3 - Età repubblicana (510 a.c.- 30 a.c.) Periodo compreso tra la cacciata di Tarquinio il Superbo e la battaglia di Azio condotta da Ottaviano. CONQUISTA DELL' ITALIA 510-264 a.c. |
Approfondimenti: |
3.1 - La conquista dell'Italia (510-264 a.c.) Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo per opera dei nobili Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino – considerati i primi magistrati della Roma repubblicana – il nome di re divenne sinonimo di sopruso, e accuratamente evitato: l'unico suo relitto linguistico fu nella funzione sacerdotale di rex sacrorum, officiante dei pubblici sacrifici. La collegialità e l'annualità delle magistrature repubblicane debbono intendersi dunque in aperto contrasto con la natura monarchica del precedente governo, che il popolo romano non voleva che fosse ripristinata. La composizione del senato, la più autorevole assemblea decisionale dello stato romano, venne progressivamente trasformata grazie all'inserimento di membri di estrazione plebea, chiamati conscripti (da cui la successiva denominazione dei senatori come patres conscripti): ciò venne decretato in seguito a un aspro conflitto tra patrizi e plebei. La lotta che si sviluppò tra patrizi e plebei nelle prime fasi dell'età repubblicana portò infatti alla progressiva abolizione di numerosi privilegi politico-sociali del patriziato. Nel 494 a.c. la
secessione della plebe guidata da Menenio Agrippa diede luogo all'elezione dei
tribuni della plebe (tribuni plebis). Eletti annualmente, godevano
dell'inviolabilità personale (sacrosanctitas) e del diritto di veto
sulle deliberazioni dei magistrati patrizi (intercessio) e
rappresentavano per i plebei il punto di riferimento politico nei conflitti con
il patriziato: avevano cioè ufficialmente il diritto di soccorrere la plebe (ius
auxilii ferendi plebi). Oltre ai tribuni,
vennero concessi l'istituzione di edili plebei addetti ai loro templi, nonché
il diritto di riunirsi in assemblea nel concilium plebis. Nel 451 a.c. fu
nominata una commissione composta da dieci uomini (decemviri legibus
scribundis), prima tutti patrizi e poi metà patrizi e metà plebei, allo
scopo di fissare il primo codice di leggi della storia romana (legge delle
Dodici Tavole), ove furono raccolti i principi del diritto romano arcaico. Con
la legge Canuleia, del 445 a.c., fu legalizzato il matrimonio fra patrizi
e plebei, mentre le leggi Liciniae-Sextiae, del 367 a.c., stabilirono che
uno dei due consoli eletti doveva essere plebeo. Queste ultime leggi sancirono
la legalizzazione di una diffusa prassi, che aveva visto già dal 444 a.c. la
frequente sostituzione del consolato con un tribunato militare "dalla
potestà consolare", carica cui era consentito l'accesso ai plebei.
Progressivamente, anche l'accesso alle altre magistrature fu aperto ai plebei:
la dittatura, nominata nei momenti di grave pericolo esterno per lo stato romano
(356 a.c.); la censura (350 a.c.); la pretura (337 a.c.); le magistrature
connesse ai collegi pontificali e augurali (300 a.c.). Questi cambiamenti
politici segnarono la nascita di una nuova aristocrazia. Il senato, che
originariamente possedeva solo una serie di limitate prerogative amministrative,
divenne il fulcro del governo della repubblica, poiché a esso spettava ogni
decisione in materia di pace e di guerra, nella scelta delle alleanze e delle
colonie da fondare, nel controllo delle finanze statali. Sebbene l'emergere di
questa nuova nobilitas patrizio-plebea avesse posto fine alle lotte fra i
due ordini, la situazione delle famiglie plebee più povere non subì alcun
miglioramento. La politica estera
di Roma, in questa fase della sua storia, fu caratterizzata da una serie di
guerre di conquista che diedero luogo a una notevole espansione territoriale.
Con la grande vittoria ottenuta presso il lago Regillo nel 497 o 496 a.c. contro
latini e volsci alleati, Roma divenne la città egemone della Lega latina
(l'antica confederazione che univa tra loro le città del Lazio), imponendo nel
493 a.C. il celebre trattato detto foedus Cassianum, il quale sanciva una
perfetta parità fra i contraenti, la pace perpetua ed il reciproco soccorso; condusse poi una
serie di altre guerre contro etruschi, volsci ed equi: guerre nelle quali si
affermò, tra gli altri, Lucio Quinzio Cincinnato, dittatore nel 458 a.c. Tra il 449 e il 390
a.c. la politica espansionistica di Roma divenne particolarmente aggressiva: con
la presa di Veio (396 a.c.) da parte di Marco Furio Camillo, l'Etruria iniziò a
perdere la propria indipendenza;
l'accrescimento del territorio portò l'estensione dello Stato Romano
quasi alla pari per estensione con quello della Lega Latina (kmq 2500) e
consolidò definitivamente il primato di Roma sul Lazio. Nel 281 a.c. la
colonia greca di Tarentum (l'odierna Taranto) chiese aiuto contro la
minaccia costituita da Roma, della quale si temevano le mire espansionistiche in
Magna Grecia, a Pirro, re dell'Epiro; dal 280 al 276 a.c. egli condusse la
guerra in Italia meridionale e in Sicilia infruttuosamente – nonostante
potesse contare sull'utilizzo bellico degli elefanti, sconosciuti ai romani –
e dovette fare ritorno in Grecia. Durante i dieci anni successivi i romani
completarono la sottomissione dell'Italia meridionale, riuscendo dunque a
controllare l'intera penisola, dallo "stivale" fino ai fiumi Arno e
Rubicone. 3.2
- Le
guerre puniche e macedoniche (264-133 a.c.)
Nel 264 a.c. Roma
entrò in guerra con Cartagine per il controllo del Mediterraneo: la città
punica rappresentava in quel momento la più forte potenza marittima
dell'Occidente, capace di controllare pressoché totalmente il settore centrale
e occidentale del bacino del Mediterraneo, mentre Roma rimaneva ancora padrona
del solo territorio italiano. La prima delle tre
guerre puniche scoppiò per la crescente rivalità politica ed economica tra
Roma e Cartagine. Dopo le guerre tarantine, infatti, Roma aveva posto sotto la
propria diretta influenza le città della Magna Grecia, minacciando in questo
modo la supremazia cartaginese nel Mediterraneo meridionale, che poteva contare
sui vasti possedimenti punici in Sicilia. L'occasione fu data dai mercenari
campani mamertini, assediati a Messana (Messina), che chiesero aiuto a
entrambe le città contro Gerone II di Siracusa. Cartagine, come si è detto,
controllava già parte della Sicilia e i romani accolsero la richiesta con
l'intenzione di cacciare i cartaginesi dall'isola. Approntata la loro
prima grande flotta, i romani dichiararono guerra e sconfissero i cartaginesi
nella battaglia di Milazzo (260 a.c.), sotto la guida del console Caio Duilio.
Nonostante altre vittorie, nelle acque di Tindari e al largo del promontorio
Ecnomo (presso Licata), essi non riuscirono però a impadronirsi della Sicilia.
Nel 256 a.c. un'armata romana guidata dal console Marco Attilio Regolo stabilì
una base in Nord Africa, ma l'anno seguente i cartaginesi la costrinsero a
ritirarsi, dopo averla duramente sconfitta presso Tunisi: Regolo stesso fu fatto
prigioniero e molti dei soldati romani superstiti morirono travolti da una
tempesta l'anno successivo. La guerra continuò
a lungo, combattuta in gran parte attorno alla Sicilia, e si concluse dopo
alterne vicende solo nel 241 a.c. con una battaglia navale presso le isole
Egadi, vinta dai romani guidati dal console Caio Lutazio Catulo; essa fruttò a
Roma il controllo della Sicilia (prima regione a essere organizzata in provincia
romana) e nel 237 a.c. la conquista della Sardegna e della Corsica, a loro volta
costituite in provincia. Le condizioni di pace imposte ai cartaginesi dai
vincitori furono durissime: oltre alle perdite territoriali e all'impegno di non
belligeranza, essi dovevano restituire senza riscatto i prigionieri romani e
impegnarsi a pagare una forte indennità di guerra. Ora che Roma era in
grado di competere sui mari, Cartagine cominciò a organizzarsi per una ripresa
delle ostilità, attraverso l'acquisizione di una serie di punti d'appoggio in
Spagna, dove volutamente i cartaginesi provocarono i romani attaccando la città
di Sagunto, loro alleata. La seconda guerra punica prese avvio nel 218 a.c. con
la spedizione di Annibale in Italia, dalle basi spagnole attraverso le Alpi.
Dopo aver vinto i romani presso i fiumi Ticino e Trebbia, egli si spinse verso
sud ottenendo successivamente due importanti vittorie, al lago Trasimeno (217 a.c.) e a
Canne (216 a.c.). I condottieri romani
di maggior spicco in questa prima parte della guerra furono il dittatore Quinto
Fabio Massimo, detto "il Temporeggiatore" poiché dopo la sconfitta
romana del Trasimeno cercò di tenere a distanza il nemico e di logorarlo con
una tattica attendista, e il console Caio Terenzio Varrone, sfortunato
comandante dell'esercito romano a Canne. La guerra proseguì ancora a lungo, e
vide da un lato una progressiva riconquista da parte dei romani del terreno
perduto in Italia meridionale (presa di Siracusa, 212 a.c. e di Capua, 211 a.c.), dall'altro frequenti saccheggi e devastazioni da parte di Annibale, che
depauperarono severamente l'agricoltura italica. Dopo circa quindici
anni il conflitto si spostò in Africa, dove Annibale fu chiamato per affrontare
nel 202 il giovane generale romano Scipione Africano, che puntava su Cartagine.
Annibale venne sconfitto in maniera definitiva nella battaglia di Zama (202 a.c.), in conseguenza della quale Cartagine fu costretta a consegnare la sua
flotta, a cedere la Spagna e i suoi possedimenti insulari nel Mediterraneo,
oltre a pagare una nuova indennità di guerra. Roma rimase così la sola
dominatrice del Mediterraneo occidentale e ampliò il suo dominio verso nord.
Fra il 201 e il 196 a.c. le popolazioni galliche della Pianura Padana furono
soggiogate e il loro territorio venne progressivamente romanizzato. La Spagna fu
mantenuta in regime di occupazione militare, e successivamente costituita in
provincia. La terza guerra
punica, originata dal timore che la potenza cartaginese potesse tornare a
prosperare, in virtù di una fiorente economia, fu condotta rapidamente a
termine fra il 149 e il 146 a.c. da Scipione Emiliano, che conquistò e
distrusse Cartagine dopo tre anni di assedio, trasformandone il territorio
circostante nella provincia d'Africa. Nel corso del III e
del II secolo a.c. Roma fu anche impegnata in un lungo conflitto con la
Macedonia per il dominio del settore orientale del Mediterraneo, che si svolse
nel corso di tre guerre; nelle prime due le forze macedoni combatterono sotto il
comando di Filippo V, sconfitto nel 197 a.c. a Cinoscefale. Nel frattempo, con
l'aiuto degli stati della Grecia meridionale, suoi alleati, Roma combatté
contro Antioco III di Siria, che fu vinto nella battaglia di Magnesia (189 a.c.)
e obbligato a cedere i suoi possedimenti in Europa e in Asia. Il figlio di
Filippo V, Perseo, continuò la resistenza contro Roma, provocando lo scoppio
della terza guerra macedonica; nel 168 a.c. il suo esercito fu sgominato a Pidna
dal generale Lucio Emilio Paolo: la Macedonia divenne provincia romana nel 146
a.c. In quello stesso anno l'ultima rivolta della Lega achea contro Roma si
concluse con la presa e la distruzione della città di Corinto: da quel momento
la libertà della Grecia ebbe fine. In poco più di un
secolo, Roma divenne un impero che dominava il bacino del Mediterraneo dalla
Siria alla Spagna. Conseguenza di tali imprese furono i contatti con la cultura
greca, di cui Roma poté apprezzare le arti e le lettere, la filosofia e i culti
religiosi. Non a caso la letteratura latina ebbe un grande impulso a partire
dalla seconda metà del III secolo a.c., con la traduzione di opere dell'epica
greca e lo sviluppo di un teatro che su quello greco era modellato; nel secolo
successivo queste tendenze si enfatizzarono, e si diffusero a Roma le prime
scuole filosofiche greche. Se è vero che questa ellenizzazione della cultura
romana dispiacque ai più conservatori, come al vecchio Catone il Censore, il
filoellenismo divenne invece uno dei tratti distintivi dell'autorevole famiglia
degli Scipioni. 3.3
- La
lotta politica a Roma dal 133 al 27 a.c. 3.3.1
- Dai
Gracchi a Silla Nello stesso periodo in cui Roma stava creando un impero di vasta portata, si accrebbe il livello dello scontro politico al suo interno. L'accordo tra le più ricche famiglie plebee e le antiche gentes patrizie diede luogo alla conquista delle più alte magistrature e al controllo totale dell'accesso al senato, monopolio da sempre di poche nobili famiglie; inoltre, la graduale estinzione dei piccoli proprietari terrieri, dovuta a uno sviluppo – ancorché parziale – del latifondo e alle devastazioni delle guerre (soprattutto di quella annibalica), provocò la formazione di un proletariato, in larga parte inurbato, il cui malcontento era incapace di tradursi in organizzazione politica. Divenne così inevitabile lo scoppio di un duro conflitto tra l'aristocrazia più conservatrice, organizzata nella fazione degli optimates, e uomini politici con maggiore attenzione verso le fasce più basse della società, organizzati nella fazione dei populares: tra questi ultimi, i fratelli Tiberio Sempronio Gracco e Caio Sempronio Gracco, tribuni della plebe rispettivamente nel 133 e 123 a.c., che promossero riforme agrarie che non sopravvissero però alla morte violenta dei loro fautori. Le comunità
italiche alleate di Roma, che stavano perdendo progressivamente peso politico e
privilegi, chiedevano il riconoscimento del loro decisivo contributo alle guerre
di conquista. In questa situazione, il tribuno Marco Livio Druso propose leggi
agrarie e distribuzioni di grano per le classi meno agiate, e promise la
cittadinanza romana agli italici. Ma, quando anche Druso venne ucciso (nel 91 a.c.), gli italici insorsero, creando un proprio esercito e un proprio stato,
che ebbe la sua capitale provvisoria nella città di Corfinium, nel
territorio dei marsi. Il conflitto che ne seguì (90-88 a.c.) fu detto guerra
sociale, cioè "guerra degli alleati" (in latino socii), e si
concluse con la sconfitta degli italici, ai quali venne però concessa la
cittadinanza romana. Nell'89 a.c., inoltre, il console Pompeo Strabone concesse
la cittadinanza agli abitanti della Pianura Padana, regione da tempo in bilico
tra la condizione di provincia e quella di appendice dell'Italia. Nel frattempo, gravi
problemi continuavano a caratterizzare la politica interna di Roma. Durante la
prima guerra combattuta contro Mitridate VI, re del Ponto, scoppiò un violento
conflitto tra Caio Mario, console affermatosi durante la guerra Giugurtina
(111-109 a.c.) e rappresentante della fazione dei populares, e
Lucio Cornelio Silla, il capo della fazione aristocratica degli optimates,
per il comando delle forze di spedizione; entrambi valenti militari, avevano già
dato prova delle loro capacità belliche. Mario aveva infatti già ricoperto per
cinque volte il consolato, e si era distinto per le vittorie contro i teutoni
nel 102 a.c. (ad Aquae Sextiae) e i cimbri nel 101 a.c. (ai Campi
Raudii); aveva inoltre promosso una riforma che, favorendo gli arruolamenti
volontari – anche tra i proletari – trasformava l'esercito in un corpo
professionale, fedele più al generale che l'aveva reclutato che alla causa
dello stato romano. Silla, console
nell'88 a.c., aveva avuto un ruolo fondamentale nella guerra sociale, e proprio
alla testa delle legioni che aveva guidato nel corso di quel conflitto marciò
su Roma. La fuga di Caio Mario gli lasciò libero il campo: Silla fu rieletto
console e partì per la guerra contro Mitridate nell'87 a.c. Durante la sua
assenza, però, Caio Mario e Lucio Cornelio Cinna, rivestendo nuovamente il
consolato, si reimpadronirono del potere, finché morirono, Mario nell'86 a.c. e
Cinna nell'84 a.c. Quando Silla, nell'83 a.c., di ritorno dall'Asia Minore,
marciò di nuovo su Roma, stroncò la resistenza dei suoi avversari e instaurò
un regime senza precedenti nella repubblica romana. Nominato dittatore, egli
eliminò i suoi nemici mediante proscrizioni, e le terre appartenenti agli
oppositori politici furono confiscate e distribuite ai veterani delle sue
legioni; emanò poi numerose leggi (leges Corneliae) che
restituivano all'aristocrazia senatoria il pieno controllo della vita politica
dello stato, limitando non poco le prerogative dell'ordine equestre, cui Mario
aveva concesso alcuni privilegi. Silla si ritirò dalla politica nel 79 a.c.,
lasciando un pericoloso esempio alle generazioni immediatamente successive:
quello, cioè, di un potere che – pur nell'ambito di una struttura
costituzionale repubblicana – aveva i caratteri autocratici della monarchia. 3.3.2
- Dall'ascesa
di Cesare alla fine della repubblica Nel 67 a.c. Pompeo
Magno, uomo politico e generale che aveva combattuto i seguaci di Mario in
Africa, in Sicilia e in Spagna, liberò il Mediterraneo dai pirati e fu
incaricato di condurre una nuova guerra contro Mitridate. Nel frattempo il suo
rivale, Caio Giulio Cesare, acquistò progressivamente una notevole ingerenza
politica come capo della fazione dei populares, e si alleò con il
ricchissimo Marco Licinio Crasso. Pompeo, tornato vittorioso dall'Oriente,
chiese al senato di ratificare le misure da lui prese in Asia Minore e distribuì
le terre ai suoi veterani. Le sue richieste si
scontrarono con una serie di veti da parte del senato, fino a che Cesare,
presentandosi come amico, formò con lui e con Crasso il primo triumvirato, nel
59 a.c.: si trattava non già di una magistratura, ma di un patto privato tra i
più potenti uomini politici del tempo, ciascuno dei quali aveva propri
interessi da proteggere e promuovere. Il grande oratore Marco Tullio Cicerone,
di tendenze politiche conservatrici, si era accorto della sua pericolosità e lo
avversò fieramente: il processo di "personalizzazione" della vita
politica romana, che aveva avuto nelle figure di Mario e Silla i più illustri
precedenti, stava per assumere così una strada senza ritorno, che avrebbe
minato la natura stessa della repubblica; quella stessa repubblica che solo
pochi anni prima (63 a.c.) aveva anche dovuto fronteggiare, sotto il consolato
di Cicerone, un tentativo di colpo di stato di natura demagogica capeggiato da
Lucio Sergio Catilina. L'accordo
triumvirale consentì a Cesare di ottenere il consolato e a Pompeo di far
accettare le proprie richieste. Gli interessi dei cavalieri – sul cui appoggio
Cesare contava – vennero soddisfatti, garantendo ai pubblicani condizioni
vantaggiose negli appalti per la riscossione dei tributi nelle province
orientali; fu inoltre introdotta una legge agraria per consentire a Pompeo di
ricompensare adeguatamente le sue truppe con donativi di terre. Il coronamento
dei successi di Cesare fu il comando militare ottenuto in Gallia cisalpina, in
Illiria e più tardi anche nei possedimenti romani nella Gallia d'oltralpe; di
qui mosse alla conquista, per mezzo delle lunghe e faticose guerre galliche, di
tutta la Gallia transalpina, che ebbe termine nel 52 a.c. Nel 55 a.c. i
triumviri rinnovarono la loro alleanza, e mentre a Cesare venne prorogato il
comando della Gallia ancora per cinque anni, Pompeo e Crasso furono eletti
consoli: al primo venne affidato il controllo di Spagna e Africa, mentre Crasso
ricevette la Siria; ma la morte di quest'ultimo, nel 53 a.c., sconfitto a Carre,
presso l'Eufrate, mentre combatteva contro i parti, pose Pompeo in aperto
conflitto con Cesare. Mancando un governo efficiente, a Roma scoppiarono
violenti tumulti: il senato persuase Pompeo a restare in Italia, affidando le
sue province a legati, e lo elesse unico console nel 52 a.c. decidendo di
sostenerlo contro Cesare, a cui venne imposto di rinunciare al comando militare
(per impedire la sua elezione a console). Cesare rifiutò e,
nel 49 a.c., dalla Gallia cisalpina scese verso sud attraversando in armi il
fiume Rubicone, confine del pomerium sillano; presa Roma, obbligò Pompeo
e i membri più in vista dell'aristocrazia a ritirarsi in Grecia. Continuò
quindi la guerra contro i pompeiani, sbaragliandoli prima in Spagna e passando
poi in Grecia, dove vinse la battaglia di Farsalo (48 a.c.). Pompeo fu ucciso
poco dopo in Egitto, ma la guerra contro i suoi partigiani continuò finché
questi non vennero sconfitti duramente nella battaglia di Tapso (46 a.c.) e
definitivamente in quella di Munda (45 a.c.). Cesare, dopo avere
progressivamente accentrato nella sua persona numerosi poteri e funzioni (la
ripetuta assunzione della dittatura e del consolato; l'attribuzione di alcune
prerogative dei tribuni della plebe; la praefectura morum, che sostituì
la censura) si proclamò dittatore a vita: l'eccezionalità della sua posizione
politica venne ribadita da forme di culto della personalità del tutto estranee
alle consuetudini della repubblica romana. Il nuovo
"leader" della politica romana aveva però sottovalutato il peso delle
tradizioni repubblicane e si creò numerosi nemici nell'ambito dell'aristocrazia
dell'Urbe: il 15 marzo del 44 a.c. venne quindi assassinato a seguito di una
congiura, proprio mentre stava ideando una spedizione militare in Oriente che
avrebbe eguagliato il suo prestigio militare a quello di Alessandro Magno.
Cicerone cercò di restaurare la vecchia costituzione repubblicana, ma Marco
Antonio, già luogotenente di Cesare, unì le proprie forze a quelle di Marco
Emilio Lepido e del pronipote e figlio adottivo di Cesare, Ottaviano (il futuro
imperatore Augusto), per formare il secondo triumvirato, che questa volta fu una
vera e propria magistratura straordinaria dello stato. Fra le prime scelte
dei triumviri vi furono le proscrizioni e l'eliminazione degli oppositori, fra
cui Cicerone. Nel 42 a.c. Ottaviano e Antonio sconfissero gli assassini di
Cesare, Marco Giunio Bruto e Caio Cassio Longino a Filippi, nella Grecia
settentrionale, dopodiché i triumviri si divisero il controllo dei domini
romani: Ottaviano ebbe l'Italia e l'Occidente, Antonio l'Oriente e Lepido
l'Africa. Ottaviano cercò l'aiuto di quest'ultimo nella guerra contro Sesto
Pompeo (il figlio di Pompeo Magno), ma Lepido cercò di accaparrarsi la Sicilia,
con il risultato di venire privato della sua provincia e del suo ruolo
all'interno del triumvirato (36 a.c.). Alla morte di Sesto
Pompeo il possesso del Mediterraneo rimase una questione privata fra Ottaviano
– che aveva nel frattempo rafforzato notevolmente la sua posizione in
Occidente – e Antonio, ormai suo unico rivale; quest'ultimo, infatti, viveva
ormai in Egitto alla corte della regina Cleopatra, mirando a trasformare
l'insieme dei domini romani in una monarchia, su modello dei regni ellenistici.
Con la battaglia di Azio (che vinse nel 31 a.c.), e il suicidio di Antonio,
Ottaviano estese il suo dominio anche in Oriente (29 a.c.), divenendo in tal
modo il solo padrone di tutti i territori di Roma. Sia lo storico greco
Polibio che l'oratore latino Cicerone avevano definito la repubblica romana il
sistema politico migliore, poiché armonizzava in sé caratteristiche proprie
della monarchia (il potere esecutivo e militare dei consoli), dell'oligarchia
(il potere consultivo del senato) e della democrazia (il potere legislativo e la
funzione elettorale dei comizi). Ma già con Silla, poi con Cesare, e ancor più
con Ottaviano, era però chiaro che il primo dei tre poteri stava prendendo il
sopravvento, e quando, nel 27 a.c., il senato tributò a Ottaviano il titolo di
augusto (dalla radice di auctoritas, cioè "autorità morale"),
la repubblica romana – che di nome continuava a esistere – si poteva dire
finita. In tale titolo, accompagnato alle altre prerogative e funzioni che egli
assunse, era infatti insita l'idea di un potere che non scaturisse dalla delega
dell'imperium da parte del popolo romano, ma che fosse prerogativa
individuale, personale, in alcun modo limitabile dalle annualità e collegialità
tipiche delle magistrature repubblicane; che fosse, insomma, un potere di tipo
monarchico. |