Circolare n° 4
Una contraddizione della religiosità orientale:
sentirsi Dio senza esistere
II e III Sentiero
La religiosità orientale dice all’uomo che è Dio, ma poi gli dice che non esiste.
Molti orientalisti di casa nostra dovrebbero riflettere su questo assurdo con cui si promette tanto, ma poi si toglie ancora di più

 

C’è una canzone di Giorgio Gaber che dice: “Non riesco a digerire i corsi accelerati da Lenin all’Oriente”. E’ una canzone degli inizi degli anni ’70, che parla di un fenomeno allora ancora ridotto ma che sarebbe aumentato negli anni successivi, ovvero la “migrazione” di molti sessantottini e marxisti delusi verso le rive del Gange.

Eppure c’era e c’è un perché a tutto questo.

E’ sotto gli occhi di tutti che una certa mentalità moderna riesce a “flirtare” con la religiosità orientale molto meglio che con il cristianesimo.

Precisiamo. Quando parliamo di “modernità” intendiamo una categoria filosofica e non il progresso scientifico-tecnologico in quanto tale. La “modernità” è un giudizio culturale e non la lavatrice, l’asciugacapelli o l’automobile.

Ebbene, tra “modernità” e cristianesimo c’è un’incompatibilità di fondo, perché essa (la “modernità”) si è costruita sulla pretesa di rendere l’uomo autosufficiente, dio di se stesso, allergico nei confronti di qualsiasi autorità esterna alla sua coscienza.

Il cristianesimo, invece, si pone in una dimensione completamente diversa, afferma che l’uomo è creatura e che Dio è creatore, che l’uomo sarà sempre dipendente e giudicato da Dio e che l’uomo non può realizzarsi e salvarsi se non nell’appartenenza a Dio stesso.

Da qui l’incompatibilità. Da una parte, nella “modernità”, l’uomo deve cercare l’onnipotenza; dall’altra, nel cristianesimo, l’uomo deve appassionarsi alla sua dimensione di creatura.

Con la religiosità orientale il “flirt” è invece possibile; nel senso che questa religiosità non solo non condanna la pretesa dell’uomo di svincolarsi da qualsiasi giudizio, ma arriva a qualcosa di più grosso, arriva a dire che ogni uomo è Dio. Certo, lo afferma con tutta una serie di argomentazioni complicate, ma di fatto lo afferma. Dice che, non essendoci differenza nella sostanza tra l’uomo e tutte le cose e tra l’uomo e il divino (monismo), l’uomo, nel suo spirito, è espressione del divino, è Dio stesso. Capite bene che questa è dolce melodia per le orecchie della “modernità”. Sentirsi dire “tu sei Dio” è ciò di quanto più “moderno” si possa ascoltare.

Ma, c’è sempre un “ma”.

A cosa serve sentirsi dire “tu sei Dio” se poi bisogna convincersi di non esistere?

Ci spieghiamo meglio.

La religiosità orientale, da una parte, afferma che ogni uomo è Dio perché “scintilla” che si è momentaneamente separata dal divino; dall’altra, afferma che l’io individuale non esiste. Non esiste perché ogni uomo è una “scintilla” che è destinata a ritornare nel divino stesso. L’uomo non c’è come “sostanza”. Ecco perché si parla di reincarnazione; perché l’individualità determinata nella storia umana sarebbe solo apparente e transitoria.

Ora –chiediamoci- a cosa serve sentirsi dire “tu sei Dio” se poi mi si dice anche “tu non esisti”; che ne facciamo della “divinità”, se poi non esistiamo?

Insomma, la religiosità orientale da una parte dà, dall’altra toglie!

Il cristianesimo, invece, pur affermando “tu non sei Dio, ma creatura”, dice anche che l’individualità non è un’onda sulla superficie del mare destinata a scomparire nel mare stesso, non è un incidente di percorso, ma realtà duratura ed eterna. Ci dice che ognuno di noi vivrà come “io” per l’eternità.

E questo vuol dire che tutti gli affetti che noi costruiamo in questa vita non sono illusioni, ma realtà durature che possiamo incontrare di nuovo nell’eternità.

Nella religiosità oritentale, invece, gli affetti non contano nulla. Se l’io individuale non esiste, chi siamo noi che amiamo e chi sono le persone oggetto del nostro amore?

A tal riguardo ha scritto molto bene monsignor Martensen, già vescovo di Copenaghen: Isacco non era evidentemente la stessa persona rispetto ad Abramo, tanto meno una sua reincarnazione. Giacobbe non era la stessa persona rispetto a Isacco o Abramo, e nemmeno una reincarnazione di uno di loro. Dio ha amato tre persone diverse nella particolarità individuale. E adesso Dio non sta seduto nel cielo a piangere, perché certe persone che ha amato non ci sono più. Dio non può dimenticare nessuno di loro. Per questo non può lasciarli in potere della morte. Vengono all’esistenza per vivere in eterno per Dio, e quindi Dio é il Dio dei vivi e non dei morti. (...) Dio crea, chiama, e sceglie, e conosce in anticipo: Egli é padre di un popolo grande di figli, dove ciascuno ha il suo valore speciale e unico. Come é assurdo consolare una madre che ha perduto sua figlia dicendo: “Non importa, avrai un’altra figlia”, nello stesso modo sarebbe assurdo che i figli di Dio sparissero per essere rimpiazzati con sempre nuove reincarnazioni. No, ognuno singolarmente ha un valore insostituibile, perché Dio ha creato e amato ciascuno singolarmente.”

 

 

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