Rom
in Sardegna/2. Le
applicazioni della legge Tiziana di
Loredana Pireddu (...) 4.2
Il budget previsto Come
si ricordava all’inizio del contributo, la somma annua prevista nel
momento in cui nasceva la legge Tiziana era di 1 miliardo e 50 milioni. In
ragione dell’inesistenza di alcun campo sosta in Sardegna, in seno agli
uffici di istruttoria del programma di riparto finanziario si decise una
ripartizione della somma complessiva con uno sbilanciamento sostanziale
nei confronti delle attività di costruzione e manutenzione dei campi
sosta: un miliardo per questi e una cifra residuale per le altre attività
contemplate nella legge. Non si hanno ancora dati certi sui totali messi a
disposizione dal 1989 al 1997; si sono potuti raccogliere questi dati solo
a partire dal 1997 fino al corrente anno. E’ abbastanza evidente (tab.2)
come siano cambiati nel tempo sia gli stanziamenti complessivi che le
ripartizioni tra le due macro aree individuate (costruzione/gestione campo
e altre attività): nel 1997 e 1998 la cifra complessiva cresce fino a 1
miliardo e 100 milioni e, nello stesso tempo si ristabilisce una sorta di
differente equilibrio per il finanziamento delle diverse attività: cresce
il finanziamento per i progetti di educazione, scolarizzazione, formazione
professionale, fino ad arrivare a 300 milioni. Dal 1999 si inverte la tendenza e, di fatto, la cifra
complessiva a disposizione per le spese della Tiziana si riduce di più
della metà, calando a 500 milioni; tale cifra rimane identica l’anno
successivo per poi ridursi ulteriormente di altri 100 milioni nel 2001.
Infine, nel 2002 si stanziano 600 milioni con un riparto che dedica 2/3
della cifra alla costruzione e manutenzione dei campi sosta. Tab.2- Stanziamenti annui per le spese relative alla
legge 9/88.
Fonte:
Assessorato Igiene e Sanità e Assistenza Sociale della Sardegna Insomma, a monte delle possibilità di finanziamento
dei progetti ci sono, ovviamente le effettive disponibilità finanziarie
che, come abbiamo potuto vedere, variano nel tempo, riducendosi
notevolmente negli anni di oltre la metà. Ulteriori difficoltà per i potenziali progetti sono
da ricercarsi nella decisione di ripartire questa cifra in modo
“pesante” , a favore della costruzione e gestione dei campi sosta
lasciando spesso scoperte o del tutto assenti (come nel 2201) le
possibilità per le iniziative in merito all’istruzione,
all’organizzazione di corsi di formazione professionale, a tutte le
iniziative che possano in qualche modo favorire la conoscenza delle forme
espressive (culturali, artigianali) dei nomadi. Dunque, a parte i buoni propositi esposti
normativamente, sono mancati negli anni i normali mezzi finanziari di
concretizzazione degli stessi: lo spessore dei tagli decisi dalla RAS
parla da solo. 4.3 I finanziamenti richiesti, quelli ottenuti, quelli ottenuti ma non
spesi Come già detto, il nostro monitoraggio ha come arco
temporale gli anni che vanno dal 1997 al 2002 e riguarda i finanziamenti
richiesti alla RAS dai diversi enti pubblici. Parliamo di enti pubblici e
non privati perché questo è un dato importante da mettere in rilievo: la
legge è stata utilizzata quasi esclusivamente dalle amministrazioni
comunali. Né le province né gli altri enti intermedi sembrano mai aver
fatto richiesta in merito. Per ciò che attiene il mondo del volontariato,
risulta un solo finanziamento nell’arco di tempo considerato[6]. In questi ultimi sei anni sono stati presentati
complessivamente 39 progetti (vedi tab.3), ma non da tutte le
amministrazioni nel cui territorio sono presenti i nomadi. Delle 15 aree
interessate da questa presenza solo 10 amministrazioni comunali hanno
presentato delle proposte progettuali e solo 9 di esse hanno ottenuto una
risposta positiva, ma non su tutte le richieste di finanziamento: solo 2/3
di queste hanno infatti passato il vaglio della selezione in sede RAS e
sono dunque 26 i progetti che hanno ottenuto un riconoscimento finanziario
anche se, come vedremo in seguito, non della stessa cifra richiesta in
partenza. Ma,
come è ampiamente evidente dalla tabella 3, ottenere un finanziamento
sulla carta non significa poi vederne automaticamente eseguita la spesa
sul territorio del beneficiario: in molti casi (10 per l’esattezza) i
progetti proposti dall’ente comunale sono stati ritenuti degni di
attenzione, finanziati ma poi non spesi a livello locale o, in altri casi
(4) spesi solo parzialmente. Tab.3 – Numero di finanziamenti richiesti,
ottenuti, ottenuti e non spesi, spesi parzialmente (1997-2002)
Fonte: Ns.
Elaborazioni su dati Ass. Igiene e Sanità e diversi Enti Locali Alla fine, questa fredda e triste contabilità ci
racconta che solo 12 progetti hanno seguito il normale iter previsto:
presentazione - finanziamento - spesa finale: meno della metà dei
progetti finanziati e solo il 30% di quelli presentati. Questa realtà
tocca, più o meno, quasi tutte le amministrazioni coinvolte: accade
dunque che nella stragrande maggioranza dei casi, al di là della debole
portata di iniziativa delle amministrazioni comunali nel proporre progetti
a favore del mondo nomade, anche nel caso in cui il progetto venga
finanziato in seguito accade che, o viene abbandonata la realizzazione
concreta (l’iniziativa muore prima di nascere), o il progetto viene
ridimensionato in relazione alla cifra effettivamente elargita dalla RAS
(in media nettamente inferiore rispetto a quella proposta dalle
amministrazioni in base al progetto allegato) o la realizzazione viene
rallentata e diluita nel tempo. Dunque, poche proposte, pochissime
finanziate e ancora meno effettivamente attuate. Tab.4
– Finanziamenti richiesti, ottenuti, non spesi, effettivamente spesi (in
mil. di vecchie lire;1997-2002)
Fonte: Ns. Elaborazioni su dati Ass. Igiene e Sanità e diversi Enti Locali Se poi si rivolge l’attenzione alle cifre (tab.4),
la situazione si fa ancora più “drammatica”. Come è stato possibile
ricostruire, lo stanziamento complessivo di fondi previsto per questi
ultimi sei anni è stato di 4 miliardi e 200 milioni di vecchie lire (vedi
tab.2), una cifra sicuramente inferiore ai quasi 7 miliardi di
finanziamenti richiesti dagli enti locali nello stesso periodo. Questo
spiegherebbe il ridimensionamento delle cifre poi elargite deciso
dall’amministrazione regionale anche se, alla fine, la riduzione è
stata superiore di oltre un miliardo rispetto alle somme potenzialmente
disponibili. Questo è il risultato del diverso “affollamento”
temporale delle richieste di finanziamento: in certi anni gli enti locali
hanno richiesto somme evidentemente superiori alle concrete possibilità
economiche presenti nel budget previsto dalla RAS, in altri anni le
richieste sono state economicamente inferiori alle stesse possibilità di
budget. Ma, a nostro parere, il dato più “preoccupante”
sta nella differenza finanziaria tra ciò che le amministrazioni comunali
sono riuscite ad ottenere e ciò che sono riuscite effettivamente a
spendere: dalla tab.4 è evidente che, a fronte dei 3 miliardi e più di
100 milioni ottenuti, la capacità di spesa è stata solo di 1 miliardo e
300 milioni, con una perdita di danari di oltre 1 miliardo e 700 milioni.
Quindi solo una piccola parte dei finanziamenti ottenuti sono stati spesi,
mentre quasi il 60% sono stati definitivamente persi. Progettualità,
intelligenze, energie e speranze, pur avendo avuto un riscontro positivo
in sede di valutazione regionale, pur
avendo ottenuto un finanziamento, si perdono, svaniscono nel nulla.
Alghero, Carbonia, Selargius non spendono il 100% di quanto ottenuto;
Ghilarza, San Nicolò d’Arcidano e Sassari più del 60%; Porto Torres
quasi la metà del finanziamento ottenuto. Un
altro elemento connesso alla mancata concretizzazione del progetto è
invece il problema del ridimensionamento del budget proposto dagli enti
locali: spesso il progetto iniziale è completamente stravolto da
quest’opera di tagli ad opera della RAS. Di fronte alla prospettiva di
rivedere l’intero progetto o parti consistenti dello stesso, e messi di
fronte alla dura evidenza delle cifre effettivamente disponibili, diverse
amministrazioni comunali hanno abbandonato il progetto. L’azione di
taglio, spesso consistente, come si vedrà tra breve, pone poi il problema
della efficacia dell’intervento attuato; è un problema di qualità del
servizio che può essere messo meglio in rilievo solo con una ricerca ad
hoc, e a cui noi, per il momento, dedichiamo solo queste due righe. In
che prospettiva di lavoro si pone un operatore sociale o anche
l’assessorato ai lavori pubblici di un ente locale quando il respiro
della sua idea iniziale è stata ridimensionata fortemente nel budget
messo a disposizione? Che margini di manovra rimangono spesso al di là
della capacità di arrangiarsi
quando questa non è sorretta da una duratura e spesso interessata volontà di fare per i nomadi? 4.4
Le tipologie dei progetti finanziati Nella nostra ricognizione è stato possibile anche
ricostruire le tipologie dei progetti per cui è stato chiesto e ottenuto
il finanziamento. Tab.5
- Le tipologie dei progetti finanziati (in mil. di vecchie lire –
1997-2002)
Fonte:
Idem Anche se la tabella considera solo dati aggregati, già
a questo livello di analisi è possibile fare qualche considerazione
utile: innanzitutto sulla direzione del flusso dei finanziamenti. E’
dunque evidente che la maggior parte delle richieste si orienta verso la
costruzione e/o la manutenzione del campo sosta: circa il 72%
dell’intera cifra richiesta è per questo tipo di attività. Dunque
tutte le iniziative di socializzazione, scolarizzazione per minori, gli
interventi socio-professionali ed educativi per gli adulti, ma anche la
formazione professionale e le manifestazioni culturali a sostegno delle
peculiarità zingare appaiono fortemente minoritarie in
partenza. Ma questo svantaggio cresce in
uscita, ovvero dopo le decisioni di ripartizione effettuate dalla RAS:
i finanziamenti ottenuti per la costruzione del campo sosta e la
manutenzione dello stesso assommano quasi l’80% degli stanziamenti
ottenuti dalle amministrazioni e lo spazio per le altre attività viene
dunque ulteriormente compresse. Ma, l’elemento curioso
è che circa 1071 milioni dei 3104 ottenuti dalle amministrazioni non sono
stati spesi, e sono proprio quei danari che servivano per la costruzione
dei campi sosta (Alghero, Carbonia, Porto Torres, San Nicolò d’Arcidano):
di fatto, questa cifra dedicata ai campi sosta rappresenta più del 60%
dell’intera somma ottenuta ma non spesa e circa il 35% dello
stanziamento totale effettuato. Insomma, la RAS premia i progetti che vertono sui
campi sosta, ma sono proprio questi progetti, pur massimamente finanziati,
a non venire concretizzati, visto che le amministrazioni pur avendo i
danari non li spendono. Così, mentre i finanziamenti destinati alla
costruzione e alla gestione dei campi sosta o transito languono nelle
casse regionali in attesa di qualche segnale
di sveglia da parte degli amministratori comunali (segnale che non è
mai arrivato), le altre attività di importanza primaria per la
popolazione zingara si trovano letteralmente senza
benzina, penalizzate due volte:la prima, dalla decisione di squilibrio
nella ripartizione dei fondi da parte della RAS, la seconda nella
incapacità di spesa degli stessi fondi a livello locale. 5.
Perché non si spendono i soldi? Una situazione siffatta stimola, come è ovvio, una
serie di interrogativi sulle cause di difficoltà di spesa di tali danari.
Basterebbe infatti il buon senso a far scattare questa domanda: ma perché,
pur in presenza di finanziamenti, a volte consistenti, non si riesce a
spenderli? A
nostro avviso, evidentemente in modo schematico, si possono ravvedere due
livelli di analisi: il primo al livello RAS
e il secondo al livello locale. L’impossibilità di spendere dei danari è apparsa,
nella nostra ricognizione, un fatto abbastanza evidente nel caso in cui
chi è beneficiario di finanziamento non sia a conoscenza di questo
status; insomma, non sa di essere in possesso delle cifre che aveva
chiesto alla RAS (pur se, a volte, ridimensionate). Questa situazione è
l’esito di un buco nelle procedure organizzative regionali di
attribuzione dei fondi. Sintetizzando enormemente, dopo aver presentato il
progetto, l’ente locale lascia che la pratica segua la sua strada a
livello regionale, tale processo si distingue nelle seguenti fasi: presso
l’Assessorato all’Igiene e Sanità – una volta recepite tutte le
proposte per l’anno di riferimento – si attiva l’istruttoria delle
richieste. E’ in tale sede che si attua il programma di riparto delle
somme stanziate: un gruppo di lavoro analizza i progetti e le proposte e,
sulla base delle disponibilità di bilancio (che, come abbiamo visto in
precedenza, variano di anno in anno), sulla base delle richieste degli
anni precedenti e, last but not least, sulla base di criteri di determinazione
politica, il gruppo presenta un programma di spesa alla Giunta.
Solitamente la Giunta si fida del parere tecnico e, solitamente appunto,
approva il programma impegnando le somme con una Delibera. Il flusso non si ferma qui: infatti, se il progetto
riguarda la costruzione del campo sosta, la legge prevede che il
proponente (ente locale) presenti un progetto dettagliato. E qui sta il
punto, perché qualcuno interno alla RAS, deve proprio comunicare
all’ente locale l’avvenuta decisione della Giunta e la richiesta del
progetto dettagliato per la costruzione del campo. Se ciò avviene, e
l’Ente locale risponde positivamente e nei giusti tempi inviando il
progetto dettagliato all’Assessorato all’Igiene e Sanità, il
responsabile del settore prepara il Decreto il quale, in maniera
definitiva, da il via libera agli enti locali per l’acquisizione e la
spesa dei finanziamenti. Anche l’avvenuta decretazione va comunicata
agli enti locali. E’ solo a questo punto che l’intero flusso
procedurale e, soprattutto, l’intero flusso di informazioni ha toccato
tutti gli attori e il processo di costruzione delle premesse
burocratico-procedurali per la spesa può dirsi concluso. Ciò che abbiamo potuto riscontrare, è che, in
diversi casi (e proprio per i progetti le cui cifre erano consistenti,
come quelle per la costruzione del campo sosta), pur in presenza di
delibera, i responsabili della RAS non hanno fatto comunicazione e
richiesta agli enti locali del progetto dettagliato; oppure, pur in
presenza di delibera e decreto, gli stessi responsabili non hanno fatto
comunicazione di avvenuto finanziamento agli enti locali che, in questo
caso come nel primo, sono rimasti all’oscuro dell’avvenuto
riconoscimento finanziario delle loro precedenti proposte progettuali. Le motivazioni che si possono addurre alla mancata
comunicazione, a questo intoppo procedurale, sono, come è ovvio, diverse:
impreparazione professionale, incuria, semplice sbadataggine (…!), ma
non vogliamo entrare per ora nel merito della faccenda: a noi premeva
illustrare il meccanismo procedurale che, a questo livello, impedisce la
spesa di danari già stanziati. Esiste, però, un’altra responsabilità – quella
comunale, questa volta - che
impedisce la “chiusura del cerchio”: è accaduto infatti che, pur in
presenza di delibera, decreto e comunicazione agli enti locali
dell’avvenuta deliberazione e decretazione con seguente richiesta di
progetto dettagliato, il comune abbia, anche qui per le più diverse
ragioni, arenato il processo, non presentando il dovuto progetto
dettagliato e perdendo così la possibilità di spendere danari presenti e
di cui, questa volta sì, si conosceva l’esistenza. Se nel primo caso si può anche rimproverare all’ente locale una “mancanza di interesse” per i progetti presentati (nessuno si attiva in relazione alla Ras per chiedere notizie in merito alle richieste effettuate; domande tipo: che fine ha fatto quel progetto? È stato finanziato? Se no, per quali motivi? E così via, in una sequenza classica di domande che costituiscono la base per qualsiasi procedura di autovalutazione e monitoraggio interno che, evidentemente, spesso non è patrimonio dell’ente locale), in questo caso il buco procedurale appare di diretta responsabilità dell’ente locale. Anche in questa circostanza, le motivazioni che costruiscono il mosaico del perché ciò accade sono molteplici: si va dal cambio di giunta nel periodo che intercorre tra la presentazione del progetto e l’avvenuta comunicazione della decretazione, all’assenza o sostituzione del tecnico che in precedenza aveva predisposto il progetto iniziale, alle difficoltà di rivisitazione del progetto relativamente ai tagli finanziari effettuati a livello regionale (con l’attribuzione di una somma spesso di gran lunga minore di quanto richiesto inizialmente); è infine possibile che, in ragione delle limitate risorse umane interne, l’ente locale decida di “riordinare” la gerarchia degli impegni, mettendo agli ultimi posti quelli dedicati alla popolazione nomade. Qualche
conclusione Abbiamo potuto constatare, in questa brevissima e
parziale ricostruzione delle applicazioni della legge Tiziana negli ultimi
sei anni, come la somma dei problemi e delle difficoltà sia spesso
superiore a quella dei successi. Ci siamo soffermati poco su questi
ultimi, come non siamo entrati nel merito, né era possibile visto lo
spazio ridotto, della qualità dei progetti che hanno trovato il
finanziamento e sono stati implementati fino alla spesa di tutti i danari.
Né, d’altronde, siamo entrati nel merito della qualità dei risultati
dei progetti finanziati né di quelli che sono stati portati a termine.
Domande del tipo, quali le ricadute sulla popolazione nomade, quali le
migliorie nella vita quotidiana degli zingari e nelle relazioni con i gagé,
quali l’aumento di conoscenza presso i gagé delle usanze, dei costumi,
della mentalità zingara e, soprattutto, quale la consapevolezza delle
difficilissime condizioni di vita dei nomadi, sono state determinate
dall’avvio dei progetti finanziati con la legge Tiziana? In questo contributo abbiamo semplicemente - e un
po’ ragionieristicamente - fatto i
conti. Tutto sommato, il quadro che emerge non è esaltante: rispetto
alle somme potenzialmente disponibili, solo un terzo sono state
effettivamente spese, quasi la metà sono state ottenute grazie agli
sforzi progettuali delle sole amministrazioni comunali, ma poi sono andati
persi e non utilizzati per diversi motivi, con un evidente spreco di
risorse e energie. Questo spreco si è concentrato soprattutto sui
progetti più finanziati in partenza, cioè sulla costruzione dei campi
sosta, lasciando così infine scoperte entrambe le aree fondamentali: il tetto
e tutto ciò che attiene alla socialità,
all’educazione, al lavoro, e ciò proprio perché il tetto doveva essere
costruito e invece ciò non è stato. [1]
L. Piasere, Un mondo di mondi:
antropologia delle culture rom, Ed. L’ancora, 1999. [2] Sul punto, e in particolare sulle implicazioni di relazione nomadi-gagé nella pratica della mendicità, vedi: L. Piasere, “Antropologia sociale e storica nella mendicità zingara”, in Polis, n.3, 2000; E. Tauber, “L’altra va a chiedere. Sul significato del mangapen tra i sinti estraiXaria”, in Polis, n.3, 2000; A. R. Calabrò, Il vento non soffia più. Gli zingari ai margini di una grande città, Ed. Marsilio, Venezia, 1992; M. Karpati, (a cura di), Zingari ieri e oggi, Ed. Lacio Drom, Roma, 1993. [3] F. Tönnies, Comunità e società, Ed. Comunità, Milano 1963. [4] La letteratura sui “blocchi” della pubblica amministrazione italiana è sterminata; per tutti F. P. Cerase, Pubblica amministrazione. Un’analisi sociologica, Carocci, Roma 1998. [5] Fino al 1996 era presente anche una comunità zingara a Ghilarza, composta da 4 nuclei di circa 30 persone. [6] Nel 1997 è stato finanziata una iniziativa dell’Associazione Italiana Zingari Oggi (AIZO) tesa a favorire la conoscenza e la tutela delle forme espressive, delle tradizioni culturali e delle produzioni artistiche degli zingari. Si ricorda che la nostra è una semplice indagine esplorativa con i limiti conoscitivi della stessa: sono dunque probabili eventuali carenze informative su ulteriori progetti proposti dal volontariato alla RAS, mentre un margine di certezza in più proviene per ciò che attiene alla progettualità degli enti locali.
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