CONFESSIONE
E PERDONO DEI PECCATI

di Fausto Salvoni

CAPITOLO TERZO
PENITENZA E INDULGENZA

Indice
1) Sviluppo storico della penitenza
a) Manifestazioni penitenziali
b) Sviluppo storico delle indulgenze

2) Anno Santo e Giubileo
3) Indulgenze e Bibbia

La chiesa, ministra di redenzione, ha il potere di dispensare autoritariamente il tesoro delle riparazioni di Cristo e dei Santi per rimettere la pena temporale (Paolo VI)






1) Sviluppo storico della penitenza

a) Manifestazioni penitenziali

Secondo i teologi cattolici ogni colpa, oltre alla offesa contro Dio, che viene rimossa dal dolore del peccato congiunto con la volontà di non peccare più (metànoia, o ravvedimento o conversione), include pure un piacere illecito, che deve essere espiato con « penitenze » o sacrifici personali sino all'ultimo centesimo (Mt 5, 25 s). Queste penitenze si andarono evolvendo nel corso dei secoli attraverso continui alleggerimenti, all'inizio vi erano due giorni di digiuno alla settimana – mercoledì e venerdì – come già scrive la Didachè a ricordo forse dell'imprigionamento di Gesù (mercoledì) e della morte di Gesù (venerdì), consistente, secondo il metodo tuttora vigente presso i musulmani nel mese di Ramadan, nell'astensione totale dal cibo e dalle bevande fino alla sera. In seguito, specialmente per la penitenza dei peccati gravi ma remissibili, si andò dimenticando il ricordo di Gesù per mettere in rilievo l'espiazione personale: digiuni, veglie, lunghe preghiere in ginocchio o in piedi, astensione dall'atto coniugale, arrotolarsi nudi in mezzo alle ortiche, dormire con un cadavere e via dicendo.

Come abbiamo visto nel capitolo sulla Penitenza, esistevano dei veri tariffari che stabilivano per ogni peccato la pena da subire, da prolungarsi per alcuni giorni, mesi od anni. In seguito la scelta della penitenza fu lasciata all'arbitrio del confessore e ridotta ad elemosine o preghiere, come rosari, numerose Ave Maria o Pater Noster ecc.

Francesco D'Assisi, vero modello di penitenza, per descrivere la sua vocazione cita la frase del vangelo: « Il Signore mi diede di cominciare così a fare penitenza ». In una delle sue lettere definisce coloro che osservano la regola « De illis qui faciunt poenitentiam » (di coloro che fanno penitenza) e coloro che non l'osservano: « De illis qui non agunt poenitentiam » (di coloro che non fanno penitenza). Suo modello è il Cristo che visse povero dal presepio alla croce, per cui egli si identifica con i « minores », vale a dire con i poveri del suo tempo. Il suo comportamento non è però quello di un riformatore che politicamente si opponga alla Chiesa ricca; egli non si interessa di quello che fanno gli altri, ma intende realizzare la sua condizione di creatura: solo il povero si trova nella condizione più favorevole per sentire la propria esistenza come una realtà mendicata istante per istante da Dio, e per valutare i beni personali e le altre creature come doni divini. I frati francescani divennero così i predicatori e i testimoni della penitenza: si diedero ad annunciare «i vizi e le virtù, la pena e la gloria» anziché entrare in discussioni teologiche.

Nel 13° e 14° secolo si ebbero le più grandi manifestazioni penitenziali, che dall'iniziale penitenza dell'individuo, divennero un fenomeno di massa. Nel 1260 sarebbe dovuto avverarsi, secondo la predicazione di Gioachino da Fiore l'avvento della nuova era dello Spirito Santo, per cui la penitenza divenne un fenomeno popolare. Dietro la spinta dell'eremita Raniero Fasani, essa si estese a quasi tutte le città italiane. Per avere l'idea della tensione creatasi basti pensare che a Perugia per quindici giorni consecutivi cittadini di ogni posizione percorsero processionalmente le vie della città, dietro la croce con la disciplina in pugno. Vi presero parte persino i bambini, mentre le matrone si flagellavano nelle loro stanze: « in suis cubiculis et cum omni honestate ».

Una seconda ondata di entusiasmo penitenziale si ebbe nel 1300 quando Bonifacio VIII promulgò il primo giubileo, reclamato dallo stesso popolo. Verso la fine del '400 al grido del Savonarola: « Ecce gladius domini super terram! » (Ecco la spada del Signore sulla terra) gli smaliziati fiorentini fuggivano atterriti e si lamentavano: « Questo frataccio ci fa capitare male! ». Vuol dire che il predicatore già allora più non diceva quello che il popolo si attendeva, anche se un uomo della tempra di Fra Girolamo riusciva ancora a dominare larghi strati di folla sia pure recalcitrante. Perciò il fenomeno penitenziale italiano si dissolse nel rogo di Piazza della Signoria a Firenze, dove fu bruciato il corpo del Savonarola il 23 maggio 1948.

Dopo quell'epoca la penitenza andò sempre più degenerando, perché la gente di attendeva da essa una palingenesi sul piano storico e sociale, non su quello religioso-spirituale. In Polonia e più ancora in Germania la chiesa dovette intervenire contro Conrad Schmidt e i fratelli della Croce che, abolito il battesimo di acqua, proclamarono valido solo il battesimo di sangue. Le flagellazioni così compiute divennero un sacramento con il potere di rimettere i peccati, e in qualche città, per esempio ad Avignone, sorsero delle infermerie per curare i fedeli dopo tali battesimi di sangue.

Invece la penitenza ufficiale continuò con la quaresima e i giorni di digiuno e di astinenza, i quali andarono però facendosi sempre più leggeri, sia per la riduzione della durata sia per la possibilità di prendere dei cibi (come i latticini) in antecedenza proibiti. La recente costituzione apostolica Penitenimi del 17 febbraio 1966, suggerì la triade: « preghiera, digiuno, carità », da attuarsi spontaneamente dai singoli fedeli. Chiunque è in buone condizioni fisiche eserciti generosamente opere buone e caritatevoli, chi è sofferente accolga con spirito penitenziale le angustie della vita, la povertà e le malattie. Per tutti hanno particolare valore la fedele esecuzione dei propri impegni e l'accettazione degli oneri imposti dalla vita quotidiana. Ancora oggi, però, nel mercoledì delle ceneri e nel venerdì della settimana santa i cattolici devono osservare il digiuno con l'astinenza. Nei venerdì non quaresimali l'episcopato italiano concesse la libertà di commutare l'astinenza della carne con un'altra opera di penitenza. Nei venerdì di quaresima osservino invece l'astinenza, vale a dire l'astensione dalle carni; chi proprio non lo può vi deve supplire con altre opere penitenziali.

In questo fenomeno penitenziale si inseriscono le indulgenze, costituite da interventi della gerarchia ecclesiastica, la quale, attingendo al tesoro della chiesa, rimette in parte o del tutto, dinanzi a Dio, la pena temporale per i peccati già cancellati in quanto a colpa (Corpus Iuris Canonici, can. 911). Essa, conferita a modo di assoluzione per i viventi e di suffragio per i defunti, è data al di fuori del sacramento della penitenza, vale a dire in foro externo, non interno. Per il suo effetto l'indulgenza si divide in plenaria (totalis) che rimette tutte le colpe temporali dovute al peccato (così l'indulgenza della Porziuncola e quella del giubileo), e in parziale che ne condona una parte più o meno grande calcolata in sette, cinquanta, duecento giorni, sette anni di indulgenza.

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b) Sviluppo storico delle indulgenze

Per i primi mille anni del cristianesimo le indulgenze sono del tutto ignote, tant'è vero che le chiese orientali, staccatesi da Roma prima della loro applicazione, non hanno alcun sistema indulgenziale. Si vorrebbe trovarne un precedente nel comportamento di benignità suggerito da Paolo alla chiesa di Corinto verso quel « tale » prima castigato e che si vorrebbe identificare nell'incestuoso di Corinto (2 Co 2, 5 con 1 Co 5, 1 s). Ma non è sicuro che quel « tale» sia lo stesso incestuoso precedentemente punito; inoltre non si tratta affatto di indulgenza. La chiesa, che per il desiderio della sua conversione era stata rigida verso lui, ora, dopo il suo pentimento, deve riprendere i rapporti fraterni nei suoi riguardi. Di una riduzione della pena dinanzi a Dio non vi è nemmeno l'ombra.

Si è voluto trovarne un precedente nelle Lettere dei Martiri (libretto di Pace) con le quali i candidati al martirio, dal carcere in cui erano tenuti prigionieri, intercedevano perché la penitenza pubblica dei lapsi fosse mitigata e costoro protessero venire riammessi subito nella chiesa.. Il vescovo, pur non essendo vincolato da tali richieste, generalmente accordava, con una nuova sentenza, il favore richiesto. Siccome ciò poteva causare degli abusi, alcuni vescovi non di rado se ne lamentavano. Talora il vescovo mutava per conto proprio la sentenza, anche se talora faceva fatica a convincere il popolo.

Nel Medio Evo, nel 6° secolo, entrarono in uso le redemptiones nelle quali su supplica alle penitenze canoniche con altre opere personali, come i pellegrinaggi (peregrinationes) a Roma, a S. Giacomo di Compostella (Spagna) oppure al S. Sepolcro. Così papa Benedetto III (m. 858) ridusse la pena a un fratricida per avere compiuto un pellegrinaggio a Roma. La visita al S. Sepolcro suppliva qualsiasi penitenza da scontare. A questi pellegrini  i papi imponevano penitenze minori sia per la difficoltà del viaggio, sia per la devozione verso i luoghi consacrati dal sangue di Cristo e degli apostoli. Non si tratta ancora di indulgenze, bensì solo di commutazione della pena in conseguenza di un sacrificio personale e non consta che i confessori intendessero supplire con il tesoro della chiesa alla minore soddisfazione compiuta dai penitenti.

Nel medio Evo (sec. 11° e 12°) fiorirono pure le cosiddette assoluzioni che si attuavano sin dal tempo di Gregorio Magno (m. 604) fuori del sacramento della penitenza e a cominciare dal secolo 10° nello stesso sacramento della penitenza.. Esse entrarono a far parte della liturgia, come il Confiteor all'inizia della Messa. Consistevano in semplici invocazioni a Dio perché rimettesse pienamente i peccati, ma non erano ancora indulgenze in quanto consistevano in preghiere (impetrazioni) senza valore assolutorio. Al più si possono ritenere delle benedizioni solenni con dichiarazione autoritaria dell'effetto da conseguirsi.

Nell' 11° secolo il papa e i vescovi iniziarono il vero sistema delle indulgenze condonando parte della penitenza imposta (un quarto, un terzo, al massimo metà) ai fedeli che avessero compiuto qualche opera buona, contribuendo ad esempio alla costruzione di una chiesa o a qualche opera di pubblica utilità come ponti, ospizi, strade. Successivamente la penitenza canonica venne rimessa secondo un computo fissato in un determinato numero di giorni: nell' 11° secolo si arrivò fino a 40 giorni, nel 12° fino a un anno e 40 giorni. Si tratta di riduzione dei giorni di penitenza che i peccatori avrebbero dovuto sostenere in questa terra per le loro colpe e non del tempo di permanenza in purgatorio. Nicolò II nel 1060 elargì un'indulgenza in occasione della consacrazione di un altare posto nella basilica del monastero di Farfa. Urbano II (durante il concilio di Clermont-Ferrand del 1095) dichiarò che i crociati « ricevevano il pieno perdono dei loro peccati e il frutto della ricompensa eterna nell'al di là ». E' l'inizio dell'indulgenza « plenaria ». Gregorio VIII (a. 1187) applicò tale indulgenza anche a colui che non potendo partecipare personalmente alla crociata, avesse pagato un'altra persona perché vi prendesse parte in sia vece. Celestino III (m. 1198) assicurava:

I crociati, sia che sopravvivano, sia che muoiano, per la misericordia di Dio, per l'autorità degli apostolo Pietro e Paolo e la nostra, siano sicuri di ottenere il perdono della riparazione imposta per quei peccati di cui abbiano fatto una buona confessione.

Contro le indulgenze non si elevò alcuna voce contraria, ad eccezione di Abelardo che le biasimò nella sua Ethica , anzi si cercò piuttosto di legittimarle.. Nel 13° secolo, specialmente dopo che il concilio Latenanense IV (a. 1215) ne ebbe parlato sia pure per limitarne la distribuzione da parte dei vescovi, sorse il concetto del « tesoro della chiesa » (Ugone di Santo Caro, ca 1230) costituito dai meriti di Gesù, di Maria e di tutti gli altri santi. Da esso il papa e i vescovi potevano attingere a piene mani, in virtù del loro potere giurisdizionale, e distribuirne la parte che volevano ai credenti in modo da ridurre autoritativamente la loro espiazione dei peccati, anziché impetrarne da Dio l'ascolto.

Nel 14° secolo, dopo il grande giubileo (1300) promulgato da Bonifacio VIII, le indulgenze si andarono moltiplicando sempre più. Il cronista Guglielmo Ventura ricorda che quell'anno la gente diceva: « Dacci, o Padre Santo, la tua benedizione, prima che ci tolga la morte. Sappiamo dai nostri avi che chiunque l'anno centesimo visiti i corpi dei santi apostoli, va libero di colpa e di pena » . Anche se allora non venivano più imposte le penitenze croniche nelle confessioni sacramentali, si continuarono ad usare le espressioni di cento giorni, di un anno di indulgenza ed altro, per cui tali formule persero un qualsiasi senso preciso oppure vennero popolarmente intese come tanti giorni di meno da stare in purgatorio.

Nel 15° secolo apparvero anche le indulgenze a favore dei morti. Fino al 1200 nessuno aveva mai pensato di estendere la giurisdizione papale al regno dei morti (purgatorio). Il papa aveva ricevuto l'autorità vicaria di Cristo dicevano i teologi per la terra e solo tale sua sentenza viene riconosciuta in cielo; non si pensava ancora che avesse alcun potere sui fedeli già morti giacenti in purgatorio. Ma con il 13° secolo si incominciò anche a discutere su questo regno: già Bonaventura e Tommaso insegnarono che la chiesa avrebbe potuto applicare le indulgenze anche in favore dei fedeli defunti, per impetrazione, vale a dire a mo' di suffragio.. Agostino di Trionfo (m. 1328), che scrisse una Summa Teologica per ordine di papa Giovanni XXII (m. 1334), assicurava che anche il purgatorio stava sotto il controllo papale e che, volendo, il santo padre avrebbe potuto liberare tutte le anime quivi detenute, ma consigliava però il papa a non interessarsene.

Tuttavia Callisto III (1455-1458) mise la chiesa dinanzi al fatto compiuto; infatti in una sua bolla inviata nel 1457 al re Enrico di Castiglia promise un'indulgenza applicabile anche ai defunti per chiunque avesse a pagare duecento maravedi a favore della crociata. La bolla all'inizio ebbe scarsa risonanza, ma appena fu nota, suscitò grande scalpore tra i teologi, che però la spiegarono con la dottrina tomista del suffragio. Fu Sisto IV che, poggiando su tale interpretazione, di fatto concesse per la durata di 10 anni alla cattedrale di Saintes (Francia), consacrata il 3 agosto 1476, l'indulgenza plenaria per le anime del purgatorio. Compiuto il primo passo, ne seguirono poi i grandi abusi biasimati anche da Lutero, come la famosa frase (se è vera!) del domenicano Tetzel:

Appena l'oro nella cassa ribalta
l'anima via dal purgatorio salta

Si dimenticava così la spiegazione dello stesso Sisto IV, il quale affermava che l'indulgenza per i defunti è come una preghiera di suffragio, per cui vale « come se fossero recitate per la salvezza di quelle anime devote, orazioni, offerte e pie elemosine». Pur essendo più efficace della preghiera privata, essa rimane pur sempre non vincolante per Dio.

Lo stesso monaco Tetzel, quando a Roma salì nel 1510 la scala santa per la quale Gesù sarebbe passato quando andò al tribunale del governatore romano Pilato, disse ad ogni gradino un pater liberando così automaticamente un'anima dal purgatorio. Si dice tuttavia che all'ultimo gradino si sia chiesto « Sarà poi vero?».

Il Concilio di Trento (4 dicembre 1563), dopo aver scomunicato chiunque negasse il potere della chiesa nel dare le indulgenze oppure sostenesse la loro inutilità, ne regolò la concessione e ne proibì la questua; stabil' che i preti potevano ricevere elemosine dai fedeli, non però come pagamento delle indulgenze. La giungla delle indulgenze andò accrescendosi sempre più: indulgenza plenaria per la benedizione papale con Urbano VIII (prima era di soli 100 giorni), indulgenza plenaria in articulo mortis, indulgenza plenaria per chi avesse fatto la Via Crucis intera (di 10 anni per ogni stazione singola), indulgenza di 5 anni per chi recitasse il rosario da solo, di 10 anni se lo recitasse assieme con altri. Sorsero poi i rosari indulgenziati; furono portatori di indulgenza croci, medaglie, statuette, scapolari e via dicendo.

Dopo il Concilio di Trento si è andato costatando una progressiva diminuzione dell'interesse per le indulgenze, che giunse persino ad una opposizione nei loro riguardi. Oggi si preferisce spiegare la reversibilità e la direzione delle indulgenze nel modo seguente: avviene nel corpo mistico quello che avviene nel corpo umano; un cibo, un esercizio, una medicina procura al corpo umano un benessere che si diffonde armonicamente in tutte le membra (cf 1 Co 12, 12-26). Ma un cibo, un esercizio, una medicina intenzionalmente scelta, può portare un particolare benessere a un determinato membro. Così i meriti di Cristo e della chiesa (Vergine e santi) costituiscono un tesoro che, tramite le indulgenze, può essere diretto intenzionalmente vero alcune persone vive o defunte. L'indulgenza non sarebbe quindi una sentenza, ma una elargizione di beni comuni: « Chi riceve la indulgenze non è assolto, a rigore di termine, dal debito di pena, ottiene quanto è necessario per saldare il suo debito ». Il tesoro della redenzione è stato affidato al beato Pietro « clavigero del cielo » (cf Mt 16, 19) e ai successori, vicari di cristo quaggiù, con il compito di dispensarlo salutarmente ai fedeli per una causa giusta e ragionevole. Il papa lo può applicare misericordiosamente, – secondo che egli lo riterrà utile dinanzi a Dio – ai peccatori confessati e veramente pentiti, perché ne sia rimessa in modo completo o limitato la pena temporale dovuta ai loro peccati. Secondo una sentenza teologica moderna (B, Poschmann, K. Rahner) va criticata l'idea tradizionale operante ex opere operato ; essa è solo un'impetrazione a favore del peccatore che Dio accetta nella misura da lui ritenuta opportuna, senza essere legato alla decisione ecclesiastica. In tal modo si toglie l'incongruenza di conceder infallibilmente la remissione della pena tramite l'indulgenza, mentre nel sacramento della confessione tale remissione viene concessa proporzionalmente alle disposizioni del penitente. R. Masi e il card. Ch. Journet, pur riconoscendo che l'ipotesi del Rahner elimina ogni concezione giuridica dell'indulgenza, notano che essa, si scosta alquanto dall'usuale interpretazione dei documenti del magistero ordinario e ne minimizza troppo l'importanza, in quanto la riduce ad una semplice intercessione della chiesa.

La discussione era a questo punto quando Paolo VI, con la costituzione apostolica sulla dottrina delle indulgenze del 1 gennaio 1967, presentò una via di mezzo tra l'opposizione del card. Massino IV Saigh il quale, assieme ai vescovi del Laos e del Dahomei, voleva eliminarle del tutto, e la tradizione cattolica precedente. Egli difese autorevolmente tre verità intimamente connesse con le indulgenze:

1) Il peccatore ha il dovere di soddisfare il suo peccato; «le pene sono imposte secondo giustizia e misericordia da Dio per la purificazione dell'anima, per la difesa della santità dell'ordine morale e per ristabilire la gloria divina lesa nella sua maestà (1, 2).

2) L'esistenza del divino «tesoro della chiesa» da immaginarsi non come una somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, «ma come il valore infinito e inesauribile, che presso Dio hanno le azioni e i meriti di Cristo Signore, offerti perché tutta l'umanità sia liberata dal peccato e pervenga alla comunione con il Padre... Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e davvero nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le opere della beata Vergine Maria e di tutti i Santi. Costoro, seguendo le orme di Cristo e per grazia sua, hanno santificato la propria vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre con l'operare la propria salvezza e con il cooperare alla salvezza dei propri fratelli nell'unità del corpo mistico» (2, 5).

3) Il potere che la chiesa, ministra delle redenzione, ha «di dispensare con intervento autoritario al fedele debitamente disposto il tesoro della soddisfazione di Cristo e dei Santi in ordine alla remissione della pena temporale» (4, 8 norma 1).

Le indulgenze dovrebbero quindi aiutarci a comprendere la liberalità di Dio in Cristo e il mistero della chiesa che unisce i credenti tra loro e con quelli che sono «morti nella pace di Cristo ». Esse continuano a spronarci al continuo rinnovamento di noi stessi nel desiderio di aiutare anche gli altri. « Non è... l'indulgenza notava Paolo VI nella Sacrosantae Portiuncolae (1966) un'accorciatoia che ci consenta di evitare la necessaria penitenza dei peccati, ma è piuttosto un saldo appoggio, che i singoli fedeli, pienamente coscienti della propria debolezza e quindi anche umili, trovano nel Corpo Mistico di Cristo, il quale tutto insieme coopera per la loro conversione, con la carità, l'esempio e la preghiera ».

Paolo VI on questa sua costituzione cercò di aggiornare le indulgenze eliminandone l'anacronistica espressione matematica che le valutava in giorni, mesi, anni. Egli volle invece proporzionarle alla pietà, al fervore e all'amore con cui il fedele compie gli atti richiesti. Egli abolì pure i privilegi di qualsiasi genere, come gli altari privilegiati; ridusse a cinque gli oggetti indulgenziabili: crocifisso, croce, corona del rosario, scapolare e medaglie. Decise pure che le indulgenze plenarie, ridotte a poche, si potessero acquistare una sola volta al giorno purché fossero congiunte con la comunione: esse si lucrano con l'adorazione del S.S. Sacramento per almeno mezz'ora, con la Via Crucis, la recita del rosario e la visita al cimitero dell'ottavario dei morti (1-8 novembre).

Una innovazione importante è contenuta nell'articolo 18 della Costituzione:

Al fedele in pericolo di morte, che non possa essere assistito da un sacerdote per amministrargli i sacramenti e impartirgli la benedizione apostolica con l'annessa indulgenza plenaria in punto di morte, la chiesa concede ugualmente l'indulgenza plenaria, purché il fedele sia debitamente disposto e abbia recitato abitualmente durante la vita almeno una preghiera.

Paolo VI concesse pure delle indulgenze parziali a chiunque « nelle avversità della vita, innalza con umile fiducia l'anima a Dio, aggiungendo una pia invocazione » o « pone se stesso e i suoi beni al servizio dei fratelli che sono in difficoltà » o « con spirito di penitenza si priva spontaneamente e con proprio sacrificio di qualche cosa lecita ».

Contro l'opposizione di alcuni vescovi il papa ha conservato l'indulgenza dell'Anno Santo o del Giubileo, come prima si chiamava.

Secondo la nuova presentazione delle indulgenze « la chiesa intende venire incontro ai suoi figli non solo per aiutarli a soddisfare le pene dovute ai loro peccati, ma anche e soprattutto per spingerli a un maggior fervore di carità».

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2) Anno Santo e Giubileo

Una speciale indulgenza plenaria è congiunta con l'anno santo che si ricollega al Giubileo biblico, che ricorreva ogni 50 anni e il cui nome si riallacciava all'ebraico jobel ( o « corno») perché il suo inizio veniva annunciato con il suono di un corno di ariete (Lv 25, 9).

Il Giubileo cattolico ebbe inizio nel 1300 con la Bolla Antiquorum habet del 22 febbraio 1300, di papa Bonifacio VIII, della quale presento il seguente stralcio:

Bonifacio VIII concede pienissima indulgenza e remissione di tutti i peccati ai fedeli che, pentiti e confessati, visiteranno le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo ed in ogni centesimo anno futuro, dichiarando che se saranno romani, dovranno visitarle per trenta giorni consecutivi o intercalati, almeno una volta al giorno; se invece saranno forestieri o pellegrini, dovranno visitarle per quindici giorni allo stesso modo.

Il 25 dicembre 1300, a conclusione del Giubileo, secondo il foglio 31 del codice di Gaetano Stefaneschi:

il papa dichiara che ottengono la piena indulgenza tutti i forestieri che sono oggi a Roma, anche se non hanno finite le visite prescritte, così che possono partire senz'altro. La ottengono pure tutti coloro che si sono mossi prima di aver terminato le visite prescritte; tutti quelli che si sono messi in viaggio per l'indulgenza e poi ne sono stati impediti.

E nel successivo foglio 32 le annotazioni proseguono:

L'anno giubilare finisce oggi, tuttavia il termine per lucrare l'indulgenza è prorogato fino alla Pasqua di resurrezione dell'anno prossimo.

Sotto Clemente VI il Giubileo fu prescritto ogni 50 anni anziché ogni 100 come prima (27 gennaio 1343). Vi si aggiunse pure l'obbligo di visitare la chiesa del Laterano. Gregorio XI impose anche la visita alla basilica di S. Maria Maggiore, raggiungendo così il numero di quattro basiliche, tuttora in vigore (29 aprile 1373).

Con Paolo II (a. 1470) si fissò a 25 anni la cadenza dei giubilei, come si è conservato fino a oggi (15 aprile 1470). Fu però il suo successore Sisto IV che nel 1475 potè applicare tale norma, perché il suo predecessore era allora già morto.

Benedetto XIV il 25 dicembre 1750 diede al Giubileo un'importanza più universale per cui i pellegrini, nonostante le difficoltà a causa delle guerre che sconvolgevano l'Europa, accorrevano a Roma da ogni parte del mondo. Ai giubilei ordinari se ne aggiunsero pure altri straordinari, come nel nostro secolo i due indetti da Pio XI: uno nel 1929 per celebrare con il concordato anche la sua ordinazione sacerdotale e uno nel 1933 per il 19° anniversario della Redenzione (morte di Cristo).

Il nome giubileo fu poi cambiato in Anno Santo da Sisto IV (1475). Dal 1500 con Alessandro VI vi si introdusse la cerimonia dell'apertura di una speciale entrata detta «Porta Santa », quella cioè che negli altri anni sta sempre murata nella facciata di S. Pietro e che è transitabile solo nell'Anno Santo. Quando nel 1499 il papa Alessandro VI ne stabiliva l'uso di apertura, si riferiva espressamente al noto passo di Giovanni: « Io sono la porta. Chi per me passerà, sarà salvo, Entrerà ed uscirà e troverà pascoli... Io sono venuto perché abbiano vita e l'abbiano in sovrabbondanza» (Gv 10, 9 s). Ma mi chiedo: quanti, attraversando la porta del giubileo, hanno pensato al fatto che Gesù è porta di salvezza?

In occasione dei giubilei vi erano illuminazioni e giornate di sfarzo straordinario: notevole la luminaria della cupola e la «girandola» in occasione della venuta del re delle due Sicilie nel 1825, per la quale si dovette emanare un apposito regolamento riguardante le carrozze che vi pervenivano. Naturalmente non mancarono in passato (come oggi) quelli che cercarono di sfruttare a proprio vantaggio l'Anno Santo per scippare i visitatori: Clemente VI esortava la popolazione romana a liberare le strade dai predatori e a donare ogni sorta di assistenza ai pellegrini (10 aprile 1349). Bonifacio IX condannò Nicolao e Giovanni Colonna per i loro delitti, tra cui quello di aver maltrattato, spogliato e persino ucciso dei pellegrini giunti a Roma da ogni parte d'Europa (14 maggio 1400). Giulio II espresse la sua preoccupazione per le speculazioni dei romani ed emanò un decreto «contro l'aumento dei fitti » (1550).

Gli Anni Santi servirono pure per sostenere la chiesa in qualche momento tragico da essa attraversato: in piena controriforma Clemente VIII con il giubileo del 1600 volle turare la falla apertasi 83 anni prima da Martin Lutero e dal Protestantesimo. Per questo vi si diede il massimo rilievo alle conversioni di alcuni protestanti al cattolicesimo, come i noti casi di Giovanni Calvino, nipote del grande riformatore Giovanni Calvino, e di Cristoforo Ranzow un noto teologo luterano. Il 17 febbraio per ammonire i cattolici a stare ben saldi attorno all'autorità papale fu bruciato sul rogo, davanti a migliaia di persone assiepate a Campo de' Fiori, il domenicano Giordano bruno, precursore dei contestatori odierni.

Nel giubileo del 1950 per ridare al mondo l'immagine di una chiesa solida, ricca e monolitica, l'aristocratico Pio XII (papa Pacelli) volle tutta una serie di cermonie sfarzose. Fra le più importanti vi fu la beatificazione di Pio X, colui che aveva condannato il modernismo e aveva soffocato ogni critica in seno alla chiesa. Il suo apice fu la proclamazione del dogma dell'assunzione in cielo di Maria anima e corpo alla presenza di 600 vescovi in pompa magna e di 200 mila pellegrini. In quel periodo si diffusero le prime voci, confermate poi ufficialmente l'anno seguente, che Pio XII avrebbe avuto apparizioni celesti, mentre passeggiava nei giardini vaticani.

L'anno giubilare del 1975 rimase a lungo in forse. Molti ne erano contrari, come il teologo Karl Rahner per il quale « è tempo che finiscano tutte le vuote manifestazioni di una religiosità sorpassata. Bisogna ritornare alla semplicità del vangelo ». Ma poi alla fine del 1971 ogni perplessità fu accantonata da Paolo VI, che indisse il nuovo giubileo. Una delle ragioni più valide per la sua celebrazione fu il desiderio di porre un freno al dissenso cattolico e di ristabilire l'unità minacciata della chiesa: questa non è morta, è ancora viva, vitale, potente. Essa ha ancora un volto ben valido da mostrare al mondo. La Bolla di indizione ne ha chiaramente accentuato lo scopo:

Il rinnovamento interiore dell'uomo...
Bisogna rifare l'uomo dal di dentro... è il processo di autorinascita. Il termine riconciliazione richiama il concetto opposto di rottura... Abbiamo bisogno di ristabilire rapporti autentici, vitali e felici con Dio... La riconciliazione si svolge su altri piani vastissimi: la stessa comunità ecclesiale, la società, la politica, l'ecumenismo, la pace...

Contro l'uso precedente, iniziatosi con Gregorio XIII nel 1575 di estendere l'indulgenza giubilare alle singole parrocchie di tutta la chiesa cattolica nell'anno successivo al giubileo romano, Paolo VI ha voluto che la sua estensione a tutta la comunità cattolica avvenisse l'anno precedente (1974) a preparazione di quello romano. A Roma l'indulgenza plenaria del giubileo si lucrò con la visita, congiunta con la confessione e la comunione, alle quattro basiliche romane di S. Maria delle Grazie, di S. Paolo fuori le Mura, di S. Giovanni in Laterano e di S. Pietro in Vaticano. Guide appositamente preparate istruivano i pellegrini e mostravano loro la Roma cristiana. L'anno Santo fu pure un mezzo per riaffermare il carattere sacro di Roma e per sottolineare l'incondizionata autorità del papa. Per questo Paolo VI, quando si rivolse alla giunta comunale di Roma, ricordò il dovere della « ferma tutela del carattere singolare di questa città, che certa licenza pornografica e certo costume vorrebbero attenuare se non dimenticare e obnubilare » (Oss. Rom. 27-1-72).

Per dare l'immagine della sua potenza il comitato organizzativo ha puntato molto sulla cerimonia di apertura, tenutasi la notte di Natale, per la quale fu mobilitato Franco Zeffirelli, ritenuto uno dei più raffinati registi italiani, anche se poi di fatto sono piovuti in testa al papa dei calcinacci. Il Vaticano fece ogni sforzo per ottenere la massima diffusione della cerimonia, mettendo in movimento i suoi più autorevoli diplomatici pontifici, per cui l'Osservatore Romano del 22 dicembre poteva trionfalmente asserire che un miliardo di telespettatori di 42 paesi si accingeva a vedere l'apertura del giubileo. Basta dare uno sguardo all'Osservatore Romano per notare tutta la serie di manifestazioni, tra cui la proclamazione di alcuni santi, le riunioni di giovani al Palazzo dello Sport, il raduno dei soldati da ogni paese. Tutto fu preparato alla perfezione anche a vantaggio delle risorse vaticane: case religiose con disponibilità di 1200 posti letto, sel-service per i pasti in Vaticano, commercio di articoli religiosi di ogni genere, baraccone semovente per la vendita dei francobolli emessi dal Vaticano per l'occasione e che andarono a ruba.

Il tentativo di rilanciare le vocazioni religiose si ebbe specialmente nei confessionali: «Il confessore accoglierà il penitente con affetto fraterno e, secondo l'opportunità, lo saluterà affabilmente ... Non ometta poi di far presente ai giovani che Cristo chiama ancora alla sua sequela nel sacerdozio o nella vita religiosa e che la chiesa ha bisogno di giovani generosi per compiere la sua missione » (Anno Santo n. 13/14).

Non è il caso di ricordare la valutazione poco favorevole di tanti cattolici: il card. Suenens (Belgio) lamentò che esso sarebbe stato «solo una grande occasione a favore dei tradizionalisti », che minaccia « far tornare indietro la chiesa di parecchi anni» in contrasto con lo spirito di apertura del Vaticano II. L'ex abate benedettino di Roma Ms. Franzoni ne biasimò il contrasto con lo spirito di amore insito nel giubileo biblico. Di fatto il giubileo cristiano non ha nulla a che vedere con il giubileo ebraico: presso gli ebrei esso comportava un intero anno di riposo per la terra, in modo di favorirne la fertilizzazione (Lv 25, 6-11). Il giubileo era un anno di liberazione degli schiavi per cui segnava « il ritorno di ogni uomo alla sua famiglia » (Lv 25, 10-13).

Ogni persona che avesse venduta la sua proprietà rurale, in tale anno ne rientrava in possesso, anche se in antecedenza il parente prossimo non avesse potuto riscattarla con il pagamento di una somma (Lv 25, 14-17.23-28).

Ad ogni modo il debito si pagava spesso con anni si servitù che nel giubileo aveva il suo termine prestabilito; il terreno a mano a mano che si avvicinava il termine del riscatto andava deprezzandosi nel suo valore, in quanto poteva essere sfruttato per poco tempo. Il giubileo aveva quindi un profondo senso umanitario che impediva l'usura (Lv 25, 35-38) e il latifondismo, anche se storicamente non risulta che esso sia stato praticato con fedeltà.

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3) Indulgenze e Bibbia

E' un dato biblico che dopo la sua conversione, il peccatore deve riparare nel miglior modo possibile il danno commesso verso gli altri: l'esattore Zaccheo, dopo il suo incontro con Gesù, disse: « Ecco, la metà dei miei averi, Signore, la dò ai poveri, e qualunque cosa io abbia estorto ad alcuno mediante falsa accusa, le rendo al quadruplo » (Lc 19, 8). E Gesù di rimando: « Oggi la salvezza è giunta in questa casa!». Senza riparazione non vi può essere una vera conversione.

Ad ogni modo le indulgenze contrastano con alcuni dati biblici:

1. Il cosiddetto tesoro della chiesa non trova alcun appoggio nella Bibbia. Il nostro tesoro salvifico ed espiatorio consiste esclusivamente nel sangue di Cristo, ossia nella morte di quel Gesù, che ci ha così purificato dai peccati: « Voi siete stati riscattati dal vostro insensato modo di vivere... non a prezzo di cose corruttibili, quali argento e oro, ma con il prezioso sangue di Cristo, pari a quello di un agnello senza difetto e senza macchia » (1 Pt 1, 18 s). per i nostri peccati abbiamo un avvocato in cielo che di continuo intercede per noi (1 Gv 2, 1 s). Ma per quanto riguarda i meriti dei cristiani e la loro efficacia purificatrice, nulla afferma l'insegnamento biblico. I cristiani possono  anzi devono aiutare gli altri con l'annunzio del lieto messaggio di salvezza, ma le loro opere, i loro atti buoni, non diventano sorgente di merito e fonte di aiuto per gli altri. Ce lo descrive assai bene una parabola di Gesù dove il padrone, al servo che è tornato a casa dopo il lavoro dei campi, non dice: «Vieni qui e mettiti subito a tavola », ma piuttosto gli ordina:

Preparami qualcosa per cena, cingiti i fianchi e servimi perché io mangi qualcosa, poi potrai mangiare e bere tu. Sarà egli riconoscente verso il servo, perché ha compiuto tutto ciò che gli era stato ordinato? Così anche voi, quando avete compiuto tutto ciò che vi è stato ordinato, dite: Siamo dei servi inutili. Abbiamo solo compiuto quel che dovevamo fare! (Lc 17, 7-10).

E' vero che noi saremo giudicati secondo le nostre opere buone o cattive che siano, ma esse riguardano solo noi, le nostre opere (anche buone) non possono servire e riparare le mancanze altrui, perché anche gli altri saranno giudicati secondo le loro proprie opere. Solo il sangue e l'intercessione di Cristo ha valore espiatorio e purificatorio delle umane miserie.

Anche Paolo, nonostante gli sforzi e i sacrifici subiti per evangelizzare i non ebrei (cf 2 Co 11, 16-33), non si esalta, ma riconosce di non aver fatto nulla di meritorio: «Anche se io evangelizzo, non ho di che gloriarmi, in quanto ne ho l'obbligo... Anzi guai a me se non evangelizzo» (1 Co 9, 16). Il premio non viene in virtù di opere, ma dalla fede che ho in Cristo:

« Mediante la fede, voi siete salvati e tutto questo non proviene affatto dalle vostre opere, ma è puro dono divino, affinché nessuno se ne glori. Siamo infatti sua fattura, essendo stati creati in Cristo perché mettessimo in pratica quelle buone opere, che Dio già da prima ci aveva preparato» (Ef 2, 8-10).

2. Nella Bibbia non vi è alcuna distinzione tra perdono della colpa e perdono della pena.. Quando Dio perdona il peccato, perdona tutto, anche tutte le sue conseguenze; permane solo l'obbligo di riparare il danno verso terzi. Questo è confermato dal fatto che nella Bibbia non vi è alcun accenno al purgatorio: questa dottrina proviene dal paganesimo che distingueva il luogo dei defunti in Tartaro (per i peccatori impenitenti), in capi elisei (per i puri) e in luogo di espiazione nel fuoco per gli altri. Ammesso dubitativamente da Agostino, come sicuro da Cesario, Gregorio Magno difese il purgatorio anche con presunte apparizioni di defunti. Per la Bibbia, invece, come vedremo, il nostro purgatorio è il sangue di Cristo.

3. Quanto poi all'obbligo di espiare sino all'ultimo centesimo con la sofferenza i nostri peccati dinanzi a Dio, non vi è alcun cenno nella Bibbia, la quale anzi ci presenta Gesù come unica nostra espiazione e sorgente di speranza. . Dio, che comanda agli uomini di perdonare sempre e senza rimpianti (Mt 18, 21 s), non può lui stesso agire diversamente e, nonostante il perdono concesso del peccato, esigerne la riparazione con la penitenza fino alla espiazione completa. Sono gli uomini del mondo che fanno così (Mt 5, 25 s), non l'Iddio misericordioso. Per mezzo dei suoi profeti egli ci fa sentire parole consolanti: « Io sono colui che per amore mio cancello le tue colpe e più non mi ricorderò delle tue trasgressioni» (Is 43, 25). « Io perdonerò la loro iniquità e più non mi ricorderò del loro peccato» (Gr 31, 34). L'amore misericordioso di Dio, che perdona senza rimpianti e senza punizioni, appare magnificamente nella parabola del figlio-prodigo. Tornato costui dal padre, pronto a farsi schiavo, si sente dire: « Presto, portatemi qui la veste più bella e rivestitelo, e mettetigli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo; mangiamo e rallegriamoci, perché questo figlio mio era morto, ma è tornato a vita, era perduto ed è stato ritrovato. E si misero a fare una gran festa» (Lc 15, 22 s).

4. Per tale motivo i cristiani del tempo apostolico non temevano la morte, perché sapevano che essa era solo un passaggio obbligato per entrare in più intimo contatto con il Cristo e, per mezzo suo, con il Padre.

« Per me – dice l'apostolo Paolo – vivere è cristo e morire guadagno!... Sono stretto da due lati: da una parte ho desiderio d'andarmene per essere con il cristo, il che è di gran lunga migliore. Ma per voi è più necessario che rimanga in questo corpo » (Fl 1, 21 s). Il cristiano non teme la sofferenza purificante del purgatorio, dopo la morte, perché colui che lo purifica é Gesù cristo: «Il sangue di Cristo continua a purificarlo da ogni peccato». Egli muore sereno perché sa di andare al riposo e non alla sofferenza: l'angelo al veggente di Patmos così dice: «Scrivi: beati i morti che d'ora in avanti muoiono nel Signore. Sì! Dice lo Spirito. Essi infatti si riposano dalle loro pene e le loro opere li seguono» (Ap 14, 13). Il credente sa di non essere «condannato, bensì di essere passato dalla morte alla vita» Egli ripone la sua fiducia non in possibili opere meritorie ed espiatrici, da lui compiute, bensì nella misericordiosa volontà del Signore.

« Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. Chi oserà condannarlo? Cristo Gesù, che non solo è morto, ma è anche risorto, vive alla destra del Padre e intercede per noi » (Rm 8, 33).

4. La gerarchia ecclesiastica – papa compreso – non ha alcun potere di distribuire i meriti di Cristo Gesù. La chiesa medievale ha trovato difficile chiarire che tale potere il papa lo avesse anche per le anime dei defunti. Ma nemmeno per i vivi, la Bibbia attribuisce alcun potere ai dirigenti della chiesa. I cristiani, membri della stessa famiglia di Cristo, hanno il compito di annunciare il Cristo, non di distribuire i doni di gesù. Paolo, dopo aver parlato dei vari doni dati ai cristiani, così conclude:

« Tutto ciò è opera dell'unico e medesimo Spirito che distribuisce i suoi poteri a ciascuno in particolare, così come egli vuole » (1 Co 12, 11).

Mi sembra ragionevole concludere che l'indulgenza, creazione degli uomini, ignota anche agli orientali, deturpa il messaggio biblico, centrato su Gesù e non sulla chiesa, sullo Spirito Santo e non sulla gerarchia ecclesiastica, sull'amore misericordioso di Dio e non sul merito di eventuali opere buone del credente.