Capitolo 2
La Bibbia è un poliglotta

Lingue bibliche e materiale scrittorio

INDICE DELLA PAGINA

I. Il modo di scrivere II. Materiale usato per scrivere
III. Gli strumenti della scrittura
IV. Le lingue della Bibbia V. L'aramaico VI. Greco

L'ispirazione biblica riguarda solo il testo originario come uscì dalla penna dello scriba e non le sue traduzioni. È quindi utile ricercare il modo con cui la Bibbia fu scritta e le lingue nelle quali essa venne composta.

I. Il modo di scrivere

Molti studiosi del secolo scorso, la cui ipotesi fu accolta anche dal Voltaire, pensavano che la scrittura fosse sorta al tempo della monarchia ebraica (sec. 9° a.C.), quindi alcuni secoli dopo Mosè, vissuto nel 13° secolo. Nel 1815 Wellhausen ne prendeva lo spunto per negare che Mosè avesse scritto il libro della Legge. Renan, nella sua famosa "Storia del popolo di Israele", ripeteva che la scrittura apparve presso gli Israeliti soltanto tre o quattro secoli dopo Mosè e Giosuè. Con la scoperta della biblioteca di Amenofi IV a Tell el-Amarna in Egitto risultò invece che i vari re di Canaan, già nella prima metà del 14° secolo, si rivolgevano al Faraone in assiro babilonese e con caratteri cuneiformi, per cui il Winckler e il Naville, poco dopo il 1900, supposero che anche Mosè avesse scritto parte della Legge in caratteri cuneiformi (1) .

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a) L'alfabeto

Ulteriori scoperte hanno mostrato che i fenici a quel tempo già avevano scoperto l'alfabeto, perché a Ugarit (Ras Shamara), importante centro commerciale sulla costa siriana dal 1550 a circa il 1350 a.C., furono scoperte nel 1929 tavolette d'argilla in caratteri cuneiformi, ma in scrittura alfabetica (2) .

La scrittura ebbe inizio con la pittografia nella quale gli Egizi, ad esempio, raffiguravano la realtà che volevano esprimere: occhi, naso, bocca, sole, luna e via dicendo (3) I semiti vi introdussero un reale capovolgimento, in quanto usarono quegli stessi segni, un po' stilizzati, per indicare la lettera dell'alfabeto con la quale i nomi di tali realtà, così raffigurate, iniziavano. Ad esempio, la testa di un bue, chiamato 'alùf in ebraico, servì per indicare la leggera aspirazione iniziale chiamata 'alef. Tale forma, sia pure stilizzata, si ritrova ancora capovolgendo il nostro A. Il quadrilatero, indicante una casa, fu adoperato per indicare il b perché la casa si chiamava in semitico bet (bajit), da cui il nome baita tuttora esistente in qualche isolata valle italiana a ricordo di un antico passaggio di semiti. La forma del pesce, detto dag in ebraico, divenne la lettera d (dalet): il segno di una serpe, detta nacash in ebraico, significò una n ; una bocca aperta, il segno di una p (ebr, pe' = bocca); un occhio fu usato per segnare la gutturale ' con cui inizia la parola 'ain "occhio"; Il profilo di una testa umana assunse il valore di r, da rosh "capo", divenuto in greco la lettera r (ro). la cui forma maiuscola ( R ) riproduce in modo assai stilizzato il capo con il collo.

L'origine dell'alfabeto vero e proprio, dal quale derivano tutti gli altri alfabeti anche moderni, si avverò, a quanto sembra, nella miniera di turchese, rame e malachite della regione sinaitica ad opera di schiavi semiti che vi lavoravano. Gli scavi di Serabit el-Hadim, iniziatisi nel 1904, la comprovano con sicurezza. Sir Flinders Petrie, che per primo scoprì tali segni (circa una trentina), pose le iscrizioni proto-sinaitiche o proto-fenicie verso il 1500 a.C.; altri studiosi le fanno risalire addirittura al periodo degli Hyksos (sec. 18°) (4) Siccome segni affini ai precedenti (sec. 18°-13°) furono trovati anche nel mezzogiorno della Palestina (Sichem, Bat Shemesh, nei pressi di Betlemme) su "cocci" (ostraca) e punte di giavellotto, tale alfabeto paleoebraico si chiama anche palestinese meridionale. Le punte di giavellotto, assai rovinate, sono ora indecifrabili, ma rappresentano certamente il dialetto cananeo dell' 11° secolo a.C. Questi reperti costituirono una tappa fondamentale per il passaggio dalle iscrizioni protosinaitiche a quelle fenicie del 10° secolo. Un vaso di Lakish del 13° secolo reca anch'esso una iscrizione cananea arcaica.

Tutti gli alfabeti provengono, attravero una particolare loro evoluzione, da questo alfabeto antico, tramite i fenici, grandi navigatori e celebri commercianti dell'antichità. Tra il 9° e l' 8° secolo a.C. adottarono tale alfabeto anche i greci, i quali, dal momento che scrivevano da sinistra a destra e non da destra a sinistra, come i fenici, capovolsero la direzione dei segni. Di più i greci, che non possedevano le gutturali semitiche, utilizzarono questi segni superflui unitamente alle vocali (j, w), per indicare le vocali greche, mancanti invece nell'alfabeto semitico. Un indizio dell'origine semitica dell'alfabeto greco si ha nella leggenda che attribuisce l'invenzione delle lettere, dette cadmee, al fenicio Cadmeo, nel quale si può individuare il qedem ossia "l'Oriente". Con più chiarezza Plinio il Vecchio (1° sec. d.C.) scrisse che « la gente fenicia ebbe la grande gloria di avere inventato le lettere alfabetiche » (5) . Lo stesso nome "alfabeto" ricorda le prime due lettere ebraiche alef , bet unite all'ultima tau (t).

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b) Scrittura paleoebraica

La scrittura paleoebraica era assai simile a quella fenicia. L'esemplare più antico, per ora, consiste in un esemplare di ca 3000 anni fa, scoperto nel 1976, e che stava per essere buttato via come un pezzo privo di valore. Deve risalire verso il 1200 a.C., ossia oltre 200 prima del noto calendario di Ghezer (ca 900-950 a.C.). Fu estratto da un pozzo di Izbeh Sarte, una quindicina di chilometri ad oriente di Tell Aviv. L'iscrizione sembra essere stata l'esercitazione di uno studente aspirante scriba. Contiene un acrostico, combinazione voluta in modo che, leggendo di seguito la prima lettera di ogni capoverso, si ottenga una parola, ma purtroppo il senso ci sfugge. Essa costituisce un anello di congiunzione tra la pittografia e la scrittura alfabetica. L'ultima riga presenta un alfabeto analogo a quello ebraico moderno di 22 lettere; ha infatti 21 lettere più uno spazio bianco al posto della lettera m .

La scrittura ebraica antica non ha subito forti variazioni nel corso dei secoli, passando dal calendario agricolo di Ghezer (ca 950-900 a.C) ai 75 ostraca (cocci) di Samaria segnanti gli acquisti di vino ed olio per il palazzo reale di Geroboamo II (ca 760 a.C), alla iscrizione di Mesha (ca 850 a.C. cfr 2 Re 1, 1 e 3, 4-9.24-27), a quella di Siloe al tempo di Ezechia (ca 710 a.C.).

L'ostracon rinvenuto a Mesad Hashaviyahu, che contiene la protesta di un contadino perché si era visto portare via il mantello per non aver terminato il proprio lavoro (sec. VII cfr Es. 22, 25 s), e quelli di Lakish di poco posteriori (sec. VI contemporanei di Geremia), mostrano un leggero passaggio verso una scrittura più corsiva.

Vi si devono pure aggiungere i frammenti dell'Esodo, del Levitico e dei Profeti Minori, rinvenuti a Qumran, i quali conservano caratteri arcaici. Origene e Girolamo, profondi cultori cristiani della Bibbia, che non ebbero conoscenza di questi reperti archeologici, potevano tuttavia vedere nella forma primitiva almeno le quattro lettere del nome divino (YHWH) conservata nelle copie della versione greca di Aquila, simili a quelle dei frammenti trovati nel 1897 nella Gheniza del Cairo o rinvenuti di recente a Qumran (Profeti Minori).

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c) Scrittura aramaica

La scrittura aramaica ha subito invece una evoluzione assai più marcata. Dalla forma dei testi di Arslan Tash e Tell Halaf (ca 850 a.C.), assai vicini a quella fenicia originaria, è passata a un altro tipo più corsivo nell'iscrizione della stele di Bar-Rekub (7° secolo a.C.) e nei papiri di Elefantina in Egitto (5° secolo a.C.). Con la sua diffusione ad opera della cancelleria persiana, che ne adottò la forma e la lingua, fu accolta pure dagli ebrei verso il 2° secolo a.C. Essa apparve nel papiro di Nash (150 a.C.), così chiamato dal nome del segretario della Society of Biblical Archeology, che lo comprò nel 1902; nella iscrizione dei figli di Haziz; nella pietra di confine di Ghezer (2° e 1° sec. a.C.) e nella maggioranza dei manoscritti di Qumran. Per la prevalenza delle rette e degli angoli sulle linee curve, è detta anche "quadrata".

Il cambiamento della scrittura al tempo della restaurazione postesilica è testimoniato da un testo talmudico, per il quale la forma quadrata sorse in Assiria e fu portata in Palestina da Esdra:

La scrittura quadrata apparve nei monumenti solo all'inizio dell'era cristiana, come ad esempio nelle iscrizioni delle sinagoghe galilaiche e negli epitaffi rinvenuti presso Gerusalemme e nella Galilea. L'evoluzione della scrittura quadrata ebraica ebbe termine fra le due guerre giudaiche (70 e 130 d.C.), perché i manoscritti di Murabba'at usano regolarmente anche la forma finale di alcune lettere, che è invece sconosciuta o poco usata prima del 70 d.C.
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II. Materiale usato per scrivere

Tralascio il materiale prezioso che si adopera per puro ornamento, come la lamina d'oro portata dal sommo sacerdote sulla mitra e che portava scritto « consacrato a Jahvè» (Es 28, 36).

1) È strano che gli Ebrei - a differenza dei popoli confinanti che scolpivano molto sulla pietra - abbiano lasciato pochissime iscrizioni di tal genere. Perché? Forse per rispetto alle due tavole dei comandamenti (« Tavole della legge ») che furono scolpite « con il dito stesso di Dio » affinché durassero per sempre (Es 24, 12; 31, 18; 34, 1; Dt 4, 13)? Anche le due pietre, rizzate dopo aver attraversato il Giordano, non furono scolpite, ma solo intonacate di calce, sulle quali si scrissero poi « le parole di questa legge » (Dt 27, 2 s; Gs 8, 32). Dunque l'iscrizione non conteneva parole umane, bensì solo parole divine. L'unica iscrizione preellenistica su pietra, ancor oggi esistente, è la celebre iscrizione di Siloe (710 a.C.), scolpita per perpetuare sulla roccia il ricordo del tunnel scavato a Gerusalemme da Ezechia per approvigionare la citta di acqua durante gli assedi (cfr 2 Re 20, 20; 2 Cr 32, 30). Tuttavia era stata messa in un posto invisibile al pubblico. Essa così suona:

Va pure ricordata l'iscrizione funeraria di un intendente regio, trovata sopra la vallata di Siloe, che viene ipoteticamente riferita, in mancanza del nome completo a « Shebna, soprintendente del palazzo », di cui parla Isaia (22, 15-16). Vi si legge: « Qui c'è la tomba di (Schebna) - Jahu, maggiordomo. Non ha né oro né argento qui, ma solo (le sue ossa) e le ossa della sua concubina. Maledetto sia l'uomo che l'aprirà »

2) Per materiale su cui scrivere gli Ebrei usavano talora delle lastre di piombo o di bronzo. Giobbe avrebbe desiderato che le sue parole di innocenza « fossero scolpite nella roccia con scalpello di ferro oppure sul piombo » perché rimanessero indelebili (Gb 19, 24). Di bronzo era pure la copia della lettera inviata ai Romani da Giuda Maccabeo per stabilire un'alleanza con loro e che stava conservata nel tempio di Gerusalemme (1 Mac 8, 22). In bronzo fu scritta anche l'alleanza che Sparta e Roma vollero rinnovare con Simone dopo la morte di Giuda (1 Mac 14, 18).

3) Per gli scritti brevi come ricevute, biglietti, messaggi, si utilizzavano cocci di vasellame, i cosiddetti ostraca, tavolette di legno, scorza d'albero. Le placche di avorio o di legno, perché potessero ricevere un'iscrizione, erano prima incavate e poi su questo incavo si spalmava uno strato di cera. Il pezzo più antico finora scoperto, risalente al 705 a.C., proviene da Nimrud. La parola "gillayôn" di Isaia 8, 1 indica, a quel che pare, una piccola superfice sulla quale si può scrivere (tavoletta di legno, cuoio, ecc.). Su di essa il profeta scrisse il nome del nascituro che era un gioioso vaticinio di salvezza: « Presto, affrettati (o Assiria) a depredare (Israele e Siria, i due nemici di Giuda) », in ebraico Maher - shalàl - cash - bàz . Su di « una tavoletta » (di legno? di rame?) lo stesso profeta scrive un oracolo contro Giuda, « perché restasse una testimonianza perenne » (Is 30, 8). Ezechiele pose rispettivamente il nome di Giuda e di Israele, che poi unì assieme a simboleggiare la futura riunione dei due popoli prima divisi (Ez 37, 16 ss; cfr Ha 2, 2).

Anche i cocci furono usati dagli Ebrei, come appare dai vari ostraca di Samaria e di Lakish e altro. Erano d'uso corrente al tempo dei Greci e dei Romani; Zaccaria se ne servì per scrivervi sopra il nome Giovanni da imporre al neonato (Lc 1, 63).

4) Ezechiele, che scrisse in Oriente dove si scriveva sull'argilla da essiccarsi al sole o in una fornace, ricevette l'ordine divino di usare una « tavoletta d'argilla»:

Con tale gesto, che preannunciava l'assedio e la distruzione di Gerusalemme, Ezechiele in un certo modo ne mise in moto il compimento, perché quando un profeta rappresentava un fatto ne iniziava già l'attuazione.

5) Non mancava la pelle di cuoio (che diverrà più tardi la pergamena), di uso assai antico, anche se posteriore al papiro. Un rituale egiziano per la sua preparazione risale addirittura al 2000 a.C. È possibile che parti del Pentateuco siano state scritte su tale materiale, come risulta dalla possibilità di cancellarne le parole con acqua, il che suppone un materiale resistente. Infatti la donna sospettata di adulterio doveva bere l'acqua usata per cancellare le maledizioni scritte su di un rotolo, affinché si avverassero in lei, qualora fosse stata veramente colpevole (Nm 5, 23). Il volume si chiama infatti šefer che originariamente significaca "raschiare", come si usava per le pelli, ma anche per il papiro.

6) Un materiale assai comune era pur sempre il papiro, il cui nome sopravvive nel francese papier, nell'inglese paper e nel tedesco papier, usato per indicare la carta. Il papiro si ricava dalla pianta dello stesso nome. Il luogo classico di questa pianta (cyperus papyrus) fu in passato quello delle maremme egiziane (valle del Nilo), anche se ora si trova solo nella Nubia, in Abissinia e in Sicilia, non lontano da Siracusa.

Il papiro è un giunco di alto fusto che può raggiungere i quattro-sei metri di altezza. Dopo averlo tagliato longitudinalmente e privato sia della pannocchia sia delle radici, se ne estraeva la fibbra interna, che veniva macerata nelle acque del Nilo. Le liste - lunghe talora fino a 5 metri - disposte una a fianco dell'altra venivano poi intrecciate e sovrapposte con le altre traversalmente in modo da acquistare la consistenza di una pagina e rimanere incollate tra di loro dalla loro stessa polpa indurita, o mediante colla o pasta finissima. Il tutto veniva lasciato essiccare al sole e alla fine si metteva sotto una pressa (7) Si aveva così il foglio di papiro chiamato in greco chartes (8) Quando se ne voleva togliere la ruvidezza, il papiro veniva levigato con pomice o con seppia. Vi si poteva scrivere su entrambi i lati. I papiri così preparati formavano dei rotoli, che si avvolgevano attorno a due bastoncini attaccati alle sue due estremità; si avvolgeva a destra per srotolarlo e leggerlo (se scritto in ebraico), a sinistra per chiuderlo.

Questo materiale di scrittura era facilmente deteriorabile. Già Plinio, ai suoi tempi, lamentava che non vi fosse un papiro capace di durare duecento anni, mentre la pergamena era per lui «eterna».

Il papiro doveva essere assai diffuso nella Siria, ancora prima del periodo monarchico di Israele, come risulta dal resoconto dell'ufficiale egiziano Wen-Amon che, verso il 1100 a.C., riferì alle autorità del tempio di Amon a Karnak di aver lasciato 500 rotoli di papiro ai Siri come acconto per un carico di legname (9) .

Di papiro era il rotolo del profeta Geremia, perché venne tagliuzzato con facilità dal re Joakim e gettato ad ardere sul fuoco a mano a mano che veniva letto (Gr 36, 23) (10) di papiro erano pure i rotoli aramaici del V secolo a.C., trovati ad Elefantina nell'alto Egitto.

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III. Gli strumenti di scrittura

Per la pergamena di pelle e per il pairo gli scrivani usavano la penna e l'inchiostro: « io scrivevo nel libro con l'inchiostro », nota Geremia (36, 18). Questo tanto il solido quanto il liquido, era generalmente nero, fatto di fuligine, nerofumo o carbone di legna preparato con olio o con della pece. Per gli ostraca veniva formato con metalli fusi; quello usato a Lakish era composto con una miscela di carbone e di ferro. Ci fa meraviglia l'inalterabilità di questi inchiostri, che per altro si potevano cancellare con semplice acqua (Nm 5, 23).

La penna consisteva in un pezzo di canna (calamus) spaccata o tagliata con un temperino (scalpallum scribae Gr 8, 8) in modo da formare una specie di pennello duro. All'epoca greco-romana era così tagliata da presentare una estremità fine e tagliente come una penna d'oca: è il kàlamos del Nuovo Testamento. Le penne si conservavano in appositi astucci, che presentavano delle aperture per collocarvi le tavolette di inchiostro.

Gli scrivani, come tuttora si usa in Oriente, erano soliti portare « ai fianchi il calamaio» (Ez 9, 2) e un portapenne, quali distintivi della loro dignità. Se ne vede una figura sulla stele aramaica di Bar-Rekub. A Qumran si sono rinvenuti due calamai, uno in bronzo e l'altro in terracotta contenenti ancora un po' di inchiostro.

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IV. Le lingue della Bibbia

La Bibbia è un poliglotta che parla tre lingue: l'ebraico, l'aramaico e il greco. Quasi tutto l'Antico Testamento è scritto in ebraico; in aramaico sono solo alcune parti di due libri (Ed 4, 7-16 e Dn 2, 4 - 7, 28); in greco furono scritti due deuterocanonici (sacri per i soli cattolici), vale a dire la Sapienza e il 2 Maccabei. Mi fermerò quindi sopra le due lingue bubliche usate nelle scritture sacre degli Ebrei e che appartengono al ceppo semitico.

Il ceppo semitico si suddivide generalmente nelle seguenti grandi classi linguistiche (11) :

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1. Ebraico

Usato dai Cananei di Palestina, fu adottato dagli Ebrei quando vi si stanziarono con Abramo. È la lingua usuale dell'Antico Testamento, in gran parte adottata anche per gli scritti deuterocanonici e pseudoepigrafi, come appare dai manoscritti frammentari rinvenuti nel 1949 sulla costa nord-occidentale del Mar Morto (Wadi Qumran) il cui testo era prima noto solo in traduzioni greche, latine o siriache, essendone andato smarrito l'originale.

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a) Sua fisionomia

L'ebraico, appartenente al gruppo nord-occidentale, è assai simile al fenicio. Oggi si pensa che il suo prototipo sia dato dalla lingua, prima ignota, scoperta di recente ad opera di archeologi dell'università di Roma ad Ebla e nella Siria - perciò detta eblaita - che si ritiene una lingua proto fenicia.

L'ebraico, che si scrive da destra a sinistra, presenta l'idea con una radice usualmente di tre consonanti, per cui il triletterismo è una caratteristica condivisa pure da altre lingue camito-semitiche (12) .

Solo i pronomi e alcune parole antiche, indicanti parti del corpo e la parentela, hanno una duplice consonante, come figlio b(e)n, faccia p(e)n, mano jad, ecc. Le lettere in numero di 22 sono esclusivamente costituite da consonanti perché le vocali si possono facilmente aggiungere da chi conosce la lingua secondo il contesto che la parola assume nella frase. Vi si è cercato di supplire con le cosiddette matres lectionis, ossia madri - vale a dire guide - della lettura, come le semiconsonanti h, y, j.

L'ebraico, lingua fondamentalmente di azione, è centrata sul verbo. Secondo che questa azione è vista come già finita o in sviluppo si usano le due forme verbali, che si possono chiamare perfetto (azione finita) e imperfetto (azione che continua), la seconda delle quali è indicata da alcuni preformativi. L'ebraico non esprime con precisione se l'azione debba collocarsi al passato, al presente o al futuro. Così "qatàlta" indica propriamente "uccisore tu", e il lettore, poggiando sul contesto, deve completare il senso con l'aggiunta di "sei", "eri", o "sarai". Queste due forme sono coniugate incorporandovi alcuni resti dei singoli pronomi, che, con lo spostamento dell'accento (generalmente cadente sulla finale), producono delle variazioni vocaliche. Mediante modifiche interne della radice (raddoppiamento di una consonante, aggiunta di prefissi, oppure mutazioni interne di vocali) si ottengono diverse modalità dell'azione (intensiva, passiva e riflessiva). I sostantivi non chiaramente distinti dagli aggettivi, hanno perso di solito le desinenze finali del semitico primitivo.

L'ebraico è un linguaggio povero, sintetico, che ama la coordinazione delle frasi (paratassi) anziché la loro subordinazione, di qui l'uso eccessivo della particella congiuntiva "e" (ebraico w). L'ebraico classico non ha puntuazione, se si eccettua una piccola spaziatura o un segno per separare le parole (e non sempre anche questo) e una lineetta verticale o due punti per dividerne le frasi. Poche sono le parole di uso comune, benché molte altre, insolite, appaiono nei libri sapienziali (particolarmente in Giobbe). La semplicità dell'ebraico può talora costituire un ostacolo alla piena comprensione del vocabolo, il cui senso può dipendere dal tono o dalla posizione nella quale esso è usato.

Inizialmente, già dal 1300 a.C., l'ebraico era chiamato "lingua di Canaan" (Is 19, 18); solo in seguito, nel 5° sec. a.C., fu detto "lingua giudaica" (jehudith) in quanto dominante nella Giudea, posta nel mezzogiorno della Palestina (Ne 13, 24).

Non mancavano delle pronuncie dialettali, come appare dalla parola "spiga" che gli efraimiti della Palestina settentrionale pronunciavano "sibboleth" e i giudei, con gli abitanti della Transgiordania, "shibboleth" (Gdc 12, 6).

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b) Sviluppo della lingua

Si possono distinguere cinque periodi dell'evoluzione dell'ebraico:

1. Il periodo antico, rappresentato dal cantico di Debora (Gdc 5), dalle benedizioni di Giacobbe (Ge 49), dal canto di trionfo di Maria sorella di Mosè dopo il passaggio del Mar dei giunchi (Es 15), dal canto di Mosè (Dt 32) e da alcuni altri frammenti poetici dei primi tempi della letteratura biblica (Ge 4, 23-24 Caino; Nm 21, 18 canto del pozzo). Certi testi, provenienti a quanto pare da un dialetto settentrionale, creano alcune difficoltà interpretative.

2. Il periodo classico risale al tempo della monarchia, quando l'ebraico fu usato a Gerusalemme dagli scribi regi, dai sacerdoti e dai profeti (Isaia). Costituisce la forma più pura e più perfetta dell'ebraico.

3. Il periodo post-classico, risale al tempo di Esdra-Nehemia e della ricostruzione del tempio. Questi scritti più recenti (come le Cronache), pur cercando di imitare la lingua classica, hanno una sintassi propria, nella quale si sente l'influsso dell'aramaico e talvolta anche del greco. L'imperfetta imitazione del linguaggio classico, riappare anche nei manoscritti del Mar Morto. Il suo uso tuttavia andò sempre più riducendosi, particolarmente a settentrione, di fronte all'invadenza aramaica.
Ad ogni modo la scoperta dei rotoli di Qumran, scritti prevalentemente in ebraico, dimostrano che, almeno nel mezzogiorno palestinese, tale lingua - sia pure con contaminazioni aramaiche - era pur sempre parlata.

4. il periodo mishnico. Dopo la distruzione del secondo tempio (70 d.C. e 132 d.C.) apparve una forma popolare dialettale, usata però come lingua letteraria dai farisei e dai rabbini. Tuttavia tale tendenza era già iniziata con l'Ecclesiaste e con il libro deuterocanonico del Siracide (Ecclesiastico). In questo dialetto è stato scritto il rotolo di rame del Mar Morto con l'elenco dei luoghi in cui stavano occultati i tesori degli Esseni, e la Mishna (II sec. d.C.), opera che contiene le tradizioni degli antichi rabbini. Fu solo appunto nel II sec. d.C. che la lingua dei giudei fu detta ebraico.
Verso il 2° secolo dell'era cristiana l'ebraico cessò di essere parlato, ma sopravvisse ancora come lingua scritta e diede origine a un'abbondante letteratura. Apparvero così i commenti alla Bibbia di Rashi (1040-1145), di Ibn Ezra (1092-1167) e di David Qimchi (1160-1235).

5. Rinascita odierna. Per merito dei sionisti del 1880 l'ebraico è ridivenuta lingua parlata, usata nello stato di Israele in una forma poco differente da quella biblica. Vi sono introdotti, evidentemente, molti nuovi vocaboli per adeguare la lingua alle scoperte recenti, ma anche il nuovo vocabolario poggia su antiche radici ebraiche, sia pure con sfumature nuove. Contribuì enormemente alla sua formazione il "Tesoro della lingua ebraica" di Eliezer ben Jehuda (1859-1923) che, ancor prima della nascita dello stato di Israele (1948), andò preparandone la lingua poi adottata dalla vita moderna.

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V. L'aramaico

Fu la lingua originale degli Ebrei il cui capostipite Abramo era un arameo: « Mio padre era un arameo errante, scese in Egitto, vi stette come forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa » (Dt 26, 5). In palestina gli Ebrei abbandonarono l'aramaico per accogliere la lingua cananea locale, detta poi ebraica.

L'aramaico, affine all'ebraico in quanto appartiene al medesimo ceppo nord-occidentale, subì un'evoluzione più lunga. Ne sono indice l'abolizione delle vocali e del sistema consonantico, la completa eliminazione delle declinazioni di cui rimangono invece ancora alcune tracce in ebraico, la scomparsa della forma passiva e iussiva, l'assenza dell'articolo sostituito dallo stato enfatico. Il vocabolario più ricco, le particelle più numerose e l'uso delle forme perifrastiche, rendono questa lingua più atta ad esprimere maggiori sfumature di pensiero.

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a) Sua storia

Parlato inizialmente nei dintorni di Damasco, verso l'anno 1000 a.C., l'aramaico andò sempre più diffondendosi dino a sostituire l'accadico tanto in Assiria quanto in Babilonia (13) Anche Israele non sfuggì a questo movimento linguistico, tant'è vero che, verso la fine dell' 8° secolo, la classe dirigente già capiva l'aramaico, che però era tuttora sconosciuto al popolo, il quale continuava ad esprimersi in ebraico (2 Re 18, 26). Dopo il ritorno dall'esilio gli sforzi di Esdra per assicurare l'unità linguistica prova che l'ebraico stava perdendo la sua posizione privilegiata. L'impero persiano (549-331 a.C.) adottò l'aramaico come lingua ufficiale: non fa quindi meraviglia che alcuni documenti riportati da Esdra (4, 8-6.18 e 7, 12-26) siano scritti nella lingua aramaica ufficiale delle corti del periodo persiano (5é sec. a.C.). Del 5° secolo sono pure gli ostraca e i papiri scoperti in Egitto nell'isola di Elefantina, dove risiedeva una colonia ebraica. Le sezioni aramaiche di Daniele (2, 4 - 7, 28) sarebbero composte - al dire di molti specialisti - nel linguaggio aramaico del periodo greco-romano (3° sec. a.C.).

Per un po' di tempo le due lingue - ebraica e aramaica - convissero fianco a fianco: l'ebraico mantenne il suo predominio nel campo legislativo e liturgico, mentre l'aramaico andò sempre più diffondendosi presso il popolo. Dal 2° sec. a.C., nonostante il rifiorire dell'ebraico con la letteratura apocalittica, il popolo più non capiva bene l'ebraico, che, dopo la lettura sinagogale del testo sacro, doveva essere parafrasato in aramaico (Targumim). Durante questo processo, l'aramaico assunse in Palestina la sua fisionomia dialettale di "aramaico-giudeo" o palestinese. I testi aramaici di Qumran, che risalgono al 1° secolo dell'era cristiana, rispecchiano l'aramaico palestinese del periodo apostolico. Tra di essi va ricordata la traduzione aramaica di Giobbe (1Q 11 Job), a cui vanno aggiunti anche tre manoscritti di Tobia (che secondo il Milik ne costituiscono probabilmente il testo originario) e un apocrifo della Genesi (14) Sono scritti in una lingua che sta di mezzo tra i brani aramaici di Daniele e quelli dei Targumim palestinesi del periodo posteriore.

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b) Lingua di Cristo

La lingua giudeo-aramaica del 1° secolo dell'era cristiana formava la lingua corrente in Palestina, per cui dovette essere utilizzata anche da Gesù nel proclamare il suo messaggio (Vangelo). Si possono addurre a favore di questa ipotesi le ragioni seguenti:

1. I nomi di persona ricordati nel Nuovo Testamento presentano l'espressione "Figlio di" tramite l'aramaico bar anziché l'ebraico ben: Bar-Abbas, Bar-Jesus, Bar-Nabas, Bar-sabas, Bar-Talmai (Bartolomeo), Bar-Timai (Bartimeo).

2. Alcuni nomi presentano forme aramaiche; così kefa (Cefa), Martha, Mattai (Matteo), Zakkai (Zaccheo), Taddai (Taddeo), Lebbai (Lebbeo), ecc.

3. Alcune forme greche derivano dall'aramaico anziché dall'ebraico: Ioudaios, Galilaios, Pharisaios, Saddoukaios (Sadduceo), Nazaraios ("da Nazareth? Gv 18, 5), ecc.

4. Nomi topografici connessi con Gerusalemme, di forma aramaica, come Bethesda (o Bethzatha Gv 5, 2), Gabbatha, Golgotha, Hakeklama.

5. Alcune parole e frasi riprodotte nel Nuovo Testamento si spiegano meglio con la lingua aramaica, come Abbà (Mc 14, 36, Talithà qoumi "fanciulla alzati" (Mc 5, 4), Elì Elì lemà sabactani "Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27, 46): Maran athà (o Maran tha "Il Signore viene" o "Vieni Signore", 1 Co 16, 22).

Più tardi, dato che in Palestina esistevano dei gruppi cristiani di lingua aramaica, alcuni passi biblici vennero tradotti nell'aramaico palestinese cristiano. La letteratura cristiana assunse in seguito la forma dialettale siriaca, branca dell'aramaico orientale, che si diffuse nella Siria e nell'Alta Mesopotamia. Presso gli Ebrei la lingua aramaica fu utilizzata per la stesura del Talmud.

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VI. Greco

Non mi soffermo su questa lingua perché in essa furono scritti solo alcuni deuterocanonici (Sapienza e 2 Maccabei). Frammenti di questa lingua si sono trovati anche presso i manoscritti del Mar Morto. Le lettere del periodo di bar Kozebah (132-134 dell'era cristiana) trovate nel 1949 e nel 1961/1962 provano che le stesse persone che le scrissero, uavano indifferentemente l'ebraico mishnico, l'aramaico e il greco, in modo che alcune espressioni sono straordinariamente simili nelle tre lingue. Si può quasi parlare di un aramaico ebraicizzato, di un ebraico aramaicizzato e di un greco semitizzato. Con tutta probabilità Gesù si espresse in tutte e tre queste lingue nel suo ministerio pubblico.

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Note a margine:

(1) Cfr J. Sola, "Alfabeto" in Enciclopedia della Bibbia, Torino LDC, 1969 vol I coll. 293-315. torna al testo

(2) C.H. Gordon, "Ugaritic Manual", Roma 1955: "Ugaritic Literature" Roma, Biblico, 1949; R. Dussaud, "Les découvertes de Ras Shamara" (Ugarit) et l'Ancient Testament" 2 voll. Paris Gembloux 1945. torna al testo

(3) Secondo l'archeologa Denise Schmandt-Besserat, docente all'università del Texas, la scrittura sarebbe derivata da numerosi oggetti d'argilla (alcuni dei quali risalenti a circa 10000 anni fa), studiati di recente, che servivano probabilmente da segni per indicare gli oggetti venduti o acquistati. Verso l'8500 a.C. questi piccoli oggetti (da 5 cm di diametro al massimo), come coni, dischi, sfere, pallottole, indicavano greggi, giare di olio, pani, vestiti od altro e servivano di documentazione del materiale contrattato. In un secondo periodo i mercanti, che spedivano tali beni, ne includevano l'elenco in scatole sigillate le quali servivano da controllo: in seguito, non solo includevano tali simboli, ma per non dover spezzare la scatola, ripetereno anche all'esterno tali segni. Nel quarto stadio si accontentarono di indicare tali segni su dell'argilla, senza più includere i simboli nella cassa. Era l'inizio della scrittura (Times 1 agosto 1977, p. 41). torna al testo

(4) Sui testi pittografici cfr G.R. Driver, "Semitic Writings from Pictograph to Alphabet", London 1954. W.F. Albright, "The Early Alphabetic Inscriptions from Sinai an their Decipherment", In Bull. Amer. Soc. Iriental Research 110 (1948) 6-22. torna al testo

(5) Plinio, Storia Naturale 13, 11-13. torna al testo

(6) Talmud Bab., Sanhedrin 21 b fine. torna al testo

(7) Sul papiro cfr N. Lewis "L'industrie di Papyrus dans l'Egypte gréco-romain", Paris 1934. torna al testo

(8) La versione greca di Geremia ha in LXX 43, 6.14 (T.M. 36, 6.14) chartiós e in LXX 43, 23 (T.M. 36, 33) chàrtes, vocaboli che indicavano appunto il papiro. torna al testo

(9)  ANET p. 28 n. 40. torna al testo

(10) Cfr Gr 36, 18; 2 Co 3, 3; 2 Gv 12; 3 Gv 13. torna al testo

(11) Le principali lingue semitiche si possono ripartire nello schema seguente:

Il loro periodo aureo è quello di Hammurabi (1728-1686 a.C. secondo la nuova cronologia di A. Albright, basata sui testi di Mari).Sono dette cuneiformi, perché impresse con un cuneo nell'argilla umida, lasciata poi essiccare al sole o in una fornace. Sono lingue scritte con ideogrammi o con sillabe, non ancora alfabetiche Cfr "Semitiche lingue", ad opera di Diez Macho - G. Ryckmans, in "Enciclopedia" vol. VI coll. 351-369; M. Dietrich "Accadica lingua, ivi col. I coll. 96-98; A. Diez macho, "Aramaico", ivi vol. III coll. 1212-1219; G. Garbini, "L'Aramaico antico", Accademia Nazionale dei Lincei, 353, Roma 1956. torna al testo

(12) Si vuole dire con questo che i linguaggi camitici (libico - berbero, antico egiziano o cushita) e le lingue semitiche provengono da un antenato comune. Cfr M. Cohen, "Lunità linguistica semitico-camitica", in Reale Accademia d'Italia (Estratto degli Atti del II convegno 4-11 ottobre 1938). torna al testo

(13) Si distinse così in:
Aramaico occidentale

Armaico orientale (14) N. Avigad e Y. Jadin, "A Genesis Apocryphon", Jerusalem 1956. torna altesto

Dopo questo questo secondo capitolo della prima parte dell'opera " Il Romanzo della Bibbia" di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, puoi proseguire la lettura nel terzo capitolo.