccato l’Iraq,
avrebbero potuto o non potuto occupare i giacimenti.
Un racconto più realistico è dato anche da Chalmers
Johnson, che sottolinea a riguardo delle regioni ricche di petrolio,
che gli interessi Usa per le basi e per il petrolio vanno mano nella
mano.
Il rinnovato interesse per l’Asia Centrale, Meridionale e
Sudoccidentale, includeva l’apertura di legami militari con le
repubbliche indipendenti dell’Asia Centrale, Kyrgyzstan e
Uzbekistan, e l’appoggio al governo Talebano in Afghanistan come
una via per ottenere oleodotti e gasdotti proprio per un consorzio a
guida americana. Ma il gioiello della corona di questa grande strategia
era un piano per rimpiazzare il regime Ba’ath in Iraq con un
regime fantoccio pro-americano e costruirvi basi militari permanenti.
(68)
L’enfasi di Johnson
sulla costruzione di più basi militari è supportata dallo
stesso PNAC, che nel suo documento del 2000 dice:
Per decenni gli Stati Uniti hanno
mirato a giocare un ruolo permanente nella sicurezza regionale del
Golfo. Mentre l’irrisolto conflitto con l’Iraq fornisce una
giustificazione immediata, il bisogno per una sostanziale presenza
americana nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein.
(69)
Se andiamo oltre il resoconto della Commissione sull’11
settembre, semplicistico e fuori contesto, sulle ragioni
dell’amministrazione Bush nell’attaccare l’Iraq,
possiamo vedere che la posta in gioco era immensa, riguardando non solo migliaia di miliardi di dollari ma anche il controllo geopolitico globale.
(Per esempio, anche se gli Stati Uniti non avranno bisogno del petrolio
iracheno nel prossimo futuro, l‘Asia Orientale e l’Europa
ne avranno bisogno, così che gli Usa, controllandone le riserve,
saranno capaci di esercitare una forte influenza sulla loro vita
politico-economica.) Quindi, possiamo vedere che il desiderio di
attaccare e occupare l’Iraq, espresso dalle stesse persone che
suggerivano che una “nuova Pearl Harbour” potesse essere
utile, avrebbe potuto fornire un motivo per facilitare gli attacchi
dell’ 11 settembre.
Il Rapporto della Commissione sull’11 settembre, invece, omette tutte le parti della storia che potrebbero portare a pensare ciò. Non
ne ricaviamo idea che l’Iraq potesse essere “il gioiello
nella corona” del piano di dominio Usa. Nel mondo del Rapporto
Kean-Zelikow, infatti, l’ America non ha un piano di dominio
imperialistico. E’ semplicemente una nazione altruista che lotta
per difendersi da nemici che odiano le sue libertà.
Sommario
Come ho puntualizzato nell'Introduzione, Il Rapporto della Commissione
sull’11 settembre appoggia la teoria ufficiale del complotto
secondo cui gli attentati dell’11 settembre furono compiuti
solamente da al-Qaeda, sotto la direzione di Osama bin Laden. Sto
guardando a questo rapporto dalla prospettiva della teoria alternativa
del complotto secondo cui cariche del governo Usa furono coinvolte.
Sebbene la Commissione non citi questa ipotesi alternativa, stava cercando chiaramente di minarne la plausibilità.
Un modo per fare ciò potrebbe essere mostrare che,
contrariamente a chi appoggia questa ipotesi, l’amministrazione
Bush non aveva alcun piano o interesse che potesse fornire un motivo
sufficiente per progettare o come minimo per consentire tali attacchi
delittuosi contro propri cittadini. La Commissione non fa ciò
direttamente, trattando direttamente le motivazioni asserite da coloro
che appoggiano l’ ipotesi alternativa. Ma fa ciò indirettamente, ritraendo l’ amministrazione Bush, e più generalmente il governo Usa, come privo delle motivazioni in questione.
La Commissione Kean-Zelikow invece ha potuto fornire questo ritratto solo tramite numerose omissioni e distorsioni.
Oltre ad omettere la citazione dell’ amministrazione Bush degli
attacchi dell’ 11 settembre come
“opportunità”, ha omesso ogni discussione sullo US
Space Command, con la sua missione di rendere più solido il
predominio globale, e del documento del PNAC, con il suo suggerimento
che una nuova Pearl Harbour sarebbe stata utile. Ha omesso i fatti
storici che mostrano come l’ amministrazione Bush avesse piani
per attaccare sia l’ Afghanistan che l’ Iraq prima
dell’ 11 settembre, così che gli attentati servirono da
pretesto più che da causa. E la Commissione ha distorto le
motivazioni Usa in tali attacchi ritraendo i leader Usa come
interessati solo all'autodifesa, ai diritti umani e alla pace e non al
petrolio, alle basi militari e alla supremazia geopolitica.
Note:
1) Bob Woodward, Bush at War (New York: Simon & Schuster, 2002), 32.
2) "Secretary Rumsfeld Interview with the New York Times," New York
Times, 12 ottobre 2001. Per l’ affermazione della Rice vedi
Chalmers Johnson, "The Sorrows of Empire: Militarism, Secrecy, and the
End of the Republic (New York: Henry Hold, 2004), 229.
3) The National Security Strategy of the United States of America, settembre 2002 (disponibile su www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
4) L’ unica affermazione da me trovata che vi si avvicina
è quella della Commissione per cui “il Presidente
notò che gli attacchi fornivano una grossa opportunità
per coinvolgere Russia e Cina”(330).
5) The Project for the New American Century (da ora in poi PNAC)
Rebuilding America's Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New
Century, settembre 2000 (www.newamericancentury.org).
6) Johnson, The Sorrows of Empire, 178.
7) Lehman, che fu segretario della marina durante due amministrazioni
Reagan firmò la lettera dello PNAC "Letter to President Bush on
the War on Terrorism, " 20 settembre 2001
(www.newamericancenturty.org/Bushletter.htm).
8) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 51.
9) Washington Post, 27 gennaio 2002.
10) Henry Kissinger, "Destroy the Network," Washington Post, 11 settembre 2001.
11) Greg Miller, "Al Qaeda Finances Down, Panel Says," Los Angeles Times, 22 agosto 2004
12) Questo documento, che scaricai nel 2003, dava www.spacecom.af.mil/usspace come sito web dello US Space Command. Ma nell’agosto 2004, vidi che non potevo più accedervi.
13) Una prima versione di questo document intitolata "Joint Vision
2010," è discussa in Jack Hitt, "The Next Battlefield May Be in
Outer Space," New York Times Magazine, 5 agosto 2001, e in Karl
Grossman, Weapons in Space (New York: Seven Stories, 2001).
14) Gli sviluppi che erano già stati raggiunti nel 1998 sono
descritti da George Friedman e Meredith Friedman, in The Future of War:
Power, Technology and American World Dominance in the 21st Century (New
York: St. Martin's, 1998)
15) Per un breve sommario di questo progetto si veda Grossman, Weapons in Space.
16) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 54, citato e discusso in Rahul
Mahajan, Full Spectrum Dominance: U.S. Power in Iraq and Beyond (New
York: Seven Stories Press, 2003), 53-54. L’ idea è che se
qualche paese che gli Stati Uniti desiderano attaccare dispone di un
numero modesto di missili nucleari, potremmo eliminarne molti con un
primo attacco. Se il paese allora lanciasse i pochi missili superstiti,
probabilmente non passerebbero attraverso il nostro scudo difensivo
antimissile. Sebbene questo scudo probabilmente non proteggerebbe
l’ America da un primo attacco in cui venissero lanciati molti
missili, la teoria è che esso sarebbe capace di abbattere tutti
i missili di un attacco su piccola scala. Il paese straniero avrebbe
buona ragione di credere che gli Usa potrebbero andare avanti e
attaccarlo nonostante il possesso di armi nucleari. Capirebbe allora
che il suo sforzo di dissuadere gli Stati Uniti con minacce di
rappresaglia sarebbe inutile. Come risultato gli Usa potrebbero
prendere il paese senza bisogna di attaccare i suoi missili nucleari.
17) Paul O'Neill, il primo Segretario del Tesoro
nell’amministrazione Bush-Cheney riferisce che un memorandum
scritto dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC,
afferma che minacce alla sicurezza Usa vengono create dal fatto che
poteri regionali ostili agli Stati Uniti si stavano “armando per
dissuaderci”. Vedi Ron Suskind, The Price of Loyalty: George W.
Bush, the White House, and the Education of Paul O'Neill (New York:
Simon & Schuster, 2004), 81.
18) Questa statistica è riportata nel Global Network Space
Newsletter #14 (Fall, 2003), pubblicata sul sito web del Global Network
Against Weapons and Nuclear Power in Space (www.space4peace.org).
19) Ogni possibile dubbio sul significato della affermazione fu, a
quanto si dice, fugato da Christopher Maletz, assistente direttore del
PNAC. Christopher Bollyn dice che quando chiese a Maletz cosa
significasse la necessità di “una nuova Pearl
Harbour”, egli rispose: “Hanno bisogno di più soldi
per aumentare il budget della difesa per nuove armi e future
capacità" e né i politici ne i militari l’avrebbero
approvato “senza qualche disastro o evento catastrofico”.
Christopher Bollyn, "America 'Pearl Harbored,'" American Free Press,
aggiornato il 12 aprile 2004 (http://www.americanfreepress.net/12_24_02/American_Pearl_Harbored/america_pearl_harbored.html).
20) Report of the Commission to Assess U.S. National Security Space Management and Organization (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi).
21) Ibid., citato in Thierry Meyssan 9/11: The Big Lie (London: Carnot, 2002), 151-52.
22) Department of Defense News Briefing on Pentagon Attack (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi), citato in Meyssan, 9/11: The Big Lie, 152.
23) Questo punto è sottolineato da Meyssan, 9/11: The Big Lie, 154.
24) Un esame del rapporto della Commissione mostra che Rumsfeld
è citato in 53 paragrafi, Myers in 18 e Eberhart in 8. Molti di
questi citano interviste con essi come fonte d informazione. Nessuno
riflette alcuna questione la quale implichi che qualche aspetto del
loro comportamento quel giorno potrebbe essere stato meno che esemplare
o che alcuna delle loro affermazioni potesse non essere completamente
veritiera.
25) Vedi Ahmed Rashid, Taliban: Militant Islam, Oil and Fundamentalism
in Central Asia (New Haven: Yale University Press, 2001),145. Rashid
Usa per la prima volta questo nome in “The New Great Game: The
Battle for Central Asia’s Oil,” Far Eastern Economic
Review, April 10, 1997. Lo Usa anche per la terza parte di The Taliban.
Chalmers Johnson si riferisce a Rashid come “alla più
eminente autorità sulle politiche dell’ Asia
Centrale” (The Sorrows of Empire, 179).
26) Si veda Steve Coll, Ghost Wars, 305.
27) Rashid, Taliban, Chs. 12 and 13.
28) Ibid., 163.
29) Coll, Ghost Wars, 308; Rashid, Taliban, 167, 171; Johnson, The Sorrows of Empire, 177.
30) Coll, Ghost Wars, 338.
31) Rashid, 166.
32) Rashid, Taliban, 168.
33) Ibid., 166. Sebbene, come riporta Rashid , il Dipartimento di Stato
ritrattò rapidamente questo annuncio, la rivelazione delle sue
vere simpatie era stata fatta.
34) Coll, Ghost Wars, 330.
35) Rashid, Taliban, 166.
36) Telegraph, August 13, 1998, citato in NPH 90.
37) Rashid, Taliban, 75-79, 175.
38) Ibid., 175.
39) Citato in Jean-Charles Brisard and Guillaume Dasquie, Forbidden
Truth: U.S. Secret Oil Diplomacy and the Failed Hunt for Bin Laden (New
York: Nation Books/Thunder’s Mouth Press, 2002), e NPH 91.
40) George Arney, “U.S. ‘Planned Attack on
Taleban’,” BBC News, 18 settembre 2001
(“Taleban” è una pronuncia preferita dagli scrittori
britannici).
41) La base per questo attacco fu data dallo stesso 11 settembre. Nel
discorso alla nazione del Presidente, quella stessa sera, egli
disse:“ Non faremo distinzioni tra i terroristi che hanno
commesso questi fatti e coloro che li ospitano.” Poi in un
incontro del National Security Council, che seguì subito dopo,
il direttore della CIA Tenet si racconta disse che al-Qaeda e i
Talebani sono essenzialmente una cosa sola, dopo di che Bush
stabilì di dire ai Talebani che l’avrebbero fatta finita
con loro (Washington Post, 27 gennaio 2002).
42) Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire, 178-79.
43) The Frontier Post, 10 ottobre 2001, citato in Ahmed, The War on Freedom, 227.
44) Chicago Tribune, March 18, 2002, citando il quotidiano israeliano Ma’ariv.
45) Johnson, The Sorrows of Empire, 176.
46) Ibid., 182-83.
47) Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its
Geostrategic Imperatives (New York: Basic Books, 1997), 210.
48) Ibid., 35-36.
49) Ibid., 36.
50) Ibid., 212, 24-25.
51) Riportato in David E. Sanger and Robin Toner, Bush Cheney Talk of
Iraq and al-Qaida Link,” New York Times, 18 giugno 2004.
52) William Safire, New York Times, 21 giugno 2004; SUsan Jo Keller,
“Political Uproar: 9/11 Panel Members Debate Qaeda-Iraq
‘Tie,’” New York Times, 21 giugno 2004 (http://www.nytimes.com/2004/06/21/politics/21PANE.html); Joe Conason, “9/11 Panel Becomes Cheney’s Nightmare” (disponibile su www.911citizenswatch.org/modules.php?op=modload&nam=News&file=article&sid=319).
53) La Commissione aggiunse che Wolfowitz disse che le
possibilità del coinvolgimento di Saddam erano alte in parte
perché sospettava che Saddam fosse dietro l’ attacco del
1993 al World Trade Center – una teoria per la quale la
Commissione dice di non avere trovato prove credibili. (336, 559n73).
54) Johnson, The Sorrows of Empire, 227.
55) Sebbene Johnson non lo nomina egli ha probabilmente in mente il
documento del 1992 del Pentagono "Defense Planning Guidance" (DPG),
firmato prima di tutti da Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla
difesa e da Lewis "Scooter" Libby.
56) The Institute for Advanced Strategic and Political Studies, "A
Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm," 8 luglio 1996 (http://www.israeleconomy.org/stratl.hrm).
57) James Bamford, A Pretext for War (New York: Doubleday, 2004), 263.
58) Paul D. Wolfowitz and Zalmay M. Khalilzad, "Saddam Must Go," Weekly Standard (dicembre 1997).
59) PNAC, "Letter to President Clinton on Iraq," 26 gennaio 1998 (www.newamericancentury.org); PNAC, "Letter to Gingrich and Lott," May 29, 1998 (www.newamericancentury.org).
60) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 14, 17.
61) Johnson, The Sorrows of Empire, 228-29.
62) Si veda Ron Susskind, The Price of Loyalty, 75, 91. In una
intervista al programma della CBS "60 Minutes" del gennaio 2004,
O'Neill, che come Segretario al Tesoro era membro del National Security
Council, disse che il maggiore argomento a pochi giorni
dall'inaugurazione era seguire Saddam, con una domanda che non era
“Perché Saddam?” o “Perché ora?”
ma semplicemente “trovare un modo per farlo”. (www.cbsnews.comlstories/2004/0 1/09/60minutesl main592330.shtml).
“Ha ragione”, dice Richard Clarke a riguardo della
affermazione di O'Neill. “L’amministrazione del secondo
George Bush iniziò con l’ Iraq sulla sua agenda”.
Richard A Clarke, Against All Enemies: Inside America's war on Terror
(New York: Free Press, 2004), 264.
63) Questi appunti sono citati in "Plans for Iraq Attack Began on 9/11," CBS News, 4 settembre 2002.
64) Bamford, A Pretext for War, 285.
65) Susskind, The Price of Loyalty, 96.
66) Stephen Gowans, "Regime Change in Iraq: A New Government by and for
US Capital," ZNet, 20 aprile 2003; la citazione interna è da
Robert Fisk, Independent, 14 aprile 2003
67) Johnson, The Sorrows of Empire, 226.
68) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 14
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Data: 2 dicembre 2005.
Fonte:
www.911truth.org
Traduzione dall'inglese a cura di ALCE NERO per
www.comedonchisciotte.org
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11 Settembre - Cui Prodest?
Tratto da lateoriadelcomplotto.blogspot.com
Nell'autunno del 2000, un anno
prima dell'11 Settembre, un documento intitolato ''Rebuilding America's
Defenses'' (ricostruendo le difese dell'America) e' stato pubblicato da
un'organizzazione che si denomina il ''Project for the New American
Century'' (Progetto per il Nuovo Secolo Americano), conosciuto con
l'acronimo di PNAC [3]. Questo istituto neo conservatore collegato alla
Difesa ed ai servizi segreti, al partito repubblicano ed al potente
''Council on Foreign Relations'' [20], e' costituito da membri o
sostenitori delle amministrazioni Reagan e Bush padre, alcuni dei quali
sarebbero diventati figure centrali nell'amministrazione di Bush
figlio. Questo gruppo comprende Jeb Bush (fratello del Presidente degli
Stati Uniti d'America George Walker Bush), Richard Armitage, John
Bolton, Dick Cheney (vicepresidente degli Stati Uniti), Paul Wolfowitz
(vicesegretario alla difesa), Zalmay Khalilzad (strettamente legato a
Paul Wolfowitz [4]), Lewis "Scooter" Libby (capo dello staff di
Cheney), Richard Perle, Donald Rumsfeld (segretario alla difesa) e
James Woolsey. Libby (capo dello staff di Cheney) e Wolfowitz (vice di
Rumsfeld) sono elencati tra coloro che hanno partecipato direttamente
al progetto ''Rebuilding America's Defenses''. E' interessante notare
che John Lehman, membro della ''Commissione sull'11 Settembre'', sia
stato membro del PNAC o almeno si sia pubblicamente allineato con esso
[5].
L'obbiettivo principale dell'organizzazione, costituitasi nella
primavera del 1997, consiste nell'affermare ed estendere il piu'
possibile la leadership americana nel mondo [6]; il documento indica
che gli Usa progettano di essere coinvolti simultaneamente in diversi
teatri di guerra, in differenti regioni del globo [20]. Il PNAC delinea
una mappa per la conquista. Esso chiede l'''imposizione diretta di basi avanzate Usa in Asia centrale ed in Medio Oriente'' con il fine di assicurare il dominio economico del mondo, strangolando tutti i potenziali ''rivali'' od ogni possibile alternativa alla concezione americana di economia di ''libero mercato''
[21]. Nel documento viene evidenziato a piu' riprese che, tale processo
di egemonia militare statunitense, sarebbe avvenuto molto piu'
velocemente se un qualche "evento catastrofico e catalizzatore" si
fosse abbattuto sugli USA [6]. Il piano del PNAC delinea come debba
essere pianificata la propaganda di guerra. Un anno prima dell'11
Settembre 2001, si invoca apertamente ad un evento che potesse
galvanizzare l'opinione pubblica degli Usa a sostegno dell'agenda di
guerra [22]. Gli artefici del PNAC sembra abbiano anticipato con cinica
precisione l'utilizzo, ''come pretesto per una guerra'', degli
attentati dell'11 Settembre 2001. Il riferimento del PNAC ad ''un
evento catastrofico e catalizzante'' fa eco ad una simile dichiarazione
di David Rockefeller al Consiglio Economico delle Nazioni Unite del
1994: ''siamo sull'orlo di una trasformazione globale. Tutto cio' di
cui abbiamo bisogno e' la giusta grande crisi e le nazioni accetteranno
il Nuovo Ordine Mondiale''.
Simili le parole di Zbigniew Brzezinski nel suo libro ''The Grand
Chessboard'' (''La Grande Scacchiera''): ''[…] creare consenso
in materia di politica estera potrebbe essere difficile, a meno che non
si verifichi una minaccia esterna diretta veramente enorme ed
ampiamente avvertita.''. Zbigniew Brzezinski, che era Consigliere per
la Sicurezza Nazionale del presidente Jimmy Carter, e' stato uno dei
progettatori della rete di Al Qaeda, creata dalla CIA all'inizio della
guerra sovietico-afgana (1979-1989) [20].
Eventi ''catastrofici e catalizzanti'', come quelli dichiarati dal
PNAC, costituiscono, quindi, parte integrante della pianificazione
militare e di intelligence; sono in molti a sostenere che la
''militarizzazione delle Nazioni'' nel mondo occidentale sia un'ipotesi
gia' operativa e che attacchi terroristici che provocheranno numerose
vittime da qualche parte nell'emisfero occidentale, metteranno in
discussione la Costituzione dei principali Governi. Le risultanti crisi
ed agitazioni sociali saranno strumentalizzate ed utilizzate con
l'intento di realizzare importanti spostamenti nelle strutture
politiche, sociali ed istituzionali, sino ad arrivare ad una vera e
propria militarizzazione per evitare che altre stragi si possano
ripetere [23].
Alla luce di quanto affermato nelle pagine del ''Rebuilding America's
Defenses'', non ci si stupisce del fatto che personaggi di spicco
dell'establishment statunitense come Donald Rumsfeld o Condoleeza Rice,
all'indomani degli attentati dell'11 Settembre 2001, invoglino la gente
a ''pensare a come capitalizzare quest'opportunita' fondamentalmente
per cambiare [...] la faccia del mondo.'' [7], sottolineando come ''gli
eventi dell'11 Settembre 2001 hanno aperto nuove, vaste possibilita'.''
[8]. Lo stesso Presidente George W. Bush ha dichiarato che gli
attentati dell'11 Settembre hanno rappresentato ''una grossa
opportunita''' per gli Stati Uniti [9]; Bob Woodward, giornalista
del''Washington Post'' e cronista presso la Casa Bianca, nel suo libro
''Bush at War'', cita le seguenti parole del Presidente degli Stati
Uniti: ''Questa e' un'occasione eccellente. Dobbiamo considerarla un'opportunita'.'' [24].
Un evento catastrofico e catalizzatore di tale portata, sarebbe servito
anche per poter richiedere ai contribuenti americani un aumento
considerevole di fondi per la realizzazione dello ''scudo di difesa
missilistica'', conosciuto anche con il nome di "US Space Command"
[10], realizzato con lo scopo di prevenire la capacita' di altri paesi
di scoraggiare gli Usa dal lanciare un primo attacco contro di loro
[11]. Nel solo anno anno fiscale 2004, il Presidente George W. Bush ha
firmato il bilancio della difesa stanziando fondi per 401,3 miliardi di
dollari e prevedendo, fra l'altro, un aumento medio del 4,1 per cento
della retribuzione dei militari.
A quegli oltre 400 miliardi di dollari vanno aggiunti i circa 87
miliardi stanziati per la guerra in Iraq e in Afghanistan e per la
ricostruzione dei due Paesi e i 9,3 miliardi di una legge per la
realizzazione d'installazioni militari. Si arriva cosi' sulla soglia
dei 500 miliardi, il che significa che le spese militari degli Stati
Uniti sono confrontabili con il prodotto interno lordo di un Paese del
G7, il Canada. E sono superiori al prodotto interno lordo globale della
Russia [12].
Mentre lo ''USA Patriot Act'' (Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act), il ''Rebuilding America's Defenses''
e lo ''US Space Command'' forniscono validi "moventi" per un'operazione
di tipo ''false flag'' volta ad incrementare lo stanziamento di fondi
per la difesa, la possibilita' di presidiare e controllare la zona del
Mar Caspio mette in evidenza risvolti economici legati allo
sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere dell'Afghanistan.
Sia il presidente Bush che il vice presidente Cheney sono petrolieri.
Entrambi provengono dall'industria petrolifera. Le carriere di tutti e
due sono state modellate da interessi petroliferi. La loro fortuna
politica e' stata propagandata dalle lobby del petrolio. Il presidente
Bush comincio' il suo percorso di uomo d'affari negli anni '80 in
Texas, fondando una societa' di esplorazione petrolifera chiamata
''Arbusto''(per approfondimenti vedi ''Quando la famiglia bin Laden
faceva affari con la famiglia Bush''): nel 1984, si fuse con un'altra
societa' di esplorazione petrolifera, dando vita alla ''Spectrum 7''. E
Bush ne divenne il presidente.
Due anni dopo, decise di vendere la sua societa' alla ''Harken Energy
Company'', per la quale gia' lavorava come consulente. All'epoca
la''Harken'' aveva interessi in Medio Oriente. Da parte sua, il vice
presidente Cheney, prima del suo insediamento alla Casa Bianca, e'
stato presidente e amministratore delegato della ''Halliburton
Company''. La ''Halliburton'' e' uno dei maggiori fornitori al mondo di
prodotti e servizi legati all'industria petrolifera ed energetica e
conduce affari in oltre 100 paesi. Non c'e' da stupirsi, infine, che
nella campagna per le elezioni presidenziali del 2000, l'allora
candidato repubblicano George W. Bush sia stato il beneficiario numero
uno del denaro proveniente dall'industria energetica, riuscendo a
raccogliere oltre 1,8 milioni di dollari in contributi: piu' di quanto
qualunque altro candidato alla carica federale abbia ricevuto negli
ultimi dieci anni [13].
La ''Halliburton'', azienda fornitrice di prodotti e servizi alle
compagnie petrolifere e del gas, e' attiva come nessun'altra in regioni
di crisi o dove sono in corso conflitti.
La compagnia si e' guadagnata le prime pagine dei giornali in seguito
ai legami con il Vicepresidente americano Dick Cheney. Dal 1995 al 2000
il Ministro della Difesa sotto George Bush Senior era direttore
dell'azienda, prima di rientrare a Washington nel ruolo di vice di
George Bush Junior [27].
Come Ministro della Difesa, gia' nel 1992, Cheney aveva approvato lo
stanziamento di 9 milioni di dollari per finanziare al consorzio uno
studio su quali funzioni logistiche le forze armate avrebbero potuto
affidare a societa' private [25]. Poco dopo l'azienda vinse un
contratto di cinque anni per appalti su scala mondiale per i corpi
ingegneristici dell'esercito. ''Kellog Brown and Root'' (KBR),
affiliata di''Halliburton'', negli anni in cui Cheney e' stato in
carica a Washington, ha ricevuto dal Governo contratti per un valore di
almeno 3,8 miliardi di dollari.
Insieme al consorzio americano ''Bechtel'', ''Halliburton'' ha domato
numerosi incendi sviluppatisi nei giacimenti petroliferi in fiamme
durante la prima guerra del Golfo. Prima della seconda guerra del
Golfo, su incarico dell'esercito, ha redatto uno studio su potenziali
azioni di sabotaggio di giacimenti petroliferi. Il rapporto segreto e'
stato usato come base per un contratto di spegnimento e manutenzione
che, senza alcuna firma, e' stato assegnato alla ''Kellog Brown and
Root'', e il cui valore e' stato stimato dal ''New York Times'' in
sette miliardi di dollari per due anni [27].
L'8 Marzo 2003, due settimane prima dell'inizio dei conflitti, la
''Kellog Brown and Root'' ha ottenuto dall'esercito americano un
contratto del valore di 490 milioni di dollari, inerenti alla
ristrutturazione dei pozzi petroliferi alla fine della guerra [26]. ''E questo e' solo l'inizio. Con questa guerra, Halliburton si sta guadagnando il pane in maniera idiota e vergognosa.'', ha affermato Pratap Chatterjee, dell'organizzazione ''Corpwatch''. ''Oltre
alle prime misure di emergenza, la continua manutenzione dell'industria
petrolifera irachena potrebbe arrivare a costare 1,5 miliardi di
dollari.'' [25]. Dalla fine del 2001 all'inizio di Aprile, la
compagnia, secondo dati ufficiali, ha ricevuto dal Pentagono appalti
per un valore di almeno 830 milioni di dollari: dalla costruzione e
gestione di tendopoli ed insediamenti temporanei per i soldati
americani in Afghanistan, Turchia, Kuwait, Georgia, Uzbekistan,
Giordania e Gibuti, fino a un affare di 323 milioni di dollari per la
costruzione e la gestione di una prigione destinata ad ospitare
centinaia di detenuti sospettati di terrorismo nella baia di Guantanamo.
Nel Kuwait, dall'estate del 2002, almeno 1800 dipendenti della ''Kellog
Brown and Root'' sono occupati ad organizzare per le forze di
occupazione americane recinti di filo spinato, alloggi, servizi di
lavanderia, bar, fast food, campi di pallavolo ed altre amenita' del
genere. Alla base c'e' un contratto di dieci anni, valido in tutto il
mondo, di nome ''LOGCAP'' (Programma per l'incremento della logistica
civile).
Ma non e' tutto: Dick Cheney percepisce una pensione di circa un
milione di dollari all'anno, elargita dal suo ex datore di lavoro. Nel
suo Ministero si avvicendano anche numerosi nomi di punta dell'azienda
e viceversa. ''Halliburton e' un modello di nepotismo di prima grandezza, al cui interno vige il principio 'una mano lava l'altra'.'', afferma Pratap Chatterjee [25].
In Iraq, dopo la guerra, ''Halliburton'' e' diventata uno dei nomi di
punta per quanto riguarda l'esplorazione, l'estrazione e la
manutenzione dei giacimenti petroliferi; e' con la guerra in Iraq che
il gigante del petrolio realizza il colpo grosso. Il Direttore Generale
di ''Halliburton'',David Lesar, nel rapporto annuale del 2004 della
Societa' con sede a Houston, Texas, scrive che il complesso
petrolifero, nonostante molte difficolta', e' messo meglio che mai: ''Mi piace cio' che vedo dalla mia scrivania.''.
La ''Halliburton'', infatti, e' riuscita a mettere in porto contratti
per 7,1 miliardi di dollari, di cui 1,9 miliardi per il progetto
''Restore Iraqi Oil'' (RIO), appaltato ad ''Halliburton'' senza alcun
concorso, evento che avrebbe fatto accusare la stessa azienda di
corruzione e, successivamente, di una serie di imputazioni come quella
di aver presentato all'esercito statunitense in Iraq conti esorbitanti
per i rifornimenti; i pagamenti per razioni alimentari mai arrivate sul
piatto dei soldati sarebbero finiti direttamente al Pentagono e la
benzina ed il diesel per le truppe motorizzate sarebbero state
importate dal Kuwait e maggiorate nel prezzo [36]. Senza dimenticare
che ''la
Halliburton, attraverso le affiliate europee, vendeva componenti di
ricambio all'industria petrolifera irachena, nonostante le sanzioni
dell'ONU.'' [38]. Il giornalista Dan Briody, da anni attivo in
ricerche sul complesso militare-industriale statunitense, evidenzia le
continue contraddizioni nel comportamento di Dick Cheney, il quale ''ha
comandato la guerra contro l'Iraq come Ministro della Difesa, poi, come
Direttore Generale della Halliburton, ha sostenuto la ricostruzione
dell'industria petrolifera irachena per poi, come Vicepresidente
americano, tornare all'attacco dell'Iraq. Il grado di cattiveria di
Saddam Hussein dipende, evidentemente, dal lato del continuum
economia-governo in cui ci si trovi in quel momento.'' [37].
Il 7 Ottobre 2001 George Bush decide di spedire i suoi soldati in guerra contro Bin Laden ed i suoi alleati, i talebani.
Il Presidente degli Stati Uniti d'America si fa vedere trenta minuti
dopo l'inizio dei primi attacchi aerei sull'Afghanistan dalla ''Treaty
Room'' della Casa Bianca e promette: ''Non falliremo. La pace e la liberta' saranno vincitrici.''.
L'operazione ''Enduring Freedom''(''Liberta' Duratura'') ha inizio 26
giorni dopo l'11 Settembre 2001 e vede gli Stati Uniti lavorare a
stretto contatto con le truppe dell'''Alleanza del Nord'', gli
avversari afghani dei talebani.
Nei mesi seguenti, l'attenzione dei principali mass media inizia a
focalizzarsi sull'Afghanistan e sullo strano regime dei talebani che,
fino a quel momento, avevano governato il Paese. Iniziano quindi a
venire alla luce alcuni affari relativi al petrolio che iniziano a
causare non poco imbarazzo alla ''Unocal'', compagnia petrolifera
californiana con sede a Sugarland, in Texas, paese di nascita del
Presidente George Walker Bush [32]. Il 14 Settembre la Unocal, messa
alle strette, si vede costretta a diffondere un comunicato stampa dal
titolo: ''La presa di posizione dell'Unocal: la societa' non appoggia in nessun modo i talebani.'' [28].
Emergono alcuni retroscena riguardanti la Compagnia che, a meta' del
anni Novanta, si trova ad affrontare una forte crisi di identita'. Nel
1994 la ''Unocal'' aveva perso 153 milioni di dollari e doveva trovare
il modo di rientrare in attivo; il direttore dell'azienda decide,
dunque, di giocare il tutto per tutto ed annuncia che la ''Unocal''
sarebbe diventata, in breve tempo, ''La piu' grande azienda per le risorse energetiche del Mondo.''.
La chiave per raggiungere questo imponente ed ambizioso traguardo era recarsi la' dove nessuno osava mettere pirede, ''l'Afghanistan era il luogo giusto'', scrive Steve Coll,
giornalista del ''Washington Post'' nel suo libro sulla guerra in
Afghanistan ''Ghosts Wars'' [29], per il quale, nel 2005, vince il
premio Pulitzer. Si trattava di un'idea piuttosto ardita: il trono del
presidente turkmeno Saparmurat Niyazov si trovava sopra un vero e proprio mare di petrolio, 32 miliardi di barili, e su enormi giacimenti di gas.
Egli non voleva utilizzare la rete di oleodotti russi, perche' riteneva
che non fosse possibile fare buoni affari con Mosca; un oleodotto che
passasse per l'Iran non era pensabile, perche' un simile progetto non
avrebbe trovato l'approvazione americana. Al contrario, il progetto di
un oleodotto che trasportasse petrolio e gas dall'Asia centrale senza
attraversare i territori russi ed iraniani avrebbe trovato l'appoggio
diBill Clinton [32].
''La politica
statunitense doveva affrettarsi ad appoggiare l'estrazione di riserve
energetiche del Caspio [...[. Ci siamo mossi in questa direzione in
particolare per accelerare il processo di indipendenza di queste
regioni e per rompere il monopolio russo sul trasporto di greggio dalla
Regione, ma anche per garantire all'Occidente, attraverso la
diversificazione, un approvvigionamento energetico sicuro'', dichiaro' Sheila Heslin, esperta del settore energetico del ''National Security Council'' (Consiglio di Sicurezza Nazionale) della Casa Bianca [30].
La ''Unocal'' propone due itinerari, avrebbe trasportato petrolio e gas
dai giacimenti del Turkmenistan sud-orientale al Pakistan, passando per
l'Afghanistan occidentale e meridionale, facendo nascere, cosi', il
consorzio ''CentGas''. I soci del nuovo gruppo firmano ad Ashgabat un
contratto preliminare con Saparmurat Niyazov, che prevede la
costruzione di un oleodotto per il petrolio e di uno destinato al gas,
per un costo pianificato di 8 miliardi di dollari.
Nel 1995 Niyazov si reca a New York in occasione dell'anniversario
della fondazione delle Nazioni Unite, per partecipare ai festeggiamenti
nel quartiere generale dell'ONU, sull'East River, a Manhattan. Niyazov
ritiene che la ''Unocal'' debba pubblicizzare l'oleodotto ''CentGas''
ed i suoi desideri sono esauditi da Henry Kissinger, il quale, in una sala per banchetti affittata per l'occasione, nel suo discorso, pone l'accento sul progetto ''CentGas'', ''il trionfo della speranza sull'esperienza.''.
I rapporti tra il Governo statunitense e Saparmurat Niyazov si fanno
sempre piu' saldi, quindi la ''Unocal'' non si preoccupa piu' di tanto
quando, nel 1998, i talebani prendono Kabul divenendo la forza
dominante del Paese.
Secondo Richard Keller, direttore dell'''Unocal Pakistan Ltd.'', la conquista di Kabul da parte dei talebani e' da considerarsi, addirittura uno ''sviluppo positivo.'' [32].
Uno dei primi passi di George Walker Bush da Presidente degli Stati
Uniti d'America e' incaricare il Vicepresidente Dick Cheney di redigere
un piano d'azione per la politica energetica; piano pronto nel Maggio
del 2001.
La relazione al Presidente, nella quale e' evidenziata una grave crisi energetica, contiene anche un avviso: ''Entro
i prossimi vent'anni l'America sara' costretta a importare i due terzi
del suo fabbisogno di greggio: di conseguenza si entrera' in una fase
di forte dipendenza da potenze straniere, che non avranno
necessariamente in testa gli interessi americani.'' [33].
Il rapporto accenna anche alcuni suggerimenti rispetto alla direzione
da prendere e, nell'ottavo capitolo, la Casa Bianca viene invitata''nel
campo della politica estera e dei rapporti commerciali con l'estero, a
dare priorita' alla sicurezza nell'approvvigionamento energetico'' e ad
incoraggiare gli Stati come quelli del Golfo ad aprire i propri settori
energetici ad ''investimenti privati''. Nel rapporto alla Casa Bianca
l'Iraq non viene mai menzionato, ma in un discorso tenuto a Nashville,
Tennessee, il Vicepresidente degli Stati Uniti d'America, nonche', e'
bene ricordarlo, ex direttore della ''Halliburton'', Dick Cheney, parla
apertamente dell'Iraq e di Saddam Hussein, sottolineando in particolare
il pericolo che quest'ultimo possa aspirare nuovamente ad una posizione
di egemonia nel golfo e dunque abbia l'ambizione di ''prendere sotto il proprio controllo buona parte delle riserve energetiche mondiali'' [34].
La rivista ''The New Yorker'' e' una delle poche a sottolineare un fatto interessante ma, stranamente, passato inosservato: ''Il
discorso di Cheney e' stata una delle ultime occasioni nel corso della
quale un membro dell'Amministrazione Bush ha ammesso un legame tra
politica energetica e politica di sicurezza. In seguito le
dichiarazioni si sono accordate a quella del Ministro della Difesa
Donald Rumsfeld, secondo cui la decisione di far capitolare Saddam non
'aveva nulla a che vedere con il petrolio, assolutamente nulla''' [35].
Ma se non il petrolio, quali sono state allora le ragioni di questa
guerra? Le argomentazioni americane sostengono prima l'importanza del
disarmo di Saddam Hussein e dell'annientamento del suo arsenale di armi
per la distruzione di massa, per passare poi alla necessita' di un
cambiamento di regime, quando appare evidente che nel Paese non c'e'
traccia di un simile armamento. In seguito, l'attenzione dell'opinione
pubblica viene dirottata in quella che, con l'emanazione di
provvedimenti che calpestano di fatto tutti i principi base del diritto
internazionale e della liberta' individuale, quali lo ''USA Patriot Act'', a tutti gli effetti diviene una vera e propria ''guerra al terrore''.
Prima della Guerra, all'interno dell'Amministrazione americana si
combatte un'altra guerra, la ''War behind Closed Doors'' [39], la
''guerra di gabinetto''.
All'interno dell'Amministrazione conservatrice di George Walker Bush,
tre scuole di pensiero litigano tra loro. L'allora Viceministro della
Difesa Paul Wolfowitz ed i neo-conservatori ritengono che l'America
sarebbe stata al sicuro solo quando il resto del mondo fosse diventato
uguale a lei. L'apertura dei mercati di questo resto del mondo alle
merci americane e la possibilita' di sfruttare le materie prime locali
da parte di societa' americane e' un piacevole beneficio collaterale di
questa strategia. Questo gruppo, dunque, promuove l'invio in Iraq di un
potente esercito a cui sarebbero seguiti generosi programmi di
ricostruzione, secondo l'esempio del ''Piano Marshall''.
Gli assertive nationalists, ovvero i ''nazionalisti dichiarati'', come
il Ministro della Difesa Donald Rumsfeld ed il Vicepresidente Dick
Cheney, non condividono questa visione ambiziosa e dispendiosa dal
punto di vista economico: per servire al meglio gli interessi della
sicurezza americana era necessario eliminare i potenziali fattori di
pericolo. Per i nazionalisti dichiarati l'obiettivo di un intervento
americano in Iraq non e' tanto la creazione di un paradiso democratico,
l'interesse di questo gruppo per un processo di democratizzazione in
Iraq dopo la terza Guerra del Golfo era altrettanto scarso di quello di
democratizzazione del Kuwait dopo la seconda Guerra del Golfo [40]. A
Cheney, Rumsfeld e compagnia stavano a cuore soprattutto i vantaggi
immediati che l'America avrebbe potuto ricavare da una guerra in Iraq:
la creazione di importanti basi militari nella Regione, dalle quali,
nel peggiore dei casi, intervenire nei paesi ricchi di petrolio quali
Arabia Saudita e Kuwait e la possibilita' di minacciare l'Iran, dove il
petrolio e' altrettanto abbondante.
Il terzo grupo e' quello degli ''internazionalisti'', ''nazionalisti
realisti'', ''realisti conservatori'' o come si voglia chiamare gente
come Colin Powell o Condoleezza Rice, secondo cui l'impiego della
violenza e' giustificato solo di fronte ad una monaccia diretta degli
interessi americani. Questo gruppo vuole dare al mondo intero una
giustificazione morale della guerra, aspirando ad una legittimazione
internazionale. Ecco spiegate anche le ragioni dell'entrata in scena di
Powell davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 5 Febbraio 2003.
La guerra dietro le porte del gabinetto e' vinta, come noto,
dall'alleanza tra neocons e nazionalisti dichiarati: hanno inizio i
bombardamenti e l'invasione dell'Iraq.
Karl Marx, dopo il colpo di
Stato del nipote di Napoleone Bonaparte del 1851, nota, in relazione
con il golpe di Napoleone del 1799, che tutti i grandi avvenimenti
della storia ''avvengono, per cosi' dire, due volte[...]. La prima come tragedia, la seconda come farsa.'' [41]. Per quanto ci riguarda, siamo arrivati al tempo della farsa, ''il disarmo dell'Iraq'', la ''liberazione del popolo iracheno'' e la ''difesa del mondo contro un serio pericolo'', come tiene a sottolineare in televisione il presidente Bush poco dopo l'inizio della guerra.
Thomas Kleine-Brockhoff, corrispondente di ''Die Zeit'' a Washington,
dichiara che, sebbene inizialmente fossero divisi sul da farsi,''rispetto
alla questione del dopoguerra sono tutti uniti, ne' i neocons, ne' gli
assertive nationalists e nemmeno gli 'internazionalisti' credono alla
tesi del Nation Building'' [42].
L'esercito americano piazza un paio di carri armati M-1-Abrams di
fronte al palazzone di cemento di 10 piani sede del Ministero del
petrolio, che si trova un paio di chilometri fuori dal centro di
Baghdad. L'Air Force statunitense evita opportunamente di bombardare
l'edificio, come era avvenuto con il Ministero della pianificazione ed
ai soldati e' dato ordine di evitare i saccheggi, autorizzati, invece,
negli ospedali, nei musei e nella biblioteca nazionale. L'edificio
racchiude infatti la chiave del principale tesoro della nazione: mappe
dei giacimenti petroliferi, dati sugli oleodotti, contratti. Dopo la
Guerra, come nel 1991, gli americani sperano di poter finanziare il
conflitto utilizzando i proventi iracheni dal petrolio. Le societa'
amercane ''Halliburton'', la sua consociata ''Kellog, Brown and Root'',
la ''Bechtel''e tutte le altre, ottengono gli appalti, l'Iraq paga [43].
Come disse anni fa il Generale William Looney, a capo delle forze anglo americane che volano sopra l'Iraq quasi tutti i giorni: ''Se
accendono i loro radar noi faremo saltare in aria i loro fottuti
missili. Lo sanno che possediamo il loro paese e il loro spazio
aereo... Siamo noi che dettiamo il loro modo di vivere e di parlare, e
questo e' cio' che al momento c'e' di grandioso parlando dell'America.
E' una cosa buona, specialmente visto che li' c'e' un sacco di petrolio
di cui abbiamo bisogno.'' [44].
Se ci fosse qualche motivo per essere sospettosi delle vere intenzioni
della Casa Bianca in merito all'Iraq, certamente il fatto che il
vicepresidente Cheney abbia tenuto segreti incontri di governo a porte
chiuse con i leader dell'industria energetica dovrebbe almeno far
sollevare il sopracciglio a qualche appartenente al mondo dei media:
perche' quei meeting sono avvenuti immediatamente dopo aver ricevuto il
suo incarico; sono stati fatti allo scopo di progettare le future
iniziative dell'America nel campo dell'energia. E poi, nonostante i
continui sforzi dei membri del Congresso di rendere pubblici quegli
atti, Cheney si e' sempre rifiutato di rilasciare i verbali delle
discussioni, oltre ai nomi dei partecipanti e delle societa' [13].
Dopo l'11 Settembre 2001, sono in molti i ''Teorici del Complotto'' che
arrivano a supporre che la guerra in Afghanistan si tratti di
un'operazione di tipo false flag, pianificata dallo stesso Governo
statunitense ben prima dell'11 Settembre 2001, che trova nella
realizzazione dell'oleodotto uno dei motivi principali per la
realizzazione di un auto-attentato di simili proporzioni. Il libro
uscito in Francia il 14 Novembre 2001, due mesi dopo gli attentati,
intitolato ''Ben Laden: La vérité interdite'' [31],
suscita, con simili sospetti, l'interesse del pubblico.
NOTE E FONTI:
[3] ''The Sorrows of Empire'', di Johnson, 178
[4] Lehman, che fu segretario della marina durante due amministrazioni
Reagan firmo' la lettera dello PNAC "Letter to President Bush on the
War on Terrorism, " 20 Settembre 2001
(www.newamericancenturty.org/Bushletter.htm)
[5] "Rebuilding America's Defenses", PNAC, 51
[6] Washington Post, 27 gennaio 2002
[7] The National Security Strategy of the United States of America,
Settembre 2002 (disponibile su www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
[8] L' unica affermazione da me trovata che vi si avvicina e' quella
della Commissione per cui "il Presidente noto' che gli attacchi
fornivano una grossa opportunita' per coinvolgere Russia e Cina", 330
[9] ''Secretary Rumsfeld Interview with the New York Times'', New York
Times, 12 ottobre 2001. Per l' affermazione della Rice vedi Chalmers
Johnson, ''The Sorrows of Empire: Militarism'', Secrecy, and the End of
the Republic (New York: Henry Hold, 2004), 229
[10] Per un breve sommario di questo progetto si veda Grossman, Weapons in Space
[11] Paul O'Neill, il primo Segretario del Tesoro nell'amministrazione
Bush-Cheney riferisce che un memorandum scritto dal Segretario alla
Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC, afferma che minacce alla
sicurezza Usa vengono create dal fatto che poteri regionali ostili agli
Stati Uniti si stavano "armando per dissuaderci". Vedi Ron Suskind, The
Price of Loyalty: George W. Bush, the White House, and the Education of
Paul O'Neill (New York: Simon & Schuster, 2004), 81
[12] Bush firma il bilancio della difesa per la guerra quasi 500 miliardi, tratto da ''La Repubblica'' del 24 novembre 2003
[13] ''Operazione oro nero, di Jeremy Rifkin'' - tratto da www.disinformazione.it del 14/11/2002
[20] ''Tutto quello che sai e' falso 2 – Secondo manuale dei
segreti e delle bugie'', ''Guerre per il dominio globale –
Progetto per un nuovo secolo americano'', di Michel Chossudovsky, 193,
194
[21] Chris Floyd, Bush's Crusade for empire, Global Outlook, No. 6, 2003
[22] Tratto da Global Research
[23] General Tommy Franks calls for Repeal of US Constitution, November 2003, tratto da Global Research
[24] ''Bush at War'', di Bob Woodward, Edizioni Simon and Schuster
[25] ''Von Boston bis Bagdad'', in ''brand eins'', Marzo 2003
[26] Tratto da www.derstandard.at
[27] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra,
potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and
Compton, 264, 265
[28] Comunicato stampa disponibile sul sito della Compagnia www.unocal.com
[29] ''Ghosts Wars - The Secret History of the CIA, Afghanistan and Bin
Laden, from the Soviet Invasion to September, 10, 2001'', di Steve
Coll, Editore Penguin Books
[30] ''Talebani. Islam, petrolio e il grande scontro in Asia centrale'', di Ahmed Rashid, Editore Feltrinelli
[31] ''Ben Laden: La vérité interdite'', di Jean-Charles Brisard e Guillaume Dasquié, Editore Denoel
[32] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra,
potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and
Compton, 82-85
[33] ''National Energy Policy - Report of the National Energy Policy
Development Group'', testo integrale disponibile sul
sitowww.whitehouse.gov
[34] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra,
potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and
Compton, 91
[35] ''Beneath the Sand - Can a Shattered Country Be Rebuilt With
Oil?'', ''The New Yorker'', 14 Luglio 2003, di John Cassidy,
disponibile online all'indirizzo www.newyorker.com
[36] ''Houston, we still have a Problem - An Alternative Annual Report
on Halliburton'', Corpwatch, Maggio 2005, tratto dawww.halliburton.org
e www.warprofiteers.com
[37] ''The Halliburton Agenda - The Politics of Oil and Money'', di Dan Briody, Hoboken, New Jersey, Wiley and Sons, 2003
[38] ''Cheney Led Halliburton to Feast at Federal Trough'', Royce, Knut
e Nathaniel Heller, Public i (Center for Public Integrity), 2 Agosto
2000
[39] ''The War behind Closed Doors. The People, the Clashes - and
Ultimately the Grand Strategy behind George W. Bush's Determination to
Go to War with Iraq'', PBS, tratto da www.pbs.org
[40] Le donne del Kuwait ottengono il diritto al voto. Con 14 anni di
ritardo dalla fine della Guerra del Golfo del 1991, le donne
dell'emirato hanno ottenuto il 16 Maggio 2005 il diritto al voto
[41] ''Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte'', di Karl Marx, in Karl
Marx - Friedrich Engels, ''Opere complete'', volume 1, Roma, Editori
Riuniti, 1991, 105
[42] Intervista telefonica di Thomas Seifert a Thomas Kleine-Brockhoff, 24 Maggio 2005
[43] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra,
potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and
Compton, 86-89
[44] ''Tutto quello che sai e' falso 2 – Secondo manuale dei
segreti e delle bugie'', ''Guerra al terrorismo, l'ultima menzogna
della propaganda'', di William Blum, 20
Tutte le note e le fonti possono essere trovate all'indirizzo http://lateoriadelcomplotto.blogspot.com/p/la-teoria-del-complotto_8788.html