Capitolo 1
Nascita e sviluppo della Bibbia


INDICE DELLA PAGINA

1. Infanzia e adolescenza della Bibbia

Il primo nucleo della Bibbia fu costituito dalla Torah che usualmente si traduce con "Legge". In realtà il vocabolo, provenendo dal verbo jaràh "insegnare", equivale ad "insegnamento". La Torah contiene infatti l'insegnamento che fu trasmesso agli Ebrei dal Pentateuco, ossia nei "cinque libri" (da pente = cinque e teucos = volume, libro) attribuiti a Mosè. Esso si trova non solo nelle parti legislative, ma anche in quelle narrative, perché il racconto biblico non è inteso come una pura cronaca del passato a sé stante, bensì come il resoconto di eventi normativi, carichi di insegnamenti d'importanza vitale.

Nel corso del volume conserverò il nome di "Legge", ormai codificato, perché, attraverso il greco nòmos, prevale nell'uso comune e lo riserverò al Pentateuco contenente la legislazione ebraica, considerata di origine divina, proveniente da Mosè.

Il seme della Torah fu infatti gettato da lui nella steppa sinaitica, quando egli stesso, secondo l'uso degli antichi popoli, mise per iscritto alcuni fatti importanti e alcune norme divine. Ad esempio egli redasse in "un rotolo" la vittoria sugli Amalekiti per conservarne il ricordo in perpetuo (Es 17, 14). Egli scrisse pure tutte le parole del Signore ('Adonaj) e tutte le sue leggi (Es 24, 3 s); ordinò che il "rotolo della legge", che aveva appena finito di scrivere, fosse posto nell'arca dell'alleanza, dove si pensava che Dio mostrasse in modo particolare la sua presenza (Dt 31, 24 s). Perciò anche allo stesso libro gli Ebrei attribuirono un valore profetico e divino: « Egli Mosè scrisse questa legge e la diede ai sacerdoti, figli di Levi, che portavano l'arca dell'alleanza del Signore . . . Alla fine di ogni sette anni, quando tutto Israele verrà a presentarsi dinanzi al Signore, tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto, leggerai questa legge di fronte a tutto Israele, agli orecchi di tutti » (Dt 31, 9-10) (1)

Evidentemente questo passo è l'annotazione di colui che ha dato la forma definitiva al Pentateuco, perché Mosè non poteva parlare così di sé stesso ("egli scrisse"). Se la legge indica le parti da lui scritte, implicitamente vuol dire che altre parti non furono messe per iscritto da lui, ma trasmesse per lungo tempo in forma orale da conservarsi a memoria.

Fin dall'inizio, a mano a mano che la legge veniva scritta, godette di un valore sacro e normativo. Il "Libro del Patto" fu subito accolto come parola di Dio (Es 24, 7). Giosuè chiamava lo scritto ricevuto da Mosè " il libro della legge di Dio" (Gs 24,26). Egli stesso avrebbe dovuto meditarlo di continuo: « Questo libro non si diparta mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte » (Gs 1, 8). In accordo con questo scritto, Amasia, re di Giuda (796-731), fece uccidere i servi che avevano assassinato il suo predecessore Joacaz, ma non ne mise a morte i figli «secondo ciò che stava scritto nel libro di Mosè » (2 Re 14, 6 da Dt 24, 16).

In due occasioni Israele si obbligò in modo solenne a obbedire alle leggi che Dio gli aveva dato "per mezzo di Mosè"; una al tempo di Giosia (640-609) e l'altra dopo l'esilio durante la riforma di Esdra e di Nehemia. In entrambi i casi la lettura della legge suscitò entusiasmo e rimorso nel popolo che si propose di seguire più perfettamente la volontà divina e di rimuovere la condotta disordinata del passato. Nel primo caso la legge era il Deuteronomio o "seconda legge" (ebr. Devarîm) che riproduceva, adattandola alle nuove esigenze, la legge mosaica, o almeno la parte centrale legislativa del libro, che aveva ispirato la riforma di Giosia. Tale rotolo che era andato perduto o tenuto nascosto, certamente dimenticato, durante il periodo dei re idolatri Manasse (687-642) e Amon (642-640), fu riscoperto al tempo di Giosia e costituì la base della sua riforma (2 Re 22-23; 2 Cr 34-35).

Al tempo di Esdra (V-IV secolo a.C.) (2) sembra che la parola "legge" indicasse già l'attuale Pentateuco nella sua forma finale: «Allora il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza antistante la porta delle acque e disse ad Esdra di portare il libro della legge di Mosè, che il Signore aveva dato a Mosè » (Ne 8, 1 cfr Ed 7, 6). La riforma allora attuata riguardava infatti la separazione da ogni straniero (Ne 13, 1 ss; cfr Dt 23, 3 s), il rispetto del sabato e il compimento dei sacrifici richiesti (3) . Che la parte scritta, pur avendo il punto di partenza da Mosè e pur essendo sostanzialmente mosaica, sia stata completata da altri, risulta chiaro dalle stesse testimonianze bibliche. Giosuè, ad esempio, aggiunse "al libro della legge di Dio". lo statuto stipulato a Sichem (Gs 24, 26). Inoltre le diverse esigenze della vita esigevano un perenne adattamento delle norme anteriori alla nuova situazione. Lo testimonia lo stesso Mosé quando prima disse che la terra palestinese sarebbe dovuta essere divisa tra i clan maschi (Nm 26, 55), ma poi vi incluse anche quelli femminili nel caso che vi mancassero eredi di sesso maschile; però in tal caso le ragazze dovevano sposare membri dello stesso gruppo familiare perché la proprietà non passasse ad altri ceppi. La legge sui sacrifici andò maggiormente liturgizzandosi nel corso dei secoli, con norme sempre più fisse e particolarregiate secondo la pratica del culto di Gerusalemme (4) La stessa "legge del re", di cui parla Samuele e che ricorre nel Deuteronomio, deve essere stata composta nel periodo dell'istituzione monarchica. Non si capisce infatti la difficoltà del profeta a scegliere un re, quasi che tale struttura gerarchica fosse contro il volere di Dio, qualora Mosè avesse già chiaramente preannunciato la forma di governo monarchico con tutte le norme che lo riguardavano. Esse risalgono a Samuele, non a Mosè (cfr Dt 17, 14-20 con 1 Sm 8, 11-18).

Ad ogni modo il Pentateuco aveva già assunto la sua forma definitiva prima dello scisma samaritano, realizzatosi nel IV sec. a.C., perché questi scismatici già la possedevano in una forma quasi identica all'attuale. Essi che non accettarono i libri profetici e gli altri scritti perché raggruppati dopo il loro scisma, non avrebbero di certo accolto eventuali posteriori aggiunte al Pentateuco, dal momento che già accusavano i sacerdoti di Gerusalemme d'aver eliminato quei testi che sostenevano, a loro dire, il culto sul monte Garizim. Per S.Z. Leiman la legge sarebbe stata fissata verso il 450 a.C., per A.C. Sundberg verso il 400 avanti l'era cristiana.

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2. La fase della virilità biblica. La collezione profetica o Neviim

La raccolta profetica per gli Ebrei, si distingue in due sezioni, l'anteriore, corrispondente ai nostri libri storici di Giosuè, Giudici, Samuele e Re; la posteriore, la più propriamente profetica, almeno secondo il nostro punto di vista, comprendente i libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 profeti minori.

Per l'ebreo biblico non vi era una chiara distinzione tra parola e fatto, per cui anche gli eventi storici di Giuda e di Israele contenevano una comunicazione divina ("Profezia"), manifestatasi mediante un'azione anziché tramite la parola. Chi li racconta è pur sempre un profeta, pari a colui che comunica gli oracoli di Dio. Non per nulla il vocabolo ebraico "davar" significa tanto "parola" quanto "azione". Alcuni profeti scrissero qualcosa di proprio pugno, come Isaia, almeno per qualche parte del suo libro (Is 30, 8; cfr Ha 2, 2), il quale invita gli uditori a leggere "nel libro di Adonai", già esistente, la predizione che Edom sarebbe stato sterminato e ridotto a un covo di bestie selvatiche (Is 34, 16).

Altri profeti dettavano i loro oracoli a uno scriba, come fece Geremia utilizzando Barùc; il suo rotolo, bruciato da Joakim, fi redatto nuovamente dal medesimo scriba con l'aggiunta di altre profezie dettate da Geremia che ne rincaravano ancor più la dose (Gr 36, 4-32). Aggiornamenti si leggono pure in Isaia che, parlando di Moab, così afferma: « Questo è il messaggio che pronunciò un tempo il Signore su Moab. Ma ora il Signore dice: In tre anni . . . sarà deprezzata la gloria di Moab con tutta la sua numerosa popolazione » (Is 16, 13 s).

Altre profezie, anziché essere poste subito per iscritto, circolarono dapprima oralmente tra i discepoli del profeta, i quali solo più tardi vi diedero la forma scritta. Così si spiega il detto di Isaia: « Si chiuda questa testimonianza, si sigilli questa rivelazione nel cuore dei miei discepoli» che solo più tardi la inclusero nel libro isaiano (Is 8, 16).

Le profezie vengono dal Signore perché le loro parole sono messe in bocca al profeta dallo stesso Dio (Gr 1, 9) per cui sono paragonate a un rotolo che il Signore gli fa mangiare: «Mangia di questo rotolo - dice il Signore ad Ezechiele - poi va e parla della casa di Israele » (Ez 3, 1). Quando la profezia fu raccolta in un manoscritto « la potenza della parola di Dio fu in certo qual modo catturata e resa efficace per tutti i tempi e per tutti i luoghi » (5) .

La distruzione di Gerusalemme, che avverava le profezie, donò loro una risonanza ancora maggiore, per cui Zaccaria poteva dire ai suoi contemporanei postesilici:

« Non siate come i vostri padri, ai quali i profeti un tempo andavano gridando: Dice il Signore degli eserciti: tornate indietro dal vostro cammino perverso e dalle vostre opere malvage. Ma essi non vollero ascoltare e non prestarono attenzione, dice il Signore: dove sono i vostri alleati? I profeti verranno forse per sempre? Le parole e i decreti che io avevo comunicato ai miei servi, i profeti, non si sono forse adempiuti? Essi si sono allora convertiti e hanno detto: Quanto il Signore degli eserciti ci aveva minacciato a causa dei nostri traviamenti e delle nostre colpe, egli lo ha eseguito su di noi » (Zc 1, 4-6).

Non è chiaro quando la raccolta profetica sia stata unita alla legge, certo non lo fu molto tempo dopo la canonizzazione della Torah, perché l'elogio degli antenati, composto verso il 200 a.C. da Gesù figlio di Sirac, autore dell'Ecclesiastico (o Siracide), contiene riferimenti, non solo alla legge, ma anche a tutti i libri profetici (cc. 45-50).

Segno quindi che tale raccolta era già stata conclusa. Per lui, il cosiddetto Deutero-Isaia appartiene a Isaia perché così scrive: « Con grande ispirazione il profeta (Isaia) vide gli ultimi tempi e consolò gli afflitti di Sion. Egli manifestò il futuro sino alla fine dei tempi, le cose nascoste prima che si avverassero » (Sir 48, 24-27) (6) .

Gli scritti dei Maccabei pongono accanto alla Legge anche i Profeti, come se godessero uguale autorità divina; infatti Giuda Maccabeo confortava i suoi seguaci « con la parola della legge e dei suoi profeti » (2 Mac 15, 9). Daniele, uno scritto che gran parte dei cristiani pone nella sua stesura finale al periodo maccabaico (ca 170 a.C.), conosce già la profezia di Geremia, come libro sacro e lo cita a sostegno della sua presentazione delle settanta settimane (Dn 9, 2 da Gr 25, 11 s). Il fatto che Daniele non sia stato incluso nel canone profetico - se non è dovuto al suo particolare carattere apocalittico - si spiegherebbe, secondo alcuni, con la sua composizione dopo che il gruppo profetico era già stato fissato verso il IV secolo avanti Cristo. Infatti per S.Z. Leiman la collezione profetica è stata completata verso il 450 o almeno, secondo A.C. Sundberg, verso il 200 avanti l'era volgare.

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3. Il periodo della maturità biblica (Gli scritti o Ketuvîm)

La maturità, ossia la completezza della Bibbia, si realizzò quando alle due precedenti raccolte se ne aggiunse una terza ben più eclettica, che riunì tutti i libri sacri rimasti fuori dalle precedenti collezioni. Vi appaiono così alcuni libri prevalentemente storici (Esdra, Nehemia, Cronache, Ester, Rut), altri di indole profetica (Lamentazioni, Daniele), un libro di preghiere (Salmi) e infine alcuni scritti di sapienti (Giobbe, Proverbi, Cantico, Ecclesiaste). Siccome la sua parte più prestigiosa è data dai Salmi, non di rado l'intero gruppo è chiamato con tale nome. Così, Gesù, al dire di Luca, trasse le profezie circa la sua morte e la sua resurrezione « dalla legge, dai profeti e dai salmi» (Lc 24, 44).

Il valore ispirato di questa raccolta risulta dal fatto che la vera sapienza, per gli Ebrei, non è frutto di ricerca umana, bensì dono di Dio. Da lui la ricevette Salomone, che ebbe «sapienza, intelligenza larghissima e mente vasta come la sabbia che giace sulla spiaggia del mare» (1 Re 4, 29), affinché potesse così « amministrare rettamente la giustizia» (1 Re 3, 9.28). La sapienza dell'Ecclesiaste proviene da « un solo pastore» ossia da Dio (Ec 12, 11). Per questo il libro dei Maccabei cita un salmo usando l'espressione tecnica per i libri sacri: «secondo la parola che fu scritta» (1 Mac 7, 16 da Sl 79, 2 s).

Questo terzo raggruppamento della Bibbia era già esistente verso il 150 a.C., anche se non è possibile stabilirne l'estensione (S.Z. Leiman), perché già noto nel 130 a.C. al traduttore dell'Ecclesiastico quando tradusse il libro del nonno. Infatti nel prologo a questo libro, egli distingue già le tre parti della Bibbia che divennero poi tradizionali: Legge (Torah), Profeti (Neviìm) e altri scritti (Ketuvîm):

« Molti e profondi insegnamenti ci sono stati dati nella Legge, nei Profeti e negli altri Scritti successivi e per essi si deve lodare Israele come popolo istruito e sapiente. E' infatti necessario che i lettori non si accontentino di divenire competenti solo per se stessi, ma gli studiosi possono rendersi utili anche ai profani con la parola e con gli scritti. Quindi anche mio nonno Gesù, dope essersi dedicato lungamente alla lettura della Legge, dei Profeti e degli altri Scritti dei nostri antenati, e dopo esserne divenuto un ottimo competente, fu spinto a scrivere anche lui qualcosa sull'insegnamento e sulla sapienza. Infatti gli amanti del sapere dopo averlo assimilato, possono progredire sempre più in una condotta conforme alla legge »

Il traduttore osserva pure come egli si sia sforzato di fare del suo meglio, ma chiede venia per l'imperfezione del proprio lavoro perché:

« le cose dette in ebraico non hanno la medsima forza quando vengono tradotte in altra lingua. E non solamente quest'opera, ma anche la stessa Legge, i Profeti e il resto degli Scritti conservano un vantaggio non piccolo se vengono letti nel testo originale»

Ripeto che non è possibile dedurre dalle precedenti espressioni l'estensione esatta di questa terza raccolta degli scritti sacri, tuttavia è lecito fare un'osservazione importante: il traduttore del Siracide fa lui stesso una distinzione tra il libro che gli sta dinanzi e gli Scritti sacri. Questo libro, secondo lui, non è possibile tradurlo bene, come non è possibile tradurre bene nemmeno gli stessi libri della Legge, dei Profeti e degli altri Scritti. Questi, meditati a lungo da suo nonno, stavano alla base della sua fede e della sua condotta, mentre il libro di Gesù ben Sirah è solo un commento per vivere meglio e per aiutare i lettori a capire i primi. Dunque il nipote del Siracide non poneva il libro del nonno sullo stesso piano dei libri sacri e non lo includeva nel canone precedente, che quindi doveva già essere completo e non poteva includere il libro da lui tradotto (7) .

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4. La Bibbia cittadina del mondo antico

La Bibbia è un libro cosmopolita che affonda le sue radici nella storia dell'umanità, in quanto le vicende in essa narrate attraversano quasi tutto il mondo antico allora conosciuto. Nata nelle steppe sinaitiche più di 3000 anni fa, al tempo dell'esodo degli Ebrei dall'Egitto, assistette al trionfo di Dio (Javéh) sul Faraone ostile al suo popolo. Le divinità dei popoli avversari nulla poterono fare contro « la mano potente ed il braccio teso del Signore » (Dt 4, 34) e contro la brama di libertà di Israele.

Con gli Ebrei la Bibbia penetrò nella regione cananea, in mezzo a popoli sedentari e si stabilì in un terriorio, che in seguito fu chiamato Palestina. Qui essa trascorse la sua virilità e vide trasformarsi il popolo di Dio; cantò al sorgere della dinastia davidica e contemplò la bellezza del tempio salomonico, dove i suoi inni furono usati per ringraziamento e implorazione. Ma li assistette pure, impotente, alla divisione del popolo in Regno del Nord (Israele) e Regno del Sud (Giuda). In Palestina la Bibbia sviluppò la sua letteratura sapienziale, che in termini popolari racchiudeva la saggezza pratica della gente ebrea. In quel piccolo angolo di mondo dove le bianche case riflettone la luce del sole nel terso cielo d'oriente, squillò la voce dei profeti, perenne richiamo dell'amore divino che invitava il suo popolo alla fedeltà verso Dio e alla fiducia in lui più che in persone umane. Ancora oggi nella Bibbia queste voci profetiche risuonano in modo vigoroso.

Tuttavia il popolo, anziché accogliere l'invito divino, seguì l'incanto dei falsi profeti ed il fascino dei culti sessuali di Canaan per cui finì per soccombere di fronte alla pressione delle potenze degli Assiri e dei Babilonesi: lo stato del Nord (Israele) cessò di esistere con la caduta di Samaria nel 722 a.C., mentre quello di Giuda fu conquistato nel 597 a.C. da Nabucodonosor che distrusse Gerusalemme ed il tempio e deportò il re e l'elite della società giudaica in Babilonia.

La Bibbia emigrò con gli esuli in terra straniera, dove i canti di gioia cessarono per essere sostituiti (almeno presso i pii ebrei) dai lamenti più vibranti:

Tuttavia la Bibbia, con le sue parole di conforto, rafforzò gli esuli, che poterono così rivedere il trionfo della propria fede e la misericordia di quel Dio, che per bocca di Ciro diede il permesso di rimpatriare ai devoti Ebrei (editto di Ciro del 538 a.C.). Così la Bibbia, da quella pianura assolata e segnata dall'antica civiltà babilonese, poté ritornare alla montagnosa Canaan e stringersi intorno all'indimenticata Gerusalemme. In quella città, tra stenti e sforzi di ogni genere, La Bibbia spinse i rimpatriati a ricostruire un secondo tempio, pur sempre bello e amato, anche se più povero di quello distrutto dai soldati di Nabucodonosor. Proprio in quell'umile tempio riprese ad abitare « la gloria di Adonai». Qui la Bibbia degli Ebrei ricevette la sua fisionomia definitiva, raggiunse la sua maturità e godette la stima e l'amore di un popolo disposto a morire pur di esserle fedele. Molti Ebrei al tempo della persecuzione del seleucida Antioco IV, L'Epifane (175-164/163), preferirono la morte anziché consegnare la Bibbia ai profanatori greci. Si era al tempo in cui i greci « stracciavano i libri della Legge che riuscivano a trovare e li gettavano nel fuoco. Se alcuno era trovato in possesso di una copia del libro dell'alleanza o ardiva obbedire alla Legge, la sentenza del re lo condannava a morte » (1 Mac 1, 56-57; cfr anche 59-60). I sette fratelli maccabei preferirono il martirio anziché mangiare carne di maiale probita dalla Legge (2 Mac 7 da Lv 11, 7 s). Eleazaro « uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell'aspetto » (2 Mac 6, 18) preferì la morte, anziché fingere di mangiare tale carne, come molti gli suggerivano: Si veda da questo come sia stata rivoluzionaria la norma di Gesù per la quale non è tanto un cibo che contamina l'uomo, quanto piuttosto la malvagità che esce dalla mente (letteralmente: cuore) umana (Mc 7, 14-23; cf Cl 2, 16-21 s; 1 Co 7, 8).

A quel tempo la Bibbia incoraggiò e sostenne l'epopea dei Maccabei (175-134 a.C.), i quali, sorretti dalla sua parola, iniziarono una lotta di liberazione dal politeismo seleucida, che fu coronata dalla definitiva sconfitta del re Antioco IV, attuando così la profezia di Daniele. Nutriti dalla meditazione della Bibbia, «i poveri di Israele», persone viventi nell'attesa del Messia, aspettavano colui che avrebbe dovuto portare luce, serenità e amore verso Dio e verso gli uomini.

Di conseguenza questi Ebrei si inebriavano della legge, che per loro era la volontà del Signore: La loro speranza fu coronata da Gesù, l'ultimo dei «profeti», corona e apice della Bibbia. A lui si deve l'interiorizzazione della religione e lo spirito di libertà, che dovrebbero essere fatti propri dai suoi discepoli.
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CONCLUSIONE

Ormai la Bibbia ebraica ha raggiunto la sua maturità, con una sua fisionomia che non cambierà più on seguito.

Ormai essa deve solo attendere il tocco finale che le darà il Cristo, del quale fungeva da pedagogo. «Prima che venisse la fede (espressa nel Nuovo Testamento), noi (ebrei) eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge. Così la legge - qui intesa in senso largo come il complesso di tutti i libri sacri giudaici - è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perche fossi giustificati per fede » (Gl 3, 23-25)

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Note a margine:

(1) Non si può pensare a una finzione per sottolineare l'unità del santuario stabilito da Giosia (o da Ezechia), perché in tale caso non si sarebbe mantenuto anonimo tale luogo, ma si sarebbe chiarito che si trattava di Sion, così come il Pentateuco Samaritano talora vi introdusse il monte Garizim, luogo del loro santuario e del loro culto. torna al testo

(2) Era l'anno 444 o 398 a seconda che il contemporaneo re persiano Artaserse si identifica con il I o con il II (cfr Esdra 7, 7). torna al testo

(3) Ne 10, 31-36 con Lv 25, 4; 24, 5 s; 6, 12. torna al testo

(4) Cfr Nm 15, 22-31 con Lv 4 (sacrificio per il peccato). torna al testo

(5) H. Haag, La parola di Dio, in Mysterium salutis, Brescia, Morcelliana, I p. 412). torna al testo

(6) L'attendibilità critica dell'autore è alquanto discutibile, perché nello stesso versetto sembra attribuire al profeta anche la cosiddetta Apocalisse di Isaia "vide gli ultimi tempi", la quale è certamente apocrifa. torna al testo

(7) Questo naturalmente milita contro la sua inclusione nel canone cattolico, come uno scritto ispirato deuterocanonico. Se avesse goduto la medesima autorità degli altri scritti, non si capisce il ragionamento del nipote. torna al testo



Dopo questo questo primo capitolo della prima parte dell'opera " Il Romanzo della Bibbia" di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, puoi proseguire la lettura nel secondo capitolo.