Rom
in Sardegna. Le
applicazioni della legge Tiziana di
Loredana Pireddu (Dipartimento
di Ricerche Economiche e Sociali Comunicazione
al Convegno “Il
Viaggio dei Rom. Una storia di difficile scrittura” Monserrato,
21 ottobre 2002-10-19 ****************************************************
Studiare la popolazione nomade non è un compito
semplice. La letteratura ha infatti da diverso tempo messo in luce quanto
sia complicato avvicinarsi alle pratiche quotidiane di vita, i valori, i
costumi dei nomadi e alle molteplici relazioni tra il caleidoscopico mondo
dei rom e quello un po’ più omogeneo dei gagé. Uno dei sistemi più comodi per pensare, analizzare e scrivere sui fatti sociali è
quello di starne lontani, seduti sulla propria sedia con il proprio tavolo
di lavoro invaso di libri sull’argomento oggetto di attenzione. E’
quella che, con un’espressione felice, Leonardo Piasere ha definito la
tattica dello “zingaro sotto casa”[1]: una tattica spesso
fruttuosa, con molti pregi ma, molto più spesso, con molti limiti. Uno
dei limiti più evidenti, proprio in relazione a questo peculiare
“oggetto di analisi” - la popolazione nomade - sta nell’impossibilità
di cogliere cambiamenti di atteggiamenti, innesti culturali,
riposizionamenti spaziali spesso determinanti per cogliere il senso delle
relazioni con il contesto gagé[2]. Un altro sistema, meno utilizzato del primo, è
quello dell’osservazione partecipata; detto in termini, accantonare per
un attimo convincimenti, definizioni precostruite, e scendere in mezzo a
chi si vuole capire, fare un pezzo di strada con loro condividendone tutti
i diversi ritmi di vita: questa è stata, a conti fatti, la prospettiva più
fruttuosa per svelare la complessità del mondo nomade al suo interno e
nelle relazioni con il territorio che li “accoglie”. Il nostro lavoro non è inquadrato nella prima
posizione ma neanche nella seconda. Non si è voluto dare un contributo
all’analisi della popolazione nomade, ad aspetti spesso studiati quali
la famiglia, il matrimonio, la religione, le pratiche di mendicità (mangapen),
le ulteriori strategie di sopravvivenza, etc…Non lo si è fatto né
scegliendo la tattica dello zingaro sotto casa, né quella del maggior
coinvolgimento dell’osservazione partecipante. Anche se questa occasione di ricerca ha consentito di
dare diverse informazioni rispetto alla contingente presenza numerica
della popolazione nomade in Sardegna, alla sua dislocazione spaziale, alle
tipologie di insediamento sul territorio, alle distanze dal centro
abitato, alla presenza/assenza dei più elementari servizi di
sopravvivenza (acqua, luce, strade o vicoli di accesso ai campi, fogne,
etc..), dei servizi di collegamento con la città, del livello di
scolarizzazione dei minori e di attività lavorative della popolazione
maschile di tipo “normale” (quella svolta dai gagè, anche se nelle
fasce basse del mercato del lavoro e nelle condizioni più marginali), il
nostro contributo ha inteso mettere in luce il comportamento
amministrativo e politico delle istituzioni e degli enti locali, ma anche
della parte più sensibile dell’associazionismo volontaristico, nei
confronti del “problema nomadi in Sardegna”. E’ dunque all’atteggiamento dei gagé, anche se
investiti di un ruolo particolare, quello di pubblici funzionari e di
associati ad enti e gruppi portatori di istanze umanitarie e di giustizia
sociale, che si è guardato con attenzione; in particolare questo
atteggiamento nei confronti della popolazione nomade è stato valutato
attraverso l’osservazione dell’utilizzo che questi stessi soggetti
hanno fatto in Sardegna negli ultimi 5-6 anni della legge “Tiziana” (L.R.
9/88), un riferimento legislativo specifico di politica sociale nei
confronti dei nomadi. 2.
La legge regionale Tiziana: una
legge utile? Come
è tristemente noto, in seguito alla terribile morte della bimba di nome
Tiziana in un campo alla periferia di Cagliari alla fine degli anni ‘80,
una mobilitazione civile e politica diede la giusta spinta per una
riflessione poi sfociata nella emanazione della legge regionale 9/88,
pubblicamente conosciuta come legge Tiziana. Ad una prima lettura la legge
- avente come destinatario specifico la popolazione nomade - appare ben
costruita: nasce con un bilancio annuale consistente (più di un
miliardo); consente un utilizzo di fondi non solo alle Province, Comuni ed
altri enti locali ma anche ad enti privati costituiti con atto pubblico;
mira a favorire la conoscenza e la tutela delle forme espressive, delle
tradizioni culturali e delle produzioni artistiche e artigianali degli
zingari; allarga la possibilità di erogazione anche ai convitti per ciò
che attiene alle varie iniziative di istruzione, offre una particolare
attenzione ai bambini in età scolare (cercando di mantenere la giusta
distanza di riguardo verso le specificità identitarie degli zingari);
consente alle Province e ai Comuni di realizzare, gestire e fare la
normale manutenzione dei campi sosta e transito adeguatamente attrezzati;
consente, infine, di utilizzare dei danari per ciò che attiene alla
formazione professionale al fine di spezzare quella esclusione secolare
degli zingari dal mercato del lavoro gagé, nella possibilità di
garantire la valorizzazione delle attività tradizionalmente artigianali
che hanno connotato per lungo tempo le specifiche manualità della
popolazione zingara. Insomma, la legge Tiziana, se rispettata nelle sue
indicazioni di fondo, consentirebbe di dare ai nomadi un tetto, maggiore
istruzione, maggiori possibilità lavorative e un più vasto ventaglio di
capacità e possibilità relazionali con il mondo gagé. Consentirebbe,
infine, al mondo gagé di avere maggiori possibilità in più per entrare
in contatto con comunità che di fatto conservano specificità che –
detta alla Tönnies – l’Occidente delle comunità ha perso
trasformandosi in Occidente delle società[3]. Se si legge con attenzione la legge, all’art. 4 e
segg., una serie di indicazioni fanno da sfondo di garanzia per la qualità
della vita degli zingari nel campo (servizi fondamentali, presenza della
vigilanza igienica, modalità di gestione del campo, superficie minima
dello stesso, possibilità di accesso alle case con scelta sedentaria,
iniziative in merito alla scolarizzazione dei bambini e attività di
educazione permanente degli adulti, corsi di formazione e/o riconversione
professionale) e per una
maggiore densità relazionale con chi vive fuori dal campo (convegni,
studi, pubblicazioni sui vari aspetti della vita zingara tale da
diffonderne la conoscenza; organizzazione di mostre, fiere etc.. con la
esposizione dei manufatti zingari). Il meccanismo procedurale, assolutamente semplice
nelle relazioni tra i soggetti proponenti progetti finanziabili con la
legge 9/88 e la Regione Autonoma della Sardegna (RAS), consente la
copertura del 100% delle spese per quasi tutte le iniziative previste tra
cui quella fondamentale dell’acquisto del terreno e della realizzazione
delle opere di infrastruttura nei campi di sosta e transito. Come si è
accennato, al momento dell’emanazione della legge, la cifra stanziata
ogni anno per la realizzazione di tali iniziative non era di poco conto, 1
miliardo e 50 milioni di vecchie lire. Tutto sommato, si può dire che, pur in presenza di
alcuni limiti, la legge Tiziana è, nei suoi presupposti, una legge
“utile”. Il passaggio successivo per verificare l’effettiva utilità
è una valutazione delle modalità di implementazione della stessa; la
nostra curiosità si è allora incentrata sulla capacità di utilizzo di
questo strumento legislativo da parte di chi poteva ( e può) farlo: le
Province, i Comuni, le Comunità Montane e i soggetti privati associati
con atto pubblico. Valutare quanto e come si spendono i danari pubblici,
come nella comprensione di qualsiasi fatto sociale, implica questioni di
metodo non troppo dissimili da quelli citati all’inizio del nostro
discorso: la tattica dello studio “a tavolino” consente di leggere le
carte e fare le proprie considerazioni in merito. E’ la posizione
“comoda”, purtroppo, una posizione difficilmente perseguibile in un
paese dove la pubblica amministrazione non ha grande capacità di raccolta
omogenea, ordinata e fluida delle informazioni in suo possesso[4].
Di fatto, cercare di ricostruire un trend
di spesa e i concreti percorsi di utilizzo dei danari ha significato
imbattersi in una “marea di carte disordinate” depositate, quasi
sempre, in armadi, stanze e palazzi diversi: come in un gioco di
tessitura, bisogna con il proprio ago annodare anelli di fili spazialmente
disposti lontano tra loro e, infine, tirare il filo verso di sé, verso la
propria ipotesi di ricerca. In questo, il nostro lavoro è stato quello di
cercare di convincere i funzionari amministrativi e gli operatori sociali
che i dati amministrativi possono anche “parlare”, avere una
dimensione informativa complessa; inoltre, la “fatica” è consistita,
innanzitutto, nel riuscire - letteralmente - a scovare le carte depositate
in diversi uffici e, in seguito, nel fare un passo ulteriore intervistando
i soggetti degli enti beneficiari; anche qui, cercando di ricostruire con
gli atti amministrativi prodotti la politica di spesa verso gli zingari.
Ma, infine, gli ostacoli sono stati uno stimolo per approfondimenti
ulteriori in lunghe interviste con gli operatori sociali che, a livello
locale, si occupano della presenza degli zingari nei loro territori. Da un punto di vista metodologico, ci si è mossi
inizialmente a livello regionale, ricostruendo presso gli uffici
competenti della RAS l’entità delle somme attribuite in base alle 9/88
e i relativi beneficiari; questo lavoro è stato possibile solo per gli
ultimi 6 anni. Infine, una volta completato l’arco dei soggetti
proponenti, si è effettuata una o più interviste con i responsabili dei
settori degli enti locali (solitamente gli operatori sociali) che si sono
occupati dei nomadi sul loro territorio avanzando le proposte di
finanziamento: a questo livello si sono potuti raccogliere ulteriori dati
sulla presenza della popolazione nomade, sulle tipologie insediative, sui
servizi presenti, sulla scolarizzazione e, in modo più approfondito,
sulle politiche sociali a livello locale nei confronti degli zingari.
Quantificare la presenza dei nomadi su un dato
territorio non può che essere operazione dalla valenza momentanea,
contingente alle settimane o al mese di riferimento della misurazione.
L’autonoma e secolare propensione al movimento dei nomadi o la necessità
dello stesso dovuto alle pressioni sociali e/o politico amministrative
declinano la forza del numero fornito a semplice stima:
volente o no, bisogna accontentarsi di questo. Dunque, in questo periodo (ottobre 2002) la presenza
dei nomadi in Sardegna può essere stimata intorno alle 750 unità,
strutturate in circa 115 nuclei famigliari. I territori interessati sono
14[5],
quelli indicati nella cartina: Cagliari (155 persone), Monserrato (32),
Selargius (56), Carbonia (52), San Gavino (25), Pabillonis (16), San Nicolò
d’Arcidano (68), Oristano (13), Macomer (12), Nuoro (20), Alghero (52),
Sassari (80), Porto Torres (59) e Olbia (83). Tab.1 – Stima della presenza zingara in Sardegna,
tipologie di insediamento e garanzia servizi
Fonte: elaborazione su nostre rilevazioni dirette Il dato interessante è la relativa
“urbanizzazione” della popolazione zingara sul territorio isolano: a
parte le realtà di Cagliari, Sassari e Olbia, esistono delle realtà
consistenti anche in ambito rurale. Di fatto, lo si vedrà in seguito,
queste sembrano anche le realtà dove le amministrazioni pubbliche e la
società civile hanno dedicato maggiore attenzione e rispetto delle
peculiarità culturali dei nomadi: Monserrato, San Nicolò d’Arcidano
sono sembrati dei laboratori di comunicazione vivissimi e interessanti. Come è evidente dalla scheda riassuntiva, gli insediamenti della popolazione zingara sono per lo più strutturati in campi e aree concesse in modo provvisorio dall’amministrazione pubblica e dunque non a norma; gli unici campi regolari sono quelli di Ghilarza (ora chiuso per l’assenza dei nomadi), Cagliari, Olbia, San Nicolò d’Arcidano e Monserrato. A Carbonia e San Gavino esiste un insediamento sparso abusivo, nel senso che diverse famiglie hanno occupato aree differenti: alloggi in roullote in certe zone, edifici ex minerari o civili in altre. Solo in un caso gli zingari sembrano essersi stabilmente insediati all’interno della città in appartamenti regolarmente affittati. Dunque,, dopo ben 14 anni dalla nascita di una legislazione che mette a disposizione degli enti pubblici consistenti cifre per la strutturazione, manutenzione e gestione dei campi sosta e transito attrezzati per la conduzione di una vita dignitosa, il 40% circa dei nomadi presenti in Sardegna vive ancora in condizioni forzosamente difficili in campi carenti delle più elementari norme igieniche. Non è stata sufficiente dunque la semplice presenza di garanzie legislative per migliorare le condizioni basilari della vita quotidiana: un tetto sicuro sotto il quale vivere. Sono troppe le amministrazioni che non hanno saputo approfittare di queste disponibilità finanziarie ad hoc, mentre qualcun’altra (vedi il caso di Monserrato) ha creato strutture di accoglimento senza far riferimento alla legge Tiziana ma a fondi propri. Questa è la prima grande mancanza che viene in
evidenza cercando di misurare la performance
della legge Tiziana: più della metà delle amministrazioni comunali dove
gli zingari risiedono momentaneamente non ha ancora un campo sosta o
transito regolare. Sul perché questo è accaduto ci soffermeremo in
seguito. Se invece si concentra l’attenzione sui campi sosta
regolarmente costruiti con i danari pubblici della legge Tiziana, ciò che
è emerso dalle interviste con gli operatori sociali delle amministrazioni
coinvolte è l’estrema precarietà dei servizi presenti: servizi
igienici, illuminazione pubblica, impianti di allaccio di energia
elettrica per uso privato, le aree giochi per bambini, l’acqua potabile,
le fontane e i lavatoi, i contenitori per l’immondizia e le cabine
telefoniche, tutti servizi per i quali la legge Tiziana prevedeva la
regolare dotazione nei campi, sono di difficile accesso, presenti ma in
condizioni precarie, spesso inesistenti. Detto altrimenti, spesso il campo
sosta è stato costruito ma il regolamento che prevede la co-gestione
spesso è inesistente, la manutenzione lasciata al caso o eseguita solo in
seguito (e parzialmente) a casi di evidente e conclamata difficoltà alla
sopravvivenza. Tale dimensione di precarietà diventa poi deserto di
servizi nei casi di insediamenti sparsi abusivi o di campi
provvisoriamente concessi. Inoltre, le difficoltà aumentano relativamente alla
peculiare localizzazione geografica del campo sosta: è evidente che
essere più o meno vicini all’area urbana può agevolare notevolmente la
conduzione della vita quotidiana, così come la presenza di servizi di
collegamento. Ora, mentre nel caso dei campi sosta regolari pare che la
localizzazione sia stato un fattore preso quasi sempre nella giusta
considerazione (come pure la presenza di autobus per i bambini che
frequentano le scuole), nei campi provvisoriamente concessi le
amministrazioni hanno spesso volutamente reso estremamente periferica la
presenza dei nomadi dal centro urbano. Gli ultimi due elementi di un certo rilievo che
questa brevissima ricognizione può evidenziare sono la forte presenza
della scolarizzazione presso la popolazione nomade dei bambini in età
scolare e la presenza di qualche timido inserimento dei maschi nel mercato
del lavoro (regolare o sommerso che sia). Nel primo caso, pur con la nota difficoltà ad una
frequentazione continuativa delle aule scolastiche, su può affermare che
il processo di scolarizzazione ha investito quasi tutti i nuclei
famigliari dei nomadi in Sardegna. Nel
caso del lavoro, nonostante molti luoghi comuni spesso presenti sul
fenomeno, in quasi tutte le comunità è stato registrata una certa
capacità dei maschi nel reinvestire energie, intelligenza e capacità in
attività artigianali tradizionali ma anche nel sapersi proporre in
mestieri gagé: pur in posizioni spesso marginali nel mercato del lavoro,
sottopagate, con orari difficili, abbiamo riscontrato casi di attività
regolarmente remunerate. Esiste poi il caso della costituzione di una
cooperativa agricola (grazie all’attiva collaborazione dell’Ente
Regionale di Sviluppo ed Assistenza Tecnica in Agricoltura) per la
coltivazione di un terreno di circa 3 ettari. Sono segnali interessanti, a
volte timidi a volte di spessore, ma a cui guardare con doverosa
attenzione.
4.1 Le
modalità di richiesta Prima di tentare alcuni ragionamenti in merito alle performances
della legge Tiziana è bene chiarire i meccanismi procedurali formali
previsti dalla legge per l’erogazione dei danari pubblici ai fini
previsti. E ciò per un motivo abbastanza semplice ma di primaria
importanza; ovvero, chiarire che – almeno sulla carta – non dovrebbe
essere complesso, se vengono rispettate le normali regole procedurali,
portare a buon esito qualche progetto finanziato dalla stessa legge. Dunque, tutti i potenziali proponenti, entro il 31
gennaio di ogni anno, possono presentare richiesta di finanziamento
allegando alla stessa il progetto per il quale si richiedono i danari: ciò
sia relativamente alla costruzione, alla manutenzione e gestione del campo
sosta e transito, o alle altre iniziative quali quelle di scolarizzazione,
istruzione, etc... Dopo tre mesi la Giunta regionale decide come
ripartire la somma stanziata annualmente per la legge Tiziana, con
un’attenzione più accesa per le aree urbane. Se i progetti presentati
sono ritenuti degni di attenzione da parte degli uffici competenti (si
tratta dell’Assessorato alla Sanità e ai Servizi Sociali), dopo il
decreto della Giunta i soggetti beneficiari possono fare affidamento sui
finanziamenti richiesti e iniziare i lavori, tranne nel caso della
costruzione di un campo sosta o transito; in tal caso la legge richiede
entro 30 gg. dall’approvazione del programma di riparto dei fondi che il
soggetto proponente presenti all’Assessorato regionale dei lavori
pubblici un programma completo e dettagliato sui lavori. Se, dopo 30 gg.
dalla presentazione del programma completo gli organi tecnici di tale
Assessorato non hanno fatto conoscere un motivato parere tecnico, il
soggetto proponente può dare inizio ai lavori (sulla base, cioè, del
tacito consenso-assenso). Dunque, al di là della costruzione del campo sosta o
transito, la procedura per tutte le altre iniziative previste dalla legge,
sembra che abbia una corsia più
veloce. Sembra, appunto. Sul
perché poi tali procedure, che sembrano
di semplice scorrimento, si complichino fino a impossibilitare la ricaduta
finanziaria presso gli enti potenzialmente beneficiari, entreremo nel
merito in seguito. (...) |
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