DANIELE 7

LA VISIONE DI DANIELE SULLE QUATTRO BESTIE

Il tema di questo capitolo corrisponde per certi versi a quello del cap. 2. Nel cap. 2 viene narrato il sogno di Nabucodonosor della grande statua le cui diverse parti erano costituite da materiali differenti: la testa d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro, i piedi in parte di ferro e in parte d'argilla (Dn 2, 32-33). Mentre stava guardando questa statua, Nabucodonosor vide una pietra staccarsi dal monte, non per mano d'uomo, (Dn 2, 34.45) e colpire la statua che si frantumò e si polverizzò addirittura. Come viene detto nel v. 35 con l'immagine della pula portata via dal vento, di questa statua non rimase più alcuna traccia; mentre la pietra che l'aveva colpita divenne un gran monte che riempì tutta la terra. La statua naturalmente raffigura il succedersi dei vari regni nella storia umana a partire da quello babilonese di Nabucodonosor. Alla fine di questi regni Dio «farà sorgere una regno che non sarà mai distrutto; questo regno non sarà lasciato ad un altro popolo, ma . . . sussisterà in eterno » (Dn 2, 44).

La visione di Daniele relativa al cap. 7 ricalca lo stesso tema, anche se i regni questa volta sono raffigurati, come vedremo, da quattro bestie che sorgono dal mare. Se il tema è uguale, la prospettiva tuttavia è diversa. Mentre nel cap. 2 il regno di Dio era stato contemplato come dall'esterno, nel cap. 7 questo regno di Dio viene visto dal di dentro.

Tale differenza di prospettiva, insieme a diverse altre, sono dovute al personaggio che riceve la visione. Nel primo caso si tratta di Nabucodonosor, capo della prima monarchia universale, mentre nel secondo caso è Daniele, il profeta che fa parte dei santi e che vede la realtà nell'ottica del Dio della storia.

V. 1a: «Nel primo anno di Belshatsar, re di Babilonia » Il testo precisa che dal punto di vista storico questa visione ebbe luogo nel primo anno di Belshatsar, re di Babilonia. Viene quindi qui abbandonato l'ordine cronologico finora seguito e si torna indietro ad una data anteriore a quella del cap. 5. Le visioni pertanto, che vanno dal cap. 7 al cap. 12, non sono una continuazione della parte narrativa (capp. 1-6).

Nabucodonosor fece il sogno nel suo secondo anno di regno, al culmine della sua potenza. Questa visione invece è trasmessa a Daniele nel primo anno di Belshatsar, quando ormai la gloria e la potenza del regno avevano cominciato a declinare.

Non ripetiamo quanto abbiamo già detto circa la posizione di Belshatsar, che anche qui viene chiamato re di Babilonia pur essendo soltanto il reggente al posto del padre Nabonide. Poiché Belshatsar è il re con cui Daniele ed il popolo di Dio hanno a che fare, ci si riferisce a lui nella datazione. D'altronde questo scritto di Daniele non è un documento ufficiale babilonese, ma è una profezia scritta per il popolo di Israele e quindi la precisione storica e cronologica diventa superflua.

V. 1b: «mentre era a letto, fece un sogno ed ebbe visioni nella sua mente». Qui viene usata la stessa fraseologia di Dn. 2, 28b e Dn 4, 10. Questo fatto, insieme ad altre ripetizioni a cui il libro di Daniele ricorre continuamente, non solo rappresenta un'ulteriore testimonianza a favore dell'unità di questo libro, ma ci chiarisce anche che queste visioni non ebbero origine nel cervello di Daniele, come potrebbe apparire a prima vista leggendo questo versetto, ma furono trasmesse a lui direttamente da Dio mentre giaceva addormentato nel suo letto. Daniele ebbe durante il sonno la percezione mentale di queste visioni trasmessegli divinamente, proprio come era accaduto per Nabucodonosor.

La visione in sogno era un mezzo usuale attraverso cui Dio comunicava con il suo popolo per mezzo dei profeti, come possiamo leggere in Nm 12, 6.

V. 1c: «Poi scrisse il sogno e narrò la sostanza delle cose». In ebraico questa frase presenta qualche difficoltà, ma comunque la si voglia intendere il senso non cambia. Potrebbe voler dire che Daniele al risveglio, ancora sotto l'influsso dell'ispirazione divina, abbia messo per iscritto i principali contenuti del sogno appena fatto, tralasciano le parti secondarie. Oppure la «sostanze delle cose » potrebbe essere l'inizio della composizione stessa, quasi una sorta di titolo.

V. 2: «Guardavo nelle visione, di notte ». Daniele ribadisce nuovamente che ciò che sta per riferire gli è stato trasmesso da Dio e non è il prodotto del suo subconscio. Una caratteristica peculiare delle visioni è che normalmente esse avvengono sempre di notte durante il sonno. Di notte infatti erano sempre avvenute anche le precedenti visioni di Nabucodonosor (Dn 2, 1.28; 4, 5).

« I quattro venti del cielo squassavano il Mar Grande ». I quattro venti del cielo è un' espressione che troviamo anche in Dn 8, 8; 11, 4; Zc 2, 6 e 6, 5 (anche se in questo ultimo versetto viene tradotto con "spiriti del cielo "). Questi quattro venti sono i quattro venti cardinali, cioè il vento del Sud, il vento del Nord, il vento dell' Est ed il vento dell'Ovest, che nelle tavolette babilonesi vengono chiamati semplicemente " i quattro venti". Si tratta quindi di una comune espressione con cui ci si riferisce ai quattro venti che soffiano dai quattro canti o regioni del mondo. È però interessante capire se la menzione di questi quattro venti, abbia nel caso della visione di Daniele un qualche particolare significato simbolico. Varie sono state le interpretazioni date nel corso dei secoli al valore simbolico di questi quattro venti. Girolamo ad esempio sostiene che essi rappresentino le potenze angeliche. Uno studioso di nome Keil ipotizza che rappresentino "le potenze e le forze celesti, per mezzo delle quali Dio mette in movimento le nazioni del mondo". Altri commentatori non scorgono in questi quattro venti alcun particolare significato simbolico. Tutto dipende però da come si considera Il Mar Grande che viene squassato dai quattro venti. Alcuni studiosi, basandosi su Giosuè 1, 4, ritengono che si tratti del Mar Mediterraneo. Se si tratta effettivamente del Mar Mediterraneo, allora ogni simbolismo viene escluso: si tratta semplicemente di venti reali che scuotono il Mediterraneo e nulla di più.  Ma tutto il contesto della visione sembra escludere che qui l'autore abbia voluto fare un riferimento geografico ben preciso. Quando parla di « grande mare» è molto più probabile che egli si riferisca al mare universale o grande abisso, l'oceano sconfinato di cui hanno parlato il profeta Isaia e Giovanni nell' Apocalisse (Is 51, 10; Ap. 17, 8). A causa della sua immensità e mobilità il mare era sempre stato considerato dagli ebrei come qualcosa di pericoloso e misterioso (Is 57, 20), qualcosa di indeterminato ed instabile. In questo senso il mare rappresenta l'umanità ed in modo particolare i pagani (Is 17, 12-13; Ap 17, 15; Ap 21, 1). Nel nuovo cielo e nella nuova terra, questo mare non ci sarà più. Se si accetta che il grande mare rappresenti l'umanità, allora i quattro venti, che scuotono questo mare dell'umanità, vanno considerati delle forze controllate in modo speciale da Dio che scuotono e mettono in movimento le nazioni del mondo. Questo potrebbe essere il simbolismo che Daniele vuole mettere in evidenza con questa immagine.

V. 3. L'umanità sollecitata dalle forze divine porta a grandi sconvolgimenti mondiali e da questi sconvolgimenti sorgono dei regni umani. In seguito allo sconvolgimento del mare, sorgono infatti quattro animali. Questi animali, pur essendo diversi l'uno dall'altro, hanno in comune il fatto che sorgono tutti dal mare, cioè rappresentano regni di origine e di natura umana. Anche la bestia dell'Apocalisse sale dal mare (Ap 13, 1). Questi animali sono descritti come grandi, cioè mostruosi, ma non si dice che siano necessariamente feroci. È menzionata la loro diversità per richiamare l'attenzione sull'importanza del simbolismo con cui è poi descritto ciascun regno rappresentato da queste bestie. Non ci deve meravigliare più di tanto questa raffigurazione dei regni umani in forma di animali, in quanto nell'A.T. le nazioni gentili sono spesso rappresentate da animali (Ez 29, 3 ss - l'Egitto come una grande drago; le nazioni che hanno oppresso Israele vengono viste come un grande serpente, il Leviathan, che sarà distrutto da Dio; ancora Is 51, 9 parla di un dragone trafitto da Dio che segnerà la restaurazione di Israele).

V. 4: «La prima era simile ad un leone ed aveva ali d'aquila. Io guardavo, finché le furono strappate le ali; poi fu sollevata da terra, fu fatta stare ritta su due piedi come un uomo e le fu dato un cuore d'uomo»
Il primo animale corrisponde alla testa d'oro del cap. 2 e sta per Babilonia, in particolare per il regno di Nabucodonosor. Il simbolo del leone alato è molto appropriato per questo primo regno. Negli scavi di Nimrod è stato scoperto recentemente un leone alato con testa umana che rappresentava la potenza babilonese. Nabucodonosor stesso è stato paragonato ad un leone e ad un aquila (Gr 4, 7; 49, 19; 50, 17.44; 49, 22; Lm 4, 19; Ha 1, 6.8; Ez 17, 3.12). Se il libro di Daniele, come alcuni affermano, fosse stato composto da un anonimo ebreo dell'epoca maccabaica, da dove poteva derivargli la conoscenza di questo simbolo di Babilonia? Sarebbe veramente singolare se esso avesse tratto questo simbolismo dai versetti che abbiamo appena letto. Dobbiamo quindi supporre che il libro sia stato scritto da un autore che era a conoscenza del simbolismo raffigurante la potenza babilonese. Il leone in quando re degli animali e l'aquila in quanto regina degli uccelli, potevano ben essere messi in parallelo con la testa d'oro raffigurante la potenza babilonese. Le creature più maestose da una parte ed il metallo più prezioso dall'altra rappresentano la potenza e la magnificenza del regno babilonese.

Sotto lo sguardo di Daniele, l'animale subisce una trasformazione: le ali gli vengono strappate e così esso rimane privo della capacità di volare. Non può più volare come un conquistatore sulla terra né librarsi su di essa come un dominatore. Viene sollevato da terra e fatto stare in pedi come un uomo e gli viene dato un cuore d'uomo. In questo modo ci viene detto che la sua natura animale viene cambiata in quella umana. Si attua in questo modo un processo di umanizzazione che ha luogo sia esteriormente che interiormente. Qui forse si vuole alludere al fatto che Nabucodonosor ed il suo impero sono considerati una stessa cosa. L'impero babilonese, al suo primo apparire, aveva un carattere puramente animale, cioè pagano, ma dopo un certo tempo gli attributi animali scompaiono e l'impero viene umanizzato nella persona del suo rappresentante principale che è appunto Nabucodonosor. L'impero si identifica nella persona di Nabucodonosor. Le ali di cui fu privato il leone forse alludono all'umiliazione che il rappresentante di questo impero dovette subire. Nel cap. 4 si parla infatti di un ridimensionamento della potenza di Nabucodonosor, anche se dopo questa umiliazione fu  nuovamente ristabilito nella sua primitiva dignità di re.

V. 5: «Ed ecco un'altra bestia, la seconda, simile ad un orso; si alzava su di un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti e le fu detto: "Levati, mangia molta carne" ». In questo versetto abbiamo la descrizione del secondo animale che corrisponde al regno medo persiano ed è in parallelismo con il sogno della grande statua del cap. 2 dove lo stesso regno è raffigurato dal petto e dalle braccia d'argento. Nel cap. 2 molto probabilmente le due braccia rappresentano in un certo qual modo il dualismo di questo impero medo-persiano. nel capitolo 2 ci viene anche detto che questo secondo regno sarà inferiore al primo. Qui dopo il leone alato viene scelto l'orso per la sua forza e la sua ferocia. Spesso questi due animali vengono ricordati insieme nelle Scritture (Os 13, 8; Am 5, 19; Pr 28, 15). Eppure, l'orso non può essere messo a confronto con il leone né per la sua forza, né per la sua maestà, essendo un animale piuttosto goffo nei suoi movimenti. Il fatto di essere alzato su di un lato molto probabilmente significa che restò con le zampe di un lato sollevate nell'atto di andare avanti e ciò si accorderebbe bene con l'invito di alzarsi e di mangiare molta carne, cioè di proseguire nella sua azione di conquista dei territori circostanti. Già aveva in bocca tre costole nelle quali possiamo intravedere le tre maggiori conquiste effettuate da questo impero: Babilonia, la Lidia e l'Egitto. L'atto poi di trovarsi in posizione di proseguire la sua marcia in avanti con le due zampe di un lato sollevate e l'invito di levarsi e proseguire a mangiare altra carne, si accorda bene con l'insaziabilità di questo impero che non si limitò a sconfiggere le tre nazioni su menzionate, ma proseguì la sua politica di grande potenza mondiale che mirava ad allargare sempre più i confini del suo impero.

V. 6: «Dopo questo, io guardavo, ed eccone un'altra simile a un leopardo, che aveva quattro ali d'uccello sul suo dorso, la bestia aveva quattro teste e le fu dato il dominio ». La terza bestia raffigura l'impero greco che con Alessandro Magno conquistò rapidamente immensi territori fino ad estendere in breve tempo il suo dominio anche nel lontano Oriente. Nella grande statua questo impero è raffigurato dal ventre e dalle cosce di bronzo, un metallo meno prezioso dell'oro e dell'argento, ma ben più consistente dei precedenti metalli per la sua durezza. Nella visione di Daniele viene raffigurato ad un leopardo che aveva quattro ali sul dorso e quattro teste.

Il leopardo è un animale ben conosciuto per la sua agilità e per la sua intelligenza. L'animale è concepito con delle ali ai fianchi come nelle rappresentazioni babilonesi degli animali alati. Dato che vi sono due paia di ali, ma quattro teste, dobbiamo pensare che il significato di queste ultime sia indipendente da quello delle ali. Le ali denotano generalmente rapidità. Tuttavia queste ali non sono come quelle del leone babilonese, ali d'aquila, ma più semplicemente ali d'uccello. Dobbiamo quindi pensare che la rapidità nella conquista di questo impero non è di natura così regale com'era stata quella di Nabucodonosor. D'altra parte, poiché il primo animale aveva solo un paio d'ali, mentre questo ne ha due, si deve pensare che l'impero macedone sia stato più rapido nelle conquiste. Ciò è in accordo con tutti i dati della storia i quali ci dicono che se Nabucodonosor eccelse per la sua potenza regale, Alessandro superò tutti gli altri conquistatori d'Oriente e d'Occidente. La rapidità felina e la velocità fulminea della nascita e della caduta dell'impero macedone di Alessandro sono stati incomparabilmente superiori a quelli degli imperi precedenti.

Nelle quattro teste non vanno identificati i quattro successori di Alessandro: Tolomeo, Seleuco, Filippo e Antigono Monoftalmo, ne le quattro principali divisioni delle sue conquiste: la Grecia, l'Asia occidentale, l'Egitto e la Persia. È vero che il regno di Alessandro fu diviso alla sua morte in quattro parti, ma qui le quattro teste raffigurano i quattro angoli della terra, simboleggiando così l'universalità del suo impero. I re infatti sono rappresentati da corni piuttosto che da teste. Questo si accorda con quanto viene detto alla fine: « le fu dato il dominio», che indica in un certo senso il dominio universale su tutta la terra. Nella sua rapida conquista di questo dominio universale il regno di Alessandro è però sotto la provvidenza divina nel senso che egli poté fare questa conquista soltanto perché Dio gli aveva dato facoltà di farla.

V. 7. «Dopo questo, io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventevole, terribile e straordinariamente forte; essa aveva grandi denti di ferro: divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi; era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna»

La visione del quarto animale è introdotta con particolare solennità. Non vi possono essere obiezioni al fatto che l'animale corrisponda al ferro della statua del cap. 2. Qui viene particolarmente evidenziato il grado di distruttività. Questo animale non è identificato, perché nell'intero regno della natura non si può trovare un paragone adatto. La capacità di conquistare è indicata dalla menzione dei denti di ferro massiccio. L'animale quindi usava questi denti per divorare e sbranare, e schiacciava poi con i piedi ciò che non poteva distruggere in quel modo. La sua peculiarità è la sua violenza distruttiva. Il simbolismo non precisa in che cosa l'animale differisse dai tre precedenti; forse, la particolarità è da individuarsi nell'intensità della sua forza distruttiva. Non c'è dubbio che questo animale rappresenti l'impero romano che venne subito dopo quello macedone di Alessandro.

Ci viene detto anche che questa bestia aveva dieci corna. Come il numero quattro del v. 6, il numero dieci va inteso in senso simbolico per indicare una molteplicità di sovrani o un numero indefinitamente grande di re, una totalità comprensiva e definita. Il corno è anche simbolo di potenza (Dt 33, 17; 1 Sm 2, 1.10; Sl 18, 2), e così nelle dieci corna si dispiega pienamente la potenza del regno. Dato che il dieci indica completezza, non è necessario ritenere che le corna rappresentino dieci specifici re contemporanei. Si noti che, mentre qui il numero dieci è esplicitamente menzionato, soltanto per deduzione possiamo dire che la statua del cap. 2 abbia dieci dita dei piedi.

V. 8. «Stavo osservando le corna, quand'ecco in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte; ed ecco in quel corno c'erano degli occhi simili a quelli d'uomo e una bocca che proferiva grandi cose »

Le corna attraggono in modo particolare l'attenzione del profeta, il quale, mentre le osserva contemplativamente, vede sorgere fra di esse un altro corno, piccolo. La maniera speciale in cui è presentato il piccolo corno serve a mettere in evidenza l'importanza che esso riveste. L'attenzione del lettore si sposta così dall'animale e ciò che sta nascendo da esso, il piccolo corno.

« Stavo osservando» L'idea è quella di una contemplazione prolungata, era come "assorbito nell'osservazione".

« in mezzo ad esse spuntò un altro piccolo corno ». Diversamente dal corno del cap. 8, 9, non si dice che questo corno cresca in altezza. Restando piccolo, il corno fa guerra ai santi e prevale su di essi (v. 21). Perché allora questo corno è definito piccolo? Non per indicare la sua piccolezza iniziale, visto che non si parla di crescita. Piuttosto, l'aggettivo "piccolo" serve soprattutto a focalizzare l'attenzione sugli occhi e sulla bocca che sono le caratteristiche principali di questo corno. Il piccolo corno rappresenta quindi un regno piccolo, il cui potere è concentrato nel suo re, raffigurato qui dagli occhi e dalla bocca (il simbolo è interpretato più avanti, dal v. 21 e particolarmente al v. 25).

« davanti al quale tre delle prime corna furono divelte ». Cioè furono rimosse. Secondo uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli dell'era cristiana, Porfirio, che considera il quarto animale un simbolo dei successori di Alessandro, il piccolo corno sarebbe Antioco Epifane, che rovesciò le tre corna: Tolomeo Filometore, Tolomeo Evergete e Artarxia, re dell'Armenia. Girolamo però rileva che Porfirio tenta invano tale identificazione, visto che i primi due di questi sovrani erano morti già prima della nascita di Antioco, mentre Artarxia continuò a regnare anche dopo che Antioco aveva combattuto contro di lui.

L'interpretazione quindi di Porfirio può essere citata come curiosità storica, ma priva di alcun valore. Altri si sono sbizzarriti nell'interpretazione di questo "piccolo corno". In generale comunque si può dire che coloro i quali ritengono che il quarto animale simboleggi un aspetto dell'impero greco, tendono a considerare il piccolo corno identico a quello cap. 8, ed entrambi simboli di Antioco Epifane.

« occhi simili ad occhi di uomo». La precisazione non intende solo indicare che il corno rappresenti un uomo, ma vuole evitare che esso sia considerato in possesso di caratteristiche sovrumane. La sapienza del piccolo corno è così grande ed il suo dominio e governo così terribili, che esso potrebbe essere scambiato per un essere soprannaturale, mentre in effetti non è che un uomo. Così Girolamo ha espresso il vero significato di queste parole, dicendo: "non possiamo pensare, secondo l'opinione di alcuni, che si tratti di un diavolo o di un demonio, ma piuttosto di uno di quegli uomini in cui abiti corporalmente la totalità di Satana".

« una bocca che proferiva grandi cose». Una bocca quindi orgogliosa, presuntuosa, che proferisce parole di vanagloria, arroganza e ostinazione. Queste cose sono proferite contro Dio ed il suo popolo (v. 25; cfr Ap 13, 5-8 dove la bestia con dieci corna ha « una bocca che proferiva grandi cose e bestemmie »). orgoglio e auto esaltazione sono le principali caratteristiche del piccolo corno.

Possiamo rilevare dai vv. 7 e 8 che Daniele non vede solo alcune caratteristiche della quarta bestia, ma anche lo svolgersi durante il tempo di una storia: prima la bestia viene descritta nella sua spaventosità e solo alla fine della sua descrizione si dice che ha dieci corna, poi si assiste allo spuntare di un piccolo corno che ne rimuove tre, ed infine questo piccolo corno, dotato di occhi e di una bocca, proferisce grandi cose.

In questa storia possiamo in effetti distinguere tre fasi o periodi:

1. L'animale stesso è innanzi tutto presentato nella visione come una creatura vivente di cui non c'è paragone. Nessuna creatura vivente può esprimere la sua spaventosità, nemmeno combinando insieme gli attributi degli altri animali. Dopo aver richiamato l'attenzione sulla sua straordinaria forza e sul potere devastante di questa quarta bestia, si dice che essa ha 10 corna.

2. Il periodo delle dieci corna. Sebbene le corna siano sulla testa dell'animale, per indicare l'essenziale unità del quarto regno, sembra ovvio che esse rappresentino una fase più avanzata dell'esistenza dell'animale. Tale fatto viene confermato anche dalla spiegazione che ne viene data ai vv. 23-24. Dopo la descrizione fornita nel v. 23, con l'insistenza sulla forza conquistatrice dell'animale (uguale al v. 7), si afferma nel v. 24 che dieci corna sorgeranno da questo regno. Questo concorda esattamente con il fatto che le dieci corna sono menzionate nel v. 7 dopo la descrizione del potere devastante dell'animale. Dunque i re o regni che sorgeranno da questo quarto regno devono, sia per il senso del termine sia per il contesto, essere re o regni che appariranno in una fase successiva dell'esistenza della quarta bestia. Non possiamo identificare questi re o regni con i primi re, in quanto senza i primi re non si potrebbe neppure parlare di un quarto regno. Un quarto regno senza re non avrebbe senso. Quindi le corna simboleggianti i dieci re che sorgeranno dal quarto regno non sono contemporanee ad esso, ma appartengono da un periodo successivo dell'esistenza della quarta bestia.

3. Il periodo del piccolo corno. Tutte e dici le corna precedono nel tempo il piccolo corno che deve sorgere tra loro. Durante il periodo delle dieci corna, fra questi regni ne sorge un altro, che ne sradica tre e poi prende il potere. Così l'undicesimo corno che sorge, anche se sorge in mezzo agli altri, è posteriore ad essi. Vi sarà infine un periodo in cui il regno del piccolo corno, soprattutto nella persona del suo re, deterrà il potere su tutta la terra.

Qual è il simbolismo che Daniele intende dare a questa immagine, così descritta della quarta bestia?

L'animale sta a significare l'Impero Romano, nell'assetto che aveva alla nascita di Cristo e negli anni successivi. Questo ben concorda con tutto il simbolismo di Daniele fino a questo punto. A differenza di tutti gli imperi precedenti Roma sottomise stabilmente i territori conquistati, le sue conquiste furono universali in un senso che non si può usare per nessun'altra potenza precedente dell'antichità.

Il periodo rappresentato dalle dieci corna è successivo all'impero romano storico e vede manifestarsi nella sua pienezza la forza dell'animale. I regni di tale periodo, in un senso o nell'altro, sorgono storicamente dall'Impero romano. Ciò non significa che ciascuno di essi sia in grado di far risalire la propria origine direttamente da Roma. Non si può dire, ad esempio, che gli stati dell'Europa moderna derivino in linea diretta dall'Impero romano; tuttavia essi possono far risalire le loro origini a Roma in maniera molto più marcata che non la Persia potesse far risalire le sue origini a Babilonia, o la Grecia alla Persia e via dicendo. Con questo non si vuole negare che elementi non romani abbiano contribuito a formare gli attuali stati europei, specialmente quelli dell'Europa settentrionale, ma non si può dubitare che l'Europa moderna possa legittimamente definirsi sorta sulle ceneri di Roma.

Non dobbiamo pensare a dieci regni coesistenti nel momento in cui appare il piccolo corno. Se si deve calcare sul numero dieci, tutto ciò in cui è necessario insistere è che, dal tempo in cui il quarto impero ha perso la sua forza animalesca (cioè dalla caduta dell'Impero romano) fino all'apparizione del piccolo corno, compaiono dieci regni che condividono fedelmente il carattere dell'animale. Se, invece, si considera il numero dieci solo come simbolo di completezza (dieci dita della mano), l'allusione a dieci regni significa che dalla caduta dell'Impero romano all'apparire del piccolo corno, vi è stato un certo numero indefinito di regni la cui origine può, a buon diritto, essere fatta risalire all'antico Impero romano. È inutile ed arbitrario cercare di identificare questi regni in quanto la Scrittura non ci fornisce alcun indizio per poterlo fare.

Verso la fine del secondo periodo appare un altro regno, simboleggiato dal piccolo corno. Questo regno o stato sradica qualcuno degli altri, senza insistere troppo sul numero tre che potrebbe anche qui avere un valore simbolico. Il regno in sé stesso non ha grande rilevanza in quanto tutta la sua importanza risiede nel suo capo, il quale si arroga prerogative che appartengono solo a Dio (mutare «i tempi e la legge », cfr v. 25). Questo re deterrà il potere durante il terzo periodo della quarta bestia, subito dopo ci sarà il ritorno di Cristo ed il Giudizio. Sembra di vedere qui la descrizione che Paolo fa dell'Anticristo in 2 Te 2, 3-4: «Nessuno vi inganni in alcuna maniera, perché quel giorno no verrà se prima non sia venuta l'apostasia e prima che sia manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che si innalza sopra tutto ciò che è chiamato dio o oggetto di adorazione, tanto da porsi a sedere nel tempio di Dio come Dio, mettendo in mostra se stesso e proclamando di essere Dio». In questa visione dunque, in un quadro straordinario ci è presentato l'intero corso della storia, dall'apparizione dell'Impero romano storico fino alla fine del dominio umano.

L'ANTICO DI GIORNI E IL FIGLIO DELL'UOMO

V. 9: «Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l'Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente ».

I versetto dal 9 al 14 costituiscono un tutt'uno e trattano del giudizio divino sulle nazioni gentili. In contrasto con il caos del grande oceano, i suoi uragani e le sue creature mostruose, appare l'augusta visione di Dio, venuto a giudicare. La scena del giudizio si presenta grandiosa. La descrizione di Ap 4, 2 ss è stata presa da questo passo ed anche l'apocalittica posteriore si è servita come modello di questa scena maestosa, le cui immagini derivano a loro volta largamente dall'A.T. (1 Re 22, 19: Sl 82), sebbene la visione in sé non abbia alcun prototipo in quanto divinamente rivelata a Daniele.

« Continuai a guardare». mentre ancora il piccolo corno stava parlando, la scena si sposta e l'attenzione di Daniele viene attratta nella sfera celeste, dove vengono collocati dei troni.

« troni». Il termine al plurale ha provocato molte discussioni in quanto, da questo plurale, si deduce che qui la scena rappresenti una corte o un consesso celeste. Sorge quindi spontanea la domanda: chi fa parte di questa corte e di questo consesso divino oltre all'Antico di Giorni che occupa il trono di fuoco? Fra i vari partecipanti a questo consesso divino alcuni hanno pensato alla trinità, altri vi hanno visto Il Figlio dell'uomo, altri ancora Davide, gli anziani di Israele, uomini glorificati, gli angeli, ecc.; altri ancora pensano molto più semplicemente ad un plurale maiestatico (Sl 122, 5). Se andiamo alle Scritture queste ci parlano di altri esseri che stanno presso il trono di Dio (Is 6, 2: Ap. 1, 4; 8, 2; 4, 4). In alcuni passi del Nuovo Testamento ci viene detto addirittura che anche ai cristiani sarà concesso di sedersi nei troni, assieme a Dio, per giudicare il mondo (Lc 22, 30; 1 Co 6, 2; Ap 3, 21). Trattandosi comunque di immagini simboliche dobbiamo pensare che il giudizio di Dio alla fine consisterà non tanto nell'aspetto esteriore di un'assemblea, come noi possiamo immaginarci riferendoci all'idea di un tribunale umano, ma un giudizio interiore nel quale ognuno avrà la consapevolezza di essere giudicato sulla base della Parola di Dio e di quanto avrà operato mentre era in questa terra. Gli angeli ed i santi giudicheranno il mondo nel senso che la loro fedeltà a Dio rappresenterà un atto di accusa contro coloro che invece gli sono stati infedeli.

Calvino taglia la testa al toro, come si suol dire, affermando che l'espressione: «finché furono collocati troni » vada tradotta «finché furono rimossi dei troni» riferendosi ai troni delle quattro monarchie umane. Ma non c'è nessuna valida ragione per tradurre il termine in questo modo ne per tradurlo, come in alcune edizioni inglesi con "cast down" (= gettati giù).

« l'Antico di giorni» è l'espressione con al quale viene designato Dio. Letteralmente sarebbe uno avanti nei giorni, cioè, avanti negli anni, come lo era Abramo, descritto in Ge 24, 1. Tuttavia tale espressione non deve essere considerata un superlativo nel senso di voler dire "Colui che è il più anziano per quanto riguarda i giorni", cioè l'Eterno, né una designazione per contrapporlo a dei compagni più giovani, o al piccolo corno, o ai recenti dèi pagani. Quello che ci viene qui presentato con l'espressione « l'Antico di giorni» è un uomo anziano, o un uomo canuto, nella cui forma maestosa Dio si rende visibile. Non dimentichiamo che presso i popoli semiti l'età avanzata è segno di grande saggezza, ispira venerazione e dà l'impressione di maestà. Ecco perché Dio viene presentato sotto questa veste, in quanto si vuole dire che nel trono si era seduta una persona venerabile. Oggi forse questa immagine di un Dio vecchio e con i capelli bianchi non susciterebbe gli stessi sentimenti di ammirazione.

« la sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura». Anche questa espressione, con la quale si procede nella descrizione di Dio, è strettamente legata ai costumi ed al modo di vedere di quel tempo. La veste bianca di un giudice è indice di purezza e di maestà (Ap 3, 5.18; 4, 4; 19, 8) i capelli bianchi come la lana sono segno, oltre che di purezza, anche di saggezza dovuta agli anni.

« il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente ». Si prosegue nella descrizione della maestà di Dio secondo i canoni in base ai quali gli antichi semiti ed in particolar modo gli Ebrei identificavano la divinità. Nelle descrizioni dell'Antico Testamento il fuoco accompagna spesso la presenza di Dio ( Es 3, 2 [il roveto ardente]; Es. 19, 18 [il fuoco sul monte Sinai]; Sl 50, 3; Ez 1, 4.13.27; ecc.). Evidentemente il trono era simile ad un carro come quello che ci viene descritto in Ez 1, 15-28. Nel caso della visione di Daniele, però, il trono e le ruote sono di fuoco. Sebbene vi siano delle rassomiglianze con la visione di Ezechiele, non dobbiamo pensare che la visione di Daniele dipenda da quella di Ezechiele, ma è il prodotto di una rivelazione divina.

V. 10 «Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il giudizio si tenne ed i libri furono aperti »

Nel versetto 10 si prosegue ancora nella descrizione della maestà di Dio, dalla presenza del quale scorreva un fiume di fuoco. In base alla descrizione di Ap 4, 5 dal trono di Dio procedono lampi, tuoni e voci. Anche nel libro di Enoc troviamo una descrizione abbastanza simile a questa (14, 19). Varie sono le interpretazioni date nel corso dei secoli a questo simbolismo. Girolamo, ad esempio, considerando questa frase come appartenente al v. 9, traduce: «un torrente rapido ed infuocato procedeva dal suo volto», e conclude che la funzione del torrente era quella di trascinare i peccatori all'inferno. Calvino invece avanza l'ipotesi che il simbolo sia volto ad ispirare terrore al profeta, per umiliarlo, in modo che egli possa capire meglio la maestà di Dio. Ewald pensa che il fiume di fuoco simboleggi l'ordine divino perché si dia inizio al giudizio. Hitzig suppone che il torrente costituisca una sorta di base o espediente letterario per la scena del giudizio, che altrimenti rimarrebbe come sospesa nell'aria, priva di supporto. Qualcun altro pensa invece che il fiume da una parte consuma tutto ciò che si oppone a Dio, dall'altra rende glorioso il suo popolo e il suo regno (Sl 50, 3; 97, 3).

« mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui ». Abbiamo qui dei numeri indefiniti, un'iperbole, per descrivere una vasta moltitudine, un esercito senza numero che stava davanti a Dio e che era pronto a servire la maestosa Figura assisa sul trono (Dt 33, 2; Sl 68, 17). Si tratta, come si può vedere, di descrizioni che affondano le loro radici nell'humus culturale ebraico.

« il giudizio si tenne e i libri furono aperti ». Dopo la descrizione di Dio, finalmente la corte si predispone per giudicare e vengono aperti i libri. In questi libri sono registrate le azioni degli uomini (Is 65, 6; Gr 17, 1; Ml 3, 16; Lc 10, 20; Ap. 20, 12). Anche questa è un'immagine per dire che nella memoria di Dio sono impresse in maniera indelebile tutte le azioni di ciascun uomo. Nel giorno del giudizio queste azioni saranno presentate da Dio a ciascun uomo. Ricordiamo a questo proposito quanto ci viene detto in Eb. 4, 12-13. Non dobbiamo pensare che Dio materialmente abbia bisogno di un libro per ricordare tutto ciò che riguarda ciascun uomo. Gli antichi usano l'immagine del libro perché ciò che veniva scritto in un libro risultava essere perenne ed incancellabile, mentre ciò che veniva affidato alla memoria umana era mutevole. Pertanto per dire che la memoria di Dio era incancellabile usavano la metafora del libro.

V. 11 «Allora io guardai a motivo delle grandi parole che il corno proferiva; guardai finché la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso »

La traduzione di questo passo non rende bene l'idea di quello che sta avvenendo. Sembra infatti che Daniele stia guardando a causa delle parole che il corno proferiva. Letteralmente sarebbe: «Allora io guardai dalle grandi parole che il corno proferiva ». L'equivoco nasce dal fatto che la preposizione "da" è spesso intesa nel senso di "perché", come se offrisse la ragione per cui Daniele stesse continuando a guardare. Perciò la traduzione del Diodati dice: «a motivo delle grandi parole ». Questa traduzione della preposizione "da" procura però una difficoltà di comprensione, quindi si ritiene che essa indichi non il motivo delle parole del corno, ma quello del giudizio che segue. Per una maggiore comprensione di tutto il versetto uno studioso ha proposto di tradurlo in questo modo: «Allora io guardai dal tempo delle grandi parola che il corno proferiva ». In questo modo la scena si presenta in maniera più chiara. Daniele stava guardando le visione fin dal momento in cui il piccolo corno stava parlando. Per tutto il tempo in cui contemplò la visione del giudizio, Daniele udì le parole arroganti del piccolo corno. Se questa illustrazione è corretta, sicuramente aumenta la tensione drammatica dell'intera scena. Il secondo «guardai» significa semplicemente che Daniele continuò a osservare la scena, finché il giudizio non fu eseguito. Il giudizio nella visione ricade prima di tutto sul quarto animale, che è completamente distrutto e « gettato nel fuoco per essere arso». Questo animale non potrà quindi dopo tale giudizio esercitare in alcun modo il suo potere. Questo fatto pone un serie ostacolo a tutti coloro che vogliono vedere nel piccolo corno un riferimento primario ad Antioco IV Epifane, perché dopo di lui vi furono altri re siriani che continuarono a perseguitare gli Ebrei. Invece con la distruzione del piccolo corno, scompare totalmente il potere della quarta bestia il cui corpo viene distrutto ed arso nel fuoco.

Il « fuoco» è un ulteriore simbolo di distruzione completa e totale. Si tratta del fuoco del giudizio di Dio che trionfa completamente sul quarto animale (Ap 19, 20, 20, 10). Poiché qui viene descritta la distruzione di un impero e non di individui, è probabile che il riferimento al fuoco non riguardi la punizione eterna a cui saranno destinati gli uomini infedeli, bensì il maestoso e totale trionfo del giudizio divino. La punizione eterna per coloro che non hanno accolto il messaggio di salvezza di Dio non è il concetto principale che viene qui espresso da questo simbolismo.

V. 12 «Quanto alle altre bestie, il dominio fu loro tolto, ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un periodo stabilito di tempo»

Il passo si presenta a prima vista difficile da inserire in tutto questo contesto. Daniele infatti sta qui riferendosi ai primi tre animali. Dato che non si era parlato affatto della scomparsa dalla scena di un animale nel momento in cui appare quello successivo, dobbiamo pensare che tutti fossero rimasti nella visione per l'intera sua durata. Alcuni commentatori per ovviare a questo identificano gli animali di questo versetto con le sette corna che non erano state sradicate dal piccolo corno, ma ciò non è ammissibile, visto che è stata appena descritta la completa distruzione del quarto animale. Non vi può essere alcun dubbio che qui si faccia riferimento ai primi tre animali che erano apparsi nella visione: il leone, l'orso e il leopardo. Perché allora è narrata per prima la distruzione del quarto animale, mentre, in realtà, i primi tre regni erano caduti prima del quarto? Anche per la statua si dice che essa crollò interamente non appena venne colpita dalla piccola pietra staccatasi dal monte. Nel caso della statua sembra che la distruzione di ciascun impero sia stata contemporanea a quella dell'ultimo impero. A parte questo fatto comunque la risposta è che la distruzione del quarto animale – il potere che, sotto la forma del piccolo corno, si oppone sfacciatamente a Dio – deve essere enfatizzata. Questa enfasi costituisce il nocciolo di tutta la visione. Per quanto riguarda infatti la dichiarata e presuntuosa opposizione a Dio, i primi tre animali sono insignificanti, in confronto al quarto. Per esigenza di enfasi, quindi, è menzionata per prima la completa distruzione del quarto animale. La sorte dei primi tre non è terribile come quella del quarto: essi perdono il potere di regnare, ma continuano a vivere finché non giunga il tempo stabilito dal piano di Dio. Pertanto, nel tempo fissato, il dominio è tolto a ciascun animale. Così dice Keil: "Anche ai primi tre animali, l'uno dopo l'altro, è tolto il potere, a ciascuno nel momento stabilito, perché a ciascuno Dio ha dato la sua durata di vita. che si protrae per il tempo e la stagione fissati da Dio" « per un periodo stabilito di tempo» esprime semplicemente l'idea di un tempo predeterminato.

V. 13 «Io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco sulle nubi del cielo venire uno simile ad un Figlio dell'uomo; egli giunse fino all'Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui »

La scena straordinaria introdotta dalle parole: « Io guardavo nelle visioni notturne» non deve essere considerata una quarta visione, ma l'apice dell'unica visione contenuta in questo capitolo. Il giudizio visto da Daniele non termina con la distruzione delle potenze mondiali, ma continua nella fondazione del regno di Dio da parte del Figlio dell'uomo.

« sulle nubi del cielo». Il Diodati qui usa la traduzione dei LXX, mentre nella versione ebraica non si dice se sopra o dentro le nuvole, ma semplicemente "circondato dalle nuvole". Potrebbe sembrare a prima vista un cavillo inutile, ma "sopra le nuvole" per gli Ebrei è piuttosto un attributo della divinità (Is 19, 1; Sl 104, 3). Non volendo comunque forzare il significato di questo simbolismo possiamo dire semplicemente, come in Ap. 1, 7, che è venuto "con le nuvole", espressione che non esclude la posizione sopra le nuvole, ma che comunque è una caratteristica della divinità.

Il passo di Ap 1, 7 è ovviamente basato su Dn 7, 13 e ribadisce che in questo caso non vi è alcun dubbio che si tratti della Divinità, come del resto troviamo anche in Mc 13, 26; Mt 24, 30; 26, 64. Si possono confrontare anche i passi di Sl 104, 3; 18, 10-18; 97, 2-4; Is 19, 1; Na 1, 3. Possiamo quindi interpretare questo simbolismo delle nuvole, come uno stato di maestà sovrumana.

« uno simile ad un Figlio d'uomo» L'espressione Figlio d'uomo significa in aramaico semplicemente "uomo". Comunque qui non si afferma che questa figura celeste fosse un uomo, ma soltanto che era "simile" ad un uomo e non come gli animali precedenti. Daniele qui adopera l'espressione "simile" per mettere in evidenza la distinzione tra la Figura celeste e gli animali e per indicare un nuovo regno di natura completamente diversa da quelli che erano rappresentati dagli animali. Varie sono state le interpretazioni date a questa figura celeste. Quelli, ad esempio, che non identificano il quarto animale con l'Impero romano, hanno voluto vedervi Giuda Maccabeo. Un'altra interpretazione, abbastanza diffusa, identifica l'Essere celeste con il popolo d'Israele. Il principale argomento a sostegno di questa identificazione è tratto dai vv. 18 e 27 dove si dice che il regno è dato ai santi dell'Altissimo.

L'interpretazione messianica è quella più antica ed è quella generalmente accettata anche dai rabbini. Troviamo già questa interpretazione nel libro di Enoc, dove l'espressione "figlio d'uomo" ricorre ben 14 volte. Comunque la prova conclusiva a sostegno di questa interpretazione ci viene data da Gesù che attribuisce a se stesso questo titolo (Mt 25, 31; Mc 10, 45; Lc 17, 24).

In tempi recenti l'interpretazione messianica ha ricevuto inoltre una conferma indiretta da coloro che hanno avanzato l'ipotesi "mitologica". Secondo questa posizione la Figura celeste apparterebbe alla tradizione e simboleggerebbe una persona (il conquistatore divino), non il popolo che è invece definiti come "i santi". Se non altro questo punto di vista ha il merito di insistere sulla interpretazione "individualistica", piuttosto che su quella "collettivistica".

In conclusione possiamo dire che la Figura, simile ad un figlio d'uomo, rappresenta una persona soprannaturale in quanto viene con le nuvole, è condotta al trono di Dio e riceve un regno universale ed eterno. Dato che tale Figura è simile ad un figlio d'uomo, viene indicata, oltre alla sua divinità, anche l'umanità di questa Persona. Fu infatti proprio nel suo stato di umiliazione (incarnazione) che il Signore Gesù parlò di se stesso come Figlio d'uomo. Così facendo egli espresse la sua divinità nel modo più deciso che si possa fare. L'uso di questo titolo da parte di Gesù Cristo è una delle prove più forti a sostegno del fatto che egli si sia autoattribuito la natura divina.

L'espressione «Giunse all'Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui» è tratta dalla terminologia regale. Si tratta infatti di un'udienza regale. Coloro che lo introducono alla presenza della maestà divina dell'Antico di giorni sono degli angeli o degli spiriti che attorniano Dio e fanno parte delle « mille migliaia che lo servivano e delle miriadi di miriadi che stavano davanti a lui » (v.  10), La tremenda maestà della scena serve ad evidenziare l'importanza e la dignità – anzi la Divinità – della Persona che viene con le nuvole del cielo.

V. 14 «A lui fu dato dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto»

Notiamo in questo passo la stessa terminologia alla quale ci ha abituato il libro di Daniele. Durante i regni umani Dio aveva concesso ai sovrani dominio, gloria e regno perché tutti i popoli, nazioni e lingue fossero da loro dominati, ma aveva precisato più volte che è pur sempre il Dio altissimo che domina sul regno degli uomini e su di esso stabilisce chi vuole. I vari sovrani hanno raggiunto l'apice della gloria, ma sono stati rimossi da Dio. Il regno che invece viene dato alla Figura celeste simile ad un Figlio d'uomo, sarà un regno eterno che non verrà mai distrutto. Molto probabilmente nella parte conclusiva del Padre nostro, quando viene detto « tuo è il regno, la potenza e la gloria » (Mt 6, 13), questa trilogia è basata proprio sul libro di Daniele.

Certamente Gesù aveva in mente questo brano di Daniele anche quando dopo la resurrezione disse: «Ogni potestà mi è stata data in cielo ed in terra. Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho comandato. Or ecco, io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dell'età presente » (Mt 28, 18-20). Quale maggiore conferma si potrebbe avere  per l'interpretazione messianica del passo di Daniele? Soltanto l'ispirazione divina poteva dettare a Daniele queste immagini che precorrono nel tempo i fatti che si sarebbero poi immancabilmente realizzati nella persona di Gesù. Ogni tassello di questa meravigliosa storia va al suo posto, mancano soltanto gli ultimi tasselli per completare il quadro generale, ma il fatto che già la maggior parte di essi ha trovato la sua realizzazione nella storia umana, è una garanzia che anche tutto il resto del quadro verrà immancabilmente completato e le promesse di Dio troveranno nella storia umana la loro definitiva realizzazione.

INTERPRETAZIONE DELLA VISIONE

In questo brano dal v. 15 al v. 28 abbiamo l'interpretazione della visione. Notiamo che la spiegazione di tutta questa visione, si esaurirebbe in appena due versetti: le quattro bestie rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra, «poi i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, per l'eternità » (vv 17-18). Ma Daniele non si accontenta di questa breve spiegazione. Quello che lo aveva colpito di più in tutta la visione era stata la quarta bestia e le sue caratteristiche, le dieci corna ed in modo particolare il piccolo corno dotato di occhi e di bocca « che proferiva grandi cose e che appariva maggiore delle altre corna ». La maggior parte della spiegazione (vv. 23-28) quindi si concentra sulla quarta bestia segno dell'importanza che tale immagine aveva in tutta l'economia della visione.

L'intero brano quindi si struttura nelle seguenti parti:

1) Turbamento e richiesta di spiegazione da parte di Daniele (vv. 15-16)
2) Spiegazione sommaria dell'intera visione (vv. 17-18)
3) Nuova richiesta di spiegazione da parte di Daniele concentrata sulla quarta be-stia (vv. 19-22)
4) Spiegazione del significato della quarta bestia e del giudizio finale (vv. 23-28)

Mentre si sorvola sulle altre bestie, il maggiore interesse ed il maggiore spazio viene dato alla spiegazione della quarta bestia ed in modo particolare alla spiegazione del piccolo corno.
Questa è una prima osservazione che possiamo fare su questo brano. Vediamo ora di esaminarlo in modo più particolareggiato versetto per versetto.

1) Turbamento di Daniele e richiesta di spiegazione

v. 15: «Quanto a me, Daniele, il mio spirito rimase addolorato nell'involucro dei mio corpo e le visioni della mia mente mi turbarono ».

Mentre è ancora immerso nella visione, Daniele porta se stesso in primo piano per evidenziare la propria reazione. Il suo spirito (cioè lui stesso) è addolorato, cioè turbato a causa della visione. Non è stata tanto la vista delle varie immagini a turbarlo, quanto piuttosto il loro significato a turbarlo, tant'è vero che egli non si tranquillizza neppure dopo la spiegazione, come possiamo vedere al v. 28.

« Nell'involucro del mio corpo». Il corpo è concepito qui come un involucro entro il quale risedé l'anima e lo spirito. Qualcuno, con un cambio di consonanti aramaiche, ha tradotto: a causa di ciò, ma sembra che tale cambiamento non trovi una giustificazione plausibile.

v. 16: «Mi avvicinai a uno di quelli che stavano lì vicino e gli domandai la verità di tutto questo; egli mi parlò e mi fece conoscere l'interpretazione di quelle cose »

Daniele si rivolge a uno dei presenti per conoscere il significato della spiegazione. Si tratta senz'altro di uno di coloro che facevano parte delle mille migliaia e delle miriadi di miriadi, di cui al v. 10, che stavano davanti a Dio e lo servivano, in altre parole  di un angelo al quale Daniele si rivolge per conoscere «la verità di tutto questo», cioè la vera spiegazione delle visione. L'angelo quindi soddisfa la richiesta di Daniele facendogli conosce l'interpretazione delle cose che aveva visto nella visione.

2) Spiegazione sommaria della visione

V. 17: «Queste grandi bestie che sono quattro, rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra »

La risposta è piuttosto sommaria, ma nello stesso tempo significativa. Viene detto infatti che le bestie sono grandi e sono quattro. Esse rappresentano quattro re che sorgeranno dalla terra. È messa in risalto soprattutto la mole grande di queste quattro bestie, sia per le deformazioni della loro natura, sia perché sono il simbolo di quattro imperi universali. Questa volta non si parla di regni, ma di re, nella cui persona si identificano questi imperi universali. Al posto del termine astratto « regni» viene usato quello più concreto di «re » che incarna le caratteristiche del regno da lui rappresentato. Si sorvola sull'identificazione di questi re, ma si precisa che essi sorgeranno dalla terra, dando così la spiegazione del « Grande Mare agitato dai venti» del v. 2. Il Mar Grande rappresenta l'umanità dalla quale sorgeranno questi regni che sono dunque di natura umana.

V. 18: «poi i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, per l'eternità ». Nei versetti 13 e 14 abbiamo già visto che, dopo il giudizio, il dominio, la gloria ed il regno viene dato al Figlio dell'uomo. Qui si dice invece che i Santi dell'Altissimo riceveranno il regno. Sono due espressioni che in pratica dicono la stessa cosa. Nell'interpretazione messianica la figura del Figlio dell'uomo è stata identificata nella persona di Gesù Cristo. Se manteniamo questa interpretazione messianica anche per il versetto 18, «i santi dell'Altissimo » non appartengono solo al popolo ebraico, ma sono tutti i credenti in Cristo, siano essi ebrei oppure appartenenti a popoli di tutte le nazioni, senza alcuna distinzione. Questa interpretazione si accorda con il v. 14 dove si dice che tutti i popoli, nazioni e lingue serviranno il Figlio dell'uomo al quale viene dato il dominio, la gloria ed il regno.

Il v. 14 ed il v. 18 sono un classico esempio di come l'Antico Testamento debba essere interpretato alla luce del Nuovo. Se Cristo non fosse venuto in questa terra ed il Nuovo Testamento non fosse mai stato scritto, l'espressione " Il Figlio dell'uomo" o " i santi dell'Altissimo" andrebbero riferiti certamente al popolo ebraico. E le parole di Es 19, 5-6 potrebbero sembrare una conferma di questo fatto. Ma l'apostolo Pietro usa proprio le stesse parole di Isaia per riferirle, non più esclusivamente ad un popolo, ma a tutti coloro che credono in Cristo 1 Pt 2, 9-10.

Possiamo quindi affermare che la visione ebraica della rivelazione divina non andava oltre i confini di un popolo e fu necessaria una nuova rivelazione perché questi confini non fossero più limitati ad un solo popolo. Leggendo il libro degli Atti abbiamo visto quanto radicata fosse fra il popolo ebraico questa visione limitata del disegno divino. Gli stessi cristiani di origine giudaica ebbero parecchie difficoltà ad allargare la loro predicazione anche ai gentili. Pietro stesso ebbe bisogno di una particolare illuminazione divina per recarsi dal centurione Cornelio (At 10) e dovette poi giustificarsi presso la comunità di Gerusalemme per il proprio operato (At 11, 1-3). La comunità di Gerusalemme, appena aveva qualche sentore di un' allargamento della predicazione ai gentili entrava in fibrillazione e mandava subito dei suoi incaricati a controllare (At 11, 20-22).

Anche dopo che l'entrata dei gentili nella chiesa era divenuta ormai un fatto acquisito, questa tendenza esclusivista dei giudeo-cristiani non si spense mai del tutto e perdurò fintantoché la chiesa di Gerusalemme continuò ad avere un ruolo predominante nel cristianesimo del primo secolo. Abbiamo una timida testimonianza di questa perenne contesa nel libro degli Atti, ma soprattutto nelle lettere dell'apostolo Paolo.

Alla luce di questa mentalità assai diffusa nel mondo giudaico, c'è da chiedersi se Daniele stesso fosse consapevole di questa visione del disegno divino allargata oltre gli orizzonti limitati del popolo ebraico. Noi sappiamo che Dio si serviva di uomini per comunicare al mondo il suo disegno divino, ma non sempre questi uomini ispirati da Dio riuscivano a comprendere tutta la portata del messaggio divino che ricevevano e comunicavano nella loro predicazione orale e scritta, specialmente quando questo messaggio valicava i confini dello spazio e del tempo. È difficile pensare che Daniele stesso avesse chiara nella sua mente tutto il significato della visione divina ed il turbamento che permane anche dopo la spiegazione dell'angelo, potrebbe voler dire proprio questo.

A noi comunque non interessa tanto sapere quello che Daniele credeva, pensava o supponeva, ma piuttosto ci interessa sapere quello che Dio ha voluto trasmettere per mezzo suo alle generazioni future. Una profezia diventa chiara e comprensibile soltanto quando vediamo la sua realizzazione sotto i nostri occhi, prima di questo momento sembra come avvolta nella nebbia ed è difficile sapere con esattezza a cosa essa si riferisca. Le antiche profezie riguardanti il Messia e Gerusalemme hanno trovato finora la loro realizzazione nella storia umana e perciò sono per noi facilmente individuabili. Più siamo avanti nella storia umana, più siamo in grado di capire i fatti e gli avvenimenti relativi alle profezie dell'Antico Testamento, in quanto abbiamo più dati in nostro possesso di quelli che avevano i nostri antenati. Per di più, a differenza degli antichi giudei, abbiamo ora anche l'interpretazione che Gesù stesso e gli apostoli hanno dato a queste profezie.

Un fatto, però, rimane incontestabilmente certo, tutte le promesse divine hanno trovato finora la loro realizzazione nello svolgersi della storia umana. Questo rappresenta per noi la garanzia che anche tutte le altre promesse di Dio non mancheranno di trovare la loro realizzazione nel tempo. Possiamo quindi attendere con fiducia la realizzazione finale del regno eterno di Dio che non sarà mai distrutto.

3) Nuova richiesta di spiegazione da parte di Daniele concentrata sulla quarta bestia

Daniele evidentemente non si accontenta di questa spiegazione sommaria fornitagli dall'angelo. La sua attenzione era stata attratta in modo particolare dalla quarta bestia e dal suo evolversi nel tempo. Egli si rende che il dominio di questa quarta ed ultima bestia avrà un ruolo importante nella storia del popolo di Dio. Dal versetto 19 al v. 22 abbiamo quindi una nuova descrizione della quarta bestia e di tutto quello che succederà durante il suo dominio fino alla sua completa distruzione e all'instaurazione del regno che verrà posseduto dai santi dell'Altissimo.

V. 19: «Allora desiderai sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era diversa da tutte le altre e straordinariamente terribile, con denti di ferro e artigli di bronzo, che divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi».

L'unico dettaglio che viene aggiunto in questa nuova descrizione sono gli artigli di rame che erano stati taciuti nella prima.

V. 20: «e intorno alle dieci corna che aveva sulla testa, e intorno all'altro corno che spuntava e davanti al quale erano cadute tre corna, cioè quel corno che aveva occhi e bocca che proferiva grandi cose e che appariva maggiore delle altre corna »

Daniele prosegue la sua descrizione che si concentra però maggiormente sul piccolo corno di cui descrive l'aspetto concludendo che appariva maggiore delle altre corna. Questo non significa necessariamente che questo corno sia cresciuto e sia diventato più grande delle altre corna. Daniele dicendo che «appariva maggiore delle altre corna », vuole intendere probabilmente che,  pur rimanendo piccolo, la sua importanza cresce rispetto alle altre corna in quanto con la bocca proferiva grandi cose e quindi assumeva un aspetto arrogante e spavaldo.

V. 21: «Io guardavo e quello stesso corno faceva guerra ai santi e li vinceva»

L'attenzione di Daniele ora si sposta sull'ultima fase dell'esistenza dell'animale, quella del piccolo corno. In questa descrizione egli aggiunge ora un elemento nuovo che mette in risalto la pericolosità e la potenza che il quarto animale assume durante il periodo del piccolo corno. Questo piccolo corno infatti non si limita a proferire grandi cose, ma dispiega tutta la sua forza contro i santi fino a prevalere su di loro.

Se il piccolo corno va identificato nell'Anticristo di cui parla anche l'apostolo Paolo in Tessalonicesi non c'è motivo di identificare i conflitti di cui parla questo versetto nelle sanguinose persecuzioni degli imperatori romani. In quell'occasione i primi cristiani dovettero subire delle tremende persecuzioni, ma la chiesa nel suo insieme non fu distrutta, anzi proprio da queste persecuzioni trovò nuova forza per espandersi sempre di più. Tant'è vero che rimane famosa la frase pronunciata da Tertulliano il quale disse che «il sangue dei martiri è il seme della chiesa». Il versetto molto probabilmente qui vuole richiamare la nostra attenzione nel momento in cui questa persecuzione raggiunge il culmine dell'opposizione adoperando armi più sottili e più subdole di una persecuzione diretta che non aveva dato alcun frutto, ma anzi era stata la molla che aveva fatto espandere ulteriormente il cristianesimo. Già Antioco IV Epifane aveva afflitto i "santi" e fin dai tempi dell'apparizione del Signore sulla terra la persecuzione era proseguita senza soste perché suscitata direttamente da Satana. Ovunque il popolo di Dio cercava di adempiere la Sua opera e di estendere il Suo regno incontrava sempre l'opposizione di Satana che cercava in tutti i modi di interferire e di arrestare l'opera di Cristo. Talvolta questo antagonismo perenne ha assunto forme sanguinose, ma al tempo del piccolo corno l'opposizione si scatenerà come non mai, allorché il piccolo corno, ispirato da Satana, gloriandosi nel proprio orgoglio e nella propria arroganza, nella sua incessante guerra contro la chiesa farà uso delle armi sottili e subdole dell'inganno e della menzogna. Di fronte a questa nuova forma di persecuzione la chiesa per sé stessa non sarà in grado di competere contro i piani e la forza di coloro che usano metodi satanici di combattimento e quindi soccomberà. Satana sembrerà momentaneamente prevalere su di essa. A tale proposito è interessante leggere quanto scrive l'apostolo Paolo in 2 Co 11, 1-14. Tuttavia Gesù stesso nel momento in cui palesa la sua intenzione di edificare la sua chiesa, ci assicura che le porte dell'inferno non prevarranno su di essa. Nel momento estremo del pericolo, quando sarà raggiunto il colmo, Dio interverrà per liberare il suo popolo. In Ap 11, 7-14 abbiamo la descrizione dei due testimoni uccisi dalla bestia che alla fine risorgono tra la meraviglia generale.

V. 22: «finché giunse l'Antico di giorni e fu resa giustizia ai santi dell'Altissimo, e venne il tempo in cui i santi possedettero il regno»

Viene quindi annunciato il risultato finale. Il piccolo corno prevale solo fino all'arrivo dell'Antico di giorni, il quale pronuncia un giudizio in favore dei santi dell'Altissimo. I versetti 21 e 22 non fanno ancora parte dell'interpretazione della visione, ma sono la rievocazione che ne fa Daniele nella sua richiesta di spiegazione sulla quarta bestia. Essi hanno la funzione di continuare fino alla fine la storia del quarto animale e dei suoi rapporti con i santi. Si tratta comunque del Giudizio finale in cui i santi possederanno il regno.

4) Spiegazione del significato della quarta bestia e del giudizio finale

V. 23: «Egli mi parlò così: la quarta bestia sarà un quarto regno sulla terra che sarà diverso da tutti gli altri regni e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la stritolerà»

Comincia ora l'interpretazione del quarto animale. Esso rappresenta un regno (quarto nella serie rappresentata dagli animali dei vv. 1-7). Sarà un regno diverso da tutti i precedenti, in quanto conquisterà il mondo intero, non solo la Palestina. Il punto essenziale è quello di dimostrare che vi è solo un Regno veramente universale, mentre gli altri possono essere definiti tali solo di nome. Questo quarto regno comunque sarà molto più potente per le sue conquisto rispetto a quelli che l'hanno preceduto.

V. 24: «Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; dopo di loro ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti abbatterà tre re »

Dal regno rappresentato dall'animale sorgeranno dieci re. Come abbiamo già detto il numero dieci non va necessariamente preso alla lettera, ma è solo indice di completezza. Non occorre inoltre considerare questi dieci regni strettamente contemporanei, nel senso che debbano tutti cominciare nello stesso momento. Essi hanno tutti in comune il fatto che appartengono ad una fase successiva della storia dell'animale e precisamente alla seconda fase.

Alcuni pensano che le dieci corna corrispondano alle dieci dita dei piedi della statua, ma nel capitolo 2 non viene fatto rilevare questo particolare in quanto non viene detto che i piedi della statua avessero dieci dita. Altri pensano che l'impero romano risorgerà e si dividerà in dieci regni, ma questo non sembra corrispondere al simbolismo del quarto animale nel quale le dieci corna si trovano nell'animale mentre è ancora vivo. Nel v. 7 viene infatti detto che il quarto animale era diverso « da tutte le bestie precedenti ed aveva dieci corna ». Ciò significa in pratica che l'animale non muore per poi risorgere nelle dieci corna, ma piuttosto queste crescono dall'animale ancora vivo. Esse pertanto rappresentano una seconda fase della sua vita e non una forma sotto cui l'animale torna a vivere.

La terza fase della storia dell'animale è rappresentata dal piccolo corno che si distinguerà dalle prime dieci corna per la sua aggressività e presunzione. Questo corno abbatterà tre re, ma non ci viene detto come ciò accadrà, né ci viene detto abbastanza da identificare questo evento con certezza al suo manifestarsi.

V. 25: «Egli proferirà parole contro l'Altissimo, perseguiterà i santi dell'Altissimo con l'intento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo »

Il fatto di «proferire parole » ha già di per sé una connotazione negativa. Quando poi queste parole sono proferite contro l'Altissimo, allora si deve intendere che egli tenterà di mettere da parte Dio, arrogandosi le prerogative che appartengono solo a Lui, come appunto precisa molto bene Paolo in 2 Te 2, 4. In questo modo egli cercherà di perseguitare i santi dell'Altissimo con l'intento di distruggerli, sterminarli. L'opera di annientamento dei santi dell'Altissimo non sarà necessariamente un annientamento fisico, com'era già avvenuto durante le persecuzioni sanguinose degli imperatori romani, ma consisterà in un azione più subdola di logorio, di afflizione, di umiliazione in modo da rendere vana la loro opera di estensione del regno di Dio sulla terra.

L'arroganza del piccolo corno si manifesterà anche nella sua intenzione di cambiare i tempi e la legge, cioè mutare i fondamenti e le principali condizioni della vita e delle azioni umane sulla terra che provengono da Dio. Alcuni hanno visto in quel «mutare i tempi e la legge» un riferimento esplicito al decreto di Antioco IV Epifane per abolire la legge giudaica, come ci viene detto in 1 Mac 1, 41-43: «Poi il re prescrisse un decreto a tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie leggi: Tutti i popoli consentirono di fare secondo gli ordini del re. Anche molti israeliti accettarono di servirlo e sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato». Ma in quel caso si trattò di un provvedimento circoscritto ad una zona geografica ben delimitata, che non interessò il resto dell'umanità. Sebbene Antioco sia un'illustrazione del modo in cui agirà l'Anticristo, l'azione del piccolo corno ha una portata più universale che colpirà tutti gli uomini, ma in modo particolare il popolo di Dio. La sua azione di prevaricazione e di tirannia durerà per un tempo ben definito che viene indicato con l'espressione «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo».

Lo scopo di questa espressione è quella di evidenziare in modo più definito l'ultimo stadio del potere del piccolo corno come un periodo di tempo che ha una durata stabilita da Dio. Di per sé è un'espressione cronologicamente indefinita. Ciò dimostra che non si mira ad una determinazione cronologica del periodo, ma ad una designazione di tempo che deve essere intesa in senso simbolico. La stessa espressione la troviamo anche in Apocalisse 12, 14. Secondo Minestroni si tratta di un periodo di tempo stabilito da Dio (il millennio) durante il quale la chiesa, simboleggiata dalla donna, sarà tenuta lontana dal dragone (satana) nel deserto. « Ma anche durante questo periodo il demonio o dragone non sta con le mani in mano, anzi cerca di sopraffare la chiesa con un fiume . . . di menzogne, delusioni, tribolazioni e persecuzioni, perché la fiumana riesca ad abbatterla e a trascinarla via. ma Dio soccorre la Sua chiesa, facendo sì che la terra inghiottisca il fiume, ossia rendendo vani tutti gli sforzi e i disegni del diavolo» (Italo Minestroni. "L'Apocalisse di Giovanni apostolo", p. 85).

Se si tratta di un simbolismo, qual è il suo significato?. Evidentemente l'espressione vuole indicare la metà di « sette tempi» che abbiamo già visto in Dn 4, 16, ma se è così, cosa significa tale metà? Questo periodo «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» evidentemente sta per un periodo di prova e di giudizio che sarà abbreviato per amore del popolo di Dio, gli eletti (Mt 24, 22), un " settenario tronco" l' ha definito uno studioso di nome Keil. Tale oppressione dunque appare per un tempo, poi si protrae per due tempi. Sembrerebbe allora che essa debba continuare per il doppio di due tempi, cioè quattro tempi (in tutto sette tempi), tuttavia ciò non accade: si protrae solo per metà di un tempo, dopo di che s'interrompe bruscamente. La corretta analisi dei tre tempi e mezzo, tenendo conto del fatto che prima i periodi si impennano, raddoppiano, e poi precipitano all'improvviso, dimostra che il potere del corno e la sua oppressione sul popolo di Dio si manifestano rapidamente, per poi giungere ad una fine improvvisa grazie all'intervento del giudizio divino.

V. 26: «Si terrà quindi il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà annientato e distrutto per sempre»

Qui il giudizio è descritto soltanto per quanto riguarda la distruzione del piccolo corno, l'Anticristo, al quale sarà sottratto il potere di operare il male definitivamente per sempre.

v. 27: «Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno»

Qui viene ripetuta la descrizione del v. 18. La storia, dunque, del quarto animale termina con la distruzione del piccolo corno, nel quale il carattere dell'animale giunge alla sua massima espressione, mentre il popolo dei santi dell'Altissimo riceve il regno eterno.

L'espressione «il suo regno » non si riferisce all'Altissimo, ma al popolo dei santi. In questo versetto quindi non si fa menzione della figura celeste simile ad un Figlio d'uomo. Tale Figura, come abbiamo visto ai vv. 13 e 14, è presentata come un Essere veramente soprannaturale, ma non avviene lo stesso per i santi. Semplicemente si afferma che il regno da essi ricevuto è eterno e che tutti i domini lo serviranno e ubbidiranno.

Concludendo possiamo dire che i versetti dal 15 al 27 sembrano insegnare che il potere del piccolo corno si manifesterà verso la fine dell'età presente. L'Anticristo, chiunque esso sia, prevarrà sugli eletti di Dio, diventando sempre più forte; il popolo di Dio non riuscirà a resistergli. Ma, improvvisamente, il suo potere sarà bruscamente interrotto, e il Signore Gesù tornerà dal cielo. I santi, che avranno fatto parte del regno del Figlio dell'uomo, riceveranno tale regno e lo possederanno in eterno. Ecco dunque l'importanza di far parte del regno di Dio, fondato da Gesù e predicato dai suoi apostoli! La via che dovranno percorrere i santi dell'Altissimo in questa terra, sarà piena di difficoltà ed ostacoli di ogni sorta; spesso la delusione e lo scoraggiamento saranno loro compagni di viaggio, ma la visione di Daniele ci rassicura sulla vittoria finale. Questa visione ci aiuta a riconoscere i segni dei tempi e ci incoraggia a proseguire nonostante tutto, perché questo ordine di cose non durerà in eterno, ma sarà destinato ad essere sostituito dal regno di Dio che invece durerà per l'eternità. La visione di Daniele deve quindi rappresentare per tutti noi uno stimolo in più per applicarsi e rendere sicura la nostra appartenenza al popolo dei santi dell'Altissimo che sanno riconoscere il disegno divino e che alla fine riceveranno il regno per sempre in eterno.

V. 28: «Qui finiscono le parole rivoltemi. Quanto a me, Daniele, i miei pensieri mi turbarono grandemente e il mio aspetto cambiò, ma conservai le parole nel mio cuore »

A questo punto termina la visione e la sua interpretazione. Si parla poi delle reazioni di Daniele: i suoi pensieri lo turbarono ed il colore del suo volto cambiò, ma conservò la cosa dentro di sé, nel suo cuore. Poiché, come abbiamo già visto altre volte, il cuore dal punto di vista biblico non è la sede dei sentimenti, ma rappresenta l'interiorità della persona, possiamo pensare che la visione provocò in Daniele una profonda riflessione interiore. La stessa espressione viene usata anche nel caso di Maria, madre di Gesù in Lc 2, 19.51, di fronte agli avvenimenti riguardanti il Messia.