1° DISCORSO DI MOSÈ
1, 1 - 4, 43

INDICE
Premessa introduttiva di carattere geografico (vv. 1, 1-5)
Ulteriore osservazione sulla paternità del Deuteronomio
Visione panoramica e suddivisione per temi
PARTE  STORICA
Premessa introduttiva (1, 6-8)
Percorso dell’esodo di Israele
Scelta dei capi e ordine ai giudici di essere imparziali (1, 9-18)
LA TAPPA DI KADESH-BARNEA
L’invio delle spie per esplorare il paese di Canaan (1, 19-25)
La ribellione del popolo e le conseguenze (1, 26-46)
Le peregrinazioni di Israele nel deserto (2, 1-22)
La vittoria su Sihon, re di Heshbon (2, 23-36)
La vittoria su Og, re di Bashan (3, 1-11)
Guerre di sterminio o anatema
Spartizione della terra conquistata tra due tribù e mezza (3, 12-20)
Passaggio a Giosuè della guida d’Israele (3, 21-29)
PARTE  ESORTATIVA
Necessità di osservare i comandamanti di Dio (4, 1-14)
Proibizione dell'idolatria (4, 15-31)
Riguardo particolare di Dio verso Israele (4, 32-40)
Premessa introduttiva di carattere geografico (vv. 1, 1-5).

Israele si trova nelle steppe di Moab al di là del Giordano ed attende di entrare in Canaan.

V. 1 Queste sono le parole che Mosè rivolse a Israele di là dal Giordano nel deserto dell’Arabah di fronte a Suf, fra Paran, Tofel, Laban, Hatseroth e Di-Zahab.

L’uso della terza persona, il verbo al passato e l’indicazione « di là dal Giordano» chiaramente ci dicono che questa premessa introduttiva non può essere stata scritta da Mosè, ma da qualcuno che viveva in Palestina in un’epoca posteriore all’ingresso di Israele nella terra promessa.

La seconda parte del versetto è una precisazione di carattere geografico. Israele, in attesa di entrare nella terra promessa, si trovava nell’Arabah di fronte a Suf, fra Paran, Tofel, Laban, Hatseroth e Di-Zahab. Secondo la prospettiva dell’autore e dei destinatari del libro, che vivevano ormai in Palestina da diversi secoli, tutte queste località si trovavano al di là del Giordano.

L’Arabah compare per la prima volta nella Bibbia in questo primo versetto del libro di Deuteronomio e sta ad indicare la profonda depressione esistente tra il Mar Morto ed il golfo di Aqabah. Frequentemente nella Bibbia con questo nome viene anche indicata tutta la vallata determinata dal corso del Giordano e qualche volta il Mar Morto stesso viene chiamato mare dall’Arabah (Dt 4, 49).

Trattandosi di un territorio molto vasto, l’autore sente la necessità di precisare meglio la località aggiungendo ulteriori indicazioni che però non sono facilmente identificabili. Se con Suf egli intende riferirsi a Sufah di Nm 21, 14, probabilmente si tratta di una località vicino al fiume Arnon, situata nel territorio di Moab. Questa ubicazione concorderebbe anche con quanto troviamo scritto in 29, 1 (cfr anche Nm 33, 48-49). Se con Paran l’autore intende riferirsi al deserto di Paran, questo comprende l’immenso altipiano calcareo che si estende da sud a nord, dai primi monti settentrionali della penisola sinaitica fino al deserto di Sin, a sud di Kadesh. In questo deserto penetrarono gli israeliti dopo essere partiti da Hatseroth (Nm 12, 16), e lo attraversarono in una serie di tappe (Nm 33, 18-36) fino a giungere a Kadesh. Da Kadesh si diressero ancora verso sud-est fino al golfo di Aqabah, da Aqabah risalirono lungo la depressione dell’Arabah verso il Mar Morto. Una delle località toccate in questo percorso è probabilmente Tofel che si trova a circa 16 km e mezzo a sud-est del Mar Morto. Tralasciamo le altre due località di Laban e Di-Zahab sull’identificazione delle quali ci sono ancora parecchi dubbi. Queste precisazioni geografiche non le troviamo più nel resto del libro, per cui si può presumere che si tratti di aggiunte al testo primitivo desunte in parte dal libro dei Numeri.

V. 2  Vi sono undici giorni di cammino dal monte Horeb, per la via del monte Seir, fino a Kadesh-Barnea .

In quei tempi le distanze tra una località e l’altra venivano misurate secondo le giornate di cammino che le carovane impiegavano a fare il percorso da un posto all’altro. Ad esempio in Nm 10, 33 ci viene detto che gli Israeliti impiegarono tre giorni di cammino dall’Horeb fino alla prima tappa in cui si riposarono. Questa tappa, dopo l’Horeb, noi sappiamo da Nm 12, 16, che è stata la località di Hatseroth. Quindi se dall’Horeb a Kadesh-Barnea ci vollero 11 giorni di cammino, con un semplice calcolo matematico possiamo desumere che i giorni di cammino da Hatseroth fino a Kadesh furono otto.

Seguendo questa tabella di marcia il popolo ebraico avrebbe dovuto raggiungere la pianura di Moab al massimo entro un mese a farla grossa, ma nel successivo versetto 3 ci viene detto invece che Mosè parlò ai figli di Israele soltanto dopo quaranta anni:

V. 3 Nel quarantesimo anno, nell’undicesimo mese, nel primo giorno del mese, Mosè parlò ai figli di Israele, secondo tutto ciò che l’Eterno gli aveva comandato di dire loro.

Evidentemente con questa sproporzione di tempo tra la tappa di Kadesh-Barnea e quella della pianura di Moab, l’autore vuole dirci qualcosa di importante che è avvenuto a Kadesh e che ha cambiato profondamente il destino del popolo ebraico ed ha allungato enormemente il suo peregrinare nel deserto. Per il momento, però egli si limita soltanto a sottolineare questa sproporzione di tempo senza dirci nulla sulla causa, perché si riserverà di spiegarla in maniera più dettagliata nel successivo discorso. Ci troviamo quindi qui in presenza di un vero e proprio sommario, una sorta di indice con i titoli di capitoli che verranno sviluppati successivamente.

Il fatto che si sia in presenza di un vero e proprio sommario ci viene confermata anche dal successivo versetto 4. Il discorso di Mosè al popolo avviene infatti dopo quarant’anni, ma avviene anche:

V. 4 dopo aver sconfitto Sihon, re degli Amorei che abitava in Heshbon, e Og re di Bashan che abitava in Ashtaroth e in Edrei.

Abbiamo anche qui altri due titoli di capitoli che verranno sviluppati in maniera più dettagliata nel successivo discorso che Mosè rivolge a tutto il popolo.

Naturalmente non si tratta di un sommario completo perché manca, ad esempio, la parte riguardante la scelta dei capi e la raccomandazione ai giudici di essere imparziali, che troviamo in 1, 9-18, ma potremmo considerare questa parte come una specie di introduzione al discorso.

Il grande capitolo riguardante la tappa di Kadesh-Barnea, già anticipato nel sommario al v. 2, viene sviluppato in ogni suo dettaglio in 1, 19-46.

I quarant’anni di peregrinazioni nel deserto, anticipati soltanto come titolo al v. 3, sono sviluppati da 2, 1 a 3, 11; all’interno di questo grande capitolo ci sono però quelli che noi oggi chiameremmo due sottotitoli o due paragrafi riguardanti la vittoria degli Israeliti su Sihon, re di Heshbon, in 2, 23-36 e su Og, re di Bashan, in 3, 1-11, già sommariamente anticipati al v. 4.

Altri sottotitoli del grande capitolo dei quarant’anni possono essere considerati: la spartizione delle terre conquistate tra due tribù e mezza (3, 12-20); il passaggio delle consegne a Giosuè (3, 21-29); l’esortazione ad osservare i comandamenti (4, 1-14); la proibizione dell’idolatria (4, 15-31); la speciale manifestazione di Dio a Israele (4, 32-40); le tre città rifugio ad est del Giordano (4, 41-43). Quest’ultima non fa parte del discorso vero e proprio, ma è soltanto una parentesi narrativa.

V. 5 Di là dal Giordano, nel paese di Moab, Mosè cominciò a spiegare questa legge, dicendo:

Con il versetto 5 si conclude questa breve introduzione al discorso di Mosé. Si può notare che viene ripetuta ancora l’espressione: « di là del Giordano» ad ulteriore conferma di quanto abbiamo già detto inizialmente circa l’autore. È difficile poter pensare che Mosè parli di sé stesso in terza persona, ma è ancora più difficile spiegare come egli abbia potuto usare l’espressione « di là del Giordano», dal momento che egli non ha mai attraversato questo fiume.

L’indicazione geografica, a differenza del v. 1, questa volta è molto chiara. Non ci può essere alcun dubbio, Mosè ed il popolo si trovano nel paese di Moab, esattamente nel posto che troviamo indicato anche in Nm 33, 48-49. Ed è proprio in questo posto che Mosè, radunato tutto il popolo, inizia il suo primo discorso, riportato nel libro di Dt da 1, 6 a 4, 43.

Il fatto che si ripeta ancora al versetto 5 l’indicazione geografica, già data al v. 1, ci conferma che il versetto 1 è un aggiunta posteriore al testo primitivo in cui un redattore finale ha voluto collegare alcune località geografiche di Numeri con il libro del Deuteronomio, tanto più che queste località geografiche non sono più ricordate in tutto il resto del libro.

torna all'indice

Ulteriore osservazione sulla paternità del Deuteronomio

Prima di andare avanti con il discorso di Mosè, bisogna chiarire subito un aspetto molto importante che è sempre valido per ciascun libro della Bibbia. A differenza di quanto si potrebbe pensare, la paternità del libro del Deuteronomio non è una questione di carattere così fondamentale da poter mettere in pericolo l’ispirazione di questo libro.

L’ispirazione di un qualsiasi libro della Bibbia non dipende dal suo autore umano, ma da Dio stesso il quale in piena libertà ha scelto quegli autori umani che, nelle varie epoche e secondo le diverse circostanze, ha ritenuti più adatti per trasmetterci la sua Rivelazione. A volte questi autori sono evidenti, altre volte possono essere incerti o addirittura sconosciuti, ma questo fatto non ha alcuna rilevanza per l’ispirazione del libro che dipende piuttosto dal suo contenuto e dalla testimonianza di tutta la Parola di Dio nel suo insieme.

Tutti i 66 libri della Bibbia, pur essendo stati scritti in epoche diverse e da autori diversi, sono strettamente collegati fra loro da un unico filo conduttore. Ciascun libro trae il proprio significato all’interno di questa profonda unione nella quale consiste la superiore forza della Parola di Dio.

Nel caso specifico l’ispirazione del libro del Deuteronomio non può essere messa in discussione dal fatto che sia stato scritto direttamente da Mosè oppure da qualche altro autore di cui non conosciamo il nome, perché essa dipende esclusivamente dal suo contenuto e dalla testimonianza certa di tutto il resto della Rivelazione di Dio:

1) Abbiamo anzitutto la testimonianza di Gesù stesso il quale cita esplicitamente il Deuteronomio, considerandolo come Parola di Dio, anzi la quintessenza della Parola di Dio (Mt 22, 34-38  che riporta Dt 6, 5).

2) Abbiamo la testimonianza dello stesso popolo ebraico il quale non ha mai avuto alcun dubbio sull’ispirazione del Deuteronomio, tanto da inserirlo subito nella prima raccolta di libri sacri ed ispirati della Torah. La testimonianza degli Ebrei è stata convalidata da Gesù stesso il quale, pur disapprovando il comportamento degli scribi e dei farisei, che erano le massime autorità in materia religiosa di quell’epoca, ci dice in Mt 23, 2 che « gli scribi ed i farisei siedono nella cattedra di Mosè ». Essi erano quindi degni di essere ascoltati quando dicevano qualcosa in materia di fede, anche se non si doveva seguire il loro esempio. Paolo, da parte sua, ci dice che ai Giudei e non ad altri furono affidati gli oracoli di Dio (Rm 3, 2).

Quindi il fatto che il libro del Deuteronomio possa essere stato scritto da una persona diversa da Mosè non ha alcuna conseguenza per la sua ispirazione. Mosè è l’autore dello statuto fondamentale sul quale doveva fondarsi tutta la vita religiosa e civile del popolo ebraico. Egli poi ha aggiunto a questo statuto tutta una serie di decreti, di leggi e di comandamenti che dovevano regolamentare il governo teocratico di questo popolo in una situazione provvisoria di nomadismo.

Mosè muore proprio nel momento in cui gli Ebrei stavano per entrare in Palestina, dove, da popolo essenzialmente nomade, sarebbero divenuti un popolo stanziale. È veramente ingenuo pensare che le stesse leggi che governavano un popolo nomade potessero essere sempre valide anche nella nuova situazione in cui si era venuto a trovare il popolo di Dio dopo il suo insediamento nel territorio palestinese. Pur mantenendo intatta l’impostazione generale data da Mosè fin dall’inizio, si rendeva necessario riconsiderare continuamente la legislazione per adattarla alle nuove circostanze.

Ora questo lavoro di adattamento era un compito che fu svolto principalmente e con autorità dalla classe dei leviti i quali, convivendo tra le varie tribù, avevano il compito di insegnare al popolo la legge e la sua applicazione alle situazioni concrete della vita.

Per questo motivo si è pensato che l’autore del libro del Deuteronomio potesse essere un levita del nord il quale, particolarmente fedele al Dio dei padri ed amareggiato per lo stato di decadenza morale e religiosa del popolo, abbia avuto l’ispirazione di scrivere questo libro o per lo meno la sua parte centrale, con l’intenzione di risvegliare le coscienze assopite, per indurle a ritornare allo spirito dell’originario insegnamento mosaico.

Perché non possiamo vedere nell’iniziativa di questo sconosciuto levita la mano di Dio che lo ha spinto a scrivere il libro del Deuteronomio? Se poi consideriamo l’influenza benefica che questo libro ha avuto nella successiva vita del popolo ebraico, non possiamo dubitare che il vero autore di questo libro sia stato effettivamente Dio stesso.

Questa idea non appare del tutto campata in aria se consideriamo il ruolo di continuazione dell’attività mediatrice di Mosè che i leviti hanno esercitato dopo la morte del grande legislatore. In Dt 33, 10, nelle benedizioni impartite alle dodici tribù, a loro viene riconosciuto il compito di insegnare la legge ed i decreti al popolo ebraico. In Dt 31, 9-13 Mosè consegna la legge da lui scritta ai leviti con l’incarico di leggerla pubblicamente in occasione della festa per il rinnovo dell’alleanza. In Dt 27, 9 i leviti appaiono associati a Mosè nell’esortare il popolo ad essere fedele a Dio.

Mosè ebbe senz’altro un ruolo di iniziatore nell’insegnamento della legge dell’alleanza, ma dopo di lui furono i leviti a portare avanti il suo ufficio vegliando attivamente sulla trasmissione di quel patrimonio che lui stesso aveva lasciato al popolo.

Il Deuteronomio insiste volentieri sul ruolo principale di mediatore di Mosè: è a Mosè che Dio si è indirizzato per rivelare la sua legge ed è a lui che viene dato l’ordine di trasmetterla e spiegarla al popolo. Ecco allora che i leviti mettono il loro insegnamento in bocca a Mosè proprio per sottolineare l’autorità con la quale essi stavano continuando l’opera del grande legislatore.

Le allusioni a circostanze di epoca successiva mostrano chiaramente come la loro opera non sia stata soltanto ripetitiva, ma come essi abbiano sostanzialmente ripreso l’antica tradizione mosaica per adattarla alle esigenze di una nuova situazione in cui il popolo di Israele si stava sempre più allontanando da Dio per seguire i culti idolatrici dei Cananei, con i quali si trovava a contatto.

torna all'indice

Visione panoramica e suddivisione per temi

Il primo discorso di Mosè può essere diviso in due prime parti:

a) la parte storica (1, 6 – 3, 29) è sostanzialmente una rievocazione degli avvenimenti principali che hanno caratterizzato la storia del popolo ebraico dalla partenza dell’Horeb (Sinai) fino all’arrivo nella pianura di Moab;

b) la parte esortativa (4, 1-40) è un’esortazione all’osservanza dei comandamenti e all’astensione dall’idolatria.

Dopo il discorso vero e proprio c’è una parentesi narrativa (4, 41-43) con la designazione da parte di Mosè delle tre città rifugio.

 La parte storica a sua volta può essere divisa come segue:

· breve premessa (1, 6-8) sul motivo della partenza dall’Horeb e sul viaggio verso la Terra Promessa
· scelta dei capi e ordine ai giudici di essere imparziali nei giudizi (1, 9-18)
· La tappa di Kadesh-Barnea (1,19-46). Questo capitolo è già stato richiamato nel sommario al v. 1, 2.

Sappiamo che dal monte Horeb fino a Kadesh-Barnea, per la strada del monte Seir, Israele impiegò 11 giorni di cammino. All’interno di questo capitolo ci sono due paragrafi riguardanti:

1. L’invio delle spie per esplorare il paese di Canaan (1, 19-25);
2. La ribellione del popolo e le conseguenze (1, 26-46).

· I quarant’anni nel deserto (2, 1 - 3, 29). Questo grande capitolo viene preannunciato nel sommario al v. 1. 3 e comprende a sua volta i seguenti paragrafi:

1. peregrinazioni d’Israele nel deserto (2, 1-22);
2. vittoria su Sihon, re di Heshbon (2, 23-36);
3. vittoria su Og, re di Bashan (3, 1-11);
4. spartizione della terra conquistata tra due tribù e mezza (3, 12-20);
5. passaggio della guida a Giosuè (3, 21-29).

Qui termina la rievocazione storica e dal v. 4, 1 inizia la parte esortativa del discorso di Mosè che si conclude al v. 4, 40. Al suo interno possiamo trovare i seguenti paragrafi:

1. motivi per osservare i comandamenti del patto (4, 1-14);
2. proibizione dell’idolatria (4, 15-31);
3. riguardo particolare di Dio verso Israele (4, 32-40).

Come abbiamo detto più sopra, al termine del discorso, c’è una parentesi narrativa sulla designazione delle tre città rifugio a est del Giordano (4, 41-43).

torna all'indice
PARTE  STORICA

Premessa introduttiva (1, 6-8)

6. L’Eterno, il nostro DIO, ci parlò in Horeb e ci disse: «Voi avete dimorato abbastanza vicino a questa montagna;

7. l evate le tende, mettetivi in cammino e andate verso la regione montuosa degli Amorei e verso tutti i luoghi vicini nell’Arabah, nella regione montuosa e nel bassopiano del Neghev e sulla costa del mare, nel paese dei Cananei e al Libano, fino al grande fiume, il fiume Eufrate.

8. Ecco, io ho posto il paese davanti a voi; entrate e prendete possesso del paese che l’Eterno giurò di dare ai vostri padri, ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe, a loro e alla loro discendenza dopo di loro»

torna all'indice
Percorso dell’esodo di Israele

torna all'indice


Mosè inizia il suo discorso ricordando la partenza dall’Horeb (o Sinai) dove era stata stipulata l’alleanza tra Dio ed Israele. Gli Israeliti avevano sostato presso questa montagna abbastanza ed era quindi venuto il momento di partire per dirigersi verso il paese che Dio aveva promesso ai loro padri.

L’espressione « mettetivi in cammino » (lett. « voltatevi e partite ») ricorre ogni volta che Dio dà una nuova direzione alla marcia del suo popolo (Dt 1, 40; 2, 1). Le località verso cui gli Ebrei dovevano dirigersi erano la regione montuosa degli Amorei ed i luoghi vicini nell’Arabah; la regione montuosa, il bassopiano (o Shefelah) ed il litorale lungo il mare che si estende dal Neghev fino al Libano ed al grande fiume Eufrate. Tutte queste località richiamano le diverse regioni della Palestina considerata entro dei confini che in realtà vennero raggiunti soltanto sotto il regno di Davide e di Salomone. Troviamo un’indicazione di questi confini anche in Es 23, 31: «Stabilirò il tuo confine dal Mar Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino al fiume ». In pratica questi confini andavano dal Golfo di Aqabah fino al Mediterraneo e dal deserto dei Sinai fino all’Eufrate e sono i confini dell’impero di Davide e Salomone (1 Re 4, 21).

Il versetto 7 parla di una regione montuosa abitata dagli Amorei e di altri luoghi vicini nell’Arabah. Il nome Amorei o Amorriti ricorre spesso nella Bibbia e proviene da una denominazione equivoca con la quale nell’A.T. viene designata la popolazione che abitava nella Palestina prima dell’ingresso degli Ebrei. Il loro nome compare già nella tavola dei popoli in Gn 10, 16 come discendenti, assieme ad altri popoli, da Canaan, figlio di Cam. Quindi sono di origine camita. Il nome degli Amorei ritorna nuovamente in occasione del patto che Dio stipula direttamente con Abramo in Gn 15, 13-21. In quell’occasione Dio promette ad Abramo che i suoi discendenti occuperanno il territorio abitato da questi popoli.

La promessa viene rinnovata anche a Mosè, quando Dio gli appare nel Roveto ardente e lo incarica di recarsi dal Faraone per indurlo a liberare il popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto (Es 3, 7-8). Al tempo di Abramo gli Amorei compaiono ancora in occasione della  guerra dei cinque re provenienti dal nord che fanno un’incursione e saccheggiano parecchi territori della Palestina fra i quali quello degli Amorei che abitavano ad Hatsatson-Tamar (Gn 14, 7). Se si tratta della stessa località che si trova in 2 Cr 20, 2, allora dobbiamo identificarla con Engaddi che si trova nella sponda occidentale del Mar Morto; ma sembra più probabile che si tratti della città di Tamar che si trova 15 Km a sud del Mar Morto, abbastanza vicina alle città di Sodoma e Gomorra che vengono saccheggiate durante l’incursione (Gn 14, 10-11).

Anche Abramo rimane coinvolto in questa guerra in quanto deve correre in aiuto del nipote Lot che, abitando a Sodoma, viene rapito e portato via dai re del nord con tutti i suoi averi (Gn 14, 12). In quell’occasione fu proprio un Arameo, scampato al disastro ed alleato di Abramo, che avvertì il patriarca del rapimento di Lot (Gn 14, 13).

In Gn 15, 16 il termine Amorei viene indicato come sinonimo degli abitanti della regione che viene promessa ad Israele, ma in seguito, essendo cresciuto il loro potere, essi appaiono in molti passi dell’A.T. come sinonimi degli stessi Cananei (Gn 48, 22; Gs 7, 7; Gs  9, 10; Gs 12, 2-3; 2 Sm 21, 2: Am 2, 10). Nel periodo dell’esodo si trovano nella regione montuosa (Nm 13, 29) ed hanno conquistato anche quella parte della Transgiordania che va in lunghezza, dal torrente Arnon fino alle alture dell’Hermon, e in larghezza, dal deserto fino al Giordano.

Gli Ebrei si scontrano vittoriosamente con loro dopo Moab e conquistano quella parte di territorio che va tra l’Arnon e lo Jabbock, ma non oltre i confini di Ammon (Nm 21, 21-32). Con l’ulteriore sconfitta dell’altro re degli Amorei, Og di Bashan, il territorio conquistato da Israele si estende fino al monte Hermon (Dt 3, 8; 4, 47-48; Gs 2, 10; 9, 10; Gdc 11, 22).

Il dominio degli Amorei si estende comunque anche in tutta la regione montuosa della Cisgiordania da Gerusalemme ad Hebron includendo anche tutta quella striscia di territorio decrescente verso il mare, noto con il nome di Shefelah o bassopiano (Gs 10, 5-6). Secondo Gdc 1, 35 il territorio degli Amorei si estendeva dalla Salita di Akrabbim, che si trova a sud-ovest del Mar Morto, fino al torrente Ajalon e al territorio assegnato alla tribù di Efraim.

Gli Amorei erano risoluti a rimanere nei territori da loro occupati, ma via via che Israele si rafforzava dovettero cedere le loro posizioni e sottomettersi. Gran parte di essi furono votati allo sterminio, ma un numero consistente di loro continuò ad esistere anche dopo la conquista di Israele e convisse con gli Israeliti in pace nel periodo di Samuele (1 Sm 7, 14). Salomone li reclutò per i lavori forzati assieme ai superstiti di altri popoli (1 Re 9, 20-21).

Nel versetto 7 si accenna anche, oltre agli Amorei, ad un territorio composto da una zona montuosa, da un bassopiano e da un litorale. Se noi osserviamo una carta geografica della Palestina ci accorgiamo subito che questa regione include, in senso longitudinale da nord a sud, delle fasce di territorio ben distinte dal punto di vista della conformazione fisica. Partendo da Est verso ovest abbiamo anzitutto la grande depressione del Giordano che inizia con il Mar di Galilea e raggiunge i punto massimo nel Mar Morto, la cui superficie si trova a 394 metri sotto il livello del mare ed ha una profondità massima di 400 metri. Procedendo verso ovest, a ridosso di questa depressione abbiamo una catena montuosa che parte da nord a sud con la catena del Libano dove si raggiungono altezze che superano i 2000 metri.

Questa zona montuosa prosegue nell’alta Galilea con altezze che superano i 1000 metri, ma decresce più a sud nella Bassa Galilea dove troviamo il monte Tabor a soli 562 metri di altezza. A sud della Galilea la zona montuosa viene interrotta dalla pianura di Esdralon nella quale scorre il torrente Kison, ma riprende subito con il Monte Carmelo (530 m.) a ovest e con la Collina di Moreh (516 m.) ad est, vicino alla grande fossa del Giordano. Da questo punto in poi, sempre verso sud la catena montuosa riprende consistenza in Samaria con il Monte Ebal a 930 m. e con il Monte Garizim a 868 m. in prossimità di Sichem. Poi raggiunge il massimo a Tell Azur con 1011 m. di altezza nel territorio di Efraim. Procedendo sempre verso sud, entriamo in Giudea con il famoso Monte degli Ulivi, a Gerusalemme, a 812 m. di altezza, e più a sud ancora, Hebron con 927 m. di altezza; poi decresce ancora verso sud dove si incontra l’Idumea e la zona desertica del Neghev.

Mentre la dorsale di questa catena montuosa, a partire dalla Samaria, scende ad est in maniera ripida e scoscesa verso la fossa del Giordano, ad ovest decresce in maniera più dolce e ad un certo punto si trasforma in un bassopiano decrescente verso la zona litoranea, dove si trasforma a sua volta in pianura vera e propria, percorsa da vari torrenti. Abbiamo così a nord nella Samaria la pianura di Saron ed in corrispondenza con la Giudea la pianura della Filistia.

A nord il territorio al di qua del Giordano è una striscia di terra molto stretta e per lo più montuosa, ma a sud dopo il Monte Carmelo questa striscia si allarga sempre di più, raggiungendo all’altezza del Mar Morte la sua massima espansione. Ecco quindi individuate la zona montuosa, la zona del bassopiano o Shefelah e la zona pianeggiante lungo il litorale del Mar Mediterraneo del v. 7.

Il versetto 8 contiene un invito a prendere possesso del paese di fronte al quale Dio ha posto il popolo di Israele. Si tratta della realizzazione della promessa fatta anticamente ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe ed ai loro discendenti. Questa antica promessa venne fatta per la prima volta ad Abramo, appena arrivato a Sichem dalla terra di Charan dalla quale Dio lo aveva chiamato (Gn 12, 6-7). La stessa promessa verrà poi ancora ripetuta da Dio ad Abramo in altre circostanze (Gn 13, 15; Gn 15, 18); sarà in seguito rinnovata anche ad Isacco (Gn 26, 1-6) ed a Giacobbe (Gn 28, 13).

La partenza dall’Horeb e la marcia di undici giorni nel deserto doveva quindi concludersi con l’ingresso del popolo ebraico nella Terra Promessa. L’ intenzione era questa, ma proprio nel momento in cui Israele è in procinto di entrare nel paese, succede qualcosa che allontanerà nel tempo la realizzazione della promessa di Dio.

torna all'indice


Scelta dei capi e ordine ai giudici di essere imparziali (1, 9-18)

  9. In quel tempo io vi parlai e vi dissi: "Io non posso da solo portare il peso di tutti voi".

10. L’Eterno, il vostro DIO, vi ha moltiplicati, ed eccovi oggi numerosi come le stelle del cielo.

11. L’Eterno, il Dio dei vostri padri, vi renda mille volte ancor più numerosi, e vi benedica come vi ha promesso!

12. Ma come posso io, da solo, portare il vostro carico, il vostro peso e le vostre liti?

13 . Scegliete dalle vostre tribù degli uomini saggi e dotati di discernimento e di esperienza, e io li costituirò vostri capi.

14. E voi mi rispondeste, dicendo: "La cosa che tu proponi di fare è buona".

15. Allora presi i capi delle vostre tribù, uomini saggi e dotati di esperienza, e li costituii vostri capi, capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine, e ufficiali delle vostre tribù.

16. In quel tempo diedi quest’ordine ai vostri giudici dicendo: "Ascoltate le dispute fra i vostri fratelli e giudicate con giustizia tra un uomo e suo fratello o il forestiero che sta con lui.

17. Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali; darete ascolto al piccolo e al grande; non temerete alcun uomo, perché il giudizio appartiene a DIO; il caso che è troppo difficile per voi lo recherete a me, e io lo ascolterò".

18. In quel tempo io vi ordinai tutte le cose che dovevate fare.

Questo brano non presenta particolari difficoltà di interpretazione. Mosè ricorda la necessità che si era subito presentata, appena usciti dall’Egitto, di dare delle strutture organizzative al popolo. L’espressione « In quel tempo» del v. 9 ci rimanda ad un episodio che troviamo nel libro di Esodo al cap. 18, dove ci viene narrato l’incontro di Mosè con il suocero Jethro ed i consigli che quest’ultimo gli dà sull’organizzazione.

L’esigenza di una struttura organizzativa si era imposta a causa della crescita enorme del popolo ebraico da una parte e per il fatto che Mosè da solo non poteva assolvere adeguatamente a tutti gli incarichi che erano richiesti per governare un popolo così numeroso.

La crescita del popolo ebraico faceva parte delle promesse che Dio aveva fatto anticamente ad Abramo e che troviamo in Gn 15, 1-6. Tale promessa era stata poi ripetuta anche al figlio Isacco in Gn 26, 4. L’espressione « numerosi come le stelle del cielo» (v. 10) è un’iperbole che il Deuteronomio riprende dal libro di Genesi, ma che ci dà l’idea di un numero molto grande.

Il libro di Esodo ci informa che i discendenti di Abramo che erano entrati in Egitto erano all’inizio soltanto settanta persone (Es 1, 5), ma già alla seconda generazione queste settanta persone si erano moltiplicate ed erano divenute molto numerose e molto forti, tanto che il Faraone cominciò a preoccuparsi ed a prendere provvedimenti contro di loro (Es 1, 7-10). Quando tutte queste persone uscirono dall’Egitto erano « circa seicentomila uomini a piedi» senza contare i bambini e le donne (Es 12, 37). A loro si aggiunse anche « un gran miscuglio di gente, assieme a greggi ed armenti, una grande quantità di bestiame» (Es 12, 38). Tutta questa grande massa di gente doveva essere in qualche modo governata e Mosè non era in grado di poterlo fare da solo.

Mosé, pur augurando al popolo di essere ulteriormente benedetto da Dio secondo le promesse e di diventare mille volte ancora più numeroso, non può fare a meno di constatare la sua incapacità a reggere da solo un peso così grande. La convivenza di tanta gente rendeva inevitabili delle situazioni di lite che dovevano essere risolte pacificamente senza ricorrere alla ritorsione personale, che avrebbe creato soltanto disordini e disgregato l’unità del popolo (vv 11-12).

In questa particolare fase della storia di Israele non si avvertiva ancora la necessità di un potere centralizzato e dispotico, in quanto era sviluppato fra i singoli componenti un forte senso dell’uguaglianza sociale ed economica ed un forte senso della solidarietà di gruppo che esisteva a vari livelli e si esprimeva nelle diverse situazioni.

Alla base dell’organizzazione sociale di questa società di tipo tribale esisteva un sistema di genealogie che collocava ognuno al suo posto. In questo sistema la prima autorità riconosciuta era quella del capo famiglia al di sopra della quale c’erano gli anziani che rappresentavano il popolo nel suo insieme, ma non decidevano mai in maniera autonoma senza prima aver consultato i capi famiglia.

Quando Mosè viene incaricato di recarsi in Egitto per liberare Israele dalla schiavitù, viene invitato a radunare gli anziani per riferire loro quanto gli era stato comunicato da Dio (Es 3, 16). Mosè ed Aronne si rivolgono effettivamente a tutti gli anziani dei figli di Israele (Es 4, 29), ma è poi tutto il popolo che crede alle loro parole (Es 4, 30-31).

Poteva accadere che in particolari momenti di concreta necessità, sorgessero delle figure dalla forte personalità carismatica e dotate di particolari doti di stratega e di condottiero che, per investitura diretta di Dio, assumevano un ruolo di guida. Tuttavia tali personaggi non esercitavano mai la loro autorità in maniera dispotica, ma come un servizio o una missione a cui erano stati chiamati da Dio.

Mosè dimostra chiaramente questo atteggiamento altamente democratico in quanto non impone al popolo una gerarchia di capi e sottocapi da lui direttamente scelti, ma sottopone la sua proposta all’accettazione del popolo e lascia a loro la scelta delle persone (v. 13), ponendo soltanto la condizione che si tratti di persone sagge, dotate di discernimento (v. 13) e di esperienza (v. 14).

Una volta scelte dal popolo, Mosè avrebbe conferito ufficialmente a queste persone l’incarico che per volontà divina essi dovevano svolgere come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine, nonché come ufficiali delle tribù con gli incarichi più svariati (v. 15).

Queste persone potevano svolgere il loro incarico in tempo di guerra come condottieri, ma anche e soprattutto in tempo di pace come giudici per derimere le possibili contese che potevano sorgere, non solo fra gli israeliti, ma anche fra l’israelita ed il forestiero che si trovava a vivere in mezzo a loro (v. 16).
Questa menzione del forestiero è particolarmente interessante, ma non è una novità del Deuteronomio. Già nel Levitico c’è tutta una serie di disposizioni che riguardavano i rapporti con gli stranieri, che per varie circostanze si trovavano a convivere fra gli Ebrei. In Lv 19, 9-10 c’è la disposizione di non mietere il campo fino ai margini e di non raccogliere le spighe lasciate indietro, di non ripassare nella vigna e raccogliere i grappoli lasciati indietro, per lasciarli ai poveri ed ai forestieri (vedi Ruth, la moabita che era andata a spigolare nel campo di Boaz; Ruth 2, 1ss). Sempre nello stesso capitolo ai vv. 33-34 è detto addirittura di trattare lo straniero come un nativo e di amarlo come si poteva amare sé stessi. In Lv 24, 22 si doveva avere una stessa legge tanto per il forestiero quanto per il nativo.

Da queste chicche che abbiamo trovato nel libro del Levitico si può comprendere la profondità e la spiritualità della legislazione ebraica che riconosceva allo straniero gli stessi diritti giuridici dei nativi e ci dà il senso di quei principi di universalità che già fin da allora si trovavano allo stato germinale nella Parola di Dio e che poi saranno sviluppati completamente dalla predicazione di Cristo (Mt 25, 35) « fui forestiero e mi accoglieste ». Gesù si identifica con qualsiasi essere umano sia esso uno straniero o nativo del nostro paese.

Se il grado di civiltà di un popolo si giudica da come vengono trattati gli stranieri che si trovano nel proprio paese, direi che il popolo ebraico di quel tempo ha molto da insegnare anche a noi, specualmente se pensiamo all’attualità dei nostri giorni.

In considerazione di questo riguardo che la legislazione ebraica aveva nei confronti dello straniero residente in mezzo al popolo ebraico, il Deuteronomio si sente in dovere di ricordare e di raccomandare che il giudizio sia fra gli Israeliti, come pure fra l’Israelita e lo straniero debba avvenire in entrambi i casi con giustizia.

Tale giustizia si doveva esplicare anzitutto nel non avere riguardi personali, nel dare ascolto tanto al piccolo come al grande, nel non temere alcun uomo, perché il giudizio che essi emanavano apparteneva a Dio. Era Dio stesso che attraverso queste persone giudicava il popolo e quindi il loro giudizio doveva essere conforme alla volontà divina senza lasciarsi influenzare dalle tendenze umane. Mosè interveniva in questi giudizi soltanto nei casi più difficili.

In questo brano abbiamo soltanto un primo accenno al ruolo dei giudici di Israele, ma il Deuteronomio tornerà ancora sull’argomento più avanti nel capitolo 16, 18-20 dove con altre parole insisterà ancora sull’imparzialità con le quali queste persone dovevano esercitare il giudizio fra il popolo.

Nonostante queste raccomandazioni, noi sappiamo che non sempre i giudici di Israele furono imparziali, come ci viene in 1 Sm 8, 1-3.

Le parole del v. 18: «In quel tempo vi ordinai tutte le cose che dovevate fare», ci fanno pensare che già prima del Sinai esistessero delle leggi e delle prescrizioni, date da Mosè al popolo subito dopo l’uscita dall’Egitto. Tali erano, per esempio, le prescrizioni per la Pasqua (Es 12, 43), la legge relativa alla consacrazione dei primogeniti (Es 13, 1-16); le disposizioni per il Sabato (Es 16, 23). Non si capirebbe altrimenti a quali comandamenti ed a quali leggi ci si riferisca in Es. 16, 28 o in Es 18, 14. In occasione dell’incontro nel monte Sinai questi comandamenti, statuti, leggi e prescrizioni vengono completate, ragruppate, fuse insieme e ufficializzate da un’alleanza solenne che si instaura fra Dio ed il popolo ebraico.

torna all'indice


LA TAPPA DI KADESH-BARNEA (torna al secondo Discorso di Mosè )

L’invio delle spie per esplorare il paese di Canaan (1, 19-25)

19. Poi partimmo dal monte Horeb e attraversammo tutto quel grande e spaven-toso deserto che avete veduto. Dirigendoci verso la regione montuosa degli Amorei, come l’Eterno, il nostro DIO, ci aveva comandato, e giungemmo a Kadesh-Barnea.

20. Allora vi dissi: «Siete arrivati alla regione montuosa degli Amorei, che l’Eterno, il nostro DIO, ci dà.

21. Ecco, l’Eterno, il tuo Dio, ha posto il paese davanti a te; sali e prendine possesso, come l’Eterno, il DIO dei tuoi padri, ti ha dato; non aver paura e non scoraggiarti» .

22. Allora voi, tutti quanti voi, vi avvicinaste a me e diceste: «Mandiamo degli uomini davanti a noi, che esplorino il paese per noi e ci riferiscano sulla strada per la quale noi dovremo salire, e sulle città nelle quali dovremo entrare».

23. La proposta mi piacque; così presi dodici uomini tra voi, uno per tribù.

24. Ed essi partirono, salirono verso i monti, giunsero alla valle di Eshkol ed esplorarono il paese.

25. Presero con sé alcuni frutti del paese, ce li portarono e ci fecero la loro rela-zione, dicendo: «Il paese che l’Eterno, il nostro DIO, sta per darci è buono»

V. 19: « Poi partimmo dal monte Horeb . . . ». Nel primo discorso di Mosè la storia del popolo ebraico inizia dalla partenza dal monte Horeb. La parte pre-cedente, che va dall’attraversata del Mar Rosso fino a questo monte, viene, almeno per il momento, data per scontata, ma sarà oggetto di ricordo e di riflessione nella parte esortativa e nei successivi discorsi.

Come abbiamo già visto nel precedente v. 2, il popolo impiega undici giorni di cammino per arrivare dall’Horeb fino a Kadesh-Barnea e tutto questo percorso viene riassunto nella frase: «attraversammo tutto quel grande e spaventoso deserto che avete veduto ». La Direzione di marcia era comunque « la regione montuosa degli Amorei» che si identifica, come abbiamo già visto, con l’intero territorio della Palestina. Essendo infatti gli Amorei sparsi un po’ dovunque in questo territorio, spesso venivano assimilati con l’intera popolazione cananea preesistente all’ingresso degli Ebrei in Palestina. Al capolinea di questo percorso, che era stato comandato da Dio stesso, c’era la città di Kadesh-Barnea, dalla quale il popolo ebraico doveva fare il suo ingresso nella terra anticamente promessa ai padri.

Secondo il programma iniziale, dunque, l’entrata in questa terra doveva avvenire dalla parte sud della Palestina ed entro pochi giorni dalla partenza dallo Horeb, ma come vedremo nei successivi brani, questo programma verrà completamente cambiato e gli Ebrei entreranno in Palestina soltanto quarant’anni dopo e non più da sud, ma questa volta da est, nella pianura di Moab, attraversando il Giordano all’altezza della città di Gerico.

Horeb dal punto di vista etimologico significa secco, arido. Nella Bibbia vengono usati indifferentemente due nomi diversi per indicare sempre la stessa montagna: Horeb (Es 3, 1; 17, 6; 33, 6; Dt 1, 2.6.19; 4, 10.15; 5, 2; 9, 8; 18, 16; 29, 1; 1 Re 8, 9; 2 Cr 5, 10; Sl 106, 19; Ml 4, 4) o Sinai (Es 19, 11.18.20.23; Lv 7, 38; Dt 33,2; Gdc 5, 5; Neh 9, 13; Sl 68, 8.17). Il primo termine forse allude alla zona arida in cui si trovava questa montagna, mentre il Sinai fa riferimento di più alla vicinanza del deserto di Sin ed alla relativa penisola sinaitica in cui è situato questo monte.

Alcuni studiosi hanno cercato di spiegare la diversità di questi due nomi, per indicare sempre la stessa montagna, con la teoria dei diversi documenti che starebbero alla base della formazione del Pentateuco. Essi infatti suppongono che Horeb sia più utilizzato dalla fonte Elohista e dalla fonte Deuteronomista, mentre Sinai sarebbe più utilizzato dalla fonte Yahvista e da quella Sacerdotale.

Altri, facendo riferimento alla vicinanza del Sinai con il deserto di Sin, nel quale sopravvive il nome del dio lunare mesopotamico Sin, hanno supposto che questo sia stato il motivo che spinse, in certi momenti della storia di Israele, a non applicare la denominazione «Sinai» a questo monte, proprio per la relazione che detto nome poteva avere con i culti politeistici.

Altri ancora pensano che la dualità del nome sia dovuta più semplicemente a motivi regionali: mentre i Madianiti utilizzavano Horeb, i Cananei e gli Amorei usavano Sinai. Questo spiegherebbe perché, in alcuni passi, come quello che descrive le apparizioni di Dio a Mosé mentre pascolava il gregge del suocero, il monte riceva la denominazione «Horeb», per il fatto che tale personaggio abitava allora tra i Madianiti.

« Attraversammo tutto quel grande e spaventoso deserto che avete veduto »: Con queste parole, come abbiamo detto, viene riassunto tutto il percorso di undici giorni di cammino dall’Horeb a Kadesh-Barnea. Per saperne di più dovremmo ampiamente consultare il libro dei Numeri il quale ci descrive in maniera più dettagliata le varie tappe, anche se alcune di queste non sono ancora state identificate.

Nella cartina più sopra, abbiamo indicato con molta approssimazione la probabile direzione di marcia seguita dagli Ebrei, ma è difficile poterlo stabilire con certezza dalle indicazioni che troviamo nei libri dei Numeri e del Deuteronomio. È possibile che essi, dopo la tappa di Hatseroth, abbiano ripiegato verso Est fino a toccare Etsion-Gheber sul Golfo di Aqabah, come indicato in Nm 33, 35.

VV. 20-21: Qualunque sia stata comunque la via seguita, gli Ebrei, dopo aver attraversato il deserto di Paran, alla fine stabilirono i loro accampamenti sulle colline e sulle vallate che circondano l’oasi di Kadesh-Barnea, dove si trovarono quasi in vista della terra di Canaan.

Gli  Israeliti, appena usciti delle impressionanti solitudini desertiche di Paran e di Sin, dovettero trovare questa regione molto buona e Mosè quindi decise di fissarvi per il momento gli accampamenti, poiché aveva l’intenzione di iniziare da sud la conquista di Canaan.

Mosè nel suo discorso ricorda di aver esortato il popolo a prendere possesso di questo territorio che era stato promesso ai padri e che si stendeva ora sotto i loro occhi verso nord. Gli Israeliti avrebbero dovuto affrontare questa impresa senza alcun timore e senza scoraggiarsi in quanto avevano Dio dalla loro parte. Gli stessi incoraggiamenti verranno dati anche da Dio stesso in un discorso che rivolge a Giosuè, dopo la morte di Mosè, quando il popolo, dopo quarant’anni di preregrinazioni nel deserto, sarà in procinto di entrare nella Palestina da est, attraversando il Giordano all’altezza di Gerico: «Non te l’ho comandato? Sii forte e coraggioso; non aver paura e non sgomentarti, per ché l’Eterno, il tuo DIO, è con te dovunque tu vada » (Gs 1, 9).

VV. 22-23: Secondo il Deuteronomio la proposta di esplorare preventivamente il paese parte dal popolo. Possiamo così renderci conto, anche in questa occasione, come i rapporti fra Mosè e la gente non fossero di natura dispotica. Qualsiasi iniziativa era prima discussa e poi decisa con il consenso di tutti. Prima di inziare l’avanzata verso nord era saggio rendersi conto della situazione per sapere quale strada si doveva seguire e come erano fortificate le città nelle quali dovevano entrare. A Mosè questa proposta sembra buona e così sceglie dodici uomini, uno per tribù, da inviare in esplorazione.

Troviamo un resoconto più dettagliato di questo avvenimento in Nm 13 dove l’iniziativa di esplorare è presentata come un ordine dato da Dio a Mosè, ma questo fatto è facilmente conciliabile con la versione del Deuteronomio, se pensiamo che fu Mosè, alla fine, a decidere di scegliere un uomo per ogni tribù da inviare in esplorazione. Inoltre, era comunque Dio a guidare Israele ed il fatto che egli abbia dato l’ordine a Mosè di inviare degli esploratori, non toglie che questa stessa idea sia maturata contemporaneamente anche nella mente del popolo che può averla suggerita a Mosè come proposta.

Dal resoconto dettagliato di Nm 13, apprendiamo anche i nomi dei capi tribù che furono scelti da Mosè con l’incarico di esplorare il paese. Fra questi nomi spiccano Caleb della tribù di Giuda al v. 6 e Giosuè della tribù di Efraim al v. 8. Giosuè viene indicato con il nome di Hoscea, ma sappiamo che poi Mosè gli cambiò il nome chiamandolo Giosuè (Nm 13, 16).

Secondo Nm 13, 17-20, essi ricevettero da Mosè delle istruzioni ben precise su come dovevano assolvere al loro compito di esploratori:

a) Anzitutto dovevano attraversare il Neghev e indirizzarsi verso la regione montuosa.

b) Poi dovevano esaminare il paese per rendersi conto della forza e del numero delle popolazioni che l’abitavano.

c) Dovevano esaminare le condizioni in cui si trovava il paese abitato da queste popolazioni, se le loro città erano degli accampamanti o dei luoghi fortificati.

d) Dovevano esaminare la fertilità della regione e riferire sulla consistenza della vegetazione, se si trattava di zone con alberi o meno ed eventualmente portare dei campioni di frutti che crescevano nel paese.

I VV. 24-25 sono un breve riassunto di quanto viene riferito in Nm 13, 21-27. Gli esploratori partono e, seguendo le istruzioni di Mosè, non vanno verso nord-ovest dove passavano le vie costiere che erano di facile accesso, ma dalle quali si tenevano alla larga i pastori nomadi; essi si dirigono verso oriente dove si apre una zona desertica tra le più desolate del Neghev. La via che seguirono era la via più corta e più facile, sempre seguita dalle popolazioni del deserto, che da Kadesh-Barnea portava verso nord-est fino agli altipiani di Hebron. Questa importante pista era ben rifornita di acqua e facile da percorrere, perché si spingeva su per i dolci e agevoli declivi meridionali della regione montuosa, apparentemente privi di difficoltà.

Gli esploratori di Mosè non si fermarono comunque a Hebron, ma prosegui-rono fino a toccare gli estremi confini settentrionali di Canaan, oltre Damasco e ancora più a nord «fino a Rehob, entrando dalla parte di Hamath» (Nm 13. 21). Rehob, chiamata anche Beth Rehob, é citata nel libro dei Giudici (18, 28) e in 2 Sm 10, 6 e si trova nell’estremità settentrionale della Terra Promessa, vicino alle fonti del Gordano e al monte Hermon. Questa regione fu più tardi occupata da una parte della tribù di Dan che, non essendo riuscita a garantirsi la propria eredità, emigrò a nord occupando Laish, chiamata poi Dan (Gdc 18, 28-29).

L’ubicazione esatta di Beth Rehob non è stata ancora esattamente identificata, ma Nm 13, 21 ci dice che doveva essere vicina ad Hamath. L’ identificazione di questa ultima con Hamah di Siria, circa 50 Km a nord di Homs, è invece sicura. Hamah si trova sull’Oronte a nord del monte Hermon e quindi molto più a nord di Damasco. Stando a quanto troviamo scritto in Nm 34, 8 e Gs 13, 5, questa località segnava il confine nord della Terra Promessa.

La spedizione di ricognizione, quindi, coprì tutta la superfice della Terra Promessa e andò anche oltre quelli che furono poi gli effettivi confini di Israele anche sotto i regni di Davide e di Salomone; quest’ultimo, infatti, esercitò su questo territorio soltanto un’ influenza di tipo commerciale.

Il v. 24 del cap. 1 di Deuteronomio non ci dice nulla sugli estremi confini del territorio in cui giunse la spedizione esplorativa dei dodici capi tribù, ma si limita a riferirci che essi giunsero alla valle di Eshkol, dove raccolsero un enorme grappolo di uva (Nm 13, 23), che in Dt 1, 25 viene indicato genericamente come «alcuni frutti ». Evidentemente l’autore del Deuteronomio, oltre a riassumere al massimo la vicenda, era interressato più a mettere in evidenza gli esiti positivi della spedizione che a farci un resoconto preciso e dettagliato degli estremi confini da essa raggiunti.

Leggendo il resoconto del libro dei Numeri al cap. 13 dal v. 21 si potrebbe essere indotti a mettere in stretta relazione le località Rehob e di Hamath con quelle del Neghev e di Hebron del successivo versetto 22. In realtà nel v. 21 si sta parlando degli estremi confini raggiunti dalla spedizione, mentre nel versetto 22 sono indicate le località dalle quali è iniziata l’eplorazione. Il v. 21 va quindi considerato come il titolo di quanto poi viene sviluppato dal v. 22 in poi.

Il nome Eshkol etimologiacamente significa «grappolo », ma potrebbe ipoteticamente farci risalire al nome del supposto proprietario della località nella persona di colui che in Gn 14, 13 viene menzionato come un Amoreo alleato di Abramo, ma non ci sono elementi per trarre questa deduzione.

Poiché Eshkol significa «grappolo» ed è generalmente considerato come il nome proprio di una valle che già al tempo Gerolamo era segnalata a nord di He-bron, molto più semplicemente, come ci viene segnalato in Nm 13, 24, tale nome è stato attribuito a quella località, situata nei dintorni di Hebron, dove gli esploratori colsero un grappolo di uva.

Non dobbiamo dimenticarci quanto ci viene detto nella seconda parte di Nm 13, 20: « Era il tempo in cui cominciava a maturare l’uva ». Era quindi verso la fine dell’estate quando gli esploratori si misero in marcia ed era la stagione delle melagrane, dei fichi e dell’uva. Nella valle di Eshkol, presso Hebron, gli esploratori colsero un unico grappolo di uva, così pesante che dovettero trasportarlo in due appeso ad un bastone. Non si tratta di un’esagerazione, perché ancora oggi questa regione è famosa per l’uva di dimensioni eccezionali, le cui piante vengono fatte crescere appoggiate a monticelli di pietre, perché le pergole comuni non riuscirebbero a reggere il peso dei loro frutti. Poteva capitare che qualche pastore di tanto in tanto seminasse un campo di grano, ma la caratteristica principale di questa regione era la coltivazione dei frutteti. La frutta, abbondante e squisita, veniva molto apprezzata dalla gente del deserto ed era divenuta il simbolo stesso di un’esistenza sicura e felice. Non dobbiamo quindi meravigliarci se gli esploratori si riferissero alla terra da loro attraversata come ad una località dove « scorre latte e miele » (Nm 13, 27).

Fin da quando erano schiavi in Egitto essi avevano già sentito parlare di questo mitico paese, buono e spazioso, dove scorreva « latte e miele» (Es 3, 8: 33, 3). L’espressione era rimasta impressa nella loro memoria, ma ora potevano constatare di persona che non si trattava di un’esagerazione. Nel fare la loro relazione essi si rivolgono a Mosè con queste parole: « Noi siamo arrivati nel paese dove ci hai mandato; vi scorre veramente latte e miele, e questi sono i suoi frutti » (Nm 13, 27). Il resoconto che ci dà il Deuteronomio è molto più laconico, ma non per questo meno significativo: « Il paese che l’Eterno, il nostro DIO, sta per darci è buono ». il termine «buono » nel linguaggio semitico ha un valore che va oltre il significato puramente estetico di bontà o di bellezza fine a sé stessa. Qualcosa è «buona» quando è funzionale, cioè adatta allo scopo.

torna all'indice

La ribellione del popolo e le conseguenze (1, 26-46)

26. Ma voi non voleste salirvi e vi ribellaste all’ordine dell’Eterno, del vostro DIO;

27. e mormoraste nelle vostre tende e diceste: «L’Eterno ci odia, per questo ci ha fatto uscire dal paese d’Egitto per darci in mano agli Amorei e per distruggerci.

28. Dove possiamo andare? I nostri fratelli ci hanno fatto struggere il cuore dicendo: È un popolo più grande e più alto di noi; le città sono grandi e fortifcate fino al cielo; vi abbiamo perfino visto i figli degli Anakim»

29. Allora io vi dissi: «Non spaventatevi e non abbiate paura di loro.

30. L’Eterno, il vostro DIO, che va davanti a voi, combatterà egli stesso per voi, come ha fatto sotto i vostri occhi in Egitto

31. e nel deserto, dove hai visto come l’Eterno, il tuo DIO, ti ha portato come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete percorso, finché siete arrivati a questo luogo».

32. Nonostante questo, non aveste fiducia nell’Eterno, vostro Dio,

33. che andava davanti a voi nel cammino per cercarvi un luogo dove piantare le tende, con il fuoco di notte e con la nuvola di giorno, per mostrarvi per quale via dovevate andare.

34. Così l’Eterno udì le vostre parole. Si adirò e giurò dicendo:

35. «Certo, nessuno degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che ho giurato di dare ai vostri padri,

36. ad eccezione di Caleb, figlio di Jefunneh. Egli lo vedrà; e a lui e ai suoi figli darò la terra che egli ha calcato, perché ha pienamente seguito l’Eterno»

37. Anche contro a me l’Eterno si adirò per colpa vostra e disse: «Neppure tu vi entrerai;

38. ma Giosuè, figlio di Nun, che ti sta davanti, vi entrerà: fortificalo, perché egli metterà Israele in possesso del paese.

39. E i vostri fanciulli, di cui avete detto che sarebbero divenuti preda dei nemi-ci, i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male, sono quelli che vi entreranno; lo darò a loro ed essi lo possederanno.

40. Ma voi tornate indietro e incamminatevi verso il deserto, in direzione del Mar Rosso».

41. Allora voi rispondeste, dicendomi: «Abbiamo peccato contro l’Eterno; noi saliremo e combatteremo esattamente come l’Eterno, il nostro Dio, ci ha ordinato». E ognuno di voi cinse le armi, e vi metteste temerariamente a salire verso la regione montuosa.

42. E l’Eterno mi disse: «Dì loro: Non salite e non combattete, perché io non sono in mezzo a voi, e voi sareste sconfitti davanti ai vostri nemici».

43. Io ve lo dissi, ma voi non mi deste ascolto; anzi vi ribellaste all’ordine dell’Eterno, vi comportaste presuntuosamente e saliste verso la regione montuosa.

44. Allora gli Amorei, che abitano quella regione montuosa, uscirono contro di voi, vi inseguirono come fanno le api e vi respinsero da Seir fino a Hormah.

45. Poi voi tornaste e piangeste davanti all’Eterno; ma l’Eterno non diede ascolto alla vostra voce e non vi prestò orecchio.

46. Così rimaneste in Kadesh molti giorni, tutto il tempo che vi fermaste là.

VV. 26-28: Ogni medaglia ha sempre il suo rovescio e gli esploratori non si limitarono a constatare soltanto la fertilità e la bontà della terra che dovevano occupare, ma videro anche le mura di città fortificate e soprattutto rimasero particolarmente impressionati dalla statura dei suoi abitanti, di fronte ai quali si sentivano piccoli come delle cavallette (Nm 13, 33).

Il resoconto di Dt 1, 25 parla soltanto della bontà del paese in cui gli Ebrei dovevano entrare, mentre dobbiamo andare al v. 28 per sapere che gli esploratori riferirono anche di città grandi e fortificate e degli Anakim, famosi per la loro alta statura.

Chi erano questi  Anakim? Anak significa «il collo lungo » e gli Anakim sono quindi «gli uomini dal collo lungo». Si tratta di una popolazione di alta statura il cui nucleo principale dimorava nella regione di Hebron (Nm 13, 22.28.33). Sono discendenti di un certo Arba, padre di Anak, che aveva dato anche il nome alla regione di Hebron prima che vi arrivassero gli Ebrei (Gs 21, 11; Gdc 1, 10). Vengono in contatto con gli Israeliti in occasione dell’esplorazione del paese e destano forte preoccupazione nel popolo per la loro statura. In seguito Caleb, a cui era stata assegnata la regione di Hebron (Gs 14, 6-15; 21, 11-12), si scontra con loro e ne scaccia tre tribù (Gs 15, 13-14). Alcuni di loro si rifugiarono nelle città filistee di Gaza, Gath e Ashdod (Gs 11, 22) e forse Golia era un loro discendente. (torna al secondo discorso di Mosè )

Una edizione più completa e più dettagliata del resoconto degli esploratori la troviamo nel libro dei Numeri al cap. 13 dal v. 27 al v. 33. Dopo aver parlato della fertilità della terra ed aver mostrato i frutti che essa produceva, essi riferiscono anche di città grandissime e fortificate e degli abitanti discendenti di Anak.

Questa seconda parte del resoconto provoca un profondo turbamento nel popolo il quale manifesta la sua sfiducia sulla buona riuscita dell’impresa, mormorando contro Mosè e contro DIO. Caleb e Giosuè cercano di convincere il popolo che possono farcela, ma gli altri componenti della spedizione insistono sulle difficoltà, fanno una cattiva relazione e sottopongono agli Israeliti i lati negativi dell’impresa.

La reazione del popolo a questo resoconto negativo si manifesta in una ribellione contro Mosè e contro Aronne. La storia la troviamo in Nm 14, 1-10. Non è la prima volta che il popolo si ribella e se la prende con Mosè per le difficoltà che si presentarono immancabilmente durante tutta la marcia nel deserto fino a Kadesh-Barnea. Già dieci volte gli Ebrei avevano tentato Dio e non avevano ubbidito ai suoi comandi (Nm 14, 22b). Una volta si trattava della mancanza di acqua potabile (Es 15, 22-24; 17, 1-7); un’altra volta della mancanza di cibo (Es 16, 1-21; Nm 11, 4ss). Tutte le occasioni era buone per lamentarsi e per rimpiangere di essere usciti dall’Egitto. Mosè ogni volta intercedeva presso Dio che perdonava continuamente queste infedeltà del popolo e provvedeva ai suoi bisogni.

Questa volta però la ribellione si era manifestata in maniera molto forte, raggiungendo un culmine oltre il quale non era più possibile andare. In quella occasione non solo venne messa in discussione la conduzione di Mosè e dei capi tribù, fino al punto di volerli sostituire con un altro capo (Nm 14, 4) e di volerli addirittura lapidare (Nm 4, 10), ma tale ribellione si era manifestata soprattutto in una completa sfiducia nella capacità di Dio di condurli vittoriosi contro le popolazioni palestinesi.

Di fronte alla Terra Promessa, che si presentava sotto i loro occhi rigogliosa e ricca di frutti eccezionali, una terra dove scorreva latte e miele, non trovano il coraggio di affrontare le popolazioni che vi abitavano. Da una parte c’era l’ ordine di Dio di entrare e di conquistare questa terra, dall’altra la sfiducia in questo Dio ed il timore di essere uccisi e di vedere le proprie donne ed i propri figli diventare facile preda di gente più alta e forte di loro, di gente che viveva asserragliata in città fortificate con mura alte fino al cielo.

VV 29-33: Mosè ricorda come in quell’occasione ha tentato inutilmente di rincuorarli: « Non spaventatevi e non abbiate paura di loro » (v. 29). C’erano dei buoni motivi perché gli Ebrei avessero fiducia nella capacità di Dio di condurli vittoriosi contro queste popolazioni che apparivano ai loro occhi così forti ed invincibili. Dio stesso aveva già dimostrato in passato di camminare davanti a loro e di combattere egli stesso per il suo popolo, come aveva già fatto fin dall’inizio in Egitto ed in molte altre occasioni. Queste esortazioni a non temere la forza degli avversari era un ritornello che Mosè aveva ripetuto continuamente fin da quando Dio lo aveva incaricato di condurre il popolo fuori dall’Egitto (Es 14, 13-14).

Questa vicinanza di Dio con il popolo eletto è una costante che ritroviamo continuamente in tutta la storia della salvezza. Ai tempi Giosafat, re di Giuda, una grande moltitudine proveniente da Moab e da Ammon si stava avvicinando minacciosamente al piccolo regno di Giuda. Sia il re che il popolo erano trepidanti e non nascondevano il loro timore di essere sconfitti e spazzati via dalla potenza e dall’aggressività di queste popolazioni. Ma l’Eterno, anche in quella  occasione non mancò di rincuorarli e di incoraggiarli affermando che non dovevano temere nulla perché lui stesso avrebbe combattuto per loro: «Non temete, non sgomentatevi a motivo di questa grande moltitudine, perché la battaglia non è vostra, ma di Dio» (2 Cr 20, 15).

Sarebbe interessante leggere tutto questo capitolo fino al v. 30 per renderci conto come effettivamente questa promessa di Dio si realizza poi concretamente. I fatti si svolgono pressappoco nello stesso territorio dove si trovavano gli Israeliti in procinto di entrare nella Terra Promessa ai tempi di Mosè. Il re Giosafat e gli abitanti di Gerusalemme sono invitati da Dio a non fare nulla, ma a recarsi semplicemente in marcia verso il deserto di Tekoa, nella direzione da cui doveva provenire la moltitudine dei Moabiti e degli Ammoniti. Così essi si avviano tranquillamente cantando inni di lode a Dio: « Celebrate l’Eterno, perché la sua benignità dura in eterno » (2 Cr 20, 21b). Nel frattempo gli Ammoniti ed i Moabiti, in marcia verso Giuda, passando dal monte Seir, si scontrano con gli Edomiti e in pratica si autodistruggono vicendevolmente. Quando gli Ebrei giungono sul posto non trovano altro che dei cadaveri.
Il tema di Dio che combatte per il suo popolo viene ripreso anche dal profeta Isaia al capitolo 41 ed elevato alla sua massima espressione spirituale nell’inno di vittoria di Paolo in Romani 8, 31 « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? ».

Nel v. 31 l’esortazione acquista un tono più personale, quasi individuale, passando dalla prima persona plurale alla prima persona singolare. Il « Voi» collettivo diventa improvvisamente un «Tu» più personale e più intimo per sottolineare lo stretto rapporto esistente fra Dio ed il suo popolo nel deserto. L’ immagine è quella di un padre che conduce il proprio figlio per mano: « hai visto come l’Eterno, il tuo Dio, ti ha portato come un uomo porta il proprio figlio» (v. 31). È la prima volta nell’Antico Testamento che il rapporto fra Dio ed Israele viene presentato in questi termini. Non più un Dio terribile, lontano, che si manifesta con il fuoco ed incute timore, ma un Dio « Padre» che ama il suo popolo, si cura di lui, come un padre può amare ed aver cura del proprio figlio (Os 11, 1). Il concetto di Dio «Padre » sarà uno dei temi fondamentali del messaggio di Gesù Cristo e dei suoi apostoli, ma già nel Deuteronomio abbiamo una prima traccia di questa immagine.

Continuando la sua rievocazione, Mosè ricorda come Dio manifestasse concretamente la sua presenza in mezzo al popolo, guidandolo attraverso il deserto con il fuoco durante la notte e con una nuvola durante il giorno per mostrare loro la via che dovevano seguire (v. 33). Tale rievocazione si aggancia perfettamente con quanto troviamo scritto anche negli altri libri del Pentateuco. In Es 13, 21-22 si parla infatti di una colonna di nuvola di giorno e di una colonna di fuoco di notte che guidava costantemente il popolo durante il cammino nel deserto. Altri particolari sulla funzione di questa nuvola e di questo fuoco, li troviamo in Es. 40, 34-38 e in Nm 9, 15-23. Il profeta Isaia idealizza questa presenza di Dio che guida il popolo ebraico nel deserto nel futuro Messia che sarà la guida di tutte le nazioni (Is 4, 2-6; cfr Rm 15, 12).

VV. 34-39. Dio ode le mormorazioni del popolo. A Lui nulla può rimanere nascosto. Egli legge  nel cuore e nella mente degli uomini e si rende conto che ormai l’infedeltà del popolo aveva raggiunto un limite insopportabile. Nonostante tutti i prodigi che aveva fatto dalla liberazione dall’Egitto fino a quel momento, il popolo ebraico dimostra una completa sfiducia nella capacità di Dio di condurlo vittorioso in questa nuova impresa. La paura di essere sconfitti da uomini più alti e più forti di loro, la paura di essere uccisi e di abbandonare le proprie donne ed i propri figli in balia del nemico, è superiore alla fiducia in Dio.
A questa punto l’ira di Dio si scatena e giura che nessuno degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che egli aveva promesso di dare ai loro padri (v. 35). Mosè, come aveva fatto precedentemente in molte altre occasioni, intercede per il popolo nel tentativo di far desistere Dio da questo proposito. Troviamo questa intercessione di Mosè in Nm 14, 11-19. Sono interessanti a questa proposito i motivi addotti per convincere Dio a cambiare la sua decisione. Cosa penseranno gli Egiziani e tutti gli altri popoli quando vedranno il popolo ebraico perire miseramente nel deserto? Penseranno che Dio stesso non è stato in grado di mantenere le promesse e di fare entrare il popolo ebraico nel paese che aveva loro promesso di dare. Mosè quindi si appella alla misericordia di Dio, affinché perdoni questa ennesimo ribellione del popolo.

Dio risponde alla preghiera di Mosè e troviamo questa risposta in Nm 14, 20-38. Accetta come aveva chiesto Mosè di perdonare il popolo collettivamente nel suo complesso. Le sue promesse nei suoi confronti di questo popolo saranno sostanzialmente mantenute e tutta la terra vedrà la gloria di Dio, ma coloro che si erano macchiati di infedeltà nei suoi confronti, non potranno entrare nel paese promesso ai padri. Come loro stessi avevano detto nelle loro mormorazioni, periranno nel deserto, e soltanto i loro figli innocenti, « che oggi non conoscono né il male né il bene » (Dt 1, 39), proprio quei figli che essi temevano sarebbero diventati preda dei loro nemici, vi potranno entrare.

Da questa sentenza sono esclusi Caleb e Giosuè, i due esploratori che avevano fatto una buona relazione ed avevano incoraggiato il popolo a conquistare il paese. Mosè invece viene escluso e deve subire la stessa sorte di tutti gli altri. Mosè stesso afferma che la decisione di Dio di non farlo entrare nella terra promessa viene attribuita alla colpa collettiva del popolo ebraico. Mosè in questo caso viene presentato come solidale all’intera generazione uscita dall’Egitto, non viene punito per una colpa personale, ma per quella del popolo, come appunto viene detto in Dt 1, 37; 4, 21; Sl 106, 32. Ci sono tuttavia altri passi biblici che identificano nell’incredulità di Mosè e di Aronne il loro mancato ingresso nella terra promessa, come ad esempio Dt 32, 50-51 ed in Nm 20, 7-13. In quest’ultimo brano Mosè al v. 8 riceve l’ordine da Dio di convocare l’assemblea e di parlare alla roccia affinché da essa sgorgasse dell’acqua. Mosè al v. 10 disubbidisce due volte a Dio, prima perché anziché parlare alla roccia, si rivolge a popolo, e poi perché percuote la roccia due volte con il suo bastone. Così facendo egli dimostra di non avere completa fiducia in Dio.

V. 40. L’infedeltà del popolo ed il conseguente castigo determinano il nuovo comando di Dio di invertire la marcia e di ritornare nel deserto in direzione del Mar Rosso. La Terra Promessa si trovava ormai a portata di mano, ma con questo nuovo ordine la speranza del popolo di poter finalmente riposare in questa terra promessa ai loro padri, si allontana e si perde  nuovamente in un lungo e faticoso peregrinare nel deserto dal quale erano appena usciti.

V. 41-46. Di fronte alla fermezza di Dio ed alla prospettiva dei lunghi anni di dolori e di sacrifici da trascorrere nel deserto, il popolo ha un momento di ripensamento e si rende conto del peccato commesso contro Dio. Come la paura e la mancanza di fiducia in Dio aveva in un primo momento suggerito loro di abbandonare ogni cosa e di tornare sui loro passi, così ora, in un momento di improvviso ripensamento. decidono di prendere le armi e di salire per conquistare il tanto agognato paese.

Ma la loro decisione, ormai troppo tardiva, non è sorretta dal consenso divino. La sentenza di Dio è stata pronunciata ed è irrevocabile: Dio non sarà più dalla loro parte in questa nuova impresa che essi si accingono ad intraprendere in maniera del tutto autonoma e senza l’approvazione di Dio. Nonostante gli avvertimenti di Mosè essi non desistono e commettono paradossalmente una nuova ribellione.

Presuntuosamente, confidando soltanto nelle proprie forze e non nell’aiuto di Dio, che li aveva abbandonati, essi salgono con temerarietà verso la regione montuosa degli Amorei, ma ne vengono inevitabilmente ed inesorabilmente sconfitti. Inseguiti dai loro nemici, si rivolgono a Dio piangenti, ma Dio non li ascolta ed ignora i loro lamenti.

In questa maniera si conclude la tappa di Kadesh Barnea, con una ulteriore ribellione del popolo e con una conseguente clamorosa e ignominiosa sconfitta degli Ebrei ad opera delle popolazioni palestinesi. Il racconto lo troviamo anche in Nm 14, 39-45.

Il popolo rimarrà ancora in questa località per qualche tempo e poi si incamminerà nuovamente nel deserto, dove vagherà per ben quarant’anni prima di avere nuovamente l’opportunità di entrare in Palestina. In questi quarant’anni i corpi di coloro che si erano ribellati a Dio si consumeranno nel deserto, finché una nuova generazione di Israeliti sarà nuovamente pronta a prendere possesso della Terra Promessa.

torna all'indice

Le peregrinazioni di Israele nel deserto (2, 1-22)

1. Poi tornammo indietro e partimmo per il deserto in direzione del Mar Rosso, come l’Eterno mi aveva detto, e girammo intorno al monte Seir per molto tempo.

2. Quindi l’Eterno mi parlò dicendo:

3. "Avete girato abbastanza attorno a questo monte; volgetevi verso nord.

4. E ordina al popolo dicendo: Voi state per passare i confini dei digli di Esaù, vostri fratelli, che dimorano in Seir; essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia;

5. non provocateli, perché non vi darò niente del loro paese, neppure quanto ne può calcare la pianta di un piede, poiché ho dato il monte di Seir a Esaù, come sua proprietà.

6. Comprerete da loro con denaro le vettovaglie che mangerete e comprerete pure da loro con denaro l’acqua che berrete.

7. Poiché l’Eterno, il tuo DIO, ti ha benedetto in tutta l’opera delle tue mani; ha vegliato sul tuo viaggio attraverso questo grande deserto. L’Eterno. il tuo DIO, è stato con te durante questi quarant’anni e non ti è mancato nulla.

8. Così passammo oltre i figli di Esaù, nostri fratelli, che abitavano in Seir e, evitando la via dell’Arabah, come pure Elath ed Etsion-Gheber, ripiegammo e proseguimmo passando per il deserto di Moab.

9. L’Eterno quindi mi disse: "Non attaccare Moab e non gli muovere guerra, perché non ti darò alcuna parte del loro paese in eredità, poiché ho dato Ar ai discendenti Lot, come loro proprietà.

10. (Nei tempi passati vi abitarono gli Emim, un popolo grande, numeroso e alto di statura come gli Anakim.

11. Erano anch’essi ritenuti giganti, come gli Anakim; ma i Moabiti li chiamavano Emim.

12. Seir era prima abitata dagli Horei; ma i discendenti di Esaù li scacciarono, li distrussero e si stabilirono al loro posto, come ha fatto Israele nel paese che possiede e che l’Eterno gli ha dato).

13. Ora levatevi e attraversate il torrente Zered". Così noi attraversammo il torrente Zered.

14. Ora il tempo impiegato per giungere da Kadesh-Barnea fino al torrente Zered, fu di trent’otto anni, , fiché tutta la generazione degli uomini di guerra scomparve interamente dall’accampamento, come l’Eterno aveva loro giurato.

15. Infatti la mano dell’Eterno fu contro di loro per sterminarli dall’ accampa-mento, finché fossero annientati.

16. Così quando l’ultimo uomo di guerra morì di mezzo al popolo,

17. L’Eterno mi parlò dicendo:

18. "Oggi tu stai per passare i confini di Moab, ad Ar; ma avvicinandoti ai figli di Ammon, non li attaccare e non muovere loro guerra, perché io non ti darò al-cuna parte del paese dei figli di Ammon in eredità, poiché l’ho dato ai figli di Lot, come loro proprietà".

19. (Anche questo era ritenuto un paese di giganti; nei tempi passati vi abitarono i giganti; ma gli Amminiti li chiamavano Zamzummim,

20. un popolo grande, numeroso e alto di statura come gli Anakim; ma l’Eterno li distrusse davanti agli Ammoniti, che li scacciarono e si stabilirono al loro posto,

21. come l’Eterno aveva fatto per i discendenti di Esaù che abitavano in Seir, quando distrusse gli Horei davanti a loro. Essi li scacciarono e si stabilirono al loro posto fino al giorno d’oggi.

22. Anche gli Avvei, che dimoravano in villaggi fino a Gaza, furono distrutti dai Kaftorei, venuti da Kaftor, i quali si stabilirono al loro posto).

VV. 1-2 Il popolo di Israele finalmente lascia Kadesh-Barnea, per tornare nel deserto e dirigersi verso il Mar Rosso, come aveva ordinato Dio. Non ci è dato di sapere esattamente quale fu il loro percorso, ma ci viene detto semplicemente che girarono per lungo tempo attorno al monte Seir. Con questa frase vengono molto probabilmente riassunte tutte le peregrinazioni di Israele nel deserto dopo la tappa di Kadesh-Barnea e prima di avviarsi verso la pianura di Moab da dove gli Israeliti sarebberi poi entrati in Palestina.

Con l’espressione « monte Seir » dobbiamo identificare la catena di monti del paese di Edom, che divenne la terra di Esaù e dei suoi discendenti (Ge 32, 3; 33, 14.16; 36, 6-8; Gs 24, 4), dopo che da essa furono cacciati gli Horei o Hurriti che vi abitavano in precedenza (Ge 36, 20-21; Dt 2, 21).

VV. 3-6. Dopo aver girato attorno a questa catena montuosa per un certo periodo di tempo, giunge l’ordine da Dio di dirigersi verso nord. In questo percorso gli Ebrei sarebbero venuti inevitabilmente in contatto con gli Edomiti, discendenti da Esaù, e Dio quindi li mette in guardia: « non provocateli», cioè non dimostratevi ostili nei loro confronti, in quanto il paese che essi abitano è stato dato a loro in proprietà e di questo territorio non vi darò nulla «neppure quanto ne può calcare la pianta di un piede». Se avrete bisogno di cibo e di acqua comprerete ogni cosa da loro con il denaro.

In effetti i rapporti di Israele con gli Edomiti non furono certamente fra i i più idilliaci. Ancora prima di partire da Kadesh, Mosè aveva inviato al re di Edom degli ambasciatori per manifestargli le sue intenzioni pacifiche, per chiedergli il permesso di passare attraverso il suo territorio e la sua intenzione di pagare l’acqua che avessero eventualmente consumato durante il loro passaggio. Ma il re di Edom si dimostrò inflessibile, non solo non diede il pemesso agli Israeliti di attraversare il paese, ma li minacciò pure di aggredirli con le armi. Troviamo tutto questo in Nm 20, 14-21. Così gli Ebrei si vedono costretti a mantenersi sui confini di Edom e molto probabilmente è proprio questo il motivo per cui si videro costretti a girare per parecchio tempo attorno a questa catena di monti senza potervi entrare. Il comportamento degli Edomiti nei confronti degli Israeliti non rimarrà impunito e Geremia ne profetizza la distruzione rievocando l’antica inimicizia nei confronti di Israele (Gr 49, 5.11.15).

Il V. 7 si stacca un po’ dal contesto di questa rievocazione storica. Si tratta di una nuova esortazione rivolta da Dio al popolo in modo personale usando la seconda persona al singolare. Dio ricorda come egli abbia fatto prosperare l’opera nelle mani del popolo ebraico vegliando su di lui continuamente durante tutto il suo lungo viaggio nel deserto e come non gli abbia mai fatto mancare nulla durante questi quarant’anni di peregrinazioni. L’accenno ai quarant’anni di peregrinazioni sembra confermare ancora di più il distacco di questo versetto da tutto il resto del contesto, specialmente se lo confrontiamo con il v. 14, dove si dice che da Kadesh-Barnea per giungere fino al torrente Zered il popolo impiegò trent’otto anni. Il torrente Zered segna infatti la trentaquattrisima tappa in cui si accamparono i figli di Israele nella loro peregrinazione verso la Terra Promessa, al loro arrivo ai confini del territorio di Moab ( Nm 21, 12). Questo torrente è stato ident-ficato con lo Wadi el Hesha che sbocca a sud del mar Morto. Il v. 7 rappresenta quindi una generica esortazione inserita in questo contesto dal ricordo di Mosè e quindi generica è pure l’indicazione dei quarant’anni.

VV. 8-9. Gli Ebrei, provenienti dal golfo di Aqabah (Elath ed Etsion-Gheber si trovavano nei paraggi), costeggiano il territorio della catena del Seir avanzando lungo l’Arabah, ma a causa dell’ostilità si vedono costretti ad abbandonarla per ripiegare verso est e passare attraverso il deserto di Moab.

A questo punto vengono in contatto con i Moabiti, discendenti da Lot, per i quali vale lo stesso discorso già fatto per gli Edomiti discendenti da Esaù. Anche nei loro confronti gli Israeliti non dovevano compiere azioni di aggressione, in quando il territorio che stavano attraversando era stato dato loro in proprietà da Dio stesso.

VV. 10-12. Questi versetti rappresentano chiaramente un’annotazione postuna dell’autore o dell’ultimo redattore del libro del Deuteronomio. Particolarmente interessante è l’annotazione che troviamo alla fine del v. 12: « come ha fatto Israele nel paese che possiede e che l’Eterno gli ha dato » dal quale si deduce chiaramente che la situazione storica, nella quale si trova l’autore o il redattore finale, è senz’altro quella che vede Israele già insediato nella Terra Promessa. Era ormai trascorso parecchio tempo dai fatti che vengono narrati in Deuteronomio e l’autore si rende conto che forse i suoi lettori possono non essere al corrente di alcuni particolari storici avvenuti molto tempo prima. Sente quindi la necessità di informare questi lettori ignari che anticamente « nei tempi passati» i territori di Moab, che vennero attraversati da Israele durante l’esodo, erano stati abitati da una popolazione  di alta statura, come gli Anakim, soltanto che queste popolazioni venivano chiamate dai Moabiti Emim. Anche il territorio di Seir era statto precedentemente abitato dagli Horei o Hurriti che vennero scacciati dai discendenti di Esaù, gli Edomiti, che si erano insediati al loro posto, nello stesso modo in cui avevano dovuto fare gli stessi Ebrei nei confronti delle popolazioni che abitavano prima di loro nel paese che ora possiedono e che l’Eterno ha dato loro.

È veramente interessante notare come il popolo ebraico in questa occasione venga in qualche modo accomunato con altri popoli. Come l’Eterno si era interessato a dare al popolo ebraico un territorio, allo stesso modo si era preoccupato di darlo anche ai Moabiti e agli Edomiti suoi lontani parenti. Abbiamo qui una visione univerale dell’intervento di Dio nella storia che si interessa sì alle sorti del popolo eletto, ma che non trascura neppure gli altri popoli.

VV 13-16. Come abbiamo già detto prima, il torrente Zered era un corso d’acqua che sfociava a sud est del mar Morto e segnava il confine tra il territorio di Edom e quello di Moab. Gli Ebrei vengono invitati a rimuovere il loro accampamento e ad attraversare questo torrente per inoltrarsi nel territorio di Moab. Il tempo impiegato per arrivare da Kadesh-Barnea fino al torrente Zered era stato di trentotto anni. In tutti questi anni il popolo ebraico aveva vagato nel deserto affinché si adempisse il castigo di Dio e cioè tutta quella generazione di uomini adulti che a Kadesh-Barnea si erano ribellati al comando di Dio dovevano scomparire. Quando l’ultimo di questi uomini fu scomparso, allora la parola di Dio fu rivolta nuovamente a Mosè.

VV. 17-18. Ormai il popolo era vicino alla meta. Una volta superata la cittadina di Ar si poteva intravedere l’Arnon che divideva il territorio di Moab da quello di Ammon. Prima di entrare in questo territorio Dio rinnova la stessa raccomandazione che aveva già fatto per Edom e per Moab. Si trattava di un altro popolo legato da stretta parentela con il popolo ebraico e quindi gli Ebrei non li dovevano attaccare né muover loro guerra in quanto questo territorio era stato dato ai discendenti di un altro figlio di Lot e nessuna parte di esso sarebbe stata data ad Israele.

VV. 19-22 rappresentano un’altra annotazione del redattore. Come aveva già fatto per Edom e per Moab, si sente in dovere di spiegare che anticamente il territorio, ora abitato dagli Ammoniti, era appartenuto precedentemente ad una popolazione grande, numerosa ed alta di statura come gli Anakim e che gli Ammoniti chiamavano Zamzummim. Ma gli Ammoniti li scacciarono e si stabilirono al loro posto, proprio come avevano fatto gli Edomiti nei confronti degli Horei. Con l’occasione parla anche di un’altra zona che si trovava nelle vicinanze di Gaza dove i Kaftorei, provenienti da Kaftor, avevano soppiantato gli Avvei.
Questo riferimento continuo a popolazioni numerose ed alte di statura, che furono vinte e scacciate dai discendenti di Lot e di Esaù, ha quasi il sapore di una sfida nei confronti del popolo ebraico che si era lasciato invece impressionare dalla statura degli Anakim fino al punto di rinunciare ad entrare nella Terra Promessa. Se Dio aveva aiutato i discendenti dei parenti più prossimi di Israele a soppiantare queste popolazioni apparentemente forti, tanto più lo avrebbe fatto nei confronti del popolo eletto.

torna all'indice

La vittoria su Sihon, re di Heshbon (2, 23-36)

23. "Levatevi, mettetivi in cammino e attraversate il torrente Arnon; ecco, io do in tuo potere Sihon, l’Amoreo, re di Heshbon, e il suo paese, comincia a prenderne possesso e muovigli guerra.

24. Oggi incomincerò a infondere paura e terrore di te ai popoli sotto tutti i cieli, i quali sentiranno parlare di te, e tremeranno e saranno presi da angoscia a causa di te".

25. Allora mandai ambasciatori dal deserto di Kademoth a Sihon, re di Heshbon, con parole di pace, per dirgli:

26. "Lasciami passare per il tuo paese; io camminerò per la via Regia, senza devia-re né a destra né a sinistra.

27. Tu mi venderai per denaro le vettovaglie che mangerò e mi darai per denaro l’acqua che berrò; permettimi solo di passare a piedi

28. (come hanno fatto per me i discendenti di Esaù che abitano in Seir e i Moabiti che abitano in Ar), finché io abbia passato il Giordano per entrare nel paese che l’Eterno, il nostro DIO, ci dà".

29. Ma Sihon, re di Heshbon, non ci volle lasciar passare nel suo territorio, perché l’Eterno, il tuo DIO, gli aveva indurito lo spirito e reso ostinato il cuore, per darlo nelle tue mani, come è appunto oggi.

30. E l’Eterno mi disse: "Vedi, ho cominciato a dare in tuo potere Sihon e il suo paese; incomincia ad occuparlo, perché tu possa entrare in possesso del suo paese".

31. Allora Sihon uscì contro di noi con tutta la sua gente, per darci battaglia a Jahats.

32. Ma l’Eterno, il nostro DIO, ce lo diede nelle mani, e noi sconfiggemmo lui, i suoi figli e tutta la sua gente.

33. In quel tempo prendemmo tutte le sue città e votammo allo sterminio uomini, donne e bambini di ogni città; non lasciammo anima viva.

34. Soltanto prendemmo come nostro bottino il bestiame e le spoglie delle città che avevamo preso.

35. Da Aroer, che è sulle sponde del torrente Arnon e dalla città che è nella valle, fino a Galaad, non ci fu una città che fosse troppo forte per noi; l’Eterno, il nostro Dio, le diede tutte nelle nostre mani.

36. Ma non ti avvicinasti al paese dei figli di Ammon, ad alcun posto toccato dal torrente Jabbok, alle città del paese montuoso e a tutti i luoghi che l’Eterno, il nostro DIO, ci aveva proibito di attaccare.

VV. 23-24: Il primo popolo contro cui è autorizzato da Dio a muore guerra, il popolo ebraico lo incontra subito dopo aver attraversato il torrente Arnon. Si tratta del popolo di Heshbon sul quale regnava Sihon, l’Amoreo. Da quel momento in poi si sparge tra le popolazioni circostanti la fama di invincibilità del popolo ebraico e tutti ne hanno paura.

VV. 25-28: Nonostante l’autorizzazione di Dio a muovere guerra contro Sihon, re di Heshbon, Mosè preferisce giocare la carta dell’accordo preliminare. Da dove si trovava e cioè dal deserto di Kademoth, invia degli ambasciatori a Sihon per manifestargli le sue intenzioni pacifiche. Il popolo ebraico voleva semplicemente attraversare il paese lungo la Via Regia senza inoltrarsi all’interno e provvedendo anche a pagare con denaro le vettovaglie e l’acqua che eventualmente sarebbero state consumate. Viene portato l’esempio dei precedenti rapporti con gli Edomiti ed i Moabiti che bene o male li avevano fatti passare attraverso il loro territorio. Essi infatti desideravano soltanto attraversare il fiume Giordano ed entrare nel paese che Dio aveva loro assegnato.

V. 29-33: Ma il disegno di Dio era diverso: Israele avrebbe dovuto occupare e prendere possesso anche di questo paese. Così egli aveva « indurito lo spirito» di Sihon e « reso ostinato il suo cuore» a tal punto da indurlo a rifiutare il passaggio del Ebrei attraverso il suo territorio. Si presenta quindi davanti al popolo ebraico con tutta la sua gente per dargli battaglia a Jahats. Lo scontro è inevitabile e si conclude, come promesso da Dio, con la vittoria di Israele. Tutte le città di questo paese vengono conquistate e votate allo sterminio con l’uccisione di uomini, donne e bambini. Abbiamo il racconto di questa vittoria anche in Nm 21, 21-32. Lo sterminio completo delle popolazioni vinte era in quei tempi una pratica comune che veniva seguita anche dal popolo ebraico. Dio ordina al popolo ebraico di eseguire lo sterminio completo delle popolazioni vinte anche per evitare che si contaminasse con le loro pratiche idolatriche.

V. 34: Lo sterminio doveva essere completo ed esteso anche al bestiame ed all’eventuale bottino che doveva essere arso (Dt 13, 15-16). Questa volta però gli Ebrei risparmiano il bestiame e si prendono come bottino le spoglie delle città conquistate.

V. 35: La conquista del territorio effettuata dal popolo ebraico in questa occasione, è molto estesa e va da Aroer, sul torrente Arnon, fino a Galaad.

V. 36: Il brano si conclude con un’ulteriore raccomandazione di non toccare il territorio degli Ammoniti che si estende dal torrente Jabbok fino alle montagne.

torna all'indice

La vittoria su Og, re di Bashan (3, 1-11)

1. Poi ripiegammo e salimmo per la via di Bashan; e Og, re di Bashan, con tutta la su gente, ci uscì contro per darci battaglia a Edrei.

2. Ma l’Eterno mi disse: "Non aver paura di lui, poiché io ti do nelle mani lui, tut-ta la sua gente e il suo paese; farai a lui quel che facesti a Sihon, re degli Amorei, che abitava a Heshbon".

3. Così l’Eterno. Il nostro Dio, diede nelle nostre mani anche Og, re di Bashan, con tutta la sua gente; e noi lo sconfiggemmo senza lasciargli alcun superstite.

4. In quel tempo prendemmo tutte le sue città; non ci fu città che noi non prendessimo loro: sessanta città, tutta la regione di Argob, il regno di Og in Bashan.

5. Tutte queste città erano fortificate con alte mura, porte e sbarre, senza contare un gran numero di villaggi rurali.

6. Noi le votammo allo sterminio, come avevamo fatto di Sihon, re di Heshbon, distruggendo interamente tutte le città, uomini, donne e bambini.

7. Ma riserbammo come nostro bottino tutto il bestiame e le spoglie delle città.

8. In quel tempo dunque prendemmo dalle mani dei due re degli Amorei il paese che è al di là del Giordano, dal torrente Arnon fino al monte Hermon,

9. (Hermon è chiamato dai Sidoni, Sirion, e dagli Amorei Senir),

10. Tutte le città della pianura, tutto Galaad, tutto Bashan fino a Salkah e a Edrei, città del regno di Og in Bashan.

11. Poiché Og, re di Bashan, era rimasto l’unico superstite della stirpe dei giganti. Ecco, il suo letto era un letto di ferro (e non si trova forse a Rabbah degli Ammoniti?). Esso misura nove cubiti di lunghezza e quattro cubiti di larghezza secondo il cubito d’uomo.

V. 1: Il popolo ebraico, proseguendo nella sua marcia verso nord, entra in contatto con un altro popolo, governato da Og, re di Bashan, il quale gli va incontro con intenzioni bellicose nella città di Edrei.

V. 2: Ma l’Eterno questa volta è dalla parte di Israele e gli assicura la vittoria contro Og, così come era avvenuto per Sihon di Heshbon.

V. 3: Con l’aiuto di Dio gli Ebrei sconfiggono definitivamente anche Og, re di Bashan, e tutta la sua gente senza lasciare alcun superstite.

V. 4-5: Tutte le sessanta città della regione di Argob, in cui si trovava il regno di Bashan, vengono prese, anche se si trattava di città fortificate con porte e sbarre. Oltre a queste città vengono sottomessi un gran numero di villaggio rurali.

V. 6-7: Come era già avvenuto precedentemente in occasione della guerra contro Sihon, re di Heshbon, tutte queste città vengono votate allo sterminio e vengono uccisi tutti: uomini, donne e bambini.
Poiché è già la seconda volta che troviamo l’espressione « votare allo sterminio» è il caso di soffermarci un momento su questa usanza delle antiche popolazioni semitiche e cioè sulle guerre di sterminio o anatema. Che cosa sono queste guerre di sterminio? Che cosa significava per gli Ebrei di quel tempo votare una città allo sterminio? Quando una città era votata allo sterminio si diceva che essa era chérem, cioè anatema.

torna all'indice

Guerre di sterminio o anatema ritorna a Dt 7, 2 ritorna a Dt 13, 12

Anatema (ebr. chérem, gr. anàthema) indicava propriamente le offerte religiose che si offrivano a Dio e venivano appese ai templi, come i nostri ex-voto (cf anatìthemi "porre in alto"). Ma esso passò poi ad indicare una persona, una famiglia, una città intera che si votava a Dio e perciò veniva distrutta totalmente. Ecco quanto dice in proposito il Levitico: « Tutto ciò che uno avrà consacrato a Jhwh con voto di anatema, fra le cose che gli appartengono, si tratti di una persona, di un animale, o di un pezzo di terra del suo patrimonio, non potrà essere venduto né affittato – ogni anatema è cosa santissima, riservata a Jhwh . . . (se si tratta di un essere vivente) dovrà venire messo a morte » (cf Lv 27, 28s). Questo metodo fu utilizzato da Giosuè (cc 6-12) nella conquista di Gerico, Ai e di molte altre città cananee. Prima dell'attacco esse sono votate allo sterminio (chérem), poi si conquistano e il racconto si chiude con il desolante ritornello: « Votarono poi all'anatema, passando a fil di spada ogni essere che vi era nella città, dall'uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e anche il bue, il montone e l'asino» (Gs 6, 17-21; 8, 22-24; 10, 28-42; ecc.). Con l'anatema gettato sulla città i guerrieri credevano di cattivarsi l'aiuto divino, in quanto mostravano di non combattere per cupidigia, ma per fare donativi al loro Dio. Chi cedeva alla tentazione di arricchirsi veniva messo a morte (cf Gs 6, 18; 7, 1.11-15.21-23). Saul fu riprovato per aver salvato il re nemico Agag e per non averne distrutti gli animali migliori (1 Sm 15). Nel Deuteronomio tale uso viene riferito solo contro i cananei posti entro il territorio palestinese promesso agli Ebrei, per le altre città invece si doveva prima offrire la pace, e, solo in caso, di rifiuto si dovevano conquistare: in seguito gli uomini solo dovevano venire uccisi, ma il resto riservato come bottino (Dt 7; 20, 10-18). Vi è quindi un leggero progresso contro tale uso barbaro. Come si spiegano tali fatti?

a) La guerra purtroppo è guerra, e anche oggi, nonostante gli impegni internazionali, è talora superiore alle barbarie di quel tempo. Quante città e innocenti distrutti con le micidiali bombe odierne? Ben più dei massacri del tempo biblico. Il metodo usato dagli Ebrei non era altro che l'applicazione di un uso barbaro, allora ritenuto lecitissimo. Basti leggere le relazioni dei ra-conti assiri e la seguente citazione della stele di Mesha, re di Moab: «E Camos (Dio del luogo) mi disse: Va', prendi Nebo (combattendo) contro Israele! E andai notte-tempo e combattei contro di essa dallo spuntare dell'alba fino a mezzo giorno. E la presi; e tutti vi trucidai: settemila uomini e ragazzi, donne, giovinette e schiave, Poiché ad Astar-Camos feci chérem di tutti essi » (Stele di Mesha 11. 14-17; sec. IX a.C.).

La rivelazione che è storica si realizza entro la storia, rispettando lo sviluppo umano che cerca di far progredire nel miglior modo possibile. Si veda come tale sterminio non debba attuarsi fuori delle frontiere affidate ad Israele, contro l'uso dei grandi imperi dell'oriente antico. Con il tempo il rispetto della vita umana andò progredendo, grazie specialmente all'azione profetica. Il libro di Giona dice chiaramente che le vite umane, anche dei più spietati nemici come i niniviti, appartengono a Dio e sono da lui amate (Gn 4, 2.10s).

Di più i sovrani ebrei avevano la fama di generosa bontà nei riguardi dei nemici, che li distingueva dagli altri popoli (1 Re 20, 31). Al tempo dei Maccabei riaffiorarono tracce dell'antico anatema, ma solo per rispondere in modo adeguato alle crudeltà di Antioco IV Epifane (1 Mac 2, 38; 3, 39-42; 4, 18-23; 5, 2-7.22.44.51). In seguito l'anatema si ridusse esclusivamente alla confisca dei beni o alla esclusione dalla vita religiosa comunitaria (cf Gv 9, 22; 12, 42; 16, 2; 1 Co 5, 5; per i cristiani fino a poco fa tale metodo era conservato nella chiesa cattolica). Quando Paolo dice di voler essere « anatema di Cristo » per i suoi connazionali, pensa alla sua morte come olocausto per il Cristo da lui creduto ed amato (Rm 9, 3; cf Gl 1, 8; 1 Co 12, 3). Ma il problema più grave non sta qui, bensì nel fatto che Dio stesso lo comandi, lo prescriva, ne dia l'ordine (cf Nm 21, 2s; Dt 7, 1-6). Come si può spiegare questo?

Coloro che prendono tale ordine alla lettera cercano di trovare delle ragioni che hanno tutte un fondo diverso. Dio non fa che orientare in modo religioso un uso barbaro del tempo. Vi si trova un modo di mostrare la sua superiorità sugli dei del luogo, secondo la legge che il dio dei vittoriosi è più potente del dio dei vinti (teocentrismo della nazione). Vi si mostra il fatto che tale distruzione era una punizione della malvagità dei cananei che abitavano in Palestina. In Gn 15, 16 la loro malvagità non ha ancora raggiunto il culmine. In Dt 9, 4s si afferma che è per la loro malvagità che tali nazioni vanno distrutte, anche se Israele non è giusto (cf Dt 18, 9-12; Sap. 12, 1-7).

Si è pure ricordato il fatto della solidarietà che allora esisteva in tutta una famiglia, una città, un popolo: tutti erano corporalmente solidali nella colpa e quindi nella punizione, nel bene e quindi nel premio (si cf il caso di Acan ucciso con tutti i suoi (Gs 8, 24). Anche i ribelli di Core, Datan e Abiram furono inghiottiti dalla terra con tutti i loro familiari (Nm 16, 31).

b) Ma è poi vero che Dio diede tali ordini? o furono Mosè e Giosuè che supposero tali ordini in armonia con il costume bellico vigente? Non penso che Dio abbia direttamente ordinato: tale ordine divino era una formula fatta e consacrata dall'uso per dare forza ed autorità alle leggi che regolano la vita sociale e religiosa di una nazione teocratica: il capo, il re, il profeta rappresentano l'autorità divina e i loro ordini diventano in un certo senso ordini divini. Molte leggi israelitiche non sono altro che espressioni di usi, costumi e leggi già esistenti e codificate anteriormente presso gli altri popoli. Il passo sopra citato della stele di Mesha afferma che il re va a combattere per ordine del suo Dio: vale a dire in forza e per l'autorità del Dio che egli rappresentava. Non può essere stato così anche per certe leggi di Israele? Non può ciò avverarsi in modo particolare per l'herem biblico? Il legislatore o il profeta (Samuele ad esempio) non possono avere interpretato la volontà divina secondo i costumi del tempo? Se Dio dà agli Israeliti la terra palestinese, se l'unico modo di abitarla non era la via diplomatica bensì la conquista armata, non era segno che ciò si doveva attuare con i metodi in uso? Non era segno che Dio voleva gli herem secondo il sistema allora comune? Naturalmente Dio utilizzò a vantaggio degli Ebrei anche i loro errori, punì in tal modo i cananei e preservò, almeno in parte, il suo popolo da una maggiore attrattiva verso l'idolatria e il culto cananeo tanto immorale. Ciò sembra essere confermato dal caso del re Arad; non è Dio che comanda lo sterminio, ma è Israele, che pensando di fare un bene, lo vota allo sterminio e Dio lo accetta dando vittoria agli Ebrei. Se non avesse avuto la vittoria sarebbe stato Israele votato allo sterminio (Nm 21, 2).

Si può quindi supporre che gli ordini divini di attuare lo sterminio siano solo ordini di Mosè, di Giosuè o dei profeti, che secondo l'uso del tempo, supponevano essere tale la volontà divina in quanto era Dio che li conduceva nella terra a loro promessa. Si trattava di un loro comando, ma che era presentato, secondo l'uso del tempo, come comando divino, in quanto essi, come capi, agivano quali intermediari di Dio. La Bibbia non fa altro che riferire storicamente ciò che in realtà si è attuato, senza darne alcuna valutazione morale, che si sarebbe poi gradatamente attuata con lo sviluppo etico del popolo ebraico.

VV. 7-10: in questi versetti c’è praticamente un riepilogo del territorio conquistato in queste guerre contro i due re Amorei. Si trattava di un vasto territorio che andava dal torrente Arnon fino al monte Hermon e comprendeva tutto il Galaad e tutto il regno di Bashan.

V. 11: Alla fine c’è una curiosità su Og, re di Bashan, che viene indicato come l’unico superstite della stirpe dei giganti. Il suo letto che veniva ancora conservato a Rabbah nel territorio degli Ammoniti, era di ferro ed aveva una lunghezza di quattro metri e mezzo ed una larghezza di due metri. Un letto veramente straordinario che stava a testimoniare l’alta statura del suo legittimo proprietario.

torna all'indice

Spartizione della terra conquistata tra due tribù e mezza (3, 12-20)

12. In quel tempo ci impadronimmo di questo paese; io diedi ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio di Aroer, lungo il torrente Arnon fino a metà della regione montuosa di Galaad con le sue città;

13. e diedi alla mezza tribù di Manasse il resto di Galaad e tutto Bashan, il regno do Og (tutta la regione di Argob con tutto Bashan si chiamava il paese dei giganti.

14. Jair, figlio di Manasse, prese tutta la regione di Argob, fino ai confini dei Gheshuriti e dei Maakathiti; e chiamò con il suo nome le città le borgate di Bashan, che anche oggi si chiamano le città di Jair)

15. E diedi Galaad a Makir.

16. Ai Rubeniti e ai Gaditi invece diedi il territorio da Galaad fino al torrente Ar-non, con la metà del fiume che serve da confine, e fino al fiume Jabbok, frontiera dei figli di Ammon,

17. e l’Arabah, con il Giordano per confine, da Kinnereth fino alla sponda orientale del mare dell’Arabah sotto le pendici del Pisgah.

18. In quel tempo io vi diedi quest’ordine, dicendo: "L’Eterno, il vostro DIO, vi ha dato questo paese perché lo possediate. Voi tutti, uomini di valore, passerete il Giordano armati, alla testa dei figli d’Israele, vostri fratelli.

19. Ma le vostre mogli, i vostri piccoli e il bestiame (so che avete molto bestiame) rimarranno nelle città che vi ho dato,

20. finché l’Eterno abbia dato riposo ai vostri fratelli, come ha fatto per voi, e prendano anch’essi possesso del paese che l’Eterno, il vostro DIO, dà loro al di là del Giordano. Poi ciascuno tornerà nell’eredità che vi ho dato"

VV. 12-13: In questo brano, ricco di indicazioni geografiche, avviene la prima spartizione del territorio conquistato in quella che oggi viene chiamata la Cisgiordania, ad est del Giordano. Le prime tribù a beneficiare di questa spartizione sono i Rubeniti, i Gaditi e metà della tribù di Manasse. Questo episodio ci offre lo spunto per accennare alle tribù di Israele. Come ben sappiamo, Giacobbe, recatosi da suo zio Labano per prendere in moglie la figlia Rachele, è costretto con l’inganno a sposare anche Lea (Ge 29, 16-30). Da queste due moglie e dalle rispettive serve nascono a Giacobbe i seguenti figli (Ge 29-30):

da Lea: Ruben, Simeone, Levi, Giuda (Ge 29, 31-35), Issacar, Zabulon, Dina (Ge 30 14, 21)
dalla serva di Rachele, Bilhah: Dan, Neftali (Ge 30, 1-8)
dalla serva di Lea, Zilpah: Gad, Ascer (Ge 30, 9-13)
da Rachele: Giuseppe (Ge 30, 22-24), Beniamino (Ge 35, 16-18).

Giuseppe a sua volta ebbe due figli: Manasse ed Efraim (Ge 41, 50-52) che vengono adottati da Giacobbe come suoi figli (Ge 48, 5). Giacobbe inoltre promette a Giuseppe di dargli, attraverso i suoi due figli, una porzione in più del territorio promesso (Ge 48, 22).

In seguito Giacobbe benedice i suoi dodici figli e conferisce a Giuda una particolare benedizione (Ge 49 10): «Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh; e a lui ubbidiranno i popolo ».

Dai versetti 12 a 20 abbiamo naturalmente un riassunto di ciò che realmente avvenne. Un resoconto più dettagliato di questi avvenimenti lo troviamo in Nm 32. Secondo il principio che la Bibbia spiega se stessa. Useremo pertanto il capitolo 32 di Numeri come commento e spiegazione di questo episodio.

torna all'indice

Passaggio a Giosuè della guida d’Israele (3, 21-29)

21. In quel tempo, ordinai pure a Giosuè. Dicendo: "I tuoi occhi hanno visto tutto ciò che l’Eterno. Il vostro DIO, ha fatto a questi due re; lo stesso farà l’Eterno a tutti i regni che stai per attraversare.

22. Non abbiate paura di loro, perché l’Eterno, il vostro DIO, combatterà egli stesso per voi".

23. In quel medesimo tempo, io supplicai l’Eterno, dicendo:

24. "O Signore, o Eterno, tu hai cominciato a mostrare al tuo servo la tua grandezza e la tua mano potente; poiché qual è il Dio in cielo o sulla terra, che possa fare le opere e portenti simili a quelli che fai?

25. Deh, lasciami passare il Giordano per vedere il bel paese che è al di là del Giordano, la bella regione montuosa e il Libano".

26. Ma l’Eterno si adirò contro di me, per causa vostra, e non mi esaudì. Così l’Eterno mi disse: "Basta così; non parlarmi più di questa cosa.

27. Sali sulla vetta del Piasgah, volgi lo sguardo ad ovest, a nord, a sud e a est e contempla con i tuoi occhi, perché tu non passerai questo Giordano.

28. Ma dà ordini a Giosuè, fortificalo e incoraggialo, perché lui passerà il Giorda-no alla testa di questo popolo e metterà Israele in possesso del paese che vedrai".

29. Così ci fermammo nella valle di fronte a Beth-Peor"

VV. 21-22: Il brano inizia con un incoraggiamento di Mosè a Giosuè. Mosè rassicura il futuro conduttore del popolo ebraico  ricordandogli ciò che Dio aveva appena fatto ai due re Amorei. Questo stesso Dio avrebbe fatto lo stesso nei confronti dei popoli che avrebbero incontrato da questo momento in poi. Giosuè quindi non aveva nulla da temere in quanto Dio avrebbe combattuto per loro.

VV. 23-27: A questo punto c’è un intermezzo. Mosè ricorda che non riuscendo a darsi pace per il fatto che gli veniva negato l’ingresso nella Terra Pro-messa, si rivolge ancora a Dio e manifestandogli la sua ammirazione per la grandezza con cui aveva operato la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto (v. 24), gli chiede ancora una volta che gli venga concessa la possibilità di attraversare il Giordano ed entrare nella Palestina che viene descritta come «la bella regione montuosa ed il Libano » (v. 25). Viene ancora ricordato il motivo per cui Mosè non avrebbe potuto fare il suo ingresso alla testa di Israele in Palestina. Viene ancora ribadito il fatto che non si trattava di una sua colpa personale, ma di una colpa collettiva nella quale il grande legislatore veniva accomunato all’intero popolo. A causa della colpa del popolo, Dio non poteva esaudire la richiesta di Mosè. Abbiamo già visto come la Scrittura in alcuni passi parli invece anche di una colpa personale di Mosè, il quale non avrebbe avuto abbastanza fede in Dio. Dio taglia netto il discorso ed invita Mosè a non ritornare più sull’argomento, perché la cosa era ormai stata decisa. Comunque gli concede di poter ammirare dall’alto del monte Pisgah in tutta la sua estensione da nord a sud e da est a ovest la terra che egli avrebbe dato al suo popolo, ma che a lui non sarebbe stato concesso di calpestare.

VV. 27-28: Dopo ciò Dio invita Mosè a preparare Giosuè per la grande impresa a cui era stato destinato. « Fortificalo e incoraggialo », gli dice Dio, perché lui passerà il fiume Giordano alla testa di Israele e prenderà possesso del paese che ti ho appena mostrato.

torna all'indice


PARTE  ESORTATIVA

Termina la parte descrittiva e storica del primo discorso di Mosè ed inizia dal capitolo 4 un discorso di carattere esortativo molto profondo e di alto profilo spirituale in cui Mosè trae le conseguenze da quanto finora esposto implorando il popolo di osservare, nella terra in cui si accingeva ad entrare, le leggi datigli direttamente da Dio e gli statuti ed i decreti che lui stesso aveva insegnato al popolo. Li esorta inoltre a non cadere nell’idolatria altrimenti sarebbero stati distrutti e dispersi fra gli altri popoli ed infine si sofferma a considerare la particolare predilezione che Dio aveva manifestato nei loro confronti traendoli dalla schiavitù dell’Egitto.

Necessità di osservare i comandamanti di Dio (4, 1-14)

1. Ora dunque, o Israele, da' ascolto agli statuti e ai decreti che vi insegno, perché li mettiate in pratica, affinché viviate ed entriate in possesso del paese che l'Eterno, il DIO dei vostri padri, vi dà.

2. Non aggiungerete nulla a quanto vi comando e non toglierete nulla, ma impegnatevi ad osservare i comandamenti dell'Eterno, il vostro DIO, che io vi prescrivo.

3. I vostri occhi videro ciò che l'Eterno fece a Baal-Peor; poiché l'Eterno, il tuo DIO, distrusse in mezzo a te tutti coloro che avevano seguito Baal-Peor,

4. ma voi che siete rimasti fedeli all'Eterno, al vostro DIO, oggi siete tutti in vita.

5. Ecco, io vi ho insegnato statuti e decreti, come l'Eterno, il mio DIO, mi ha ordinato, affinché li mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso.

6. Lo osserverete dunque e li metterete in pratica; poiché questa sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutti questi statuti, diranno: «Questa grande nazione è un popolo saggio e intelligente»

7. Quale grande nazione ha infatti DIO così vicino a sé, come l'Eterno, il nostro DIO, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?

8. E quale grande nazione ha statuti e decreti giusti come tutta questa legge che oggi vi metto davanti?

9. Solo bada bene a te stesso e veglia diligentemente nell'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, e perché non si allontanino dal tuo cuore per tutti i giorni della tua vita. Ma insegnali ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli,

10. specialmente circa il giorno in cui sei comparso davanti all'Eterno, il tuo DIO, in Horeb, quando l'Eterno mi disse: «Radunami il popolo ed io farò loro udire le mie parole, perché essi imparino a temermi per tutti i giorni che vivranno sulla terra e le insegnino ai loro figli»

11. Allora voi vi avvicinaste w vi fermaste ai piedi del monte; e il monte ardeva nelle fiamme, che si innalzavano in mezzo al cielo, ed era circondato da tenebre, nuvole e fitta oscurità.

12. E l'Eterno vi parlò dal mezzo del fuoco; voi udiste il suono delle parole, ma non vedeste alcuna figura; udiste solo una voce.

13. Così egli vi promulgò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti; e li scrisse su due tavole di pietra.

14. E a me in quel tempo, l'Eterno ordinò di insegnarvi statuti e decreti, perché li mettiate in pratica nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso.

V. 1: Mosè inizia la parte esortativa del suo discorso raccomandando al popolo di dare ascolto «agli statuti e ai decreti », che lui stesso aveva insegnato, per metterli in pratica. Questo avrebbe assicurato al popolo la vita (« affinché viviate») e l'entrata in possesso del paese che Dio aveva promesso ai loro padri ed di cui ora stavano per prendere possesso. Ma di quale vita sta parlando qui Mosè? Non certamente della vita eterna che che non rientrava ancora nelle prospettive del popolo ebraico, in quanto sarebbe stato considerato un bene del futuro regno messianico, soltanto in un epoca successiva. Per ora le mire del popolo si limitavano ad una tranquilla e prospera vita nel paese di cui erano in procinto di entrare. Più avanti infatti Mosè precisa meglio dicendo: «perché viviate e siate prosperi e prolunghiate i vostri giorni nel paese che occuperete » (Dt 5, 33). L'osservanza degli statuti e dei decreti di Mosè era per il bene del popolo (Dt 10, 13) ed avrebbe assicurato agli Ebrei una tranquilla e serena convivenza, accompagnata da prosperità e da un prolungamento della vita stessa. La promessa non andava oltre questo traguardo in quel momento storico della vita del popolo ebraico. Dobbiamo attendere la grande corrente del Giudaismo per poter parlare di resurrezione a vita eterna (Dn 12, 2).

V. 2: Gli Ebrei non dovevano aggiungere o togliere nulla ai comandamenti che Dio aveva ordinato loro di osservare. Essi dovevano impegnarsi ad osservarli così come erano stati  dati da Dio al popolo per mezzo di Mosè. Aggiungere o togliere qualcosa alla Parola di Dio sarebbe stato un grave sintomo di mancanza di fiducia verso quel Dio al quale si erano legati con un patto solenne. Questa raccomandazione viene quindi ripetuta ancora da Mosè più avanti nel suo discorso in Dt 12, 32. Anche il libro dell'Apocalisse si chiude con le stesse parole (Ap 22, 18-19).

VV. 3-5: Mosè mette in guardia il popolo ricordando loro un episodio in cui gli Ebrei si erano lasciati sedurre dalle figlie di Moab contaminandosi con i culti idolatrici di quel popolo. In quell'occasione la punizione fu veramante tremenda in quanto morirono ben ventiquattromila persone (Nm 25, 1-9). Era ancora vivo nella memoria del popolo il ricordo della ribellione di Kadesh-Barnea, i cui protagonisti furono costretti a vagare nel deserto per quaranta anni, fino alla completa estinzione di quella generazione. Mosè pertanto ricorda al popolo che loro, che erano ancora in vita in quel momento, potevano entrare nella Terra Promessa in quanto si erano mantenuti fedeli all'Eterno. A loro quindi spettava l'onore e l'onere di mettere in pratica gli statuti ed i decreti, ordinati da Dio, nel paese in cui stavano « per entrare per prenderne possosso»

VV. 6-8: L'osservanza di questi statuti e decreti sarebbe stata una testimonianza nei confronti degli altri popoli che li avrebbero ammirati per la loro sapienza ed intelligenza. La grandezza della nazione ebraica si misurava, oltre che per la bontà e la superiorità della sua legge, anche per il fatto che Dio era sempre vicino al popolo ogni volta che veniva invocato.

VV: 9-12 Per questi motivi il buon ebreo doveva continuamente vigilare e vegliare con diligenza nell'interiorità della propria anima e del proprio cuore per non dimenticare le cose che aveva visto, i prodigi che Dio aveva compiuto a loro favore. Perché tali ricordi non lo abbandonassero mai per tutta la vita, tale memoria doveva essere perpetuata nel popolo attraverso la sua discendenza insegnandola ai figli ed ai figli dei figli per sempre. In particolare essi non dovevano dimentica il patto solenne fatto con Dio in Horeb (Sinai). In quell'occasione essi non videro Dio direttamente, ma ne udirono  la voce.

VV. 13-14 In quella occasione fu data al popolo ebraico la legge fondamentale, costituita dai dieci comandamenti, scritti direttamente da Dio su due tavole di pietra, e tutta una serie di statuti e decreti, ricevuti per mezzo di Mosè, che avrebbero regolamentato la loro vita nel paese in cui stavano per entrare.

torna all'indice

Proibizione dell'idolatria (4, 15-31)

15. Poiché dunque non vedeste alcuna figura il giorno che l'Eterno vi parlò in Horeb dal mezzo del fuoco, vegliate diligentemente sulle anime vostre,

16. perché non ci corrompiate e vi facciate qualche immagine scolpita, nella forma di qualche figura: la rappresentazione di un uomo o di una donna,

17. la rappresentazione di un animale che è sulla terra, la rappresentazione di un uccello che vola nel cielo,

18. la rappresentazione di ogni cosa che striscia sul suolo, la rappresentazione di un pesce che è nelle acque sotto la terra;

19. perché alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto cioè l'esercito celeste, tu non sia attirato a prostrarti davanti a queste cose e a servirle, cose che l'Eterno, il tuo DIO, ha assegnato a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli;

20. ma l'Eterno ha preso voi e vi ha fatto uscire dalla fornace di ferro, dall'Egitto, per essere suo popolo, sua eredità, come siete oggi.

21. Or l'Eterno si adirò contro di me per causa vostra, e giurò che non avrei passato il Giordano e non sarei entrati nel buon paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà in eredità.

22. Così io moritò in questo paese, senza passare il Giordano; ma voi lo passerete e possederete quel paese.

23. Guardatevi dal dimenticare il patto che l'Eterno, il vostro DIO, ha stabilito con voi, e dal farvi alcuna immagine scolpita nella forma di qualsiasi cosa che l'Eterno, il tuo DIO, ti abbia proibita.

24. Poiché l'Eterno, il tuo Dio, è un fuoco consumatore, un Dio geloso.

25. Quando avrai generato figli e figli dei figli, e sarete rimasti a lungo nel paese, se vi corrompete e vi fate delle immagini scolpite nella forma di qualsiasi cosa, e fate ciò che è male agli occhi dell'Eterno, il vostro Dio, per irritarlo.

26. io chiamo oggi a testimoniare contro di voi il cielo e la terra, che voi presto scomparirete completamente dal paese di cui andate a prendere possesso attraversando il Giordano. Voi non prolungherete in esso i vostri giorni, ma sarete interamente distrutti.

27. E l'Eterno vi disperderà fra i popoli, e non rimarrà di voi che un piccolo numero fra le nazioni dove l'Eterno vi condurrà.

28. E là servirete dèi di legno e di pietra, fatti da mano d'uomo, che non vedono, non odono, non mangiano e non odorano.

29. Ma di là cercherai l'Eterno, il tuo DIO; e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima.

30. Quando ti troverai nell'angoscia e tisaranno avvenute tutte queste cose, negli ultini tempi, tornerai all'Eterno, il tuo Dio, e darai ascolto alla sua voce;

31. (poiché l'Eterno, il tuo DIO, è un Dio misericordioso); egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà, e non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri.

VV. 15-20: In questo brano Mosè, anticipa quanto poi dirà successivamente in Dt 5 nel ricordare i dieci comandamenti. L'esortazione di astenersi dall'idolatria riguarda infatti in modo particolare il secondo comandamento che troveremo in Dt 5,8-10. L'esortazione ad astenersi dall'idolatria, cioè dal farsi delle immagini e di prostarsi davanti ad esse, viene anzitutto motivata al v. 15 dal fatto che il popolo in occasione dela patto stipulato sull'Horeb (Sinai), aveva udito la voce di Dio, ma non aveva visto alcuna figura della divinità. In questa esortazione Mosè descrive in maniera dettagliata tutte le figure che non dovevano essere riprodotte come scultura o come immagine, iniziando anzitutto dalla figura umana e terminando con il sole, la luna, le stelle e tutto l'esercito del cielo. Implicitamente viene messo in evidenza che si tratta di creature che provengono tutte da un atto creativo di Dio. Esse non possono in alcun modo sostituire il legittimo culto dovuto all'unico Dio Creatore. Per di più gli Ebrei avevano beneficiato di una particolare attenzione da parte del Creatore, che li aveva liberati dalla schiavitù dell'Egitto per essere un popolo e li aveva scelti per essere la Sua stessa eredità. Tali infatti essi erano mentre stavano lì radunati nella pianura di Moab per ascoltare le parole di Mosè.

VV. 21-24: Nel ricordare ancora una volta che a causa delle infedeltà del popolo, egli sarebbe morto in quel luogo senza poter entrare nel paese che l'Eterno aveva promesso ai loro padri come eredità, Mosè dice che che loro invece erano in procinto di attraversare il Giordano e di prendere possesso di questo paese. Poiché Dio aveva mantenuto le promesse fatte ai loro padri, essi, in questo paese in cui stavano per entrare, dovevano fare attenzione a non dimenticare il patto stipulato con Dio e quindi dovenao astenersi da ogni forma di idolatria, perché l'Eterno, di cui essi erano divenuti il popolo prediletto, è un fuoco consumante, un Dio geloso che non tollera deviazioni e tradimenti.

VV. 24-31: Mosè a questo punto si rivolge a loro con parole che sono al tempo stesso un ammonimento, ma anche una profezia. Lo scenario che egli prefigura si verificherà immancabilmente nella storia del popolo ebraico. Dopo alcune generazion quando il popolo ebraico avrà ormai consolidato la sua permanenza nella terra promessa, si dimenticherà delle esortazioni di Mosè, e si farà influenzare dai culti pagani delle popolazioni cananee con le quali si troverà a con vivere, dandosi all'idolatria. A causa di ciò essi saranno distrutti e dispersi in mezzo alle altre nazioni dove serviranno gli idoli di legno e di pietra fatti dagli uomini che non hanno in se stessi alcuna scintilla di vita. Ma poiché l'Eterno è un Dio misericordioso che mantiene le promesse ed è fedele ai patti stipulati, nonostante le infedeltà degli uomini, quando gli Ebrei si renderanno conto della loro situazione e si ravvederanno invocando sinceramente il perdono, Dio li accoglierà facendoli tornare nel loro paese.

torna all'indice
Riguardo particolare di Dio verso Israele (4, 32-40).

32. Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te, dal giorno in cui DIO creò l'uomo sulla terra, e chiedi da un'estremità dei cieli all'altra se vi fu mai una cosa grande come questa o si è mai udita una cosa simile a questa.

33. Vi fu mai alcun popolo che abbia udito la voce di DIO parlare di mezzo al fuoco, come l'hai udita tu, e sia rimasto in vita?

34. O vi fu mai alcun DIO che abbia provato ad andare a prendere per sé una nazione di mezzo a un'altra nazione mediante prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e con braccio teso e con grandi terrori, come fece per voi l'Eterno. il vostro DIO, in Egitto sotto i vostri occhi?

35. Tutto questo ti è stato mostrato, affinché riconosca che l'Eterno è DIO e che non v'è alcun altro fuori di lui.

36. Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per ammaestrarti; e sulla terra ri ha fatto vedere il suo gran fuoco e hai udito le sue parole di mezzo al fuoco.

37. E perché ha amato i tuoi padri, egli ha scelto la loro progenie dopo loro e ti ha fatto uscire dall'Egitto con la sua presenza, mediante la sua grande potenza,

38. scacciando davanti a te nazioni più grandi e potenti di te, per fare entrare te e darti il loro paese in eredità, com'è oggi.

39. Sappi dunque oggi e ritienilo nel tuo cuore che l'Eterno è DIO lassù nei cieli e quaggiù sulla terra, e che non vi è alcun altro.

40. Osserva dunque i suoi statuti e i suoi comandamenti che oggi ti do, affinché abbia prosperotà tu e i tuoi figli dopo di te, e affinché tu prolunghi i tuoi giorni nel paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà per sempre.

VV. 33-34: Non v'è alcun dubbio che Dio abbia usato un particolare riguardo nei confronti di Israele, che è stato scelto fra tutti i popoli per poter realizzare nella storia umana il disegno divino di salvezza dell'umanità. Mosè ribadisce questo con alcune domande retoriche ed al tempo stesso provocatorie. Nella storia umana fin dalla prima apparizione dell'uomo sulla terra non si è mai vista né udita una cosa simile. Israele non è stato scelto da Dio perché fosse un popolo particolarmente forte e numeroso, anzi era il più piccolo fra tutti i popoli (Dt 7, 7), ma è stato scelto «per essere il tesoro particolare di Dio fra tutti i popoli » (Dt, 7,6), perché l'Eterno lo ha amato ed ha voluto mantenere il giuramento fatto ai loro padri (Dt 7, 8). Questa elezione di Israele ad essere il tesoro particolare di Dio era già stata messa in evidenza in Es 19, 5-6 con queste parole: «Se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia. E sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa ». L'interesse particolare di Dio nei confronti di Israele si è manifestato nel parlare direttamente a questo popolo in occasione del patto sul Sinai e nell'averlo liberato dalla schiavitù dell'Egitto « per mezzo di prove, segni, prodigi, battaglie, con mano potente e con braccio steso». Quest'ultima espresssione divenne parte della liturgia del tempio a Gerusalemme. Il buon Israelita doveva infatti recarsi nel tempio per portare le primizie dei frutti del suolo e pronunciare di fronte al sacerdote una confessione di fede che rievocava la salvezza operata da Dio nei confronti di Israele (Dt 26, 1-15).

VV 35-40: Tutto questo naturalmente Dio lo ha compiuto per dimostrare ad Israele che Lui era il vero ed unico Dio e non vi era alcun altro al fuori di Lui. Nel versetto 35 e 39 viene ribadità l'unicità di Dio, che diventerà poi il primo comandamento fondamentale sul quale si reggerà tutta la legislazione e la fede ebraica e diventerà anche il punto principale della futura fede cristiana (Rm 3, 30; 1 Ti 2, 5). Quantunque le qualità invisibili di Dio, la sua eterna potenza e divinità fossero evidenti nelle opere della creazione del mondo (Rm 1, 20 - rivelazione naturale esterna), c'è stato bisogna di una auto rivelazione di Dio soprannaturale, prima al popolo ebraico e poi a tutto il mondo, perché l'uomo potesse pervenire alla conoscenza delle qualità invisibili di Dio. Il peccato infatti aveva seriamente compromesso le capacità dell'uomo di pervenire a tale conoscenza con le proprie forze; per ricomporre la frattura creatasi fra Dio e gli uomini in seguito alla caduta, è stata necessaria una rivelazione-redenzione operata da Dio per mezzo di Cristo. La storia della salvezza iniziata dal popolo ebraico con la sua elezione e liberazione dalla schiavitù d'Egitto, si concluderà sulla croce con la morte e resurrezione del futuro Messia, ma troverà la sua realizzazione completa soltanto alla fine della storia con il ritorno di Cristo. Tale prospettiva futura naturalmente non era ancora negli orizzonti del popolo ebraico. Mosè, infatti, conclude questo suo primo discorso con una nuova esortazione al popolo di osservare gli statuti ed i comandamenti che stava per dargli sul Sinai. Tale osservanza avrebbe dovuto essere estesa anche alle generazioni future ed avrebbe avuto, per il momento, come risultato: la prosperità ed un prolungato soggiorno nel paese in cui stavano per entrare.

torna all'indice