Circolare n° 6
Problemi di questo…o dell’altro mondo?
I e III Sentiero
Certa teologia contemporanea spinge il cristiano a vedere i problemi dell’al di qua come i problemi più gravi. Ma può un cristiano ragionare così?
E non c’è il rischio di far entrare in contraddizione il Cristianesimo stesso?

 

Per tanti, troppi, cristiani oggi i veri problemi sono tutti nel mondo: la guerra, il terrorismo, la fame, l’ingiustizia sociale.

Tutti problemi seri, per carità! Ma sono davvero i problemi più gravi?

Forse, a riguardo, un po’ di ripasso del catechismo non farebbe male. Dio non è venuto nel mondo per eliminare la guerra e il terrorismo, né per offrire il panino a tutti risolvendo i problemi della fame e della giustizia sociale, ma per portare la salvezza con la “S” maiuscola.

Certo, i cristiani devono anche alleviare questi problemi, sforzarsi di costruire un mondo dove questi problemi possano essere ridotti il più possibile; ma prima di tutto devono essere portatori di quella salvezza che il Dio incarnato, patendo e morendo, ha conquistato per noi.

Il cristiano deve convincersi che il problema più grande è il peccato, e che è questo la causa di tutti gli altri problemi: guerra, ingiustizia, ecc. E deve convincersi anche che la disgrazia più grande non è la guerra, ma perdere il Paradiso.

Eppure, oggi, queste cose non vengono sempre dette; e la confusione regna.

Ma perché non vengono sempre dette?

Per almeno due false convinzioni che hanno caratterizzato e che caratterizzano la teologia contemporanea.

1.     La convinzione secondo cui l’Incarnazione sarebbe un avvenimento non solo redentivo ma anche salvifico indipendentemente dalla scelta individuale.

2.     La convinzione secondo cui la storia non sarebbe solo il “luogo” della Rivelazione ma Rivelazione anch’essa.

Semplifichiamo.

La prima convinzione dice che il Verbo, incarnandosi, non solo ha redento il mondo ma ha salvato automaticamente tutti gli uomini. Questi, indipendentemente dall’esercizio della loro volontà e libertà, quasi per inerzia sarebbero salvati grazie alla Passione e alla Morte di Gesù.

La seconda convinzione, invece, dice che la storia non sarebbe solo il campo in cui l’uomo è chiamato a scegliere tra Dio e il male, ma una sorta di rivelazione che in maniera incontrovertibile condurrebbe l’uomo e le civiltà verso il progresso materiale e la salvezza eterna.

E’ evidente che da queste convinzioni non può che venirne fuori un’altra, e cioè che, risolto il problema della vita eterna (tutti si salvano), non resta che risolvere il problema della vita su questa terra. Tutti i nostri sforzi e tutte le nostre preghiere dovrebbero solo rivolgersi alla risoluzione dei problemi di questo mondo.

Questo modo di pensare, però, non solo va contro la dottrina di sempre della Chiesa, ma dimostra una fragilità enorme.

Se Dio ha già salvato tutti, perché permette la sofferenza? Perché permette l’ingiustizia? Perché soffre un bimbo? Perché avvengono catastrofi in cui a morire sono migliaia e migliaia di innocenti? A cosa serve questa sofferenza? A cosa l’ingiustizia?

E’ mai possibile che un Dio a cui non serve la nostra libertà, possa poi permettere la sofferenza per provare la nostra libertà?

C’è una grande contraddizione in questo errato modo di pensare. Da una parte, ci si concentra sul mondo per rendere Dio troppo amico del mondo; dall’altra, è proprio ciò che accade nel mondo a dimostrare la “spietatezza” di Dio. Infatti, che senso ha la salvezza ultraterrena di tutti se poi su questa terra permarrebbe la più grande ingiustizia: il dolore ripartito in parti non uguali, l’innocente che può soccombere e il malvagio che può prosperare?

Dobbiamo invece tener presente che la Verità rivelata, la dottrina cattolica, è così perfetta e armonica che, quando volessimo togliere qualcosa o annacquare altro, non solo non raggiungeremmo lo scopo, ma renderemmo tutto palesemente contraddittorio.

Questo è stato ed è il destino di certa teologia contemporanea: alla prova della logica e del buon senso, è costretta a sciogliersi come la neve al sole.

 

 

 

 

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