Circolare n° 89
Senza la sofferenza, il Cristianesimo non c’è!
Primo e Terzo Sentiero
Una meditazione per la Settimana Santa.
La cosiddetta “Teologia della Croce” oggi è volutamente dimenticata.
Dà fastidio.
La si nega perché la si ritiene incompatibile con la bontà di Dio, ma non ci si rende conto che, negandola, si contraddice il Cristianesimo stesso
 e Dio diventa veramente “cattivo”.

 

Il Cristianesimo è chiaro. Fin troppo. Anche se negli ultimi tempi si tenta di annacquarlo. La vita soprannaturale vale più di quella naturale. Meglio: se davvero si vuole salvare il corpo bisogna prima salvare l’anima. D’altronde quando ci sarà la resurrezione dei corpi, i dannati risorgeranno con un corpo abbruttito, mentre i beati con un corpo bello, glorificato. Viene da pensare a tanti che vivono solo per il proprio corpo, ad attrici che fanno del proprio corpo uno strumento di mercificazione e poi che ne sarà del loro corpo? Spesso il Signore sembra divertirsi. Vi ricordate di santa Bernadette Soubirous (la veggente di Lourdes)? Era malaticcia dalla nascita, oggi si direbbe: aveva una bassa aspettativa di vita (infatti morì ad appena trentacinque anni). Contrasse una tubercolosi ossea che la condusse alla morte. Ebbene, oggi, a Nevers, il suo corpo è possibile venerarlo intatto. Sembra che Bernadette stia dormendo. Quale corpo più fragile del suo? Eppure è lì, misteriosamente incorrotto! I corpi di uomini che in vita scoppiavano di salute sono, dopo la morte, quello che sono; quello di santa Bernadette, sempre malato e fragile, è lì, vittorioso sulla corruzione.

Ma ritorniamo al punto dove siamo partiti, cioè che per il Cristianesimo la salvezza dell’anima viene prima di tutto. C’è un passaggio del Vangelo che spesso viene trascurato. Sono i versetti da 1 a 5 del capitolo 13 di san Luca. A Gesù chiedono perché quei galilei che erano saliti al Tempio per sacrificare a Dio erano poi stati uccisi da soldati di Pilato (forse sospettati di organizzare una sommossa antiromana). Gli chiedono: perché Dio ha permesso questo mentre quei galilei stavano addirittura compiendo il massimo rituale del Giudaismo? Gesù risponde dicendo che la spiegazione non sta nel fatto che quei galilei fossero più colpevoli degli altri e poi aggiunge: “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. E Gesù va oltre ed evoca il crollo della Torre di Siloe che rovina uccidendo ben diciotto persone (forse una scossa di terremoto, non si sa) e Gesù risponde dicendo la stesa cosa. Quei diciotto sono morti non perché fossero più colpevoli, ma: “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.”. Cosa vuol dire Gesù? Che è giusto rammaricarsi quando avviene una disgrazia, ma che più importante della salvezza del corpo è la salvezza dell’anima. Quel “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” sta a significare: Attenzione. La fine che deve spaventare di più è la dannazione eterna!

Oggi, diciamolo francamente, c’è una sorta d’immanentizzazione del Cristianesimo, che, per dirla più semplicemente, è una sorta di paganizzazione. Si fanno tanti sacrifici per curare il proprio corpo (bene!), si fanno migliaia di chilometri per andare a farsi curare nel migliore ospedale (bene!), ma quanti e quali sacrifici si fanno per guarire l’anima? E questo perchè? Perché non si crede più nell’inferno. Eppure la Madonna a Fatima è venuta unicamente per chiedere preghiere (in particolar modo la recita del Rosario) e sacrifici per evitare che molti peccatori vadano all’inferno. E ha fatto vedere l’inferno. Racconta suor Lucia: “Dicendo queste ultime parole, (la Madonna) aprì di nuovo le mani come nei due mesi passati, un riflesso di luce che esse emettevano parve penetrare la terra e vedemmo come un grande mare di fuoco e immersi in questo fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate, di forma umana, che ondeggiavano nell’incendio, sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti -simili al cadere delle scintille nei grandi incendi- senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti, come neri carboni di bracia.”

Ma non ci si accorge che ridurre il Cristianesimo solo a risposta per l’al di qua e negare l’esistenza dell’inferno vuol dire negare la sostanza stessa del Cristianesimo e trasformarlo in una grande contraddizione. Se il Paradiso è una specie di grande magazzino dove si entra come e quando si pare, se l’inferno non esiste perché  -si dice-  Dio non può condannare alla pena eterna, ma allora  -verrebbe da chiedersi- perché Dio permette la sofferenza umana? Perché, incarnandosi, ha sofferto come ha sofferto? A che pro? Tutto perde significato e Dio, paradossalmente, diventa cattivo. Eh sì, perché se non esiste l’inferno, allora perché Dio permette che un bimbo soffra e muoia? Si ricordi, infatti, che se non tutto ciò che avviene necessariamente è voluto da Dio, certamente tutto ciò che avviene  è permesso da Dio.

La risposta è proprio nella Passione di Cristo. Il Verbo incarnato avrebbe sofferto così tanto se non esistesse l’inferno? Non ci si rende conto che negare tutto questo, è come dire al Signore di aver esagerato, di aver inutilmente effuso il Suo sangue per ognuno di noi.

Certo, il momento finale del Cristianesimo non è la Croce ma la Resurrezione, d’altronde san Paolo è fin troppo chiaro quando dice: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”(1 Corinzi 15-17); ma è pur vero che il momento apicale, più rappresentativo del Cristianesimo stesso è la Croce, dove massimamente si manifesta l’amore di Dio per l’uomo, dove si è risolto il problema più importante dell’uomo del dopo peccato originale, che è la morte dell’anima ancor più grave della morte del corpo. Ed ecco perchè il segno rappresentativo del Cristianesimo è la Croce. Dunque, dimenticare o solo sorvolare sulla Teologia della Croce significa nullificare il Cristianesimo stesso.

Ma facciamo un’ultima considerazione. A molti la Teologia della Croce (quindi sottolineare il valore redentivo della sofferenza) dà fastidio, fa paura. Non ci si accorge, però, che proprio attraverso questa Teologia, la vita diventa più bella. Ragioniamo. Se la vita è un campo di battaglia per conquistare il Paradiso (non a caso nel catechismo si parla di “chiesa militante”), allora sì che la vita acquista senso. Oggi ci si diverte continuamente, sembra che tutto debba essere finalizzato al divertimento, eppure c’è tanta infelicità. Forse perchè le malattie sono in aumento? Affatto. Nei secoli scorsi poteva bastare una febbre per morire. Piuttosto la risposta è in altro: oggi l’uomo non sa più soffrire. Se c’è qualcosa che va storto, tutto diventa insopportabile. Invece, quando si capisce che la vita è una battaglia, se ne coglie il senso proprio quando le cose non vanno bene.

  Nella vita dei santi quanta sofferenza fisica e soprattutto morale; eppure i santi non hanno mai perso la letizia, proprio perché hanno visto nella sofferenza qualcosa che avesse senso nell’economia della salvezza propria ed altrui.

 

 

 

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