DEUTERONOMIO

INDICE
Lo scopo del libro
Il titolo del libro
Il contenuto del libro
Formazione del libro
Lo scopo del libro
Il Deuteronomio è un complesso singolare a sé stante, legato, per molti aspetti caratteristici, più ai libri storici che lo seguono che a quelli che lo precedono. Tracce degli altri documenti, o tradizioni, del Pentateuco li troviamo soltanto nei capp. da 31 a 34. Per questo motivo il Deuteronomio può essere messo alla testa del blocco storico che, appunto per questo, viene chiamata la « storia deuteronomista » e che comprende i libri di Giosuè, dei Giudici, 1° e 2° Samuele, 1° e 2° Re.

Nel libro del Deuteronomio il protagonista è sempre Mosè, ma qui si tratta di un Mosè nuovo ed inedito. Mentre nei precedenti libri del Pentateuco, Mosè è soprattutto l’uomo dell’azione (egli stesso aveva confessato di non essere un gran parlatore  - Es 4, 10), nel Deuteronomio ci troviamo in presenza di un Mosè eloquente, un oratore dal tono caldo e suadente. L’intero libro è infatti costituito da tre grandi discorsi di Mosè. Nel primo discorso, che va da 1, 1 a 4, 40, Mosè ricapitola l’intera vicenda di Israele sotto la sua guida; nella parte esortativa del secondo discorso, che va dal 5, 2 all’11, 32, scopre le ragioni profonde che hanno fatto di Israele il popolo eletto e consacrato da Dio; ripropone pertanto una seconda volta la legislazione fondamentale (il decalogo 5, 6-21) e la legislazione connessa come condizione base degli impegni che Israele si è assunto all’Horeb e ora si assume nuovamente nel rinnovo dell’alleanza che avviene questa volta a Moab (28, 69); infine, nel terzo discorso, che va dal 29, 1 al 30, 20, pone il popolo di fronte all’alternativa della « benedizione » o della « maledizione », della scelta di Jahveh e quindi della vita, del rifiuto di Jahveh e quindi della morte o della sparizione nell’anonimato degli altri popoli.

Quello che sorprende più di tutto in questi discorsi è il tono. I precedenti libri dell’Esodo e dei Numeri ci avevano presentato un Mosè terrificante che infrange le tavole della legge ai piedi della montagna (Es 32, 19s), un Mosè irritato a Massa e Meriba per le continue lamentele del popolo (Nm 20, 10), un Mosè vendicatore dell’onore di Dio contro Kore (Nm 16, 8s). Nel libro del Deuteronomio Mosè invece parla al cuore dei suoi ascoltatori e parla di amore, quell’amore che ha spinto Dio a prendere gratuitamente l’iniziativa nel confronti del popolo (Dt 7, 8), per cui il popolo doveva a sua volta amare Dio (Dt 6, 5).
Il Deuteronomio si presenta quasi come un testamento in cui Mosè, avendo ormai condotto il popolo alle soglie della terra promessa, è consapevole che la sua vicenda personale sta per concludersi. Come se l’esperienza quarantennale del deserto e l’età avanzata gli avessero conferito il dono della parola, Mosè si trasforma in un oratore che interpella il popolo in modo accorato e persuasivo.

Se Mosè si comporta in questo modo ed interpella il popolo facendo appello alle ragioni ultime per persuaderlo sulla necessità della fedeltà a Dio, è chiaro che la situazione doveva essere piuttosto preoccupante, talmente preoccupante che egli non riesce a nascondere questa sua preoccupazione. Questa situazione non rispecchia certamente quella che si era determinata alla fine della vita di Mosè, quando il popolo ebraico, capeggiato da Giosuè, si accingeva a conquistare la Palestina.

Una delle ragioni principali che ci induce a pensare ad una situazione diversa sono le prescrizioni con le quali si apre il « Codice deuteronomico » che troviamo da 12, 1 a 26, 15: « Questi sono gli statuti e i decreti che avrete cura di osservare nel paese che l’Eterno, il Dio dei tuoi padri, ti ha dato in eredità per tutti i giorni che vivrete sulla terra. Distruggerete interamente tutti i luoghi dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dei; sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verdeggiante (vv 1-2). Non farete così con l’Eterno, il vostro Dio, ma lo cercherete nel luogo che l’Eterno, il vostro Dio, sceglierà fra tutte le vostre tribù, per mettervi il suo nome come sua dimora; e là andrete (vv. 4-5)».

Queste parole risentono chiaramente della situazione in cui si era trovato il popolo di Israele una volta insediatosi nel territorio della Palestina, nel periodo dei re. Il comando di distruggere ogni forma di idolatria suppone che Israele si sia lasciato attirare dai culti cananei. Questo sincretismo al quale si era facilmente adattato, si era rivelato pericoloso per il culto all’Eterno. Ecco allora il comando di adorare Dio in un solo posto. Non viene detto esplicitamente in quale posto ed in quale tribù, ma qui è chiaro che si allude al territorio della tribù di Giuda ed alla città di Gerusalemme dove si trovava il tempio. Questo ordine di adorare Dio in un solo posto viene dato in contrasto con quanto era stato detto in Es 20, 24: « in ogni luogo in cui farò si che il mio nome sia ricordato, verrò a te e ti benedirò ». L’esperienza di adorare Dio in ogni luogo si era rivelata pericolosa per il popolo ebraico e quindi andava modificata.

È chiaro quindi che queste parole non intendono programmare la vita del futuro Israele in procinto di entrare in Canaan, ma prendendo in considerazione l’esperienza negativa del popolo nella terra già posseduta, intendono dare delle direttive per correggere questi errori in vista di un futuro immediato che si presentava quanto mai incerto e preoccupante. Essendo in questione la sopravvivenza stessa di Israele come popolo eletto di Dio, il momento è quanto mai drammatico. Ecco quindi il tono caldo ed accorato dell’oratore che si rivolge al popolo per salvarlo dalle conseguenze di un’idolatria nella quale si era lasciato trascinare dall’esempio dei popoli vicini.

Le parole di questo accorato appello vengono messe nella bocca di Mosè per dare ad esse maggiore forza e maggiore autorità, ma è chiaro che esse non si rivolgono ai contemporanei di Mosè, ma a quelli dell’autore di questo libro, il quale certamente utilizza del materiale letterario molto antico che poteva anche risalire direttamente a Mosè. Ma egli dà a questo materiale antico una nuova impostazione per adattarlo alle esigenze di una situazione preoccupante in cui si era venuto a trovare il popolo ebraico durante il periodo dei re.

Il Deuteronomio costituisce quindi il tentativo più riuscito e più profondo di rileggere la propria storia alla luce di un’economia divina che tesse le fila delle vita di Israele attraverso le grandi categorie della promessa (ai padri), dell’ elezione (con l’esodo dalla schiavitù di Egitto), dell’alleanza (al Sinai e poi rinnovata a Moab) e, infine, della legge che da questa alleanza scaturisce e che impegna quotidianamente il popolo ebraico fin nelle profondità dell’anima. Tutta la storia successiva del popolo ebraico sarà profondamente influenzata dalla rilettura della storia che viene fatta dal libro del Deuteronomio e dagli altri libri che ad esso si ispirano.

Una visione teologica organica ed un clima di forte attesa fanno del Deuteronomio un capolavoro letterario ed un libro stimolante, in cui ogni credente può riconoscersi. Le promesse di Dio trovano la loro realizzazione nel corso della storia secondo il grandioso progetto di Dio. Questo avviene nonostante l’infedeltà dell’uomo. C’è dunque dietro l’angolo anche la possibilità di rimanere esclusi da questo progetto di Dio per la salvezza dell’uomo.

Se consideriamo la Bibbia come la rivelazione di Dio nel corso della storia e non come un manuale di verità confezionate, belle e pronte, da utilizzarsi a nostro piacimento in ogni situazione della vita concreta, il Deuteronomio è un esempio classico di questo modo di procedere della Parola di Dio. In uno stile oratorio che conserva tuttavia nel suo insieme una sua organicità, questo libro costituisce l’approfondimento o il superamento di alcuni aspetti dottrinali e legislativi delle antiche tradizioni precedenti. Si può vedere, ad esempio, l’affermazione perentoria dell’unicità di Dio (6, 4) sulla quale è fondata la prescrizione dell’unicità del luogo di culto (12, 2-12); la riduzione della Pasqua a festa nazionale e centralizzata (16, 5-6). Il Deuteronomio, più legato alla storia ed a motivazioni umanistiche, si pone in alternativa alla legislazione sacerdotale che invece è più legata alla santità ed alla trascendenza di Dio. Si nota questo soprattutto nel confronto delle due versioni del decalogo per quanto riguarda le motivazione del riposo sabbatico. Nella legislazione sacerdotale il riposo sabbatico è motivato dal riposo di Dio nel settimo giorno della creazione (Es 20, 11), mentre nella legislazione deuteronomica lo stesso riposo è motivato dalla liberazione del popolo dalla schiavitù in Egitto (Dt 5, 15).

Nel contesto del Pentateuco il Deuteronomio è caratterizzato dall’ imminenza della morte di Mosè (4, 21s; 34, 1-4). Colui che ha realizzato l’impresa epica della liberazione di Israele e che gli ha fornito una struttura giuridica e religiosa fondamentale, sta per accomiatarsi dal popolo ed abbandonare il campo. In questa situazione di commiato si capisce il tono accorato dei discorsi di Mosè, perché è proprio in questa situazione che si pronunciano le parole più sagge, quelle che toccano il cuore delle persone.
Nessuna tradizione antica era finora riuscita ad esprimere in modo positivo, invitante e nello stesso tempo imperioso, l’obbligo imprescindibile di Israele di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (6, 5). Gesù stesso coglierà l’importanza fondamentale di questa affermazione, nella quale, insieme a quella del Levitico riguardante il prossimo (Lv 19, 18), vedrà riassunta la quintessenza dell’insegnamento di tutta la legge ed i profeti (Mt 22, 37-40). In questo caldo invito c’è tutto il cuore dell’Antico Testamento. Un cuore che rimane ancora valido per il cristiano di oggi, che nell’amore di Dio in Cristo trova la motivazione principale per amare i fratelli (1 Gv 2, 3-11).

torna all'indice
Il titolo del libro

Il titolo originale ebraico del libro in ebraico, come per gli altri libri del Pentateuco è costituito dalle parole iniziali del libro stesso: « Queste sono le parole». Il nome di « Deuteronomio » è invece la traslitterazione in italiano e nelle altre lingue moderne del greco deuteronòmion che significa « seconda legge ». Va precisato tuttavia che questo titolo è stato causato da un’errata traduzione della versione dei LXX di un termine ebraico che si trova in Dt 17, 18 e che significa « una copia della legge » e non « seconda legge ».

Nonostante questo evidente errore, il titolo greco si è rivelato abbastanza esatto in quanto il Deuteronomio contiene effettivamente una seconda legge che ripete in larga misura quella precedente, ma con un tono ed in un contesto diverso.

torna all'indice
Il contenuto del libro

Questo libro può essere diviso in due grandi parti di grandezza diversa: nella prima parte che va dal cap. 1 al cap. 30, ci sono i discorsi di Mosè; nella seconda parte dal cap. 31 al 34 troviamo invece i racconti relativi agli ultimi atti di Mosè.

Ia PARTE: cc. 1-30 . All’interno di tre discorsi successivi di Mosè trova posto una legislazione che rappresenta il vero e proprio «deuteronomio».

1° Discorso (1, 1 - 4, 43)

– Israele è nelle steppe di Moab al di là del Giordano e attende di entrare in Canaan (1, 1-5)
– Con uno sguardo retrospettivo Mosè passa in rassegna le grandi tappe del cammino del deserto dal Sinai a Kadesh-Barnea e da qui, attraverso Edom e Moab e dopo aver conquistato Heshbon e Bashan, alla prima divisione del territorio transgiordanico ad alcune tribù (1, 5 - 3, 17).
– Passaggio del potere a Giosuè (3, 18-29).
– Invito pressante alla fedeltà promessa a Dio al Sinai (4, 1-40).
– Designazione delle tre città rifugio in Transgiordania (4, 41-43).
2° Discorso (4, 44 - 28, 68)
Il discorso, preceduto da un’introduzione che ci fornisce alcune precisazioni sulla situazione storico-geografica (4, 44-49), può essere suddiviso nelle seguenti parti:
– Una lunga parenesi (discorso esortativo) (5, 1 - 11, 32) dove, dopo il richiamo alla legge fondamentale del Sinai, il decalogo (5, 6-21), del quale viene data una versione leggermente diversa da quella dell’Esodo (20, 2-17), si torna insistentemente sul dovere alla fedeltà a Dio da dimostrare attraverso l’osservanza del comandamento principale espresso in mille formulazioni (6, 5: 10, 12; 11, 1) e dei comandamenti particolari espressi con la formula ricorrente di «comandamenti o prescrizioni-statuti-decreti » (6, 1; 7, 11; 11, 1; ecc.).
– Il codice deuteronomico (cc. 12-26) dove vengono date norme riguardanti:
a) il culto e le cose sacre (12, 2 - 16, 17),
b) le strutture della teocrazia (ispettori e giudizi - re - sacerdoti leviti - profeti ; 16, 18 - 18, 22).
c) la legge penale (19, 1-21; 21, 1-9),
d) una miscellanea di altre leggi di varia indole (20, 1-2; 21, 10 -26, 15).
All’interno di questo codice è evidente lo sviluppo che ha subito la legislazione nei confronti del «codice dell’alleanza » del libro di Esodo (Es 21-23) e soprattutto il cambiamento di spirito e di genere letterario con l’appello al cuore e con un tono esortativo presenti nella formulazione giuridica.
– Una conclusione (26, 16 - 28, 68) che invita:
a) all’osservanza delle prescrizioni precedenti (26, 16-19),
b) all’erezione di tre grandi pietre sul monte Ebal, una volta passato il Giordano:
· con soprascritta la legge (27, 1-10),
· con l’enumerazione delle dodici maledizioni che dovranno pronunciare i leviti sul popolo come sanzione per i trasgressori (27, 11-26).
Il c. 28 raccoglie l’insieme delle benedizioni e delle maledizioni che conclude l’intero codice presentato come la clausola giuridica dell’alleanza contratta tra Dio ed Israele a Moab a completamento di quella stipulata nel Si-nai (29, 1).
3° Discorso (29, 2 - 30, 20)
Ultime esortazioni di Mosè che sollecitano Israele a una scelta per Jahveh, in definitiva per la vita con lui.

II a PARTE: cc. 31-34.  Una parte più narrativa riguardante le ultime disposizioni date da Mosè:

– missione di guida affidata a Giosuè (31, 1-8);
– norme circa la lettura periodica della legge (31, 9-13);
– previsione delle deviazioni idolatriche del popolo (31, 14-18);
– ordine di porre la legge affianco all’arca (31, 19-30).
Ad essa è stato aggiunto il grande cantico di Mosè (32, 1-43), che si sofferma sui rapporti di fedeltà-infedeltà, castigo-salvezza tra Dio ed Israele, e il complesso delle benedizioni di Mosè sulle singole tribù (33, 1-29).

Preannunziata in 32, 48-52, la morte di Mosè è narrata in 34, 1-12 con l’elogio del grande uomo che ha riempito di sé il momento epico di Israele e conclude la vasta opera letteraria contrassegnata dal sui nome.

torna all'indice
Formazione del libro

Alcune parole vanno spese per quanto riguarda la formazione del Deuteronomio, così come è giunto fino ai nostri giorni. Il nucleo centrale di questo libro è da ricercarsi in quello che viene detto il « codice deuteronomico» (12, 1 - 26, 15) che, per le sue affinità con il codice elohista, può essere collocato nel regno del Nord. Per parecchio tempo si è voluto vedere la sua origine nel Sud e nel clero di Gerusalemme in quanto la polemica del Deuteronomio contro le alture, fatta propria da Giosia nel 622, poteva giustificarsi come tentativo di assicurare al clero di Gerusalemme l’esclusività del culto. Ma studi più approfonditi hanno indotto ad assegnare al Nord l’ambiente più adatto alla formazione di questa tradizione. Sembra infatti che il clero di Gerusalemme non abbia molto gradito la disposizione deuteronomica che conferisce a tutti i leviti gli stessi diritti nel santuario centrale.

Più che di semplici affinità con la tradizione elohista, bisognerebbe parlare di vere e proprie derivazioni. Questo si può dedurre principalmente dagli stessi termini usati per indicare Dio (Elohim anziché Jahveh) ed il monte Sinai (Horeb anziché Sinai).

Può darsi che il codice deuteronomico abbia apportato un contributo alla riforma di Ezechia. Ma è più evidente che questa riforma sia stata l’occasione per lo sviluppo della parte parenetica dell’attuale Deuteronomio.

Sotto Ezechia il codice deuteronomico più la parte parenetica ed altre aggiunte dovettero costituire una prima edizione che fu riscoperta nel tempio sotto Giosia (2 Re 22, 3-20) e servì con molta probabilità alla sua riforma (2 Re 23, 4-27).

All’epoca dell’esilio si provvide alla seconda edizione del Deuteronomio con ulteriori aggiunte, la principale delle quali è costituita dalla grande sezione che va da 1, 1 a 4, 40, che insiste sulla conquista di Canaan con un evidente invito alla speranza per gli esiliati che aspiravano alla sua riconquista.
Con queste aggiunte fu completata la maggior parte del contenuto letterario dell’attuale Deuteronomio. Altre piccole aggiunte furono inserite in seguito fino al raggiungimento della forma attuale del libro.

torna all'indice