CONFESSIONE
E PERDONO DEI PECCATI

di Fausto Salvoni

CAPITOLO QUARTO
UNZIONE DEGLI INFERMI

Indice

1) SviLuppo storico dell'unzione degli infermi
a) Nel primo secolo della chiesa
b) Secoli II - VIII: predominio della guarigione
c) Secoli VIII - XIX: predominio dell'influsso spirituale
d) Unzione degli infermi dopo il Vaticano II

2) Unzione degli infermi e Bibbia
a) L'unzione con olio
b) La preghiera
c) Effetto corporale
d) Eliminazione del peccato


Qualcuno di voi è infermo?
chiami gli anziani della chiesa
perché preghino per lui ungendolo
con olio nel nome del Signore:
la preghiera della fede guarirà
il malato e il Signore lo rialzerà
dal letto
(Giacomo 5, 14)

L'unzione degli ammalati per i cattolici e gli ortodossi è un sacramento che, «adombrato nel vangelo di Marco (Mc 6, 13), è raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore» (Cost. Apost. Sull'unzione degli infermi). Infatti tutte le liturgie dalle più antiche alle più recenti, nella loro formulazione sacramentale si rifanno in modo esplicito al suggerimento di Giacomo sopraccitato (5, 14 ss). Il Concilio di Trento vi si richiama chiaramente quando dice: « Con le sue parole, come la Chiesa ha appreso dalla tradizione apostolica, S. Giacomo insegna quale sia la materia, la forma, il ministro e l'effetto di questo sacramento ». Anche nel canone corrispondente dello stesso decreto dichiara: «Se qualcuno dice che l'estrema unzione non è un vero e proprio sacramento istituito da Gesù Cristo e promulgato dal beato Giacomo, ma solo un rito tramandato dai Padri, o un'invenzione umana, sia scomunicato.

1) Sviluppo storico dell'unzione degli infermi

a) Nel primo secolo della chiesa

Secondo il P. Testa ne parlerebbe una laminella rinvenuta da alcuni beduini della tribù di Ta'amari assieme a un lotto di lampade erodiane e acquistata sul mercato di Gerusalemme dal prof. A. Spijkermann con 17 linee scritte in aramaico. Alla linea sette essa accenna infatti alla cessazione dei sacrifici, per cui è databile tra il 70 e il 90 d.C., come viene confermato anche dalla sua stessa scrittura. Autore del rituale è un certo Datenazan, sacerdote (kohèn). Un uomo, che per il suo accecamento fu precipitato dall'angelo Qur'el (= lo scavatore di fosse) in una buca, spera di vedere alleggerita la prova e di ottenere la guarigione con il perdono delle sue colpe, mediante uno scongiuro fatto nel nome del Signore. In un dialogo Qur'el afferma di essere stato lui la causa della caduta e l'ammalato confessa di essersi ferito (11.2.4.5). Segue poi l'unzione attuata con aspersione mediante un mazzetto di issopo, secondo l'uso dei sacerdoti ebraici (cf Es 12, 12). Vi si trovano segnate cinque croci e altri segni che dovevano indicare probabilmente il numero e la forma delle unzioni (forse quindici). L'effetto è indicato in un alleggerimento della prova e « nell'assoluzione dall'accecamento e dal debito dello stolto ». Il rito si chiude con un accenno alla venuta purificatrice di Cristo (parusia) nella quale avverrà la « » (hotèr) degli empi. Secondo il Testa avremmo qui una specie di passaporto che si poneva sulla bocca del morente perché potesse attraversare impunemente la scala cosmica a salire così al cielo. Ma se l'unzione era compiuta per guarire, perché si poneva la laminella in bocca al morente?

Al contrario per J. T. Milik, che ne ha dato una traduzione del tutto differente, la laminella sarebbe invece un amuleto giudeo-aramaico di scarsa importanza, risalente forse al Medio Evo (dopo il V secolo). Secondo la sua critica decisamente negativa « solo tre o quattro parole su una trentina, sarebbero state decifrate correttamente dal Testa. E poiché un deciframento corretto, o quasi corretto, è una condizione preliminare per qualunque studio efficace, le riflessioni sui diversi argomenti, che si possono leggere nel volumetto del Testa, cadono nel vuoto ».

Il Testa vi ha risposto in due studi: uno più popolare e l'altro scientifico; dopo aver rivelato che il fac simile letto dal Milik non corrisponde all'originale, egli osserva che la laminella non ha l'usuale presentazione degli amuleti, sia per la formula, sia per l'oggetto, sia per la persona che si invoca a testimonianza; mai lo scongiuro è fatto in nome della Legge, come pretende il Milik. Gli scongiuri, poi, non terminano mai con un augurio di pace (shalôm) ma con Amen.

E' difficile decidere chi dei due abbia ragione, fino a quando altri competenti non ne faranno un nuovo studio direttamente sull'originale. A me pare difficile ricollegare la laminella con il rito descritto da Giacomo, per le seguenti ragioni: Giacomo parla di preghiera a favore dell'ammalato, la laminella di imprecazioni contro dèmoni fantastici. Secondo Giacomo la preghiera intende procurare la guarigione, secondo la laminella offrire un salvacondotto nelle fantastiche regioni dell'oltre tomba. Per Giacomo si devono chiamare più « anziani» (presbiteri) che non avevano uno speciale carattere sacerdotale, la laminella parla di una persona sola, che per di più è « sacerdote » (kohèn). Non necessariamente la laminella è cristiana: non vi si trova il nome di Gesù e per di più il segno di croce può benissimo riprodurre la lettera taw di Ezechiele con l'originaria forma ebraica diversa dall'attuale aramaica (Ez 9, 4).

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b) Secoli II - VIII: predominio della guarigione

Solo i membri in comunione con la Chiesa potevano ricevere l'unzione (ne erano invece esclusi i catecumeni e i penitenti pubblici) purché fossero ammalati: sordi, muti, ciechi, energumeni e ammalati di ogni genere. Talora vi si ammisero anche i « pazzi » (Teodolfo d'Orleans; rituali del X secolo) e anche i peccatori in quanto ammalati spiritualmente (oriente). Per allontanare i fedeli dalle pratiche magiche, la Chiesa ha cercato di sostituirvi, per gli ammalati, l'olio benedetto:

Quando i loro figli sono indeboliti dalle tentazioni e dalle malattie – scriveva Cesario d'Arles (m. 542) – alcune mamme piangono e, colpite da stupore, non ricorrono con premura al rimedio (che loro dona) la chiesa, né all'autore della salute, né alla Eucaristia di Cristo e nemmeno, secondo ciò che sta scritto, si curano come invece dovrebbero fare, dell'unzione con l'olio benedetto dai sacerdoti, né pongono in tal modo tutta la loro fiducia in Dio. Esse fanno proprio  il contrario e mentre cercano la salute del corpo, trovano la morte dell'anima.

In Francia si suggerisce il ricorso alla eucaristia:

Inoltre ogni volta che una malattia sopravverrà, non si interroghino gli incantatori, gli indovini, i maghi, i ciarlatani; non si applichino le filatterie diaboliche alle fonti, agli alberi o agli incroci delle vie. Al contrario l'ammalato ponga la sua fiducia solo nella misericordia di Dio, riceva con fede e con devozione l'eucaristia del Corpo e del sangue del Cristo.

Dal momento che l'unzione era un atto di fede, l'ammalato stesso doveva richiedere tale rito, o on caso di sua incoscienza (pazzo, bambino, ecc.) lo dovevano compiere in sua vece i credenti a lui uniti da parentela.. ben presto si distinsero due parti in questo rito: l'unzione propriamente detta e la benedizione dell'olio che vi precedeva compiuta in oriente dai presbiteri quando erano riuniti presso l'ammalato, ma riservata in occidente al vescovo (o anche a dei presbiteri), il quale dal VI secolo cominciò a compierla durante la messa del giovedì santo.

La parte principale consisteva nella benedizione che faceva discendere nell'olio la potenza divina dello Spirito Santo: « Manda dal cielo, ti preghiamo o Signore, il tuo Spirito Santo paraclito in questo grasso dell'olio ». Da quel momento l'olio era dotato di una forza divina: appare qui l'usuale materializzazione dello Spirito che abbiamo già visto passare nell'acqua a riguardo del Battesimo. Questo olio in oriente era benedetto dai « presbiteri », ma dal vescovo in occidente.. S. Genoveffa, volendo ungere un uomo provato dal demonio e non avendo a disposizione che un'ampolla vuota dell'olio benedetto, senza usurpare un potere che essa non possedeva, implorò ginocchioni la benedizione dal cielo.

Siccome si pensava che l'olio possedesse in se stesso una forza curativa, era messo a disposizione dei laici perché ne facessero uso. Chi applicava l'olio al malato aveva solo una funzione secondaria e non era affatto un ministro del sacramento (come lo erano invece o i presbiteri che lo consacravano). Innocenzo I dice chiaramente che « non solo i sacerdoti ma anche i cristiani hanno facoltà di usare l'olio benedetto dal vescovo ». Solo Beda, il Venerabile, ha creduto di poter identificare i presbiteri di Giacomo non con i sacerdoti della Chiesa, bensì con gli anziani o notabili laici della comunità. L'effetto non proveniva però dall'olio, bensì dalla sua benedizione precedente.

Circa il modo e il numero delle unzioni si ebbe una grande libertà: unzione propriamente detta, aspersione (di qui l'intromissione di acqua per rendere l'olio più fluido), e talora anche come pozione da bersi; quest'ultimo metodo era particolarmente praticato per i muti, i paralitici e gli ammalati mentali. Certi malati si curavano da sé. Nel Medio Evo, per igiene si introdusse l'uso del pennello. Inizialmente si ungeva tutto il corpo, talvolta anche sopra gli abiti; oppure si ripeteva per più giorni di seguito l'unzione sul membro malato; il numero delle unzioni si accrebbe sino a 15-20 e poi si limitò ai principali sensi del corpo che potevano essere stati causa di peccato. Le preghiere erano varie: talvolta si invocava un angelo specialista nella particolare malattia (come i santi di oggi per certi malanni), perché intervenisse a favore dell'ammalato (rituale di S. Remigi di Reims). Secondo Procopio di Gaza e il Crisostomo tali scongiuri erano proibiti agli ammalati, perché non cadessero nella superstizione.

Come appare dai passi citati, lo scopo dell'unzione era quello di ottenere la guarigione del corpo, senza alcun riferimento all'effetto spirituale. le numerose formule di benedizione dell'olio non richiamano affatto l'efficacia spirituale dell'unzione; di esso non parlano nemmeno i racconti agiografici che vi si riferiscono (cf la già citata S. Genoveffa). Solo talvolta, assieme all'efficacia curativa del corpo, si accenna pure ad un vantaggio spirituale; così, ad esempio, il già citato Cesario di Arles in uno suo sermone diceva:

Ogni qualvolta sopravvenga una infermità, l'ammalato riceva il corpo e il sangue di cristo, poi unga il suo corpo, per adempiere quanto sta scritto: Si ammala qualcuno di voi, chiami i presbiteri della chiesa che pregando su di lui, lo ungano con olio (Gc 5, 15I. Vedete fratelli come l'ammalato che ricorra alla chiesa merita di ottenere la santità del corpo e il condono dei peccati.

L'unzione degli ammalati prima dell'epoca carolingia teneva il posto di una medicina, anche se vi si riconosceva talora che non era questa l'unica sua funzione.

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c) Secoli VIII - XIX: predominio dell'influssi spirituale

Dal tempo di Carlo Magno, a cominciare dalla metà dell' VIII secolo, si introdusse una modifica assai sensibile nei vari rituali delle unzioni per i malati. Anzitutto l'unzione venne riservata ai sacerdoti e non più permessa ai laici.. Oltre al desiderio di evitare ogni genere di superstizione magica presso i laici, oltre all'aumento eccessivo del clero, oltre alla tendenza centralizzatrice della liturgia, altri fattori ben più importanti contribuirono a riservare l'unzione al clero e a conferire un senso prevalentemente spirituale all'unzione.

a. Anzitutto si stabilì un legane tra unzione e la penitenza in caso di morte (poenitentia ad mortem) . L'antico rito penitenziale compiuto una sola volta durante la propria vita, era assai grave, sia per la pubblica vergogna di essere ammesso all'ordine dei penitenti, sia per le conseguenze assai dure continuate spesso fino alla morte del penitente, come non fare più uso del matrimonio, non mangiare carne. Al VI secolo ben pochi vi si sottoponevano e preferivano attendere il punto di morte per riconciliarsi. In questo caso l'ammalato grave era ammesso alla penitenza e poco dopo riceveva l'assoluzione. Qualora l'ammalato fosse guarito, doveva sottostare alle opere penitenziali, che prima la sua malattia gli impediva di compiere. Ora, al IX secolo, in un manoscritto di Tours, l'unzione prende il posto dell'assoluzione: « La degna unzione spirituale elimini con la medicazione la latente putredine della nequizia ». La penitenza per il morente, con le variazioni e con i riti connessi, come l'imposizione del cilicio e della cenere, venne così gradatamente sostituita dall'unzione per gli infermi.

b. Unzione e viatico . Nei rituali più antichi vi era l'uso di fare la comunione, spesso con la messa in casa del malato. Ma in seguito questo rito del viatico (o ultima comunione) andò unendosi con quello dell'unzione, mentre prima ne era separato. Un rituale, diffusosi in Irlanda e in Germania, inserisce l'unzione in una specie di messa secca, ossia in una messa priva di canone e di consacrazione (come si ha tuttora al venerdì santo), celebrata in casa dell'infermo. Altre volte l'unzione si introdusse in una vera messa o nel semplice rito della comunione.

In seguito tali riti si andarono sempre più semplificando e con il XII secolo ebbe inizio la successione seguente: visita al malato, sua unzione e viatico (o comunione) per il moribondo. Tuttavia in Francia nell'ultimo quarto del secolo XIV (pontificale di Jean Caraillac), l'unzione si spostò dopo il viatico e tale uso, passato in Italia nel XV secolo, fu accolto nel rituale romano del 1614. In tale modo l'antica unzione per guarire gli ammalati divenne l' estrema unzione , compiuta più per motivi spirituali che curativi.

Ugo di S. Vittore (m. 1141) enumera questa unzione tra i sette sacramenti, il cui effetto riguarda la guarigione spirituale anziché quella del corpo. Tommaso d'Aquino, riprendendo un testo di Alberto Magno, scrive che questo sacramento

non riguarda i peccati che tolgono la vita, vale a dire il peccato originale o mortale, ma i difetti che indeboliscono spiritualmente l'uomo, così che egli non possiede più il vigore richiesto per gli atti della vita di grazia e della vita di gloria... E' contro tale debolezza che l'uomo viene fortificato con questo sacramento.

Naturalmente anche i peccati gravi, che vi fossero, sono tolti, ma in modo indiretto:

Siccome l'effetto fortificante è prodotto dalla grazia che è in sé incompatibile con il peccato, ne segue che, quando un sacramento trova qualche peccato mortale o veniale, anche questo viene eliminato a modo di conseguenza per quanto concerne la stessa colpa.
E' poi chiaro che questo sacramento è l'ultimo e in un certo modo la fine di ogni cura spirituale. Per esso l'uomo è per così dire preparato a ricevere la gloria. Di qui il suo nome di Estrema Unzione. E' chiaro quindi che questo sacramento non deve essere conferito a qualsiasi ammalato, ma solo a coloro che per malattia sono vicini alla loro morte.

Nella tradizione liturgica medievale furono precisate le parti del corpo dell'infermo che dovevano essere unte con l'olio e furono aggiunte nei diversi rituali varie formule per accompagnare con la preghiera le singole unzioni. Nella Chiesa romana prevalse l'uso di ungere gli infermi nella sede dei cinque organi del senso con la pronuncia della seguente formula: « Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai compiuto di male con questo organo... », che viene espressamente indicato. Dopo che il Concilio di Firenze ne ebbe chiarito gli elementi essenziali, il Concilio di Trento lo chiamò sacramento dei morenti:

Questa unzione deve essere amministrata agli infermi, specialmente a quelli che sono nell'estremo momento della vita, onde viene anche chiamato sacramento dei morenti (sacramentum exeuntium). Se è specialmente per i morenti, vuol dire che può essere amministrato anche ai non morenti, purché siano in pericolo di vita.

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d) L'unzione degli infermi dopo il Vaticano II

Il Vaticano II, per evitare una così tetra visione del sacramento, cercò di anticiparne l'amministrazione. « Il tempo opportuno per ricevere questo sacramento ha certamente inizio quando il fedele, per malattia o vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte », appena, dunque, ha inizio una malattia tale che può condurre alla morte. Il Concilio vuole quindi che questo sacramento si chiami d'ora innanzi Unzione degli Infermi , anziché Estrema Unzione . Impone che sia conferita dopo la confessione e prima del Viatico. Così si ristabilisce il concetto originario che l'olio santo è propriamente il sacramento dei malati e non dei morenti. Il Vaticano II non fa altro che richiamare il Concilio di Trento, circa il suo duplice effetto: spirituale e corporeo.

Questo sacramento è segno di una grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava le macchie, se ancora ne restano da espiare, deterge le reliquie del peccato, allevia l'anima del malato e la riconferma, eccitando in lui una grande fiducia nella misericordia divina. Sollevato da questa fiducia, sopporta più facilmente gli incomodi e le sofferenze del suo passato, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo... e talvolta riceve anche la salute fisica, se è utile alla salvezza dell'anima.

Il sacramento ha dunque anche un effetto corporale, divenendo un aiuto contro la stessa malattia. L'unzione degli infermi non produce un risultato carismatico dovuto a virtù soprannaturali simili ai doni di guarigione di cui parla Paolo (1 Co 12, 30); non attua un miracolo in senso proprio; non realizza solo un effetto psicologico di serenità utile alla guarigione, ma crea nel malato un sollievo spirituale che si estende anche al corpo.

Con la sacra unzione degli infermi e con la preghiera dei presbiteri, tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché rechi loro sollievo e li salvi (Gc 5, 14 ss), anzi li esorta ad unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di cristo (Rm 8, 17; Cl 1, 24; 2 Ti 2, 11 s; 1 Pt 4, 13) per contribuire così al bene del popolo di Dio (Lumen Gentium 11).

E' quindi necessario che il sacramento sia dato tempestivamente, quando ancora l'organismo ammalato possiede le forze di recupero, che sono corroborate dal sacramento. Differito all'estremo della vita, diminuisce la possibilità che tale aiuto sacramentale possa essere ricevuto utilmente dall'organismo ormai esausto.. La guarigione fisica però non è l'effetto principale, essendo subordinata al bene spirituale. La grazia di ben morire è data piuttosto dal viatico (ultima comunione); l'unzione degli infermi ha invece lo scopo di sollevare gli ammalati spiritualmente e, se giova alla loro anima, anche fisicamente.

I testi conciliari moderni usando la variante della Volgata, anziché parlare di « rialzamento » (égéirein) dal letto, espresso bene dal testo greco, preferiscono usare il vocabolo più generico di « sollievo» (alleviabit eum Dominus) che si può sempre ottenere. L'effetto più importante secondo il Concilio è quello spirituale che consiste nel condono dei peccati e nella distruzione delle conseguenze del peccato (pene temporali, tendenze cattive, ecc.). Esso completa quindi il sacramento della penitenza facendoci accogliere la malattia come un'espiazione della nostra colpa, anzi supplisce completamente alla confessione quando gli infermi, privi di sensi, non lo possono fare, purché vi sia o vi siano un pentimento interiore. E' quindi più difficile per i moribondi ricevere il sacramento della penitenza che l'unzione degli infermi, perché il primo comporta un'attività personale che non sempre gli ammalati gravi possono compiere.. per questo il 4 marzo 1965 la Sacra Congregazione dei riti, a motivo dei molti incidenti provocati dalla vita odierna, permise ai sacerdoti, con il consenso dell'ordinario del luogo, di portare specialmente quando viaggiano, in una custodia decorosa l'olio degli infermi, che può essere usato fino a due ore dopo la morte presunta. L'atto sacerdotale più importante non è però l'unzione, quanto piuttosto la benedizione dell'olio, riservata al vescovo nel rito romano. L'unzione potrebbe essere attuata anche da non sacerdoti, come ad esempio dai diaconi, ora ripristinati.

Paolo VI il 30 novembre 1972 ha emanato una costituzione apostolica con la quale aggiorna questo sacramento al Vaticano II. Anzitutto egli ne ha modificato la formula, che ora deve essere la seguente:

Per questa santa unzione e per la sua paterna misericordia, ti soccorra il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e benevolmente ti rechi sollievo.

Ha poi ridotto le unzioni a due sole: una in fronte (l'unica necessaria e sufficiente in caso di necessità) e l'altra sulle mani, con l'unica formula precedente. La seconda modifica permette di adottare anche l'olio si semi anziché quello di oliva, che in certi paesi di missione si trova più difficilmente. Di più, pur mantenendo il principio che normalmente il sacerdote deve servirsi di olio benedetto dal vescovo, il nuovo rituale prevede che in caso di « vera necessità il sacerdote possa benedire lui stesso l'olio durante la cerimonia dell'unzione » (come fa sempre la Chiesa orientale) usando la medesima formula pontificale del giovedì santo. In caso di concorso dei fedeli, vi si può anche unire la celebrazione della messa.

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2) Unzione degli infermi e Bibbia

Le malattie, come il dolore del parto, le sofferenze, sono presentate nella Bibbia quale misero retaggio dell'umanità, causato dal peccato di Adamo (Ge 3, 16-19). Talvolta la malattia è effetto di peccati personali, essendo legata all'intemperanza nell'uso dei beni materiali (alcool, fumo, droga, sesso, cibo, ecc.), come la scienza può constatarlo in molti casi. Anche nel Nuovo Testamento la malattia è ricollegata al peccato; nel caso del paralitico della piscina di Bezatha, Gesù, dopo la miracolosa guarigione, dice al beneficato:

«Non peccare più in avvenire, perché non ti accada di peggio » (Gv 5, 14). Paolo osserva che tra i Corinzi « vi erano molti malati e deboli, e ne muore un gran numero » perché ricevevano indegnamente l'eucaristia (1 Co 11, 30).

Sarebbe però falso dedurre che sempre ogni malattia sia dovuta a peccati personali: Gesù infatti, parlando del cieco nato, osserva che « né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma è così perché si manifestino in lui le opere di Dio » (Gv 9, 3).

Il Messia deve venire in questo mondo per « guarire ogni malattia e ogni infermità presso il popolo » (Mt 4, 23), verificando in tal modo la profezia di Isaia. Infatti ai discepoli del Battista, Gesù dice: « Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona novella » (Mt 11, 4 ss da Is 1, 1). Qualche volta gli basta un comando: «Sii mondato! - Apriti!»: altre volte compie dei gesti, toccando l'ammalato (Mc 1, 41; Mt 9, 29) come quando mise il dito nell'orecchio del sordomuto e ne toccò la lingua (Mc 7, 33), fece un po' di fango con la saliva e lo portò agli occhi del cieco nato (Gv 9, 6), o quando impose le mani sugli ammalati (Mc 8, 25; Lc 13, 13). Anche ai suoi apostoli Gesù donò la potestà di curare gli ammalati. « Avendo convocato i dodici, dette loro potestà e autorità su tutti i demoni, con virtù di guarire tutte le malattie » (Lc 9, 1). « Essendo dunque partiti, predicavano che facessero penitenza e cacciavano molti demoni, ungevano con olio molti malati e li guarivano » (Mc 6, 12).

In tale corrente di idee si inserisce l'unzione degli ammalati suggerita da Giacomo.

Uno di voi è malato? Mandi a chiamare gli anziani della chiesa ed essi preghino dopo aver compiuto su di lui una unzione con olio in nome del Signore. La preghiera della fede guarirà (sòzei) il paziente; il Signore lo risolleverà (egèirei) e se ha dei peccati gli saranno perdonati (Gc 5, 14).

Si tratta di un « ammalato » che perde le forze (asthenéo) e che, secondo Ippocrate, si incammina verso la morte. Ma è pur sempre in grado di comprendere, poiché è lui che manda a chiamare « i presbiteri » della Chiesa. Nel Nuovo Testamento non vi è posto per atti magici, compiuti senza che l'individuo ne abbia coscienza, come nel caso di estreme unzioni date a persone già incoscienti. Anche qui assistiamo al passaggio, comune nella storia della Chiesa (battesimo, eucaristia), da atti personali compiuti con fede, che solo dà loro valore, a opera magiche aventi efficacia per conto proprio ( ex opere operato, come dicono i teologi). L'ammalato nella lettera di Giacomo manda a chiamare i « presbiteri» della comunità, quelli che la dirigono, che sono i « padri» di questa famiglia spirituale.. In caso di Malattia i genitori si interessano del loro figlio ammalato, è quindi logico che anche i « genitori» spirituali dell'infermo si radunino intorno a lui per aiutarlo nel miglior modo possibile, perché i fratelli non possono rimanere indifferenti di fronte alla malattia: « Un membro soffre? Tutti i membri soffrono con lui ». L'atto compiuto dagli anziani è duplice: l'unzione e la preghiera.

a) L'unzione con olio . Va notato che l'olio serviva a quel tempo da medicina avendo proprietà calmanti per le ferite (Is 1, 6) e di irrobustimento per i deboli, per cui « la carne dimagrisce per mancanza d'olio » (Sl 109, 24). Assieme al vino costituiva il bagaglio del viaggiatore in vista di possibili malanni (Lc 10, 34). per tali motivi Gesù manda i discepoli ad ungere gli ammalati con olio (Mc 6, 13), al fine di guarirli (Lc 9, 6). Ai nostri giorni i vescovi o anziani dovrebbero vigilare perché i loro ammalati abbiano a disposizione tutti i mezzi moderni che suppliscono alla medicina del passato. Va poi ricordato che l'olio usato dagli anziani era un olio comune, per cui non hanno nulla a che vedere con il passo di Giacomo, le benedizione e la consacrazione dell'olio per gli ammalati da parte del vescovo, quasi che esso assumesse per tale fatto un potere particolare oltre alla sua forza intrinseca (tuttora utilizzata dai massaggiatori). nel sacramento cattolico l'olio comune non avrebbe il medesimo valore dell'olio benedetto dal vescovo, e non sarebbe valido.

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b)
La preghiera . Ecco la parte principale che domina tutto l'atto dei presbiteri: essi vengono per «pregare »; tuttavia, siccome non basta rivolgersi a Dio, ma occorre compiere tutto quello che è possibile a favore dell'ammalato, lo ungono con la medicina del tempo.. però l'elemento che guarisce non è tanto l'olio in sé, quanto piuttosto la preghiera. La preghiera è efficace non solo per sé stessa, ma anche per il fatto che è la preghiera della comunità, raffigurata dai « presbiteri »: « Dove due o tre sono uniti nel mio nome -
disse Gesù -io sarò in mezzo a loro » (Mt 18, 20). La preghiera va congiunta a grande fede; infatti essa è detta « la preghiera della fede» (v. 15). Questo richiama il detto di Gesù « Se avrete fede e non dubiterete, non solo farete ciò che ho fatto al fico, ma anche se direte a questo monte: Sollevati e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutte le cose che chiederete nella preghiera, avendo fede, le riceverete » (Mt 21, 21 ss). Non è necessario ricorrere, come alcuni fanno, ai doni carismatici dei primi tempi, distribuiti dagli apostoli, poiché essi avvenivano con la semplice imposizione delle mani, con il comando e con la preghiera, come nel caso presente. Si tratta quindi di un fenomeno simile a quello riferito da Giovanni: « Qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui » (1 Gv 3, 22). Spesso anche i cristiani ignorano la potenza insita nella preghiera, mentre Giovanni dice con chiarezza: « Se sappiamo che Egli ci ascolta circa qualunque cosa chiediamo, sappiamo pure che avremo tutte le cose chieste, perché le abbiamo chieste a Dio» (1 Gv 5, 15). Tuttavia lo stesso apostolo ci fa sapere che quanto si chiede deve essere conforme alla volontà di Dio: « E questa è la fiducia che abbiamo verso di lui, che qualunque cosa chiediamo secondo la sua volontà, Egli ci ascolta » (1 Gv 5, 14).

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c) Effetto corporale . La preghiera dei presbiteri aveva come effetto primario la guarigione degli ammalati. Questo risulta chiaramente dal contesto anche se il verbo greco sòzein può indicare tanto la salute corporale quanto la salvezza spirituale. Anche lo egèirein può riferirsi tanto al ristabilirsi di un ammalato, quanto alla resurrezione di un morto o di Cristo. Siccome la lettera di Giacomo ha dei tratti inconfondibilmente giudeo-cristiani, dobbiamo concludere dal contesto che in tale corrente di pensiero i due verbi sopra riferiti avevano un valore relativo alla salute del corpo, come lo stesso olio che apparteneva alla farmacopea del mondo giudaico (Is 1, 6; Gr 8, 22; Lc 10, 34). Anche i rabbini presentano vari esempi di preghiera da usarsi per gli ammalati.

L'infermo che giace a letto, in virtù della preghiera congiunta con la unzione, viene guarito dalla malattia e si alza. Questo è pure chiaro dalla condizione: « Se ha dei peccati, Dio gli darà il perdono »: dunque l'effetto « dell'unzione - preghiera» ci può essere anche anche se non ci sono peccati, per cui il suo effetto è primariamente corporeo e solo secondariamente spirituale. E' chiaro che la guarigione non doveva seguire sempre altrimenti i primi cristiani non sarebbero mai morti, quasi fossero già stati trasferiti nel regno glorioso di Dio anziché vivere ancora nell'attuale fase di transizione. Nell'economia presente della Chiesa un giorno o l'altro i cristiani sono chiamati a morire.

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d) Eliminazione del peccato . Si ricordi il rapporto malattia - peccato sopra riferito; si pensi pure che spesso Gesù prima di curare la malattia, eliminava il peccato che poteva averla occasionato. Quindi, nel caso che la malattia fosse dovuta a peccato, la preghiera ne otteneva il perdono senza del quale la malattia non poteva venire rimossa. Ma siccome il legame con la malattia non sussisteva necessariamente, ne viene che esso è indicato da Giacomo in modo solo ipotetico: « E se egli ha commesso un peccato, gli sarà perdonato » (v. 15). La forma passiva è un modo giudeo-cristiano per evitare il nome di Dio, che si cercava di pronunciare il meno possibile, e significa: Dio gli perdonerà.

Così l'ammalato si trova nella condizione indispensabile per ricevere la guarigione corporale.

1) Va anzitutto notato che gli anziani al tempo di Giacomo - come abbiamo già visto - non erano dei sacerdoti, per cui il loro non era un atto propriamente sacerdotale, compiuto con un'autorità mancante agli altri semplici cristiani. La loro preghiera non era più efficace di quella altrui, ma era attuata da loro solo perché essi erano i maggiori responsabili della comunità e del gregge a loro affidato. Quindi l'attuale atto del vescovo (o dei presbiteri) che consacra l'olio, e l'unzione che, per la sua validità deve essere compiuta da un sacerdote (o diacono) sul malato, non hanno più nulla a che vedere con il passo di Giacomo.

2) Va anzitutto ricordato che l'unzione degli ammalati non è un fatto obbligatorio in quanto è messa in mezzo a una serie di suggerimenti, come lo sono per esempio quello di pregare e di salmeggiare (v. 13). Essa è la libera conseguenza di libera decisione personale, utile ma non indispensabile, così come è utile ma non necessario pregare quando uno è triste, e « salmodiare» quando uno è lieto.

3) E' utile ancora oggi l'invito di chiamare gli « anziani», ossia i vescovi della Chiesa? Certamente essi anziché ungere con olio, la medicina di quel tempo, dovranno vedere se l'ammalato dispone di tutte le risorse odierne: medicine, visite mediche necessarie i almeno utili. Gli anziani a nome della comunità e con le risorse di questa dovranno vedere se l'ammalato abbisogna di qualcosa che, ad esempio, le mutue non offrono.

4) E dopo aver fatto tutto ciò che umanamente è indispensabile, gli anziani o vescovi dovranno pregare Dio che tutto dirige secondo la sua volontà. Ancora oggi la preghiera ha la stessa efficacia del tempo apostolico; se sembra possedere minor potenza di pende dal fatto che oggi - in un epoca tecnicista - manca la fiducia del tempo apostolico. Ma Dio è lo stesso: ieri, oggi e domani!

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