POSSIBILI MOVENTI DEL GOVERNO BUSH



 

11 SETTEMBRE: POSSIBILI MOVENTI DELL'AMMINISTRAZIONE BUSH
Di David Ray Griffin.

Postato Martedì, 10 gennaio 2006 da carlo su www.comedonchisciotte.org.

La Commissione sull'11 settembre ha compreso che nel suo mandato era indicato, come abbiamo visto, di fornire “il resoconto più completo possibile” dei “fatti e delle circostanze” che riguardano l'11 settembre. Tra questi fatti e queste circostanze vi sono quelli che, secondo alcuni critici della versione ufficiale sull'11 settembre, forniscono l'evidenza che l'amministrazione Bush ha intenzionalmente permesso gli attentati dell'11 settembre. Alcuni critici hanno persino suggerito che l'amministrazione Bush abbia attivamente fornito aiuto perché avessero successo. Alla luce del fatto che sono stati scritti diversi libri a sostegno di questa visione dei fatti, alcuni anche in inglese, lo staff della Commissione, dato “il preciso lavoro investigativo”, sicuramente li deve aver scoperti. O, se così non è, lo staff deve avere sicuramente saputo dell'articolo di prima pagina del Wall Street Journal su questo argomento. I lettori di tale articolo hanno saputo non solo che un sondaggio mostrava come il 20 % della popolazione tedesca pensasse che “lo stesso governo degli Stati Uniti ha ordinato gli attentati” ma anche che opinioni simili erano diffuse in varie nazioni europee.(1) 

Inoltre, dei sondaggi mostrano che percentuali significative di Americani e Canadesi credono che il governo Usa abbia deliberatamente lasciato avvenire gli attacchi, mentre alcuni pensano che l'amministrazione Bush li abbia effettivamente pianificati. Avremmo ritenuto, sapendo che queste informazioni sono reperibili e che queste opinioni sono diffuse, che la Commissione si sarebbe sentita chiamata a rispondere a tali sospetti.

Una risposta adeguata dovrebbe contenere come minimo i seguenti elementi:

  1. Il riconoscimento che esistono questi sospetti
  2. un sommario dei fatti e racconti principali citati come prova da chi promuove tali sospetti; e
  3. una spiegazione del perché tali fatti e testimonianze non costituiscano una prova della complicità dell'amministrazione Bush.

Infine, la persistenza e la diffusa documentazione di queste accuse, implica che una risposta adeguata avrebbe bisogno di considerare (anche solo per screditarle) le motivazioni che alcuni critici hanno asserito l’amministrazione Bush avrebbe potuto avere per facilitare gli attentati dell’ 11 settembre, proprio come la Commissione ha accuratamente guardato ai motivi che Osama Bin Laden e la sua organizzazione al-Qaeda potrebbero aver avuto per pianificare gli attentati. Naturalmente per molti Americani non sarebbe piacevole anche solo considerare la possibilità che il loro governo possa aver avuto motivo di facilitare tali attacchi. Ma un resoconto, se deve essere il più completo possibile, non può decidere a priori di restringersi alle idee che sono gradevoli.

In questo capitolo, dunque, guarderemo al Rapporto della Commissione sull’11 settembre da questa prospettiva, chiedendoci come ha risposto al fatto che alcuni critici della versione ufficiale asserivano che l’amministrazione Bush avesse avuto diversi motivi per lasciar avvenire gli attentati e persino per facilitarli.



Gli attentati dell’11 settembre come “Opportunità”


Un modo di avvicinarci a questo problema potrebbe essere quello di chiedersi se questi attacchi hanno portato all’amministrazione benefici che potevano essere ragionevolmente previsti.

Non c’è dubbio che gli attacchi abbiano portato vantaggi. Infatti, diversi membri dell’amministrazione Bush lo hanno detto pubblicamente. Il presidente stesso ha dichiarato che gli attentati presentano “ una grossa opportunità.”(2) Donald Rumsfeld ha affermato che l’11 settembre ha creato “il genere di opportunità di rimodellare il mondo che fu offerto dalla seconda guerra mondiale.” Condoleeza Rice aveva in mente lo stesso concetto dicendo ai membri anziani del National Security Council [Consiglio di Sicurezza Nazionale, ndt] di “pensare a come capitalizzare quest'opportunità fondamentalmente per cambiare... la faccia del mondo.”(3) Il National Security Strategy of the United States of America [Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America, ndt], pubblicato dall’amministrazione Bush nel settembre 2002, dice: “Gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno aperto nuove, vaste possibilità.”(4)

Naturalmente, il fatto che questi membri dell’amministrazione Bush abbiano descritto gli attentati come opportunità dopo che sono avvenuti non significa necessariamente che avrebbero potuto dire prima dei fatti che attacchi di questa natura avrebbero dato tali possibilità. Comunque, tutte queste affermazioni, tranne l’ultima, furono fatte poco dopo l’11 settembre. Se i benefici potevano sembrare tali così presto dopo gli attentati possiamo assumere che, qualora queste persone avessero pensato a tali attacchi prima del tempo, avrebbero potuto prevedere di creare tali opportunità.

Sembra perciò che la descrizione dell’amministrazione Bush degli attentati come fonte di opportunità, insieme al fatto che almeno alcune di esse potevano essere previste, era una parte importante degli “eventi riguardanti l’11 settembre” che “il resoconto più completo possibile” avrebbe dovuto includere. Queste descrizioni degli attentati come opportunità però non sono menzionate nel “The 9/11 Commission Report” [da qui in avanti, “Rapporto della Commissione sull’11 settembre”, ndt] (5)

In ogni caso, l’idea che membri dell’amministrazione avrebbero potuto prevedere vantaggi dai catastrofici attentati del tipo di quelli avvenuti l’11 settembre, non è una deduzione basata interamente sul fatto che questi attacchi furono visti come opportunità immediatamente dopo l’11 settembre. I critici fanno riferimento ad un documento precedente all’11 settembre che parla di vantaggi che sarebbero potuti derivare da attacchi catastrofici. Abbiamo bisogno di vedere come la Commissione risponde a questa parte di fatti e circostanze che riguardano l’11 settembre.



“Una Nuova Pearl Harbour” per far avanzare la Pax Americana


Nell'autunno del 2000, un anno prima dell’11 settembre, un documento intitolato “Rebuilding America's Defenses” [ricostruendo le difese dell'America, ndt] è stato pubblicato da un'organizzazione che si denomina il Project for the New American Century [Progetto per il Nuovo Secolo Americano, ndt] (PNAC). (6) Questa organizzazione fu costituita da individui che erano membri o almeno sostenitori delle amministrazioni Reagan e Bush I, alcuni dei quali sarebbero diventati figure centrali nell’amministrazione Bush II. Questo gruppo comprende Richard Armitage, John Bolton, Dick Cheney, Zalmay Khalilzad (strettamente legato a Paul Wolfowitz(7)), Lewis "Scooter" Libby, Richard Perle, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, e James Woolsey. Libby (ora capo dello staff di Cheney) e Wolfowitz (ora vice di Rumsfeld) sono elencati tra coloro che hanno partecipato direttamente al progetto “Rebuilding America's Defenses”. E’ interessante il fatto che John Lehman, membro della Commissione sull’11 settembre, è stato membro del PNAC o almeno si è pubblicamente allineato con esso. (8)

Il documento del PNAC, dopo essersi lamentato del fatto che la spesa militare non costituisce più come un tempo tanta parte del budget statunitense, ipotizza che sia necessario incrementare le spese per la difesa se “la pace americana deve essere mantenuta ed estesa” perché tale Pax Americana “deve avere fondamenta sicure in un indiscusso predominio militare Usa.” Il modo per acquisire e mantenere tale predominio militare è di servirsi dei vantaggi nella “rivoluzione nelle questioni militari” resa possibile dall’avanzamento tecnologico. Portare avanti questa trasformazione delle forze militari Usa sarebbe stato comunque un processo molto lungo e lento, in parte perché molto costoso. Comunque, suggerisce il documento, il processo sarebbe avvenuto più rapidamente se l’America avesse sofferto un “qualche evento catastrofico e catalizzatore” come una nuova Pearl Harbour. (9) Pensiamo che questa affermazione avrebbe dovuto catturare l’attenzione di alcuni membri della Commissione sull’11 settembre.

Per di più, dopo che si verificarono gli attentati dell’11 settembre, l’idea che costituissero una nuova Pearl Harbour fu espressa dal presidente e da alcuni suoi sostenitori. Proprio alla fine della giornata, si dice che il Presidente Bush abbia scritto sul suo diario. “La Pearl Harbour del 21° secolo è avvenuta oggi.” (10) Inoltre, quello stesso giorno, pochi minuti dopo il discorso alla nazione del presidente, Henry Kissinger pubblicò un articolo in rete in cui affermava: “Il governo dovrebbe farsi carico di una rappresaglia sistematica che, si spera, finisca nel modo in cui finì l’attacco a Pearl Harbour e cioè con la distruzione del sistema responsabile di esso.” (11)



Henry Kissinger

Qualcuno potrebbe pensare che l’esistenza di queste affermazioni sarebbe stata percepita dalla commissione sull’11 settembre come parte dei più importanti “fatti riguardanti l’11 settembre” che si sarebbero dovuti includere nel “resoconto più completo possibile.” Ma non c'è menzione di alcuna di queste affermazioni in nessuna delle 567 pagine del Rapporto Kean-Zelikow.

Queste pagine sono largamente riempite, in accordo con l’indiscutibile ipotesi della Commissione, con trattazioni su Osama bin Laden, al-Qaeda e più in generale sul terrorismo islamico e sulla risposta dell’America a questi fenomeni. Inoltre, dopo che la Commissione fu congedata, il suo staff pubblicò un altro rapporto di 155 pagine sul finanziamento di al-Qaeda. (12) Questi problemi furono ovviamente ritenuti essenziali per la comprensione dei “fatti e delle circostanze legate agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.”

Ma il fatto che membri centrali e sostenitori dell'amministrazione Bush-Cheney abbiano sottoscritto un documento indicante che “una nuova Pearl Harbour” sarebbe stata utile nel promuovere i loro scopi; che alcuni sostenitori dell’amministrazione e persino il presidente stesso abbiano paragonato gli attentati dell'11 settembre all’attacco di Pearl Harbour; e che diversi membri di questa amministrazione abbiano detto che l’11 settembre fornisce delle “opportunità”, questo complesso fatto non fu ritenuto meritevole di una sola frase nel “resoconto più completo possibile” della Commissione. In effetti il rapporto della Commissione non menziona nemmeno il Project for the New American Century.



Generare fondi per lo US Space Command


Una dimensione della “rivoluzione nelle questioni militari” discussa nel documento del PNAC è così importante da meritare un trattamento separato. Questa dimensione è la militarizzazione dello spazio, che è ora competenza di un nuovo ramo delle forze armate americane, lo US Space Command.

Lo scopo di questo ramo è di provvedere “un dominio ad ampio spettro.” L’idea è che le forze armate Usa, con l’aviazione, l’esercito e la marina dominino già su aria terra e mare, Lo US Space Command assicura ora il predominio nello spazio. “Visions for 2020” [“previsioni per il 2020”, ndt], un documento pubblicato dallo US Space Command, pone così la questione: “l'emergente sinergia di superiorità nello spazio, con la superiorità su terra aria e mare, porterà ad un dominio ad ampio spettro.” (13) La descrizione del governo delle spese per lo US Space Command come spese per la “difesa missilistica” fa sembrare la sua missione puramente difensiva, incrementando la “sicurezza della patria”, difendendo gli Stati Uniti da attacchi missilistici. Lo scopo della missione in “Visions for 2020” invece afferma: “Lo US Space Command domina la dimensione spaziale delle operazioni militari per proteggere gli interessi e gli investimenti degli Stati Uniti.” (14) Il suo scopo primario, in altre parole, non è proteggere il suolo americano, ma proteggere gli investimenti americani all’estero. Questa protezione sarebbe necessaria, afferma, perché “la globalizzazione dell’economia mondiale continuerà con l’allargare il divario tra ‘chi ha’ e ‘chi non ha’.” La missione dello US Space Command, è chiaro, è di proteggere gli americani ‘che hanno’ da coloro nel mondo che non hanno, dato che la globalizzazione guidata dall’America lascia coloro che non hanno con ancora meno.

Comunque la Commissione sull’11 settembre non menziona il programma e la missione dello US Space Command. Per capire appieno il significato di questa omissione, è necessario comprendere che il suo programma riguarda tre settori.

Il primo è quello della tecnologia di sorveglianza nello spazio, attraverso la quale i leader militari statunitensi possono identificare nemici delle forze americane in qualunque parte del pianeta. (15)

Il secondo riguarda il posizionamento nello spazio di armi, come cannoni laser, con i quali gli Stati Uniti possano distruggere i satelliti di altri paesi. “Visions for 2020” afferma con franchezza il desiderio di essere capaci di “negare ad altri l’uso dello spazio.” (16)

La terza parte del programma è solitamente chiamata lo “scudo difensivo missilistico”, ma il suo scopo, come per le altre due parti, è offensivo.

Come afferma “Rebuilding America's defenses” (in un passaggio di Rahul Mahajan intitolato “una notevole ammissione”):

Nell’era post- guerra fredda, l’America e i suoi alleati sono diventati i primi oggetti della deterrenza e sono stati come Iraq, Iran e Corea del Nord, che più desiderano sviluppare capacità di deterrenza. Progettare forze militari convenzionali sarà molto più complesso e limitato quando il territorio americano potrà essere oggetto di attacchi da stati canaglia, per altri versi deboli, capaci di ammucchiare insieme una minima forza missilistica balistica. Costruire un efficace sistema di difesa missilistica è un prerequisito al mantenimento del predominio americano. (17)



Rahul Mahajan

Lo scopo dello “scudo di difesa missilistica” in altre parole, non è scoraggiare altri paesi dal lanciare un primo attacco contro gli Stati Uniti. Il suo scopo è di prevenire la capacità di altri paesi di scoraggiare gli Usa dal lanciare un primo attacco contro di loro. (18)

Il maggiore impedimento alla realizzazione di questo programma operativo è che sarà estremamente costoso. Secondo un esperto, richiederà ai contribuenti americani almeno mille miliardi di dollari. (19) La difficoltà di addomesticare gli Americani e il Congresso era la ragione principale dell’affermazione nel documento del PNAC che il desiderio di trasformazione richiederà un tempo molto lungo in assenza di un qualche evento catastrofico catalizzatore come una nuova Pearl Harbour.” (20)

Nell’omettere menzione di questo progetto per raggiungere il dominio globale, la Commissione sull’11 settembre ha dimenticato un progetto così grande che alcuni di coloro che lo appoggiano, possiamo immaginare, potrebbero essere capaci di concepire un attacco che costasse la vita a migliaia di Americani, se un tale attacco sembrasse necessario ad ottenere adeguati fondi per il progetto.

Donald Rumsfeld, come abbiamo visto, era un membro del PNAC mentre questo documento veniva prodotto. Presiedeva anche la Commission to Assess US National Security Space Management and Organization [“Commissione per Stabilire l’ Organizzazione e Gestione della Sicurezza Spaziale Usa”, ndt] (21) Il compito di questa Commissione, comunemente chiamata la “Commissione Rumsfeld” era di fare proposte riguardanti lo US Space Command. Dopo avere fatto varie proposte che “incrementassero la asimmetria tra le forze statunitensi e quelle di altre potenze militari” il rapporto della Commissione Rumsfeld affermava che, poiché le sue proposte sarebbero costate molti soldi e avrebbero richiesto una significativa riorganizzazione, avrebbero probabilmente incontrato una forte resistenza. Ma tale rapporto, che fu pubblicato il 7 gennaio 2001 dice anche:

La questione è se gli Stati Uniti saranno abbastanza saggi da agire responsabilmente e abbastanza presto da ridurre la vulnerabilità spaziale statunitense. O se, come in passato, un attacco invalidante contro il paese e la sua gente, una “Pearl Harbour Spaziale” sarà il solo evento capace di galvanizzare la nazione e far agire il governo. (22)

Nel parlare di una Pearl Harbour spaziale il rapporto intendeva un attacco contro i suoi satelliti militari nello spazio. Gli attentati dell’ 11 settembre non erano ovviamente di questa natura. Ma è comunque interessante che, solo pochi mesi dopo che il PNAC aveva pubblicato le sue affermazioni su “una nuova Pearl Harbour”, anche la Commissione Rumsfeld facesse notare che un attacco tipo Pearl Harbour potesse essere necessario per “galvanizzare la nazione.”

Quando arrivò la nuova Pearl Harbour, Rumsfeld, nominato segretario alla difesa, era nella posizione di ottenere più denaro per lo US Space Command. Davanti alle telecamere, lo stesso 11 settembre, Rumsfeld disse al Senatore Carl Levin, allora presidente del Senate Armed Services Committee [Comitato del Senato per le Forze Armate, ndt]: "
Senatore Levin, lei e altri democratici nel Congresso avete espresso la paura che, semplicemente, non avete abbastanza denaro per i grandi incrementi difensivi che il Pentagono cerca, specialmente per la difesa missilistica... Un evento del genere la convince che esiste un'emergenza in questo paese tale da far aumentare la spesa difensiva, se necessario da immettere come Sicurezza Pubblica, per pagare le spese difensive?



Carl Levin

Prima, quello stesso giorno, il Pentagono, che sino ad allora era stato sotto la guida di Rumsfeld per quasi sette mesi, non era riuscito a prevenire gli attacchi aerei contro il World Trade Center e il Pentagono stesso. Ora, quella stessa sera, Rumsfeld stava usando la riuscita di quegli attentati per ottenere dal Congresso più denaro per il Pentagono e, in particolare, per lo US Space Command. Si potrebbe pensare che questa coincidenza piuttosto significativa avrebbe catturato l’ attenzione della Commissione sull' 11 settembre, perché suggerisce che il segretario alla difesa potrebbe non aver voluto prevenire questa “nuova Pearl Harbour”. Ma il rapporto della Commissione, centrato esclusivamente sui terroristi di al-Qaeda, non fa menzione di questa possibile motivazione.

L'11 settembre Rumsfeld non era, inoltre, la sola persona incaricata di questioni militari altamente impegnata nel promuovere lo US Space Command. Un altro è il Generale Ralph E. Eberhart, attualmente alla testa dello US Space Command, che è anche il comandante del NORAD. (24) Il Generale Richard Myers, ex comandante dello US Space Command, l’11 settembre era il presidente di turno del Joint Chiefs of Staff [Consiglio di Stato maggiore, ndt].

Una Commissione veramente”indipendente” e “imparziale” avrebbe sicuramente commentato la significativa coincidenza che tre degli uomini incaricati della risposta militare all’11 settembre erano apertamente dei sostenitori dello US Space Command, che le forze armate Usa sotto il loro controllo non sono riuscite a prevenire tali attentati, e che uno di questi uomini ha sfruttato il successo degli attacchi per ottenere miliardi di dollari per questo ramo delle forze armate.

Naturalmente una coincidenza non prova la complicità. A volte, quando eventi coincidono in maniera improbabile, una coincidenza è proprio il significato giusto di tale termine; semplicemente 'coincidenti'. Comunque è ben noto che dopo un crimine la prima domanda da porsi è “cui prodest?” “a chi giova?”. Una Commissione veramente indipendente avrebbe come minimo proceduto con l’assunzione che Rumsfeld, Myers ed Eberhart dovevano essere considerati dei possibili sospetti, che le cui azioni di quel giorno andavano rigorosamente investigate. Invece le testimonianze di questi tre uomini furono trattate come indiscutibili fonti di verità su quanto è veramente successo, nonostante, come vedremo poi, le contraddizioni nei loro racconti. (25)

Il piano per attaccare l’ Afghanistan

I critici hanno asserito che un'altra possibile motivazione da parte dell’amministrazione Bush era il suo desiderio di attaccare l’Afghanistan per sostituire i Talebani con un governo amico degli Stati Uniti allo scopo di promuovere gli obbiettivi economici e geopolitici americani.

La Commissione sull’11 settembre riconosce che la guerra statunitense in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre, meno di un mese dopo l’11 settembre, era una guerra volta a produrre un “cambio di regime”. Secondo la Commissione, però, gli Stati Uniti volevano un cambio di regime perché i Talebani, oltre ad essere incapaci di portare una pace che terminasse la guerra civile, perpetravano abusi dei diritti umani e fornivano un rifugio sicuro ad al-Qaeda. Limitando le motivazioni degli Stati Uniti a queste, comunque, la Commissione ignora prove abbondanti che le ragioni erano più complesse, più interessate e più ambiziose.

Al centro di queste motivazioni vi era il desiderio di permettere la costruzione di un oleodotto multimiliardario da parte di un consorzio chiamato CentGas (Central Asia Gas Pipeline) formato dal gigante Usa del petrolio "Unocal". Il tragitto previsto avrebbe portato olio e gas dalla regione interna del Caspio, con le sue enormi riserve, al mare attraverso Afghanistan e Pakistan.
Nel 2001 i Talebani erano percepiti come un ostacolo a questo progetto.


I Talebani erano inizialmente appoggiati dagli Stati Uniti assieme all’ISI pakistano. Il progetto dell’oleodotto era diventato l’argomento cruciale in quello che Ahmed Rashid nel 1997 chiamò “il nuovo grande gioco”(26) . Un argomento di questo gioco era chi avrebbe costruito l’oleodotto: il consorzio CentGas, dominato dalla Unocal, o l'argentina Bridas Corporation. L’altra questione era quali paesi avrebbe attraversato il tracciato. Gli Stati Uniti promuovevano la Unocal e appoggiavano il suo piano di costruire il tracciato attraverso Pakistan e Afghanistan, dal momento che questo percorso avrebbe evitato sia l’Iran che la Russia. (27) Il maggiore ostacolo a questo piano era la guerra civile che andava avanti in Afghanistan sin dal ritiro dell’Unione Sovietica nel 1989. Nei tardi anni '90 il governo Usa appoggiava i Talebani sulla base della speranza che fossero capaci di unificare il paese attraverso la loro forza militare e fornire un governo stabile.

La centralità di tale questione è mostrata dal titolo che Rashid ha dato a due dei suoi capitoli: “Romancing the Taliban, The Battle for the Pipelines” [“Corteggiando i Talebani: la battaglia per gli 'oleodotti”, ndt] (28) In particolare, riguardo gli Stati Uniti, Rashid dice che “la strategia sugli oleodotti è stata la forza trainante dietro l'interesse di Washington per i Talebani.”(29) Comunque, sebbene la Commissione Kean-Zelikow citi diverse volte i ben noti libri di Rashid, non fa riferimento alla sua discussione sulla centralità degli oleodotti nelle prospettive di Washington.

Dalla lettura del rapporto della Commissione, infatti, non si sospetterebbe mai che la “guerra degli oleodotti” (come venne chiamata) fosse una grande preoccupazione per gli Stati Uniti. Il progetto dell'oleodotto in generale e la Unocal in particolare sono menzionati in un solo paragrafo (insieme alla nota che lo accompagna). E qui la Commissione suggerisce che il Dipartimento di Stato Usa era interessato al progetto dell'oleodotto della Unocal solo in quanto “la prospettiva di condividere i profitti dell'oleodotto poteva attirare i leader delle fazioni ad un tavolo di discussione”. Gli Stati Uniti, in altre parole, guardavano al progetto dell'oleodotto solo come a un mezzo di pace. Questa poteva in effetti essere la visione di alcuni dei partecipanti americani. Ma la speranza dominante entro la Unocal e il governo Usa era che i Talebani portassero la pace sconfiggendo i loro oppositori, prima di tutti Ahmad Shah Masood, dopo di che il governo Usa e le Nazioni Unite avrebbero riconosciuto i Talebani come governo dell'Afghanistan, che quindi avrebbe consentito alla Unocal di ottenere i prestiti di cui aveva bisogno per finanziare il progetto. (30)



Ahmad Shah Masood

Al contrario il rapporto della Commissione suggerisce che né il governo Usa né la Unocal presero la parte dei Talebani nella guerra civile. La Commissione ci dice che Marty Miller, incaricata del progetto per la Unocal, “negò di lavorare esclusivamente con i Talebani e ci disse che la sua compagnia mirava a lavorare con tutte le fazioni afgane per giungere alla necessaria stabilità per procedere col progetto”. Come è spesso il caso, il “preciso lavoro investigativo” della Commissione consiste principalmente nell'intervistare le persone e registrarne le risposte. Se la Commissione avesse consultato “Ghost Wars” di Steve Coll, che la stessa Commissione cita altrove, avrebbe saputo che sebbene “Marty Miller insisteva pubblicamente che la Unocal era rimasta 'fanaticamente neutrale' riguardo alla politica afgana,” in realtà “Marty Miller e i suoi colleghi speravano che la presa di Kabul da parte dei Talebani accelerasse i loro negoziati per l' oleodotto.”(31) Coll si riferisce qui al settembre del 1996, quando i Talebani, ampiamente finanziati da Pakistan e Arabia Saudita, presero Kabul, la capitale, forzando Masood alla fuga. Appena ciò accadde, riporta Rashid, un dirigente della Unocal “disse alle agenzie stampa che il progetto dell'oleodotto sarebbe stato più facile da implementare ora che i Talebani avevano preso Kabul.”(32) Veniamo qui lasciati a domandarci se la ricerca della Commissione Kean-Zelikow fu semplicemente inadeguata o se lasciò deliberatamente da parte informazioni che non si adattavano alla sua versione.

C'è un problema simile con l' affermazione della Commissione sulla neutralità Usa. La Commissione dice categoricamente che “i diplomatici Usa non favorivano i Talebani rispetto alle fazioni rivali ma erano semplicemente decisi a dare loro una possibilità”. Le interviste sono ancora il solo supporto offerto. Se la Commissione avesse consultato su questo argomento il libro di Rashid, avrebbe letto che gli Stati Uniti “accettarono l'analisi dell' ISI... che una vittoria dei Talebani in Afghanistan avrebbe reso il lavoro della Unocal molto più facile.”(33) Rashid riporta anche che “entro poche ore dalla presa di Kabul da parte dei Talebani”, mentre gran parte del paese rimaneva ancora sotto il controllo delle altre fazioni, “ il Dipartimento di Stato Usa annunciava che avrebbe stabilito relazioni diplomatiche con i Talebani.”(34) La mancanza di neutralità Usa è similmente dimostrata da Steve Coll, che dice “il Dipartimento di Stato aveva fatto proprio il programma della Unocal”, che significa, naturalmente, l'appoggio ai Talebani.(35)

Rashid, riassumendo la situazione, afferma che “l' alleanza Usa-Unocal appoggiava i Talebani e voleva una loro vittoria totale, sebbene gli Usa e la Unocal affermassero di non averli favoriti in Afghanistan.”(36) Al contrario la Commissione Kean-Zelikow ci dà affermazioni di pubbliche relazioni di alcuni degli attori Usa e della Unocal, ripetute in recenti interviste, come storia autentica.

Perché è importante puntualizzare questa distorsione? Perché il ritratto fatto dalla Commissione sugli interessi Usa in Afghanistan suggerisce che gli Stati Uniti non avessero bassi interessi materiali o imperialistici nell'area, il genere di interessi che potrebbe portare un governo a escogitare un pretesto per entrare in guerra. La questione diventa più importante se arriviamo al punto della storia in cui gli Stati Uniti giungono a pensare ai Talebani come ad un ostacolo più che ad un veicolo del progetto di oleodotto Unocal-CentaGas.

Nel luglio 1998, i Talebani, dopo avere fallito nel 1997 la presa della città settentrionale di Mazar-i-Sharif, finalmente hanno successo, ottenendo il controllo di gran parte dell'Afghanistan, incluso l'intero tracciato dell'oleodotto. Dopo questa vittoria, immediatamente CentGas annuncia che era “pronta a procedere.”(37) Poco dopo, però, le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania vengono fatte esplodere portando gli Stati Uniti a lanciare un attacco con missili cruise contro i campi di Osama bin Laden in Afghanistan. Questi eventi e i relativi sviluppi portano la Unocal a ritirarsi da CentGas convinta che l' Afghanistan sotto i Talebani non avrebbe mai avuto la pace e la stabilità necessarie al progetto.(38) Rashid, finendo il suo libro a metà del 1999, scrisse che l'amministrazione Clinton aveva spostato il suo appoggio per l'oleodotto al percorso dall'Azerbaijan alla Turchia attraverso la Georgia, aggiungendo che “ad oggi nessuno vuole toccare l' Afghanistan e i Talebani.”(39) Comunque, quando l'amministrazione Bush andò al potere, decise di dare ai Talebani un' ultima chance. Quest'ultima possibilità si presentò in un incontro di 4 giorni a Berlino nel luglio 2001, che andrebbe menzionato in ogni resoconto realistico di come si arrivò alla guerra in Afghanistan. Secondo il rappresentante pakistano a questo incontro, Niaz Naik, i rappresentanti Usa, cercando di convincere i Talebani a dividere il potere con fazioni amiche degli Usa, dissero: “O accettate la nostra proposta di un tappeto d'oro o vi seppelliremo sotto un tappeto di bombe”(40) Naik disse che gli fu detto dagli americani che “le azioni militari contro l' Afghanistan sarebbero iniziate prima che la neve cominciasse a cadere sull'Afghanistan, al massimo per la metà di ottobre.”(41) L'attacco Usa all'Afghanistan iniziò di fatto il 7 ottobre, appena i militari poterono essere pronti dopo l'11 settembre.



Niaz Naik

La discussione della Commissione sull'11 settembre su ciò che emerse in luglio è molto più moderata. Alcuni membri dell'amministrazione Bush, ci viene detto, si stavano “muovendo verso l'accordo che un ultimo sforzo dovesse essere fatto per convincere i Talebani a cambiare posizione e dopo, se fosse fallito... gli Stati Uniti avrebbero provato un azione nascosta per rovesciare i Talebani dall'interno”. Non c'è menzione di Niaz Naik o dell'incontro di Berlino. La citazione della Commissione sul fatto che gli Stati Uniti volevano che i Talebani “cambiassero posizione”, non menziona che questo cambio non riguardava semplicemente un cambio rispetto ad Osama Bin Laden ma anche l'unirsi ad un “governo di unità” che permettesse al progetto Unocal di andare avanti. Né la Commissione cita l'affermazione di ufficiali Usa che, se i Talebani avessero rifiutato, gli Usa avrebbero usato la forza militare (non semplicemente un'azione segreta). Eppure tutte queste informazioni erano disponibili in libri e articoli di giornale che lo staff della Commissione dovrebbe essere in grado di individuare.

In ogni caso, vi era ulteriore prova, ignorata dalla Commissione, che la guerra Usa contro i Talebani era legata molto più al progetto dell'oleodotto che all'11 settembre. Per il solo fatto che l'inviato speciale del Presidente Bush in Afghanistan, Zalmay Khalizad (citato in precedenza come membro del PNAC) e il nuovo Primo Ministro Hamid Karzai, erano stati in precedenza nel libro paga della Unocal. Come scrive Chalmers Johnson: “La continua collaborazione di Khalizad e Karzai nell'Afghanistan del dopo 11 settembre suggerisce fortemente che l'amministrazione Bush era e rimane interessata in quella regione al petrolio quanto al terrorismo.”(43) Per di più più, già il 10 ottobre il Dipartimento di Stato Usa aveva informato il Ministro per il Petrolio del Pakistan che, “dati i recenti sviluppi geopolitici,” la Unocal era nuovamente pronta a proseguire il progetto dell'oleodotto.(44) Infine, come dice uno scrittore israeliano: “Se si guarda alla mappa delle grandi basi americane create, si rimane colpiti dal fatto che è completamente identica al tragitto del progettato oleodotto verso l'Oceano Indiano.”(45)

C'è perciò considerevole evidenza che, nelle parole di Chalmers Johnson, “ l'appoggio per [il doppio oleodotto per gas e petrolio dal Turkmenistan verso sud attraverso l' Afghanistan sino alla costa del Pakistan sul Mare Arabico] sembra essere stato un argomento importante nella decisione dell'amministrazione Bush di attaccare l' Afghanistan il 7 ottobre 2001”, osservazione che Johnson fa al di là di ogni accusa che l' amministrazione Bush abbia orchestrato gli attacchi dell' 1 settembre.(46) Ma la Commissione sull'11 settembre non cita neppure il fatto che molta gente condivida la visione di Johnson secondo cui la guerra Usa in Afghanistan era motivata da una preoccupazione maggiore di quelle menzionate dalla Commissione stessa.

Questa grave preoccupazione, inoltre, “non era solo di fare soldi”, suggerisce Johnson, “ma di stabilire una presenza americana nell'Asia centrale.” Prova di ciò è data dal fatto che gli Stati Uniti oltre a stabilire basi a lungo termine in Afghanistan, avevano raggiunto accordi, entro un mese dall' 11 settembre, per basi a lungo termine in Pakistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan.(47) Si può vedere che gli Stati Uniti stanno portando avanti il consiglio espresso da Zbigniew Brzezinski nel suo libro del 1997 The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives [La Grande Scacchiera: il Primato Americano e i suoi Imperativi Strategici, ndt], in cui ritrae l' Asia Centrale, con le sue vaste riserve petrolifere, come la chiave per il potere mondiale. Brzezinski, che era stato Consigliere per la Sicurezza Nazionale nell'amministrazione Carter, ipotizzava che l'America, per continuare il suo continuo “primato” debba assumere il controllo di questa regione. L'uso dell'11 settembre da parte dell'amministrazione Bush per stabilire basi in diversi paesi in questa regione costituisce un passo essenziale in quella direzione. Nel rapporto della Commissione sull'11 settembre non vi è traccia di questo sviluppo. Gli Stati Uniti volevano semplicemente fermare la guerra, far terminare gli abusi dei diritti umani da parte dei Talebani e prevenire che l' Afghanistan venisse usato come il paradiso dei terroristi. Nel mondo della Commissione Kean-Zelikow, gli Stati Uniti non hanno maggiori ambizioni.

L' aver omesso il libro di Brzezinski costituisce inoltre l'omissione di un precedente suggerimento del fatto che fosse utile una nuova Pearl Harbour. Brzezinski , avendo sostenuto che la “attualee finestra di opportunità storica per il costruttivo sfruttamento da parte dell'America del suo potere globale potrebbe dimostrarsi relativamente breve”(48), si lamenta del fatto che l'opinione pubblica americana potrebbe non volere usare il suo potere per scopi imperialistici. Secondo l'analisi di Brzezinski il problema è che :

L' America è troppo democratica a casa per essere autoritaria all’estero. Ciò limita l'uso del potere americano e specialmente la sua capacità di intimidazione militare... Il sacrificio economico (cioè le spese per la difesa) e umano (perdite, persino tra soldati professionisti) richiesti in questo sforzo non sono congeniali agli istinti democratici. La democrazia è nemica della mobilitazione imperiale.(49) Brzezinski suggerisce comunque che questa debolezza democratica possa essere superata. Avendo detto che “la ricerca del potere non è uno scopo che muove la passione popolare,” aggiunge poi: “eccetto che in condizioni di improvvisa minaccia o sfida al senso di sicurezza nazionale del pubblico.”(50)

Ciò che renderebbe l'opinione pubblica americana disposta a fare un sacrificio economico e umano necessario alla “mobilitazione imperiale”, suggerisce, sarebbe “una minaccia esterna diretta, veramente massiccia e ampiamente percepita”. Questo passaggio, verso la fine del libro, è parallelo ad un precedente passo nel quale Brzezinski dice che il pubblico era disposto ad appoggiare “largamente l'impegno dell'America nella Seconda Guerra Mondiale a causa dell'effetto shock dell' attacco giapponese su Pearl Harbour.”(51) Una nuova Pearl Harbour avrebbe di conseguenza permesso all'America di assicurarsi il suo continuo primato tramite l'assunzione del controllo dell'Asia Centrale.

Nel decidere quali eventi appartenessero alla categoria di “eventi riguardanti l'11 settembre”, intendendo eventi rilevanti nel capire perché e come gli attentati avvennero, la Commissione ha deciso di includere l'affermazione di Osama Bin Laden del 1999 che i Musulmani dovrebbero uccidere gli Americani (47). Ciò fu considerato ovviamente rilevante. Ma la Commissione sull'11 settembre non ha incluso il suggerimento di Brzezinski del 1997 che una nuova Pearl Harbour avrebbe pungolato gli Americani ad appoggiare l'aumentata spesa militare necessaria a supportare la mobilitazione imperiale, anche se la Commissione puntualizza che l'11 settembre ebbe esattamente il risultato predetto da Brzezinski, quando essa dice:

La nazione ha destinato enormi risorse alla sicurezza nazionale e a contrastare il terrorismo. Tra l'anno fiscale 2001, l'ultimo budget adottato prima dell'11 settembre, e il presente anno fiscale 2004, la spesa totale federale per la difesa (incluse le spese per Iraq e Afghanistan), la sicurezza nazionale e gli affari internazionali, è cresciuta di più del 50 %, da 345 miliardi di dollari a circa 547 miliardi. Gli Stati Uniti non hanno visto una così rapida crescita nella spesa per la sicurezza dai tempi della guerra di Korea. (361)

Ma i membri della Commissione hanno evidentemente pensato che fosse un passo troppo grande chiedersi quale motivazione potesse essere dedotta da questo effetto.

Vediamo ancora una volta che l' indiscussa assunzione della Commissione che gli attentati dell' 11 settembre furono pianificati ed eseguiti interamente da al-Qaeda sotto la guida di Osama bin Laden ha determinato in anticipo la sua selezione di quali eventi fossero “eventi riguardanti l'11 settembre”. In linea con quest'assunzione, la Commissione sull'11 settembre ci ha dato una raffigurazione estremamente semplicistica delle motivazioni Usa dietro l'attacco all'Afghanistan. La Commissione ha in particolare omesso tutti quei fatti che suggeriscono che l'11 settembre fu più il pretesto che il fondamento per la guerra in Afghanistan.


Il piano per attaccare l'Iraq


L'attacco dell'amministrazione Bush contro l'Iraq nel 2003 è probabilmente l'argomento su cui la Commissione sull'11 settembre è stata considerata più critica, affermando che non ha trovato prova di “relazione e collaborazione operativa tra Osama bin Laden e l'Iraq di Saddam Hussein” e nessuna prova in particolare, “che l'Iraq collaborasse con al-Qaeda nello sviluppare o portare avanti un qualche attacco contro gli Stati Uniti”(66). 

Questa affermazione, rilasciata in un rapporto dello staff circa un mese prima della pubblicazione del rapporto finale, ha creato molte discussioni sulla stampa. La quantità e l'intensità di queste discussioni furono aumentate dal fatto che il presidente, e specialmente il vice-presidente reagirono duramente, quest' ultimo definendo “oltraggioso” un articolo di prima pagina del New York Times intitolato “Panel finds no Qaeda-Iraq tie” [“La giuria non trova alcun legame tra al-Qaeda e Iraq”, ndt](52) I commenti che ne risultarono vanno dalla colonna di William Safire, in cui egli attacca violentemente il presidente e il vice-presidente della Commissione per essersi fatti “intontire da uno staff di manipolatori,” all'articolo del New York Times intitolato “Poltical uproar:9/11 panel members debate Qaeda-Iraq tie” [“bufera politica: i membri della giuria sull' 11 settembre discutono dei legami tra al-Qaeda e l'Iraq” n.d.t], ad un articolo di Joe Conason intitolato “9/11 Panel Becomes Cheney's Nightmare”(53)[“La giuria sull' 11 settembre diventa l'incubo di Cheney”, ndt]

Questi commenti davano l'impressione che la Commissione sull'11 settembre, forse lo staff in particolare, fosse veramente indipendente, dicendo la verità non curandosi di quanto fosse imbarazzante per la Casa Bianca. Questa naturalmente era pura apparenza. Non di meno, dato che Bush e Cheney continuavano ad insistere sull'esistenza di legami tra l'Iraq e al-Qaeda, la Commissione ha effettivamente, in questo caso, riportato qualcosa di contrario alla posizione pubblica della Casa Bianca.

La Commissione stava per di più rendendo noto quanto alcuni membri dell'Amministrazione Bush spingessero per attaccare l'Iraq immediatamente dopo l'11 settembre. Fece notare che il Segretario alla Difesa Rumsfeld chiese al Generale Myers di trovare tutto ciò che poteva sulla possibile responsabilità di Saddam Hussein nell' 11 settembre. Citò pure un rapporto secondo cui, al primo incontro a Camp David dopo l'11 settembre, Rumsfeld iniziò chiedendo cosa si dovesse fare riguardo all' Iraq (334-35).

La Commissione ritrasse persino il vice di Rumsfeld, Wolfowitz, come sostenitore del fatto che Saddam dovesse essere attaccato anche se ci fosse una possibilità solo dell' 1% che egli fosse dietro agli attentati dell' 11 settembre (335-36).(54)

Infine, la Commissione ha riportato l'affermazione di Richard Clarke che il presidente, il giorno dopo gli attentati dell' 11 settembre, gli disse di vedere se Saddam fosse in qualche modo legato agli attacchi (334). La Commissione era perciò abbastanza onesta riguardo al fatto che alcuni leader della amministrazione Bush erano pronti sin dall'inizio ad attaccare l'Iraq a causa delle sue possibili connessioni con l' 11 settembre o come minimo connessioni con al-Qaeda, delle quali la Commissione afferma di non avere potuto trovare una sola prova credibile.

La Commissione ha comunque omesso fatti riguardanti la decisione di attaccare l' Iraq, che sarebbero dovuti essere inclusi nel “resoconto più completo possibile”. Questi fatti sono importanti perché la loro omissione significa che i lettori del Rapporto della Commissione sull'11 settembre sono protetti dall'evidenza di come fosse profondo e di vecchia data il desiderio di attaccare l'Iraq tra alcuni dei membri dell' amministrazione Bush.

Alcuni dei fatti omessi appoggiano l'affermazione che il piano di attaccare l'Iraq era, nelle parole di Chalmer Johnson, “allo studio da almeno una decina di anni.”(55) Nello spingersi così lontano, Johnson si riferisce al fatto che, dopo la Guerra del Golfo nel 1991, diversi individui all'interno della Casa Bianca e del Pentagono credevano che gli Stati Uniti sarebbero dovuti andare a Baghdad e rovesciare Saddam Hussein, come avevano indicato “in rapporti scritti per il Segretario alla Difesa Cheney.”(56) Nel 1996, un documento intitolato “A clean break” [“un'autentica spaccatura”, ndt.] fu prodotto da un gruppo di studio guidato da Richard Perle (che l'anno seguente sarebbe diventato un socio fondatore dello PNAC). Raccomandando che Israele adottasse una politica di “prevenzione”, Perle e i suoi colleghi suggerivano che Israele incominciasse a “far arretrare la Siria”, uno sforzo che sarebbe dovuto essere “focalizzato al rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq.” Chiedendo che Israele invadesse il Libano e poi la Siria, questo documento include testi da Usare in discorsi per giustificare tali azioni in modo da conquistare appoggio in America. Oltre a “portare l'attenzione sulle armi di distruzione di massa della Siria,” Israele avrebbe dovuto dire:

Negoziati con un regime repressivo come quello siriano richiedono un cauto realismo... è pericoloso per Israele discutere con un regime che uccide la sua stessa gente, apertamente aggressivo verso i vicini... e che appoggia le più pericolose organizzazioni terroristiche. (57) Come James Bamford fa notare in “A pretext for war” [“un pretesto per la guerra”, ndt] queste giustificazioni erano molto simili a quelle che sarebbero state usate anni dopo per giustificare l' Attacco dell' America all' Iraq.(58)

L’argomento per questo attacco americano all’Iraq divenne più visibile l’anno seguente, dopo che fu formato il PNAC. Nel dicembre 1997, Paul Wolfowitz e Zalmay Khalizad pubblicarono un articolo sul Weekly Standard, il cui editore è il presidente del PNAC William Kristol, intitolato “Saddam must go” [“Saddam se ne deve andare”, ndt] (59). Un mese dopo questi tre e altri 15 membri del PNAC, inclusi Donald Rumsfeld, John Bolton e Richard Perle, mandarono una lettera al Presidente Clinton spingendolo a Usare la forza militare per “rimuovere Saddam Hussein e il suo regime dal potere” e così “proteggere i nostri vitali interessi nel Golfo.” Nel maggio 1997, mandarono una lettera a Newt Gingrich e Trent Lott, rispettivamente Presidente del Congresso e il leader della maggioranza al Senato. Lamentandosi che Clinton non li avesse ascoltati, i firmatari di queste lettere dissero che gli Stati Uniti “dovrebbero stabilire e mantenere una forte presenza militare nella regione ed essere preparati ad usare la forza per proteggere i nostri vitali interessi nel Golfo e, se necessario, aiutare a rimuovere Saddam dal potere.” (60) Infine, Rebuilding America's Defenses, pubblicato dal PNAC nel settembre 2000, sottolinea che l’Iraq sotto Saddam Hussein era una minaccia agli interessi americani nella regione. (61)

Quando l’amministrazione Bush si insediò nel 2001, fa notare Chalmers Johnson, “dieci dei 18 firmatari delle lettere a Clinton e ai leader Repubblicani del Congresso, diventarono membri dell’ amministrazione.” (62) Non fu perciò una semplice coincidenza che, come sia Paul O’Neill che Richard Clark hanno sottolineato, che l’ amministrazione Bush era già intenzionata a rimuovere Saddam Hussein quando si insediò. (63) E non è nemmeno sorprendente sapere che, subito dopo gli attentati dell’ 11 settembre, alcuni membri dell’ amministrazione Bush volevano usare quegli attacchi come base per la loro tanto desiderata invasione per portare ad un cambio di regime in Iraq.

Ma la Commissione Kean-Zelikow, avendo trascurato questi precedenti, non fornisce alcun contesto ai lettori per capire come e quanto fortemente alcuni membri dell’ amministrazione Bush volevano attaccare l’Iraq. Infatti, la Commissione non riesce a rendere chiaro quanto alcuni di loro fossero pronti a scendere in guerra contro l’ Iraq anche se non c’erano prove della complicità negli attentati. Un'omissione cruciale a questo riguardo è il non avere citato delle conversazioni di Rumsfeld sull’11 settembre annotate da un suo collaboratore. Questi appunti, che furono rivelati più tardi dalla CBS News, indicano che Rumsfeld voleva “velocemente le migliori informazioni. Giudicare se sono sufficienti a colpire contemporaneamente S.I [Saddam Hussein]. Non solo U.B.L. [Usama Bin Laden]. Andarci pesanti. Spazzare via tutto. Cose collegate e non.” (64) James Bamford, dopo avere citato queste note, dice: “Dagli appunti era chiaro che gli attentati sarebbero stati usati come pretesto per fare guerra contro Saddam Hussein.” (65)

La Commissione, al contrario, ci dice semplicemente che appunti di quel giorno indicano che “il Segretario Rumsfeld diede istruzioni a Myers di ottenere velocemente quante più informazioni possibili” e di considerare “un ampio spettro di opzioni e possibilità”. La Commissione poi aggiunge:

Il Segretario disse che il suo istinto era di colpire allo stesso tempo non solo Bin Laden ma anche Saddam Hussein. Il Segretario Rumsfeld ha successivamente spiegato che allora considerava l’uno o l’altro o forse entrambi come responsabili. (335)

Solo dal resoconto della Commissione, assumeremmo che Rumsfeld stava pensando di colpire Saddam Hussein se e solo se ci fossero buone prove che egli era “la parte responsabile.” Però, come mostrano gli appunti citati da CBS e Bamford, Rumsfeld voleva usare l’11 settembre come base per una risposta “pesante” che riguardasse molte minacce agli interessi americani (“Sweep it up” [“Spazzare via tutto”] ), specialmente Saddam Hussein, che fosse responsabile o no (“Things related or not” [“Cose collegate e non”]). La Commissione Kean-Zelikow, con le sue omissioni e distorsioni, ci nasconde questi fatti.

Inoltre, proprio come la Commissione non riesce a puntualizzare la centralità del petrolio e delle basi militari negli interessi dell'amministrazione Bush in Afghanistan, fa lo stesso a riguardo dell’ Iraq, sebbene questo paese abbia le seconde riserve di petrolio note al mondo. La Commissione dice che ad una riunione del National Security Council del 17 settembre, “il Presidente Bush ordinò al Dipartimento della Difesa di essere pronti ad avere a che fare con l’Iraq, Baghdad agiva contro gli interessi Usa, con piani che includessero la possibilità di occupare i giacimenti petroliferi iracheni”(335). Ma questo è il solo suggerimento nel Rapporto Kean-Zelikow che l’ amministrazione Bush potrebbe avere avuto interesse ad assumere il controllo del petrolio iracheno.

In più, anche questa affermazione, è doppiamente modificata. Lontana dal suggerire che Rumsfeld, Wolfowitz e altri membri dell’ amministrazione Bush mordevano il freno per l'attacco all’ Iraq, come rivelano le lettere del PNAC, la Commissione suggerisce che l’amministrazione Bush avrebbe pensato di agire contro Saddam Hussein solo se egli “avesse agito contro gli interessi Usa.” E' lontana dal suggerire che un motivo centrale sarebbe stato assumere il controllo del petrolio iracheno, la Commissione indica che i piani per l’attacco avrebbero solo “potuto” includere l’occupazione dei giacimenti di petrolio iracheni.

Da altre fonti però ne ricaviamo uno scenario differente. Mesi dopo l’11 settembre, ci riporta Paul O’Neill, la Defense Intelligence Agency, che lavora per Rumsfeld, aveva iniziato a fare mappe dei campi petroliferi dell’ Iraq. E fornì anche un documento, intitolato “Foreign suitors for Iraqi Oilfield Contracts,” [“Pretendenti stranieri ai contratti relativi ai giacimenti iracheni”, ndt], che proponeva come potessero essere divise le ingenti riserve dell’Iraq. (66) La centralità del petrolio fu anche sottolineata da Stephen Gowans, che scrisse:

L’argomento di punta nell’agenda del Pentagono, una volta dato ordine ai jackboot [stivali militari, ndt], di iniziare a marciare su Baghdad, era di assicurarsi i campi petroliferi nell’Iraq meridionale. E quando il caos emerse a Baghdad, le forze Usa lasciarono che bande di saccheggiatori e incendiari facessero tumulti nel “Ministero per la Pianificazione, Ministero per l’Educazione, Ministero per l’Irrigazione, Ministero del Commercio, Ministero dell’Industria, Ministero degli Affari Esteri, Ministero per la Cultura e nel Ministero per l’Informazione.”... Ma al Ministero per il Petrolio, dove vi erano archivi e registri riguardanti tutta la ricchezza petrolifera su cui Washington aveva una gran voglia di mettere le mani, era tutto calmo perché a circondarlo vi era una falange di carri armati e mezzi blindati. (67)

Questi resoconti rivelano il quadro distorto fornito dai membri della Commissione sull’11 settembre, la cui unica menzione sul petrolio iracheno indica che le truppe Usa, se avessero attaccato l’Iraq, avrebbero potuto o non potuto occupare i giacimenti.

Un racconto più realistico è dato anche da Chalmers Johnson, che sottolinea a riguardo delle regioni ricche di petrolio, che gli interessi Usa per le basi e per il petrolio vanno mano nella mano.

Il rinnovato interesse per l’Asia Centrale, Meridionale e Sudoccidentale, includeva l’apertura di legami militari con le repubbliche indipendenti dell’Asia Centrale, Kyrgyzstan e Uzbekistan, e l’appoggio al governo Talebano in Afghanistan come una via per ottenere oleodotti e gasdotti proprio per un consorzio a guida americana. Ma il gioiello della corona di questa grande strategia era un piano per rimpiazzare il regime Ba’ath in Iraq con un regime fantoccio pro-americano e costruirvi basi militari permanenti. (68)



Chalmers Johnson

L’enfasi di Johnson sulla costruzione di più basi militari è supportata dallo stesso PNAC, che nel suo documento del 2000 dice:

Per decenni gli Stati Uniti hanno mirato a giocare un ruolo permanente nella sicurezza regionale del Golfo. Mentre l’irrisolto conflitto con l’Iraq fornisce una giustificazione immediata, il bisogno per una sostanziale presenza americana nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein. (69)

Se andiamo oltre il resoconto della Commissione sull’11 settembre, semplicistico e fuori contesto, sulle ragioni dell’amministrazione Bush nell’attaccare l’Iraq, possiamo vedere che la posta in gioco era immensa, riguardando non solo migliaia di miliardi di dollari ma anche il controllo geopolitico globale. (Per esempio, anche se gli Stati Uniti non avranno bisogno del petrolio iracheno nel prossimo futuro, l‘Asia Orientale e l’Europa ne avranno bisogno, così che gli Usa, controllandone le riserve, saranno capaci di esercitare una forte influenza sulla loro vita politico-economica.) Quindi, possiamo vedere che il desiderio di attaccare e occupare l’Iraq, espresso dalle stesse persone che suggerivano che una “nuova Pearl Harbour” potesse essere utile, avrebbe potuto fornire un motivo per facilitare gli attacchi dell’ 11 settembre.

Il Rapporto della Commissione sull’11 settembre, invece, omette tutte le parti della storia che potrebbero portare a pensare ciò. Non ne ricaviamo idea che l’Iraq potesse essere “il gioiello nella corona” del piano di dominio Usa. Nel mondo del Rapporto Kean-Zelikow, infatti, l’ America non ha un piano di dominio imperialistico. E’ semplicemente una nazione altruista che lotta per difendersi da nemici che odiano le sue libertà.

 

Sommario

Come ho puntualizzato nell'Introduzione, Il Rapporto della Commissione sull’11 settembre appoggia la teoria ufficiale del complotto secondo cui gli attentati dell’11 settembre furono compiuti solamente da al-Qaeda, sotto la direzione di Osama bin Laden. Sto guardando a questo rapporto dalla prospettiva della teoria alternativa del complotto secondo cui cariche del governo Usa furono coinvolte. Sebbene la Commissione non citi questa ipotesi alternativa, stava cercando chiaramente di minarne la plausibilità. Un modo per fare ciò potrebbe essere mostrare che, contrariamente a chi appoggia questa ipotesi, l’amministrazione Bush non aveva alcun piano o interesse che potesse fornire un motivo sufficiente per progettare o come minimo per consentire tali attacchi delittuosi contro propri cittadini. La Commissione non fa ciò direttamente, trattando direttamente le motivazioni asserite da coloro che appoggiano l’ ipotesi alternativa. Ma fa ciò indirettamente, ritraendo l’ amministrazione Bush, e più generalmente il governo Usa, come privo delle motivazioni in questione.

La Commissione Kean-Zelikow invece ha potuto fornire questo ritratto solo tramite numerose omissioni e distorsioni. Oltre ad omettere la citazione dell’ amministrazione Bush degli attacchi dell’ 11 settembre come “opportunità”, ha omesso ogni discussione sullo US Space Command, con la sua missione di rendere più solido il predominio globale, e del documento del PNAC, con il suo suggerimento che una nuova Pearl Harbour sarebbe stata utile. Ha omesso i fatti storici che mostrano come l’ amministrazione Bush avesse piani per attaccare sia l’ Afghanistan che l’ Iraq prima dell’ 11 settembre, così che gli attentati servirono da pretesto più che da causa. E la Commissione ha distorto le motivazioni Usa in tali attacchi ritraendo i leader Usa come interessati solo all'autodifesa, ai diritti umani e alla pace e non al petrolio, alle basi militari e alla supremazia geopolitica.

 

Note:

1) Bob Woodward, Bush at War (New York: Simon & Schuster, 2002), 32.
2) "Secretary Rumsfeld Interview with the New York Times," New York Times, 12 ottobre 2001. Per l’ affermazione della Rice vedi Chalmers Johnson, "The Sorrows of Empire: Militarism, Secrecy, and the End of the Republic (New York: Henry Hold, 2004), 229.
3) The National Security Strategy of the United States of America, settembre 2002 (disponibile su www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
4) L’ unica affermazione da me trovata che vi si avvicina è quella della Commissione per cui “il Presidente notò che gli attacchi fornivano una grossa opportunità per coinvolgere Russia e Cina”(330).
5) The Project for the New American Century (da ora in poi PNAC) Rebuilding America's Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New Century, settembre 2000 (www.newamericancentury.org).
6) Johnson, The Sorrows of Empire, 178.
7) Lehman, che fu segretario della marina durante due amministrazioni Reagan firmò la lettera dello PNAC "Letter to President Bush on the War on Terrorism, " 20 settembre 2001 (www.newamericancenturty.org/Bushletter.htm).
8) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 51.
9) Washington Post, 27 gennaio 2002.
10) Henry Kissinger, "Destroy the Network," Washington Post, 11 settembre 2001.
11) Greg Miller, "Al Qaeda Finances Down, Panel Says," Los Angeles Times, 22 agosto 2004
12) Questo documento, che scaricai nel 2003, dava www.spacecom.af.mil/usspace come sito web dello US Space Command. Ma nell’agosto 2004, vidi che non potevo più accedervi.
13) Una prima versione di questo document intitolata "Joint Vision 2010," è discussa in Jack Hitt, "The Next Battlefield May Be in Outer Space," New York Times Magazine, 5 agosto 2001, e in Karl Grossman, Weapons in Space (New York: Seven Stories, 2001).
14) Gli sviluppi che erano già stati raggiunti nel 1998 sono descritti da George Friedman e Meredith Friedman, in The Future of War: Power, Technology and American World Dominance in the 21st Century (New York: St. Martin's, 1998)
15) Per un breve sommario di questo progetto si veda Grossman, Weapons in Space.
16) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 54, citato e discusso in Rahul Mahajan, Full Spectrum Dominance: U.S. Power in Iraq and Beyond (New York: Seven Stories Press, 2003), 53-54. L’ idea è che se qualche paese che gli Stati Uniti desiderano attaccare dispone di un numero modesto di missili nucleari, potremmo eliminarne molti con un primo attacco. Se il paese allora lanciasse i pochi missili superstiti, probabilmente non passerebbero attraverso il nostro scudo difensivo antimissile. Sebbene questo scudo probabilmente non proteggerebbe l’ America da un primo attacco in cui venissero lanciati molti missili, la teoria è che esso sarebbe capace di abbattere tutti i missili di un attacco su piccola scala. Il paese straniero avrebbe buona ragione di credere che gli Usa potrebbero andare avanti e attaccarlo nonostante il possesso di armi nucleari. Capirebbe allora che il suo sforzo di dissuadere gli Stati Uniti con minacce di rappresaglia sarebbe inutile. Come risultato gli Usa potrebbero prendere il paese senza bisogna di attaccare i suoi missili nucleari.
17) Paul O'Neill, il primo Segretario del Tesoro nell’amministrazione Bush-Cheney riferisce che un memorandum scritto dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC, afferma che minacce alla sicurezza Usa vengono create dal fatto che poteri regionali ostili agli Stati Uniti si stavano “armando per dissuaderci”. Vedi Ron Suskind, The Price of Loyalty: George W. Bush, the White House, and the Education of Paul O'Neill (New York: Simon & Schuster, 2004), 81.
18) Questa statistica è riportata nel Global Network Space Newsletter #14 (Fall, 2003), pubblicata sul sito web del Global Network Against Weapons and Nuclear Power in Space (www.space4peace.org).
19) Ogni possibile dubbio sul significato della affermazione fu, a quanto si dice, fugato da Christopher Maletz, assistente direttore del PNAC. Christopher Bollyn dice che quando chiese a Maletz cosa significasse la necessità di “una nuova Pearl Harbour”, egli rispose: “Hanno bisogno di più soldi per aumentare il budget della difesa per nuove armi e future capacità" e né i politici ne i militari l’avrebbero approvato “senza qualche disastro o evento catastrofico”. Christopher Bollyn, "America 'Pearl Harbored,'" American Free Press, aggiornato il 12 aprile 2004 (http://www.americanfreepress.net/12_24_02/American_Pearl_Harbored/america_pearl_harbored.html).
20) Report of the Commission to Assess U.S. National Security Space Management and Organization (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi).
21) Ibid., citato in Thierry Meyssan 9/11: The Big Lie (London: Carnot, 2002), 151-52.
22) Department of Defense News Briefing on Pentagon Attack (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi), citato in Meyssan, 9/11: The Big Lie, 152.
23) Questo punto è sottolineato da Meyssan, 9/11: The Big Lie, 154.
24) Un esame del rapporto della Commissione mostra che Rumsfeld è citato in 53 paragrafi, Myers in 18 e Eberhart in 8. Molti di questi citano interviste con essi come fonte d informazione. Nessuno riflette alcuna questione la quale implichi che qualche aspetto del loro comportamento quel giorno potrebbe essere stato meno che esemplare o che alcuna delle loro affermazioni potesse non essere completamente veritiera.
25) Vedi Ahmed Rashid, Taliban: Militant Islam, Oil and Fundamentalism in Central Asia (New Haven: Yale University Press, 2001),145. Rashid Usa per la prima volta questo nome in “The New Great Game: The Battle for Central Asia’s Oil,” Far Eastern Economic Review, April 10, 1997. Lo Usa anche per la terza parte di The Taliban. Chalmers Johnson si riferisce a Rashid come “alla più eminente autorità sulle politiche dell’ Asia Centrale” (The Sorrows of Empire, 179).
26) Si veda Steve Coll, Ghost Wars, 305.
27) Rashid, Taliban, Chs. 12 and 13.
28) Ibid., 163.
29) Coll, Ghost Wars, 308; Rashid, Taliban, 167, 171; Johnson, The Sorrows of Empire, 177.
30) Coll, Ghost Wars, 338.
31) Rashid, 166.
32) Rashid, Taliban, 168.
33) Ibid., 166. Sebbene, come riporta Rashid , il Dipartimento di Stato ritrattò rapidamente questo annuncio, la rivelazione delle sue vere simpatie era stata fatta.
34) Coll, Ghost Wars, 330.
35) Rashid, Taliban, 166.
36) Telegraph, August 13, 1998, citato in NPH 90.
37) Rashid, Taliban, 75-79, 175.
38) Ibid., 175.
39) Citato in Jean-Charles Brisard and Guillaume Dasquie, Forbidden Truth: U.S. Secret Oil Diplomacy and the Failed Hunt for Bin Laden (New York: Nation Books/Thunder’s Mouth Press, 2002), e NPH 91.
40) George Arney, “U.S. ‘Planned Attack on Taleban’,” BBC News, 18 settembre 2001 (“Taleban” è una pronuncia preferita dagli scrittori britannici).
41) La base per questo attacco fu data dallo stesso 11 settembre. Nel discorso alla nazione del Presidente, quella stessa sera, egli disse:“ Non faremo distinzioni tra i terroristi che hanno commesso questi fatti e coloro che li ospitano.” Poi in un incontro del National Security Council, che seguì subito dopo, il direttore della CIA Tenet si racconta disse che al-Qaeda e i Talebani sono essenzialmente una cosa sola, dopo di che Bush stabilì di dire ai Talebani che l’avrebbero fatta finita con loro (Washington Post, 27 gennaio 2002).
42) Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire, 178-79.
43) The Frontier Post, 10 ottobre 2001, citato in Ahmed, The War on Freedom, 227.
44) Chicago Tribune, March 18, 2002, citando il quotidiano israeliano Ma’ariv.
45) Johnson, The Sorrows of Empire, 176.
46) Ibid., 182-83.
47) Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives (New York: Basic Books, 1997), 210.
48) Ibid., 35-36.
49) Ibid., 36.
50) Ibid., 212, 24-25.
51) Riportato in David E. Sanger and Robin Toner, Bush Cheney Talk of Iraq and al-Qaida Link,” New York Times, 18 giugno 2004.
52) William Safire, New York Times, 21 giugno 2004; SUsan Jo Keller, “Political Uproar: 9/11 Panel Members Debate Qaeda-Iraq ‘Tie,’” New York Times, 21 giugno 2004 (http://www.nytimes.com/2004/06/21/politics/21PANE.html); Joe Conason, “9/11 Panel Becomes Cheney’s Nightmare” (disponibile su www.911citizenswatch.org/modules.php?op=modload&nam=News&file=article&sid=319).
53) La Commissione aggiunse che Wolfowitz disse che le possibilità del coinvolgimento di Saddam erano alte in parte perché sospettava che Saddam fosse dietro l’ attacco del 1993 al World Trade Center – una teoria per la quale la Commissione dice di non avere trovato prove credibili. (336, 559n73).
54) Johnson, The Sorrows of Empire, 227.
55) Sebbene Johnson non lo nomina egli ha probabilmente in mente il documento del 1992 del Pentagono "Defense Planning Guidance" (DPG), firmato prima di tutti da Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla difesa e da Lewis "Scooter" Libby.
56) The Institute for Advanced Strategic and Political Studies, "A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm," 8 luglio 1996 (http://www.israeleconomy.org/stratl.hrm).
57) James Bamford, A Pretext for War (New York: Doubleday, 2004), 263.
58) Paul D. Wolfowitz and Zalmay M. Khalilzad, "Saddam Must Go," Weekly Standard (dicembre 1997).
59) PNAC, "Letter to President Clinton on Iraq," 26 gennaio 1998 (www.newamericancentury.org); PNAC, "Letter to Gingrich and Lott," May 29, 1998
(www.newamericancentury.org).
60) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 14, 17.
61) Johnson, The Sorrows of Empire, 228-29.
62) Si veda Ron Susskind, The Price of Loyalty, 75, 91. In una intervista al programma della CBS "60 Minutes" del gennaio 2004, O'Neill, che come Segretario al Tesoro era membro del National Security Council, disse che il maggiore argomento a pochi giorni dall'inaugurazione era seguire Saddam, con una domanda che non era “Perché Saddam?” o “Perché ora?” ma semplicemente “trovare un modo per farlo”. (www.cbsnews.comlstories/2004/0 1/09/60minutesl main592330.shtml). “Ha ragione”, dice Richard Clarke a riguardo della affermazione di O'Neill. “L’amministrazione del secondo George Bush iniziò con l’ Iraq sulla sua agenda”. Richard A Clarke, Against All Enemies: Inside America's war on Terror (New York: Free Press, 2004), 264.
63) Questi appunti sono citati in "Plans for Iraq Attack Began on 9/11," CBS News, 4 settembre 2002.
64) Bamford, A Pretext for War, 285.
65) Susskind, The Price of Loyalty, 96.
66) Stephen Gowans, "Regime Change in Iraq: A New Government by and for US Capital," ZNet, 20 aprile 2003; la citazione interna è da Robert Fisk, Independent, 14 aprile 2003
67) Johnson, The Sorrows of Empire, 226.
68) PNAC, Rebuilding America's Defenses, 14

 

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Data: 2 dicembre 2005.
Fonte: www.911truth.org
Traduzione dall'inglese a cura di ALCE NERO per www.comedonchisciotte.org

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

.

.

11 Settembre - Cui Prodest?
Tratto da lateoriadelcomplotto.blogspot.com


Nell'autunno del 2000, un anno prima dell'11 Settembre, un documento intitolato ''Rebuilding America's Defenses'' (ricostruendo le difese dell'America) e' stato pubblicato da un'organizzazione che si denomina il ''Project for the New American Century'' (Progetto per il Nuovo Secolo Americano), conosciuto con l'acronimo di PNAC [3]. Questo istituto neo conservatore collegato alla Difesa ed ai servizi segreti, al partito repubblicano ed al potente ''Council on Foreign Relations'' [20], e' costituito da membri o sostenitori delle amministrazioni Reagan e Bush padre, alcuni dei quali sarebbero diventati figure centrali nell'amministrazione di Bush figlio. Questo gruppo comprende Jeb Bush (fratello del Presidente degli Stati Uniti d'America George Walker Bush), Richard Armitage, John Bolton, Dick Cheney (vicepresidente degli Stati Uniti), Paul Wolfowitz (vicesegretario alla difesa), Zalmay Khalilzad (strettamente legato a Paul Wolfowitz [4]), Lewis "Scooter" Libby (capo dello staff di Cheney), Richard Perle, Donald Rumsfeld (segretario alla difesa) e James Woolsey. Libby (capo dello staff di Cheney) e Wolfowitz (vice di Rumsfeld) sono elencati tra coloro che hanno partecipato direttamente al progetto ''Rebuilding America's Defenses''. E' interessante notare che John Lehman, membro della ''Commissione sull'11 Settembre'', sia stato membro del PNAC o almeno si sia pubblicamente allineato con esso [5].

L'obbiettivo principale dell'organizzazione, costituitasi nella primavera del 1997, consiste nell'affermare ed estendere il piu' possibile la leadership americana nel mondo [6]; il documento indica che gli Usa progettano di essere coinvolti simultaneamente in diversi teatri di guerra, in differenti regioni del globo [20]. Il PNAC delinea una mappa per la conquista. Esso chiede l'''imposizione diretta di basi avanzate Usa in Asia centrale ed in Medio Oriente'' con il fine di assicurare il dominio economico del mondo, strangolando tutti i potenziali ''rivali'' od ogni possibile alternativa alla concezione americana di economia di ''libero mercato'' [21]. Nel documento viene evidenziato a piu' riprese che, tale processo di egemonia militare statunitense, sarebbe avvenuto molto piu' velocemente se un qualche "evento catastrofico e catalizzatore" si fosse abbattuto sugli USA [6]. Il piano del PNAC delinea come debba essere pianificata la propaganda di guerra. Un anno prima dell'11 Settembre 2001, si invoca apertamente ad un evento che potesse galvanizzare l'opinione pubblica degli Usa a sostegno dell'agenda di guerra [22]. Gli artefici del PNAC sembra abbiano anticipato con cinica precisione l'utilizzo, ''come pretesto per una guerra'', degli attentati dell'11 Settembre 2001. Il riferimento del PNAC ad ''un evento catastrofico e catalizzante'' fa eco ad una simile dichiarazione di David Rockefeller al Consiglio Economico delle Nazioni Unite del 1994: ''siamo sull'orlo di una trasformazione globale. Tutto cio' di cui abbiamo bisogno e' la giusta grande crisi e le nazioni accetteranno il Nuovo Ordine Mondiale''.
Simili le parole di Zbigniew Brzezinski nel suo libro ''The Grand Chessboard'' (''La Grande Scacchiera''): ''[…] creare consenso in materia di politica estera potrebbe essere difficile, a meno che non si verifichi una minaccia esterna diretta veramente enorme ed ampiamente avvertita.''. Zbigniew Brzezinski, che era Consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Jimmy Carter, e' stato uno dei progettatori della rete di Al Qaeda, creata dalla CIA all'inizio della guerra sovietico-afgana (1979-1989) [20].

Eventi ''catastrofici e catalizzanti'', come quelli dichiarati dal PNAC, costituiscono, quindi, parte integrante della pianificazione militare e di intelligence; sono in molti a sostenere che la ''militarizzazione delle Nazioni'' nel mondo occidentale sia un'ipotesi gia' operativa e che attacchi terroristici che provocheranno numerose vittime da qualche parte nell'emisfero occidentale, metteranno in discussione la Costituzione dei principali Governi. Le risultanti crisi ed agitazioni sociali saranno strumentalizzate ed utilizzate con l'intento di realizzare importanti spostamenti nelle strutture politiche, sociali ed istituzionali, sino ad arrivare ad una vera e propria militarizzazione per evitare che altre stragi si possano ripetere [23].

Alla luce di quanto affermato nelle pagine del ''Rebuilding America's Defenses'', non ci si stupisce del fatto che personaggi di spicco dell'establishment statunitense come Donald Rumsfeld o Condoleeza Rice, all'indomani degli attentati dell'11 Settembre 2001, invoglino la gente a ''pensare a come capitalizzare quest'opportunita' fondamentalmente per cambiare [...] la faccia del mondo.'' [7], sottolineando come ''gli eventi dell'11 Settembre 2001 hanno aperto nuove, vaste possibilita'.'' [8]. Lo stesso Presidente George W. Bush ha dichiarato che gli attentati dell'11 Settembre hanno rappresentato ''una grossa opportunita''' per gli Stati Uniti [9]; Bob Woodward, giornalista del''Washington Post'' e cronista presso la Casa Bianca, nel suo libro ''Bush at War'', cita le seguenti parole del Presidente degli Stati Uniti: ''Questa e' un'occasione eccellente. Dobbiamo considerarla un'opportunita'.'' [24].

Un evento catastrofico e catalizzatore di tale portata, sarebbe servito anche per poter richiedere ai contribuenti americani un aumento considerevole di fondi per la realizzazione dello ''scudo di difesa missilistica'', conosciuto anche con il nome di "US Space Command" [10], realizzato con lo scopo di prevenire la capacita' di altri paesi di scoraggiare gli Usa dal lanciare un primo attacco contro di loro [11]. Nel solo anno anno fiscale 2004, il Presidente George W. Bush ha firmato il bilancio della difesa stanziando fondi per 401,3 miliardi di dollari e prevedendo, fra l'altro, un aumento medio del 4,1 per cento della retribuzione dei militari.
A quegli oltre 400 miliardi di dollari vanno aggiunti i circa 87 miliardi stanziati per la guerra in Iraq e in Afghanistan e per la ricostruzione dei due Paesi e i 9,3 miliardi di una legge per la realizzazione d'installazioni militari. Si arriva cosi' sulla soglia dei 500 miliardi, il che significa che le spese militari degli Stati Uniti sono confrontabili con il prodotto interno lordo di un Paese del G7, il Canada. E sono superiori al prodotto interno lordo globale della Russia [12].

Mentre lo ''USA Patriot Act'' (Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act), il ''Rebuilding America's Defenses'' e lo ''US Space Command'' forniscono validi "moventi" per un'operazione di tipo ''false flag'' volta ad incrementare lo stanziamento di fondi per la difesa, la possibilita' di presidiare e controllare la zona del Mar Caspio mette in evidenza risvolti economici legati allo sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere dell'Afghanistan.
Sia il presidente Bush che il vice presidente Cheney sono petrolieri. Entrambi provengono dall'industria petrolifera. Le carriere di tutti e due sono state modellate da interessi petroliferi. La loro fortuna politica e' stata propagandata dalle lobby del petrolio. Il presidente Bush comincio' il suo percorso di uomo d'affari negli anni '80 in Texas, fondando una societa' di esplorazione petrolifera chiamata ''Arbusto''(per approfondimenti vedi ''Quando la famiglia bin Laden faceva affari con la famiglia Bush''): nel 1984, si fuse con un'altra societa' di esplorazione petrolifera, dando vita alla ''Spectrum 7''. E Bush ne divenne il presidente.
Due anni dopo, decise di vendere la sua societa' alla ''Harken Energy Company'', per la quale gia' lavorava come consulente. All'epoca la''Harken'' aveva interessi in Medio Oriente. Da parte sua, il vice presidente Cheney, prima del suo insediamento alla Casa Bianca, e' stato presidente e amministratore delegato della ''Halliburton Company''. La ''Halliburton'' e' uno dei maggiori fornitori al mondo di prodotti e servizi legati all'industria petrolifera ed energetica e conduce affari in oltre 100 paesi. Non c'e' da stupirsi, infine, che nella campagna per le elezioni presidenziali del 2000, l'allora candidato repubblicano George W. Bush sia stato il beneficiario numero uno del denaro proveniente dall'industria energetica, riuscendo a raccogliere oltre 1,8 milioni di dollari in contributi: piu' di quanto qualunque altro candidato alla carica federale abbia ricevuto negli ultimi dieci anni [13].

La ''Halliburton'', azienda fornitrice di prodotti e servizi alle compagnie petrolifere e del gas, e' attiva come nessun'altra in regioni di crisi o dove sono in corso conflitti.
La compagnia si e' guadagnata le prime pagine dei giornali in seguito ai legami con il Vicepresidente americano Dick Cheney. Dal 1995 al 2000 il Ministro della Difesa sotto George Bush Senior era direttore dell'azienda, prima di rientrare a Washington nel ruolo di vice di George Bush Junior [27].
Come Ministro della Difesa, gia' nel 1992, Cheney aveva approvato lo stanziamento di 9 milioni di dollari per finanziare al consorzio uno studio su quali funzioni logistiche le forze armate avrebbero potuto affidare a societa' private [25]. Poco dopo l'azienda vinse un contratto di cinque anni per appalti su scala mondiale per i corpi ingegneristici dell'esercito. ''Kellog Brown and Root'' (KBR), affiliata di''Halliburton'', negli anni in cui Cheney e' stato in carica a Washington, ha ricevuto dal Governo contratti per un valore di almeno 3,8 miliardi di dollari.
Insieme al consorzio americano ''Bechtel'', ''Halliburton'' ha domato numerosi incendi sviluppatisi nei giacimenti petroliferi in fiamme durante la prima guerra del Golfo. Prima della seconda guerra del Golfo, su incarico dell'esercito, ha redatto uno studio su potenziali azioni di sabotaggio di giacimenti petroliferi. Il rapporto segreto e' stato usato come base per un contratto di spegnimento e manutenzione che, senza alcuna firma, e' stato assegnato alla ''Kellog Brown and Root'', e il cui valore e' stato stimato dal ''New York Times'' in sette miliardi di dollari per due anni [27].

L'8 Marzo 2003, due settimane prima dell'inizio dei conflitti, la ''Kellog Brown and Root'' ha ottenuto dall'esercito americano un contratto del valore di 490 milioni di dollari, inerenti alla ristrutturazione dei pozzi petroliferi alla fine della guerra [26]. ''E questo e' solo l'inizio. Con questa guerra, Halliburton si sta guadagnando il pane in maniera idiota e vergognosa.'', ha affermato Pratap Chatterjee, dell'organizzazione ''Corpwatch''. ''Oltre alle prime misure di emergenza, la continua manutenzione dell'industria petrolifera irachena potrebbe arrivare a costare 1,5 miliardi di dollari.'' [25]. Dalla fine del 2001 all'inizio di Aprile, la compagnia, secondo dati ufficiali, ha ricevuto dal Pentagono appalti per un valore di almeno 830 milioni di dollari: dalla costruzione e gestione di tendopoli ed insediamenti temporanei per i soldati americani in Afghanistan, Turchia, Kuwait, Georgia, Uzbekistan, Giordania e Gibuti, fino a un affare di 323 milioni di dollari per la costruzione e la gestione di una prigione destinata ad ospitare centinaia di detenuti sospettati di terrorismo nella baia di Guantanamo.

Nel Kuwait, dall'estate del 2002, almeno 1800 dipendenti della ''Kellog Brown and Root'' sono occupati ad organizzare per le forze di occupazione americane recinti di filo spinato, alloggi, servizi di lavanderia, bar, fast food, campi di pallavolo ed altre amenita' del genere. Alla base c'e' un contratto di dieci anni, valido in tutto il mondo, di nome ''LOGCAP'' (Programma per l'incremento della logistica civile).
Ma non e' tutto: Dick Cheney percepisce una pensione di circa un milione di dollari all'anno, elargita dal suo ex datore di lavoro. Nel suo Ministero si avvicendano anche numerosi nomi di punta dell'azienda e viceversa. ''Halliburton e' un modello di nepotismo di prima grandezza, al cui interno vige il principio 'una mano lava l'altra'.'', afferma Pratap Chatterjee [25].
In Iraq, dopo la guerra, ''Halliburton'' e' diventata uno dei nomi di punta per quanto riguarda l'esplorazione, l'estrazione e la manutenzione dei giacimenti petroliferi; e' con la guerra in Iraq che il gigante del petrolio realizza il colpo grosso. Il Direttore Generale di ''Halliburton'',David Lesar, nel rapporto annuale del 2004 della Societa' con sede a Houston, Texas, scrive che il complesso petrolifero, nonostante molte difficolta', e' messo meglio che mai: ''Mi piace cio' che vedo dalla mia scrivania.''.
La ''Halliburton'', infatti, e' riuscita a mettere in porto contratti per 7,1 miliardi di dollari, di cui 1,9 miliardi per il progetto ''Restore Iraqi Oil'' (RIO), appaltato ad ''Halliburton'' senza alcun concorso, evento che avrebbe fatto accusare la stessa azienda di corruzione e, successivamente, di una serie di imputazioni come quella di aver presentato all'esercito statunitense in Iraq conti esorbitanti per i rifornimenti; i pagamenti per razioni alimentari mai arrivate sul piatto dei soldati sarebbero finiti direttamente al Pentagono e la benzina ed il diesel per le truppe motorizzate sarebbero state importate dal Kuwait e maggiorate nel prezzo [36]. Senza dimenticare che ''la Halliburton, attraverso le affiliate europee, vendeva componenti di ricambio all'industria petrolifera irachena, nonostante le sanzioni dell'ONU.'' [38]. Il giornalista Dan Briody, da anni attivo in ricerche sul complesso militare-industriale statunitense, evidenzia le continue contraddizioni nel comportamento di Dick Cheney, il quale ''ha comandato la guerra contro l'Iraq come Ministro della Difesa, poi, come Direttore Generale della Halliburton, ha sostenuto la ricostruzione dell'industria petrolifera irachena per poi, come Vicepresidente americano, tornare all'attacco dell'Iraq. Il grado di cattiveria di Saddam Hussein dipende, evidentemente, dal lato del continuum economia-governo in cui ci si trovi in quel momento.'' [37].

Il 7 Ottobre 2001 George Bush decide di spedire i suoi soldati in guerra contro Bin Laden ed i suoi alleati, i talebani.
Il Presidente degli Stati Uniti d'America si fa vedere trenta minuti dopo l'inizio dei primi attacchi aerei sull'Afghanistan dalla ''Treaty Room'' della Casa Bianca e promette: ''Non falliremo. La pace e la liberta' saranno vincitrici.''. L'operazione ''Enduring Freedom''(''Liberta' Duratura'') ha inizio 26 giorni dopo l'11 Settembre 2001 e vede gli Stati Uniti lavorare a stretto contatto con le truppe dell'''Alleanza del Nord'', gli avversari afghani dei talebani.

Nei mesi seguenti, l'attenzione dei principali mass media inizia a focalizzarsi sull'Afghanistan e sullo strano regime dei talebani che, fino a quel momento, avevano governato il Paese. Iniziano quindi a venire alla luce alcuni affari relativi al petrolio che iniziano a causare non poco imbarazzo alla ''Unocal'', compagnia petrolifera californiana con sede a Sugarland, in Texas, paese di nascita del Presidente George Walker Bush [32]. Il 14 Settembre la Unocal, messa alle strette, si vede costretta a diffondere un comunicato stampa dal titolo: ''La presa di posizione dell'Unocal: la societa' non appoggia in nessun modo i talebani.'' [28].
Emergono alcuni retroscena riguardanti la Compagnia che, a meta' del anni Novanta, si trova ad affrontare una forte crisi di identita'. Nel 1994 la ''Unocal'' aveva perso 153 milioni di dollari e doveva trovare il modo di rientrare in attivo; il direttore dell'azienda decide, dunque, di giocare il tutto per tutto ed annuncia che la ''Unocal'' sarebbe diventata, in breve tempo, ''La piu' grande azienda per le risorse energetiche del Mondo.''.
La chiave per raggiungere questo imponente ed ambizioso traguardo era recarsi la' dove nessuno osava mettere pirede, ''l'Afghanistan era il luogo giusto'', scrive Steve Coll, giornalista del ''Washington Post'' nel suo libro sulla guerra in Afghanistan ''Ghosts Wars'' [29], per il quale, nel 2005, vince il premio Pulitzer. Si trattava di un'idea piuttosto ardita: il trono del presidente turkmeno Saparmurat Niyazov si trovava sopra un vero e proprio mare di petrolio, 32 miliardi di barili, e su enormi giacimenti di gas.
Egli non voleva utilizzare la rete di oleodotti russi, perche' riteneva che non fosse possibile fare buoni affari con Mosca; un oleodotto che passasse per l'Iran non era pensabile, perche' un simile progetto non avrebbe trovato l'approvazione americana. Al contrario, il progetto di un oleodotto che trasportasse petrolio e gas dall'Asia centrale senza attraversare i territori russi ed iraniani avrebbe trovato l'appoggio diBill Clinton [32].
''La politica statunitense doveva affrettarsi ad appoggiare l'estrazione di riserve energetiche del Caspio [...[. Ci siamo mossi in questa direzione in particolare per accelerare il processo di indipendenza di queste regioni e per rompere il monopolio russo sul trasporto di greggio dalla Regione, ma anche per garantire all'Occidente, attraverso la diversificazione, un approvvigionamento energetico sicuro'', dichiaro' Sheila Heslin, esperta del settore energetico del ''National Security Council'' (Consiglio di Sicurezza Nazionale) della Casa Bianca [30].
La ''Unocal'' propone due itinerari, avrebbe trasportato petrolio e gas dai giacimenti del Turkmenistan sud-orientale al Pakistan, passando per l'Afghanistan occidentale e meridionale, facendo nascere, cosi', il consorzio ''CentGas''. I soci del nuovo gruppo firmano ad Ashgabat un contratto preliminare con Saparmurat Niyazov, che prevede la costruzione di un oleodotto per il petrolio e di uno destinato al gas, per un costo pianificato di 8 miliardi di dollari.

Nel 1995 Niyazov si reca a New York in occasione dell'anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, per partecipare ai festeggiamenti nel quartiere generale dell'ONU, sull'East River, a Manhattan. Niyazov ritiene che la ''Unocal'' debba pubblicizzare l'oleodotto ''CentGas'' ed i suoi desideri sono esauditi da Henry Kissinger, il quale, in una sala per banchetti affittata per l'occasione, nel suo discorso, pone l'accento sul progetto ''CentGas'', ''il trionfo della speranza sull'esperienza.''.
I rapporti tra il Governo statunitense e Saparmurat Niyazov si fanno sempre piu' saldi, quindi la ''Unocal'' non si preoccupa piu' di tanto quando, nel 1998, i talebani prendono Kabul divenendo la forza dominante del Paese.
Secondo Richard Keller, direttore dell'''Unocal Pakistan Ltd.'', la conquista di Kabul da parte dei talebani e' da considerarsi, addirittura uno ''sviluppo positivo.'' [32].

Uno dei primi passi di George Walker Bush da Presidente degli Stati Uniti d'America e' incaricare il Vicepresidente Dick Cheney di redigere un piano d'azione per la politica energetica; piano pronto nel Maggio del 2001.
La relazione al Presidente, nella quale e' evidenziata una grave crisi energetica, contiene anche un avviso: ''Entro i prossimi vent'anni l'America sara' costretta a importare i due terzi del suo fabbisogno di greggio: di conseguenza si entrera' in una fase di forte dipendenza da potenze straniere, che non avranno necessariamente in testa gli interessi americani.'' [33].
Il rapporto accenna anche alcuni suggerimenti rispetto alla direzione da prendere e, nell'ottavo capitolo, la Casa Bianca viene invitata''nel campo della politica estera e dei rapporti commerciali con l'estero, a dare priorita' alla sicurezza nell'approvvigionamento energetico'' e ad incoraggiare gli Stati come quelli del Golfo ad aprire i propri settori energetici ad ''investimenti privati''. Nel rapporto alla Casa Bianca l'Iraq non viene mai menzionato, ma in un discorso tenuto a Nashville, Tennessee, il Vicepresidente degli Stati Uniti d'America, nonche', e' bene ricordarlo, ex direttore della ''Halliburton'', Dick Cheney, parla apertamente dell'Iraq e di Saddam Hussein, sottolineando in particolare il pericolo che quest'ultimo possa aspirare nuovamente ad una posizione di egemonia nel golfo e dunque abbia l'ambizione di ''prendere sotto il proprio controllo buona parte delle riserve energetiche mondiali'' [34].

La rivista ''The New Yorker'' e' una delle poche a sottolineare un fatto interessante ma, stranamente, passato inosservato: ''Il discorso di Cheney e' stata una delle ultime occasioni nel corso della quale un membro dell'Amministrazione Bush ha ammesso un legame tra politica energetica e politica di sicurezza. In seguito le dichiarazioni si sono accordate a quella del Ministro della Difesa Donald Rumsfeld, secondo cui la decisione di far capitolare Saddam non 'aveva nulla a che vedere con il petrolio, assolutamente nulla''' [35].

Ma se non il petrolio, quali sono state allora le ragioni di questa guerra? Le argomentazioni americane sostengono prima l'importanza del disarmo di Saddam Hussein e dell'annientamento del suo arsenale di armi per la distruzione di massa, per passare poi alla necessita' di un cambiamento di regime, quando appare evidente che nel Paese non c'e' traccia di un simile armamento. In seguito, l'attenzione dell'opinione pubblica viene dirottata in quella che, con l'emanazione di provvedimenti che calpestano di fatto tutti i principi base del diritto internazionale e della liberta' individuale, quali lo ''USA Patriot Act'', a tutti gli effetti diviene una vera e propria ''guerra al terrore''.

Prima della Guerra, all'interno dell'Amministrazione americana si combatte un'altra guerra, la ''War behind Closed Doors'' [39], la ''guerra di gabinetto''.
All'interno dell'Amministrazione conservatrice di George Walker Bush, tre scuole di pensiero litigano tra loro. L'allora Viceministro della Difesa Paul Wolfowitz ed i neo-conservatori ritengono che l'America sarebbe stata al sicuro solo quando il resto del mondo fosse diventato uguale a lei. L'apertura dei mercati di questo resto del mondo alle merci americane e la possibilita' di sfruttare le materie prime locali da parte di societa' americane e' un piacevole beneficio collaterale di questa strategia. Questo gruppo, dunque, promuove l'invio in Iraq di un potente esercito a cui sarebbero seguiti generosi programmi di ricostruzione, secondo l'esempio del ''Piano Marshall''.
Gli assertive nationalists, ovvero i ''nazionalisti dichiarati'', come il Ministro della Difesa Donald Rumsfeld ed il Vicepresidente Dick Cheney, non condividono questa visione ambiziosa e dispendiosa dal punto di vista economico: per servire al meglio gli interessi della sicurezza americana era necessario eliminare i potenziali fattori di pericolo. Per i nazionalisti dichiarati l'obiettivo di un intervento americano in Iraq non e' tanto la creazione di un paradiso democratico, l'interesse di questo gruppo per un processo di democratizzazione in Iraq dopo la terza Guerra del Golfo era altrettanto scarso di quello di democratizzazione del Kuwait dopo la seconda Guerra del Golfo [40]. A Cheney, Rumsfeld e compagnia stavano a cuore soprattutto i vantaggi immediati che l'America avrebbe potuto ricavare da una guerra in Iraq: la creazione di importanti basi militari nella Regione, dalle quali, nel peggiore dei casi, intervenire nei paesi ricchi di petrolio quali Arabia Saudita e Kuwait e la possibilita' di minacciare l'Iran, dove il petrolio e' altrettanto abbondante.
Il terzo grupo e' quello degli ''internazionalisti'', ''nazionalisti realisti'', ''realisti conservatori'' o come si voglia chiamare gente come Colin Powell o Condoleezza Rice, secondo cui l'impiego della violenza e' giustificato solo di fronte ad una monaccia diretta degli interessi americani. Questo gruppo vuole dare al mondo intero una giustificazione morale della guerra, aspirando ad una legittimazione internazionale. Ecco spiegate anche le ragioni dell'entrata in scena di Powell davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 5 Febbraio 2003.

La guerra dietro le porte del gabinetto e' vinta, come noto, dall'alleanza tra neocons e nazionalisti dichiarati: hanno inizio i bombardamenti e l'invasione dell'Iraq.

Karl Marx, dopo il colpo di Stato del nipote di Napoleone Bonaparte del 1851, nota, in relazione con il golpe di Napoleone del 1799, che tutti i grandi avvenimenti della storia ''avvengono, per cosi' dire, due volte[...]. La prima come tragedia, la seconda come farsa.'' [41]. Per quanto ci riguarda, siamo arrivati al tempo della farsa, ''il disarmo dell'Iraq'', la ''liberazione del popolo iracheno'' e la ''difesa del mondo contro un serio pericolo'', come tiene a sottolineare in televisione il presidente Bush poco dopo l'inizio della guerra.
Thomas Kleine-Brockhoff, corrispondente di ''Die Zeit'' a Washington, dichiara che, sebbene inizialmente fossero divisi sul da farsi,''rispetto alla questione del dopoguerra sono tutti uniti, ne' i neocons, ne' gli assertive nationalists e nemmeno gli 'internazionalisti' credono alla tesi del Nation Building'' [42].

L'esercito americano piazza un paio di carri armati M-1-Abrams di fronte al palazzone di cemento di 10 piani sede del Ministero del petrolio, che si trova un paio di chilometri fuori dal centro di Baghdad. L'Air Force statunitense evita opportunamente di bombardare l'edificio, come era avvenuto con il Ministero della pianificazione ed ai soldati e' dato ordine di evitare i saccheggi, autorizzati, invece, negli ospedali, nei musei e nella biblioteca nazionale. L'edificio racchiude infatti la chiave del principale tesoro della nazione: mappe dei giacimenti petroliferi, dati sugli oleodotti, contratti. Dopo la Guerra, come nel 1991, gli americani sperano di poter finanziare il conflitto utilizzando i proventi iracheni dal petrolio. Le societa' amercane ''Halliburton'', la sua consociata ''Kellog, Brown and Root'', la ''Bechtel''e tutte le altre, ottengono gli appalti, l'Iraq paga [43].
Come disse anni fa il Generale William Looney, a capo delle forze anglo americane che volano sopra l'Iraq quasi tutti i giorni: ''Se accendono i loro radar noi faremo saltare in aria i loro fottuti missili. Lo sanno che possediamo il loro paese e il loro spazio aereo... Siamo noi che dettiamo il loro modo di vivere e di parlare, e questo e' cio' che al momento c'e' di grandioso parlando dell'America. E' una cosa buona, specialmente visto che li' c'e' un sacco di petrolio di cui abbiamo bisogno.'' [44].

Se ci fosse qualche motivo per essere sospettosi delle vere intenzioni della Casa Bianca in merito all'Iraq, certamente il fatto che il vicepresidente Cheney abbia tenuto segreti incontri di governo a porte chiuse con i leader dell'industria energetica dovrebbe almeno far sollevare il sopracciglio a qualche appartenente al mondo dei media: perche' quei meeting sono avvenuti immediatamente dopo aver ricevuto il suo incarico; sono stati fatti allo scopo di progettare le future iniziative dell'America nel campo dell'energia. E poi, nonostante i continui sforzi dei membri del Congresso di rendere pubblici quegli atti, Cheney si e' sempre rifiutato di rilasciare i verbali delle discussioni, oltre ai nomi dei partecipanti e delle societa' [13].

Dopo l'11 Settembre 2001, sono in molti i ''Teorici del Complotto'' che arrivano a supporre che la guerra in Afghanistan si tratti di un'operazione di tipo false flag, pianificata dallo stesso Governo statunitense ben prima dell'11 Settembre 2001, che trova nella realizzazione dell'oleodotto uno dei motivi principali per la realizzazione di un auto-attentato di simili proporzioni. Il libro uscito in Francia il 14 Novembre 2001, due mesi dopo gli attentati, intitolato ''Ben Laden: La vérité interdite'' [31], suscita, con simili sospetti, l'interesse del pubblico.

NOTE E FONTI:

[3] ''The Sorrows of Empire'', di Johnson, 178
[4] Lehman, che fu segretario della marina durante due amministrazioni Reagan firmo' la lettera dello PNAC "Letter to President Bush on the War on Terrorism, " 20 Settembre 2001 (www.newamericancenturty.org/Bushletter.htm)
[5] "Rebuilding America's Defenses", PNAC, 51
[6] Washington Post, 27 gennaio 2002
[7] The National Security Strategy of the United States of America, Settembre 2002 (disponibile su www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
[8] L' unica affermazione da me trovata che vi si avvicina e' quella della Commissione per cui "il Presidente noto' che gli attacchi fornivano una grossa opportunita' per coinvolgere Russia e Cina", 330
[9] ''Secretary Rumsfeld Interview with the New York Times'', New York Times, 12 ottobre 2001. Per l' affermazione della Rice vedi Chalmers Johnson, ''The Sorrows of Empire: Militarism'', Secrecy, and the End of the Republic (New York: Henry Hold, 2004), 229
[10] Per un breve sommario di questo progetto si veda Grossman, Weapons in Space
[11] Paul O'Neill, il primo Segretario del Tesoro nell'amministrazione Bush-Cheney riferisce che un memorandum scritto dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC, afferma che minacce alla sicurezza Usa vengono create dal fatto che poteri regionali ostili agli Stati Uniti si stavano "armando per dissuaderci". Vedi Ron Suskind, The Price of Loyalty: George W. Bush, the White House, and the Education of Paul O'Neill (New York: Simon & Schuster, 2004), 81
[12] Bush firma il bilancio della difesa per la guerra quasi 500 miliardi, tratto da ''La Repubblica'' del 24 novembre 2003
[13] ''Operazione oro nero, di Jeremy Rifkin'' - tratto da www.disinformazione.it del 14/11/2002
[20] ''Tutto quello che sai e' falso 2 – Secondo manuale dei segreti e delle bugie'', ''Guerre per il dominio globale – Progetto per un nuovo secolo americano'', di Michel Chossudovsky, 193, 194
[21] Chris Floyd, Bush's Crusade for empire, Global Outlook, No. 6, 2003
[22] Tratto da Global Research
[23] General Tommy Franks calls for Repeal of US Constitution, November 2003, tratto da Global Research
[24] ''Bush at War'', di Bob Woodward, Edizioni Simon and Schuster
[25] ''Von Boston bis Bagdad'', in ''brand eins'', Marzo 2003
[26] Tratto da www.derstandard.at
[27] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra, potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and Compton, 264, 265
[28] Comunicato stampa disponibile sul sito della Compagnia www.unocal.com
[29] ''Ghosts Wars - The Secret History of the CIA, Afghanistan and Bin Laden, from the Soviet Invasion to September, 10, 2001'', di Steve Coll, Editore Penguin Books
[30] ''Talebani. Islam, petrolio e il grande scontro in Asia centrale'', di Ahmed Rashid, Editore Feltrinelli
[31] ''Ben Laden: La vérité interdite'', di Jean-Charles Brisard e Guillaume Dasquié, Editore Denoel
[32] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra, potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and Compton, 82-85
[33] ''National Energy Policy - Report of the National Energy Policy Development Group'', testo integrale disponibile sul sitowww.whitehouse.gov
[34] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra, potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and Compton, 91
[35] ''Beneath the Sand - Can a Shattered Country Be Rebuilt With Oil?'', ''The New Yorker'', 14 Luglio 2003, di John Cassidy, disponibile online all'indirizzo www.newyorker.com
[36] ''Houston, we still have a Problem - An Alternative Annual Report on Halliburton'', Corpwatch, Maggio 2005, tratto dawww.halliburton.org e www.warprofiteers.com
[37] ''The Halliburton Agenda - The Politics of Oil and Money'', di Dan Briody, Hoboken, New Jersey, Wiley and Sons, 2003
[38] ''Cheney Led Halliburton to Feast at Federal Trough'', Royce, Knut e Nathaniel Heller, Public i (Center for Public Integrity), 2 Agosto 2000
[39] ''The War behind Closed Doors. The People, the Clashes - and Ultimately the Grand Strategy behind George W. Bush's Determination to Go to War with Iraq'', PBS, tratto da www.pbs.org
[40] Le donne del Kuwait ottengono il diritto al voto. Con 14 anni di ritardo dalla fine della Guerra del Golfo del 1991, le donne dell'emirato hanno ottenuto il 16 Maggio 2005 il diritto al voto
[41] ''Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte'', di Karl Marx, in Karl Marx - Friedrich Engels, ''Opere complete'', volume 1, Roma, Editori Riuniti, 1991, 105
[42] Intervista telefonica di Thomas Seifert a Thomas Kleine-Brockhoff, 24 Maggio 2005
[43] ''Il libro nero del petrolio - Una storia di avidita', guerra, potere e denaro'', di Thomas Seifert e Klaus Werner, Editori Newton and Compton, 86-89
[44] ''Tutto quello che sai e' falso 2 – Secondo manuale dei segreti e delle bugie'', ''Guerra al terrorismo, l'ultima menzogna della propaganda'', di William Blum, 20

Tutte le note e le fonti possono essere trovate all'indirizzo http://lateoriadelcomplotto.blogspot.com/p/la-teoria-del-complotto_8788.html

 

 

HOME PAGE