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UNA VOCE IN PIU'
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Ernesto Bodini
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Giornalista scientifico * Studioso di storia della medicina e di problematiche socio sanitarie. Autore di ricerche e studi sulle fonti della pratica terapeutica nelle varie culture.

 

 


Schweitzer: l’oganga alsaziano

… sbarcò a Lambréné, sulle rive del fiume Ogoouè, con la moglie Hélène e la pesante eredità…, in un mondo dove imperavano la lebbra, la mosca tsè-tsè, la malaria, la superstizione e la fame, in un clima equatoriale pesante di umidità. In difesa dei più deboli e diseredati, sosteneva: "L’etica del rispetto per la vita richiede che ognuno di noi, in qualche modo e in qualche misura, agisca come uomo verso gli altri uomini. Quelli che nella loro occupazione non hanno la possibilità di prodigarsi in tal modo e che non posseggono altro da poter donare devono sacrificare un po’ del loro tempo libero, per quanto scarso esso possa essere"

 

Il principio fondamentale del pensiero di Albert Schweitzer è il costante richiamo al "rispetto per la vita", applicato ad ogni settore dell’attività umana che entri in contatto con esseri viventi. L’uomo ha la possibilità di agire in favore della vita o di recarle danno, nei rapporti con il prossimo e nel suo atteggiamento nei confronti della natura, fino ai grandi problemi del nostro tempo legati alla pace, alla crescita sociale, alla cultura, alla ricerca scientifica, all’ecologia.

Nella sua profonda attività intellettuale, sia in Africa sia in Europa, Albert Schweitzer ha espresso questo principio nel quadro del pensiero teologico e filosofico. Il diritto alla vita, la sua libertà e dignità, il suo sviluppo, il suo valore sono, nella loro complessità, temi fondamentali del nostro tempo. E in tempi come questi, si tira un sospiro di sollievo a poter parlare e sentir parlare della vita e del pensiero di un "vero" protagonista dell’umana solidarietà quale è stato Albert Scweitzer, la cui esistenza lo ha visto dedito ad impegni e scelte di elevato valore sociale, quali la teologia, la musica, la medicina; ma anche alla riflessione sulla filosofia della civiltà.

Quest’uomo avvertiva insistentemente l’esigenza di rispondere ai bisogni dell’umanità. "Anche da bambino – ricorda Luigi Grisoni, in un passo della ricca biografia dedicata al medico alsaziano – a scuola mi era chiaro che nessuna spiegazione del male nel mondo mi avrebbe mai soddisfatto. Sentivo che tutte le spiegazioni finivano con stupide scuse alla base delle quali non c’era altra motivazione che quella di rendere possibile alla gente di rendersi conto della infelicità circostante senza avvertirla realmente". Schweitzer intendeva impegnarsi in un servizio direttamente umanitario: intervenire a favore degli umili e diseredati, raccogliere i bambini abbandonati e occuparsi di loro, ma le regole di assistenza ai bambini abbandonati non consentivano di occuparsene in maniera non ufficiale; e il richiamo di coloro che soffrivano in paesi bisognosi di ogni intervento aveva su di lui il sopravvento. Ed è proprio per le sue profonde convinzioni e di fronte a queste realtà che decise di diventare medico per l’Africa, e di esprimere in prima persona i dolori del mondo e di tentare di alleviarne le sofferenze.

Nato il 14 gennaio 1875 a Kaysersberg nell’Alta Alsazia, Albert frequenta il ginnasio di Mulhouse e poi l’università di Strasburgo, dove si laurea in filosofia nel 1899 e prende nel 1902 la libera docenza in teologia. Nel 1911 si laurea in medicina e, a Parigi, si specializza in malattie tropicali. Due anni dopo sbarcò a Lambaréné (un piccolo villaggio del Gabon, sulle rive dell’Ogoouè) con la moglie Hélène Bresslau che gli fu sempre vicina in quella straordinaria avventura in un mondo dove imperavano la lebbra, la mosca tsè-tsè, la malaria, la superstizione e la fame, in un clima equatoriale pesante di umidità.

Nel giro di pochi mesi l’"oganga" (stregone bianco, in dialetto galoa) aveva a disposizione il suo primo ospedale: una baracca di otto metri per quattro (ricavata da un vecchio pollaio abbandonato), con tetto di foglie, contenente ambulatorio, sala operatoria, farmacia e uno stanzino per la sterilizzazione. Doveva inoltre trattare polmoniti e cardiopatie, ed improvvisarsi urologo, mentre per la chirurgia interveniva su ernie e tumori elefantiaci. La miseria e le malattie regnavano in misura superiore alle pessimistiche previsioni del dottor Schweitzer che, per prima cosa, separò gli ammalati contagiosi dagli altri; poi iniziò le sue visite lì, all’aperto, davanti al vecchio pollaio e sotto un sole di piombo.

Ma non era il lavoro, benché intenso, che pesava al "grand docteur" (così era chiamato dagli indigeni), quanto le preoccupazioni e la responsabilità ad esso inerenti, come pure l’intenso rapporto con la popolazione primitiva. Egli ritenne che la migliore medicina per qualunque malattia potesse avere (all’inizio della mezza età fu colpito da una grave malattia) era la consapevolezza di avere un lavoro da svolgere, più un sano senso dell’umorismo. Una volta disse che le malattie tendevano a lasciarlo molto rapidamente perché nel suo corpo trovavano così poca ospitalità. "Osservarlo al lavoro nel suo ospedale di Lambaréné – riferisce il dottor Norman Cousins, senior lecturer alla Scuola di Medicina dell’Università di Los Angeles, autore tra l’altro di un volume dedicato alla vita del medico alsaziano – era vedere la determinazione umana nel soprannaturale. Durante la sua giornata, anche vicino ai novant’anni, egli era solito svolgere i suoi compiti nella clinica, compiere i suoi giri, attendere ai pesanti lavori di falegnameria, spostare pesanti scatoloni di medicinali, lavorare alla corrispondenza, dedicare del tempo ai suoi manoscritti non ancora finiti a suonare l’organo".

Dell’umorismo si serviva in modo così artistico tanto da considerarlo come uno strumento musicale. Come suo amico Pablo Casals (famoso violoncellista), Albert Schweitzer non lasciava passare giorno senza suonare Bach. Il suo pezzo preferito ara la "Toccata e fuga in Do minore". Le sue abili mani controllavano perfettamente la composizione ed egli riusciva a ben definire, come nell’intento di Bach, ogni nota, ciascuna col suo peso e il suo valore, eppure tutte strettamente allacciate le une alle altre per creare un tutto ordinato. La sua straordinaria abilità gli valse molti riconoscimenti in tutta Europa e lauti compensi che gli permisero di finanziare la sua attività ospedaliera. Secondo il suo pensiero, l’affermazione etica della vita è l’atto intellettuale per il quale l’uomo cessa di vivere come capita, e comincia a riflettere sulla propria vita, così da tentare di coglierne appieno il valore. "L’etica del rispetto per la vita – sosteneva – richiede che ognuno di noi, in qualche modo e in qualche misura, agisca come uomo verso gli altri uomini. Quelli che nella loro occupazione non hanno la possibilità di prodigarsi in tal modo e che non posseggono altro da poter donare devono sacrificare un po’ del loro tempo libero, per quanto scarso possa essere".

Molte persone, oltre a medici ed infermieri, seguirono il suo esempio e si dedicarono al servizio di opere umanitarie o missionarie in Africa. Schweitzer usò la sua fama per ispirare gli altri in un impegno come il suo, per il rispetto della vita in ogni sua forma, sulla comprensione dei popoli africani, e sulla pace nel mondo. Ma sembra impossibile che ancora oggi, entrati nel Terzo Millennio, persistano eccessive difficoltà ogni qualvolta si intende "agire con solidarietà" nei confronti del prossimo, nonostante una maggior disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e di risorse di ogni genere; mentre ai tempi di Schweitzer (le cui convinzioni lo condussero ad affermare verità scomode: dalle responsabilità dei bianchi verso le genti di colore al pericolo della guerra atomica…), il sentimento della solidarietà era l’unico mezzo che consentiva di rispondere concretamente agli appelli del medico alsaziano. E ciò in presenza di due conflitti mondiali, di problemi etico-filosofici, di legislazioni non progressiste…

Insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1952 (con il quale poté portare a termine il suo villaggio dei lebbrosi), il dottor Schweitzer morì il 4 settembre 1965 nel suo villaggio africano (sepolto accanto alla moglie, deceduta nel 1957). Il suo ricordo ci conduce a propositi di elevato valore umanitario che ben ricalcano una delle sue più celebri frasi: "Quello che tu puoi fare è una goccia nell’oceano, ma è ciò che dà significato alla tua vita".

Ernesto Bodini

(giornalista medico-scientifico)

 

 

Il ruolo della Fondazione

Oltre alla "Fondation Internationale de l’Hòpital du docteur Albert Schweitzer a Lambaréné (con sede in Gabon), è stata fondata (nel 1989) l’associazione italiana d’aiuto all’Ospedale Albert Schweitzer di Lambaréné, diretta dal suo stesso promotore e segretario generale dottor Adriano Sancin, che ha sede a Trieste in via Dei Soncini 139 – Telef. 040/274.634 - 814.135.

Oltre a sostenere e diffondere l’opera spirituale del "Grand docteur", l’associazione italiana si prefigge di fornire assistenza materiale e morale per realizzare progetti specifici di collaborazione sanitaria in favore dell’Ospedale. La stessa si finanzia attraverso lasciti, donazioni o contributi da parte di enti pubblici o semplici privati.

 

 


 


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Ernesto Bodini

L'Autore della Caricatura è il Signor Carlo ...?.....

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