2° DISCORSO DI MOSÈ ( 4, 44 - 28, 68)

Il codice deuteronomico (cc. 12-26 )

Il culto e le cose sacre (12, 1 - 16, 17 )


INDICE

Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16, 1-17


Capitolo 12

1. Questi sono gli statuti e i decreti che avrete cura di osservare nel paese che l'Eterno, il DIO dei tuoi padri, ti ha dato in eredità per tutti i giorni che vivrete sulla terra.

Anche il capitolo 12 inzia con l'invito ad osservare gli statuti ed i decreti di Dio nel paese che gli Ebrei stavano per ricevere in eredità e si conclude con la stessa esortazione riportata al versetto 32. Siamo anche qui in presenza di una inclusione entro la quale viene sviluppato il tema del culto e delle cose sacre.

2. Distruggerete interamente tutti i luoghi dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi; sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verdeggiante.

3. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro colonne sacre, darete alle fiamme i loro Ascerim, abbatterete le immagini scolpite dei loro dèi, farete sparire i loro nomi da quei luoghi.

Troviamo in questi due versetti un comando che era già stato anticipato nel discorso di Mosè al capitolo 7, 5. Gli Ebrei, una volta insediati nella Palestina avrebbero dovuto distruggere ogni traccia del culto pagano dei popoli che vi abitavano. Abbiamo quindi una buona descrizione degli elementi del culto cananeo: il santuario è situato in cima ad un'altura per essere più vicino al cielo; l'albero verdeggiante simboleggia la vita; l'altare per il sacrificio è circondato da pali di legno o da pietre innalzate verticalmente che rappresentano appunto le colonne sacre. Le immagini scolpite dei loro dèi rappresentano gli idoli che trestimoniavano la presenza della divinità locale. «farete sparire i loro nomi da quei luighi». Qui non viene detto chiaramente se si tratta del nome dei popoli o del nome dei loro dèi. Sicuramente si tratta del nome degli dèi pagani che vengono contrapposti al Signore, il quale metterà il suo nome lui stesso nel posto che avrà scelto, come viene detto nei versetti successivi. Nell'antico Oriente il nome evoca la presenza attiva di un essere; chi conosce il nome di una divinità può, invocandola, costringerla ad agire in suo favore

4. Non farete così con l'Eterno, il vostro DIO,

5. ma lo cercherete nel luogo che l'Eterno, il vostro DIO, sceglierà fra tutte le vostre tribù, per mettervi il suo nome come sua dimora; e là andrete;

Il comportamento degli Ebrei nei confronti dei luoghi di culto cananei non doveva essere ripetuto nei confronti dell'Eterno. Essi piuttosto lo dovevano cercare là dove Dio avrebbe scelto di far dimorare il suo nome. Non viene detto esplicitamente che Dio avrebbe scelto di abitare presso la tribù di Giuda a Gerusalemme, ma lo si può intuire, specialmente se si conoscono gli sviluppi della storia ebraica a partire dal regno di Davide. Il comando dell'unico santuario sta all'origine della gloria di cui godette il tempio di Gerusalemme. Che Dio abbia scelto di porre il suo nome nella tribù di Giuda ed in modo particolare nel tempio di Salomone, lo si deduce chiaramente da 1 Re 8, 29 e 2 Cr 7, 12.

6. là recherete i vostri olocausti e i vostri sacrifici, le vostre decime, le offerte elevate delle vostre mani, le vostre offerte votive e le vostre offerte volontarie, e i primogeniti della vostra mandria e del vostro gregge;

7. e là mangerete davanti all'Eterno, il vostro DIO, e gioirete, voi e le vostre famiglie, di tutto ciò a cui avrete posto mano e in cui l'Eterno, il vostro DIO, vi avrà benedetti.

Il versetto 6 intende presentare globalmente un elenco delle varie forme di sacrifici che Israele doveva offrire a Dio nel tempio di Gerusalemme e che vengono descritti in maniera dettagliata nel libro del Levitico. Si parla quindi di olocausti di sacrifici in generale, di decime, le offerte elevate delle vostre mani, di offerte votive e di offerte volontarie, di primogeneti sia della mandria che del gregge. In ogni religione il sacrificio rappresenta il tentativo di entrare in una più stretta relazione con la divinità. La storia delle religioni studia il sacrificio sotto re punti di vista:
a) il sacrificio come dono presentato alla divinità;
b) il sacrificio come modo per realizzare la comunione con la divinità;
c) il sacrificio come mezzo di espiazione dei peccati per ottenere il perdono divino.
I sacrifici isrealiti rientrono agevolmente in queste tre categorie. Si ha pertanto:
a) il dono che comprende l'olocausto, le offerte vegetali e le primizie;
b) la comunione che comprende i sacrifici di pace e di comunione;
c) l'espiazione che comprende i sacrifici per il peccato e il sacrificio di riparazione.
Lungo i secoli e sotto la spinta delle circostanze, si è verificata un'evoluzione nei sacrifici. Riflettendo infatti sulla rovina di Israele e sull'esilio in Babilonia, il popolo di Israele ha preso coscienza della potenza del peccato e della necessità di ottenerne il perdono. Per questo motivo il Levitico si sofferma maggiormente sul ruolo di riconciliazione con Dio che hanno i sacrifici, dando grande risalto ai riti assolutori per mezzo del sangue. Le offerte di vegetali perdono quindi di importanza diventando semplicemente complementari dei sacrifici di animali.
L'olocausto è un sacrificio in cui la vittima viene totalmente consumata sull'altare (salvo la pelle che veniva trattenuta dal sacerdote (Lv 7, 8). L'olocausto eprimeva in maniera eminente il dono e quindi l'offerente non ne aveva parte alcuna. Troviamo questa forma di sacrificio presso Ugarit e nei greci, ma non in altri popoli semiti. Nel Libro del Levitico, il capitolo 1 si sofferma in modo particolare sugli olocausti che potevano riguardare il grosso bestiame, il bestiame minuto e gli uccelli. Il capitolo 2  riguarda invece il rituale relativo alle offerte vegetali. Il capitolo 3, i sacrifici di comunione nei quali il grasso doveva essere bruciato perché dedicato a Dio, il petto e la coscia destra era riservata ai sacerdoti (Lv 7, 32-36), mentre il resto dellla carne poteva essere consumata dagli offerenti (Lv 7, 20). Il capitolo 4 parla del sacrificio per il peccato. Nel capitolo 5 abbiamo il sacrificio di riparazione. In Lv 7, 16 e seguenti si parla del sacrificio votivo o volontario.
Oltre agli olocausti ed ai sacrifici, gli Ebrei dovevano recare al tempio anche le decime ed i promogeniti sia della mandria che del gregge.
La decima è un'usanza che affonda le sue radici in tempi molto antichi e si basa sul concetto che Dio è il Signore di tutti i paesi e perciò bisogna offrirgli le primizie e la parte migliore dei prodotti della terra. Abrahamo pago' la decima di ogni cosa a Melchisedek riconoscendo in lui il sacerdote del Dio Altissimo (Ge 14, 20). Questa usanza divenne parte integrante della legislazione ebraica per cui gli Israeliti destinavano la decima parte dei loro prodotti al tempio, ai sacerdoti e ai leviti per il mantenimento del culto e delle persone ad esso consacrate.
Un'altra prescrizione ebraica riguardava i primogeniti. A ricordo di quanto avvenne durante l'ultima piaga in Egitto, in cui i primogeniti degli Egiziani furono uccisi, mentre quelli degli Israeliti furono risparmiati in forza del sangue dell'agnello posto sugli stipiti e sull'architrave delle loro case (Es 12, 1-29), tutti i primogeniti d'Israele, tanto degli uomini che degli animali, appartenevano all'Eterno (Es 13, 1-2; 34, 19). Il primogenito degli animali doveva essere offerto in sacrificio (Es 13, 12), ma il primogenito dell'uomo doveva essere riscattato (Es 13, 13; 34, 20). Più tardi Dio scelse i Leviti perché prendessero il posto di tutti i primogeniti d'Israele e perché prestassero servizio per utti i figli d'Israele nella tenda di convegno (Nm 3, 12.41; 8, 13-19). Nell'Antico Testamento il primogenito aveva diritto ad una doppia porzione dell'eredità paterna (Dt 21, 17) e alle benedizioni della promessa (Ge 27, 4.27-29), incluso il paese di Canaan, la terra promessa (Ge 28, 4). vai al capitolo 15

8. Non farete come facciamo oggi qui, dove ognuno fa tutto ciò che è giusto ai propri occhi,

9. perché non siete ancora entrati nel riposo e nell'eredità che l'Eterno, il vostro DIO, vi dà.

10. Ma passerete il Giordano e abiterete nel paese che l'Eterno, il vostro DIO, vi dà in eredità; ed egli vi darà riposo da tutti i vostri nemici che vi circondano e voi abiterete al sicuro.

Dal tono di questi versetti sembra quasi che gli Israeliti prima di entrare nella terra, data loro in eredità, non avessero una legge ben precisa e vivessero nella più completa anarchia: «ognuno fa tutto ciò che è giusto ai propri occhi ». In realtà non dobbiamo generalizzare questa espressione, ma dobbiamo collocarla nell'immediato contesto in cui si trova. Lo scrittore infatti stava chiaramente parlando del luogo di culto e dei sacrifici. La situazione in cui si trovava il popolo prima dell'ingresso nella terra promessa era una situazione provvisoria. Non è detto che  questa situazione provvisoria non prevedesse delle leggi per il culto, ma tali leggi ovviamente non riguardavano in modo particolare un luogo di culto ben preciso, come quello che successivamente venne eretto a Gerusalemme.
Se non possiamo interpretare questa espressione in questo senso, allora dobbiamo pensare che l'autore qui voleva semplicemente fare una constatazione e fotografare una situazione di fatto esistente in mezzo al popolo, il quale pur avendo delle leggi ben precise, non si sentiva ancora così strettamente vincolato ad esse. Se noi guardiamo un po' la storia del popolo ebraico, sia prima che dopo l'entrata nel territorio di Canaan, dobbiamo ammettere che era un popolo dal collo duro, recalcitrante e restio a sottomettersi a delle regole, tanto è vero che al tempo dei Giudici, quando il popolo si era ormai stabilito in Palestina, viene ripetuta la stessa constatazione (Gdc 17, 6). Nella prima constatazione viene portata come scusa il fatto che il popolo non era ancora entrato nel riposo della terra promessa in eredità, nella seconda constatazione fatta dal libro dei Giudici, la scusa avanzata è quella della mancanza di un re. Ma vediamo che anche in seguito, dopo che il popolo viveva ormai da diversi secoli in Palestina e si era dato un re, la situazione non era per nulla cambiata. Il profeta Isaia infatta constata amaramente che: « Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti» (Is 53, 6). Allora a questo punto dobbiamo pensare che il fare tutto ciò che è giusto ai propri occhi ed il seguire la propria via anziché quella dell'Eterno, è una costante che percorre tutta la storia del popolo ebraico, ma se guardiamo bene è un po' anche la nostra storia.
Da come sono sviluppati i versetti 8, 9 e 10 sembra quasi che una volta entrati nel riposo e nell'eredità che l'Eterno aveva dato alla discendenza di Abramo, Isacco e Giacobbe, una volta attraversato il Giordano e messo piede nella terra dei lori padri, Gli Israeliti avrebbero risolto tutti i loro problemi e persino i loro nemici non li avrebbero più infastiditi. Ma le cose non andarono proprio così! Una volta entrati nella terra promessa i guai degli Israeliti non cessarono come per incanto. Si trattò all'inizio di una lunga e difficile convivenza con i popoli circostanti, con alti e bassi, fino al raggiungimento della monarchia con Davide e Salomone in cui sembrava che finalmente le promesse si fossero pienamente realizzate. Ma anche questa nuova situazione ideale non era destinata a durare per molto tempo. La dinastia di Davide non si dimostrò all'altezza della situazione, il regno si divise in due tronconi, i regnanti ed il popolo si lasciarono corrompere dai costumi dei cananei e furono travagliati da continue guerre con i popoli vicini, fino alla loro completa distruzione ad opera dell'Assiria per il regno del Nord e ad opera di Babilonia per il regno del Sud. Tutto questo avvenne nonostante la voce dei profeti che da tempo ormai si era elevata contro la corruzione dei costumi e per un ritorno all'alleanza del Sinai.
Il riposo che viene promesso nel versetto 9 e 10, rappresenta la fine della lunga marcia nel deserto e delle lotte per la conquista della Palestina; l'istituzione di un santuario fisso è il segno di questo riposo donato da Dio, come viene riconosciuto dallo stesso re Salomone nella sua preghiera (1 Re 8, 56). In realtà è un riposo che in pratica non si attuò mai del tutto, ma che rimase costantemente sull'orizzonte del popolo di Dio. Una spiegazione di questo mancato riposo del popolo ebraico ci viene fornita dall'autore della lettera agli Ebrei nei capp. 3 e 4. Lo scrittore della lettera agli Ebrei sostiene che se fosse stato vero che l'entrata nella terra promessa corrispondeva al riposo sperato, non sarebbe stato necessario che il Salmo 95, composto molto tempo dopo, parlasse dell'entrata nel riposo come di una realtà non ancora raggiunta. Ne conclude che anche l'entrata in Canaan era una prefigurazione di un obiettivo ancora da raggiungere.
Nel suo significato più profondo il traguardo si trova al di là dell'esistenza terrema, tuttavia, coloro che trovano salvezza e nuova vita in Cristo cominciano a farne l'esperienza qui e ora (Mt 11, 28-29). Nel riposo della fede, il credente si riposa delle proprie opere in Dio e la promessa dell'A.T. trova il suo significato, perché il riposo del sabato è come un simbolo della liberazione dal peccato.

11 . Allora ci sarà un luogo che l'Eterno, il vostro DIO, sceglierà per far dimorare il suo nome e là porterete tutto ciò che vi comando: i vostri olocausti e i vostri sacrifici, le vostre decime, le offerte elevate delle vostre mani e tutte le offerte scelte che avete promesso in voto all'Eterno.

12 . E gioirete davanti all'Eterno, il vostro DIO, voi, i vostri figli e le vostre figlie, i vostri servi e le vostre serve, e il Levita che abiterà entro le vostre porte, poiché egli non ha né parte né eredità tra voi.

13 . Guardati bene dall'offrire i tuoi olocausti in ogni luogo che vedi;

14 . ma nel luogo che l'Eterno sceglierà in una delle tue tribù, là offrirai i tuoi olocausti e là farai tutto ciò che ti comando.

I versetti 11, 12, 13 14, 15 sono in pratica un'ulteriore ripetizione di quanto già detto precedentemente. Quando gli Israeliti entreranno nella terra promessa ci sarà un luogo ben preciso in cui Dio sceglierà di « far dimorare il proprio nome». In questo luogo e soltanto in questo luogo gli Israeliti saranno autorizzati a portare i loro olocausti, i loro sacrifici, le decime e tutte le varie offerte. In questo luogo soltanto ci sarà una particolare presenza di Dio e così essi potranno rallegrarsi davanti all'Eterno assieme alle loro famiglie, ai loro servi ed al Levita che abita in mezzo a loro in quanto non ha eredità, né parte nella terra di Canaan. In questa terra gli Ebrei dovranno guardarsi dall'offrire i loro olocausti nei vari santuari che non sono più consentiti, perché l'Eterno ha finalmente fissato la propria dimora in mezzo ad una delle loro tribù. Non viene detto il nome di questa tribù né il nome della città, ma noi sappiamo dallo sviluppo degli avvenimenti che si tratta della tribù di Giuda e della città di Gerusalemme.

15 . Ma, ogni volta che lo desideri, potrai uccidere animali e mangiarne la carne in tutte le città, secondo la benedizione che l'Eterno ti avrà concesso; ne potranno mangiare tanto l'impuro che il puro, come si fa della carne di gazzella e di cervo:;

16 . ma non mangerete il sangue, lo verserai per terra come l'acqua.

Il Deuteronomio adopera lo stesso verbo sia quando viene offerto un animale in sacrificio (Dt 17, 1; 18, 3; 27, 7), sia quando, come in questo caso, si trattava solo dell'uccisione di un animale per uso domestico. In realtà le due azioni hanno entrambe portata religiosa, e un tempo anche l'uccisione di animali per uso domestico si faceva presso i santuari locali. La soppressione di questi a vantaggio del tempio unico, non permette più di farlo presso i luoghi di culto; e così viene autorizzata l'uccisione di animali per uso domestico nel proprio domicilio, ma a condizione di osservare le prescrizioni relative al sangue

17 . Entro le tue città non potrai ,mangiare le decime del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio, né i primogeniti della tua mandria e del tuo gregge, né ciò che hai promesso in voto, né le tue offerte volontarie, né l'offerta elevata delle tue mani.

18 . Ma le mangerai davanti all'Eterno, il tuo DIO, nel luogo che l'Eterno, il tuo DIO, sceglierà, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, e il Levita che abiterà entro le tue porte; e gioirai davanto all'Eterno, il tuo DIO, di ogni cosa a cui metti mano.

Viceversa tutte le altre offerte, le decime ed i sacrifici propriamente detti restano invece rigorosamente riservati al santuario centrale.

19 Guardati dal trascurare il Levita, fino a quando vivrai nel paese.

Qui abbiamo un'ulteriore raccomandazione di non trascurare il Levita che abitava in mezzo a loro, il quale non avendo ricevuto alcuna parte del territorio doveva necessariamente vivere sulle offerte degli altri Israeliti.

20 . Quando l'Eterno, il tuo Dio, allargherà i tuoi confini, come ti ha promesso, e tu dirai: "Mangerò carne", perché hai desiderio di mangiare carne, potrai mangiare carne ogni volta che lo desideri.

21 . Se il luogo che l'Eterno, il tuo Dio, ha scelto per porvi il suo nome sarà lontano da te, potrai ammazzare animali della tua mandrai e del tuo gregge, che l'Eterno ti ha dato, come ti ho comandato; e potrai mangiare entro le tue porte ogni volta che lo desideri.

22 . Soltanto ne mangerai come si mangia la carne di gazzella e di cervo; ne potrà mangiare tanto l'impuro che il puro.

23 . Ma guardati dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita; e tu non mangerai la vita con la carne.

24 . Non lo mangerai; lo verserai per terra come l'acqua.

25 . Non lo mangerai affinché possa prosperare tu e i tuoi figli dopo di te, per aver fatto ciò che è giusto agli occhi dell'Eterno.

Nel brano che va dal v. 20 al 26 viene nuovamente ripetuto il permesso di mangiare carne tutte le volte che lo si desiderava. Siccome, come abbiamo detto più sopra, l'uccisione di questi animali per uso domestico, aveva un carattere religioso e veniva compiuto una volta nei vecchi santuari. Qui viene data l'autorizzazione a compiere questa uccisione anche nella propria città, qualora il santuario centralizzato fosse troppo lontano. Tuttavia non si doveva mancare di rispettare anche in questi casi le prescrizioni riguardanti il sangue, perché esisteva la convinzione che nel sangue risiedesse la vita. Perciò il sangue doveva essere sparso per terra se si desiderva avere prosperità e fare ciò che è giusto agli occhi dell'Eterno.
L'espressione « ne mangerai come si mangia la carne di gazzella e di cervo » significa che era permesso a tutti di mangiare questa carne sia al puro che all'impuro, come si mangiava appunto la selvaggina che era un cibo profano.

26 . Ma le cose sante che hai da offrire e quelle promesse per voto, le prenderai e andrai al luogo che l'Eterno ha scelto,

27 . e offrirai i tuoi olocausti, tutti interi, la carne e il sangue sull'altare dell'Eterno, il tuo DIO; il sangue dei tuoi sacrifici invece dovrà essere sparso sull'altare dell'Eterno, il tuo DIO, e tu ne mangerai la carne.

28 . Fa' attenzione e ubbidisci a tutte queste parole che ti comando, affinché possa sempre prosperare, tu, e i tuoi figli dopo di te, per aver fatto ciò che è buono agli occhi dell'Eterno, il tuo DIO.

Viceversa, viene ancora ribadita la prescrizione relativa alle offerte, agli olocausti ed ai sacrifici, il cui sangue doveva essere sparso sull'altare. Gli olocausti dovevano essere immolati interamente all'Eterno, mentre per gli altri sacrifici era possibile mangiarne la carne che rimaneva dopo aver riservato a Dio la parte grassa ed ai Leviti quelle parti che spettavano a loro per diritto.

29 . Quando l'Eterno, il tuo DIO, avrà sterminato davanti a te le nazioni che tu stai per andare a spodestare, e quando le avrai spodestate e dimorerai nel loro paese,

30 . guardati bene dal cadere nel laccio seguendo il loro esempio, dopo che sono state distrutte davanti a te, e dall'informarti dei loro dèi, dicendo: "Come servivano queste nazioni i loro dèi? Farò anch'io così".

31 . Tu non farai così con l'Eterno, il tuo DIO, perché con i loro dèi esse hanno fatto tutto ciò che è abominevole per l'Eterno e che egli detesta; hanno persino bruciato nel fuoco i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi.

Infine abbiamo un'ulteriore raccomandazione. Nel compiere il loro servizio all'Eterno mediante le offerte, gli olocausti ed i sacrifici, gli Israeliti non dovevano cadere nella tentazione di imitare l'esempio delle nazioni conquistate le quali compivano delle cose abominevoli e detestabili fino al punto di sacrificare ai loro dèi persino i propri figli e le proprie figlie. In realtà noi sappiamo che molti re sia del nord che del sud caddero proprio in questo peccato.

32 . Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerete nulla e nulla toglierai da esse.

Il capitolo si conclude quindi con la stessa raccomandazione con la quale era iniziato e cioè con l'esortazione ad aver cura di mettere in pratica tutte queste prescrizioni con scrupolosità senza aggiungere né togliere nulla ad esse.

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Capitolo 13

1 . Se sorge in mezzo a te un profeta o un sognatore di sogni che ti proponga un segno o un prodigio,

2 . e il segno o il prodigio di cui ti ha parlato si avvera e dice: «Seguiamo altri dèi che tu non hai mai conosciuto e serviamoli»,

3 . tu non darai ascolto alle parole di quel profeta o di quel sognatore di sogni, perché l'Eterno, il vostro DIO, vi mette alla prova per sapere se amate l'Eterno, il vostro DIO, con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima.

4 . Seguirete l'Eterno, il vostro DIO, lui temerete, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e rimarrete stretti a lui.

5 . Ma quel profeta o quel sognatore di sogni sarà messo a morte, perché ha parlato in modo da farvi allontanare dall'Eterno, il vostro DIO, che vi ha fatto uscire dal paese d'Egitto e vi ha redenti dalla casa di schiavitù, per trascinarti fuori dalla via nella quale l'Eterno, il tuo DIO, ti ha ordinato di camminare. In questo modo estirperai il male in mezzo a te.

In questi primi cinque versetti Mosè mette in guardia il popolo dai falsi profeti. Egli qui cita il profeta vero e proprio, ma parla anche del sognatore di sogni. Tra i popoli dell'antichità la valorizzazione dei sogni è ampiamente diffusa come manifestazione misteriosa della volontà divina e come auspicio del futuro. E tra i vari campi della divinazione non è il meno importante quello dell'interpretazione dei sogni, riservata ai sacerdoti e ai savi, i quali davano il giudizio sul valore dei sogni che dovevano essere considerati come avvisi del cielo. La letteratura sui sogni è abbondantissima e prova della serietà è che pensatori come Aristotele e Cicerone scrissero libri su questo argomento. I nuovi culti e santuari venivano iniziati in base a un sogno in cui il dio manfestava la sua volontà. Anche i mutamenti politici solevano essere accompagnati da sogni; e lo stesso valeva per le guarigioni e per gli avvenimenti più notevoli della vita dell'individuo, soprattutto quando si trattava di un personaggio importante. Nelle "Vite dei Cesari" Svetonio riferisce numerosi sogni che precedettero fatti decisivi della politica imperiale.
Una delle forme più frequenti per provocare questi sogni era dormire in un santuario, così, per esempio, facevano gli infermi che chiedavano la guarigione da Esculapio e pernottavano nel sacro recinto aspettando qualche segno in tal senso.
La teologia in genere ammette la possibilità di comunicazione tra la divinità e gli uomini per mezzo del sogno, anzi si ritiene che questa comunicazione si attui meglio quando l'uomo oppone meno resistenza e cioè durante il sonno, perché è proprio in quella condizione che l'uomo lascia libero il campo per l'intervento divino.
Nella Bibbia i sogni appaiono come una via normale attraverso la quale Dio comunica con gli uomini: durante un sonno profondo, infuso in Adamo, Dio gli forma una compagna simile a lui (Ge 2, 21); in sogno Abramo riceve la promessa di una discendenza numerosa (Ge 15, 12); in questo caso il sogno è accompagnato da parole che ne precisano il significato. Giacobbe vede in sogno la scala e il luogo viene consacrato come porta del cielo dove Dio ha voluto manifestarsi (Ge 28, 10ss). Hanno sogni di trascendenza politica e religiosa Giuseppe che prevede e provvede alla sua prosperità e a quello dell'Egitto e dichiara l'avveramento dei sogni altrui (Ge 37, 5.9; 40, 5ss; 41, 1ss); Gedeone che erige un santuario (Gdc 6, 25-26; cfr Gdc 7, 13-14); Salomone nel santuario di Gabaon (1 Re 3, 5ss); Daniele e Nabucodonosor (Dn 2, 1; 4, 1; 7, 1ss). Samuele, ancora fanciullo, ode in sogno la voce di Dio che gli annunzia il tragico destino della casa del Sacerdote Eli (1 Sm 3).
Benché questi sogni non siano mai stati oggetto di controversia lungo la tradizione religiosa di Israele e nonostante che la mentalità generale accettasse tali fenomeni come mezzo normale di rivelazione, pure per la loro connaturale oscurità i sogni furono considerati, nello yahwismo, come una manifestazione teofanica di origine inferiore rispetto alla comunicazione diretta di Dio con il profeta. La tradizione sacerdotale valorizza così le funzioni mediatrici di Mosè (Nm 12, 6-8).
A misura che la mentalità si evolveva, maturavano anche le esigenze critiche. Il Deuteronomio così da un colpo negativo alla validità dei sogni: sono falsi quando si oppongono allo yahwismo. Ma è soprattutto Geremia che si scaglia contro chi annuncia prosperità al popolo infedele, gridando: « ho avuto un sogno, ho avuto un sogno!» (Gr 23, 25) e fa sì che «col suo sogno» il popolo dimenti Dio, lusingandone i vizi e le sfrenatezze. I sogni veri, quelli che provengono da Dio, indicano la prova tremenda che si avvicina: «Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi fanno diventare spregevoli; vi espongono le visioni del loro cuore e non ciò che procede dalla bocca dell'Eterno. Dicono del continuo a quelli che mi disprezzano: l'Eterno ha detto: "Avrete pace"; e a tutti quelli che camminano nella caparbietà del proprio cuore: "Nessun male verrà su di voi" » (Gr 23, 16-17); non si tratta che di sogni vuoti che prodigano vani rimedi, dice il profeta Zaccaria (Zc 10, 2). Si tratta comunque di una critica credente che condanna alcune manifestazioni, ammettendo però in fondo la validità del sogno come mezzo di rivelazione. Nel libro dell'Ecclesiastico (o Siracide), che però è un libro deuterocanonico, si affronta il il fenomeno onirico in maniera più libera e razionale. Si dice in fondo che il sogno non è altro che la proiezione dei propri desideri e quindi può essere causa di traviamenti (Is 29, 8). Si ammette tuttavia la possibilità della visita dell'Altissimo anche tramite i sogni, benché non si dia alcun criterio per distinguere i sogni soprannaturali da quelli naturali.
Nel NT i sogni conservano la loro validità, benché appaiano con una certa parsimonia e non servano di base a punti dottrinali del messaggio cristiano. Fra gli evangelisti, Matteo ricorda i sogni di Giuseppe e dei Magi nel racconto dell'infanzia di Gesù (Mt 1, 20; 2, 12-13.19.22); ricorda inoltre il sogno della moglie di Pilato in relazione alla passione (Mt 27, 19). Gli Atti riferiscono un sogno di Paolo simultaneo a quello del discepolo Anania (At 9, 10-12), la visione notturna in cui in macedone supplica l'Apostolo di recarsi in Macedonia (At 16, 9) e quella in cui il Signore esorta Paolo a non aver paura delle difficoltà che incontrerà a Corinto (At 18, 9). La lettera di Giuda sembra parlare di sogni gnostici (Gd 8).
Diversamente da quanto avveniva nell'ambiente greco-romano, il cristianesimo primitivo si dimostra reticente a valorizzare il fenomeno dei sogni dal punto di vista religioso.

« e il segno o il prodigio di cui ti ha parlato si avvera ». Il profeta accompagna spesso il suo messaggio con un segno miracoloso che serve ad autenticarne l'origine divina; così fecero Mosè (Es 4, 30-31), Elia (1 Re 18, 36-39), Isaia (7, 14), ecc. La stessa cosa avviene per i miracoli di Gesù (Mt 9, 6-7; Gv 10, 37-38). Ma anche un falso profeta è capace di offrire alcuni segni; così i maghi del faraone (Es 7, 11; cfr Mt 24, 24; At 8, 11; " Ts 2, 9; Ap 13, 13). Di qui la necessità di stare in guardia contro questo genere di prova. Il criterio per discernere più sicuramente l'autenticità del profeta è il contenuto stesso del suo messaggio che deve essere coerente con il complesso della rivelazione. In Dt 18, 21-22 stranamente si dice che il criterio per discernere il vero dal falso profeta è l'avveramento della sua profezia. Da qui si capisce come sia stato difficile per Israele distinguere i veri dai falsi profeti. Il criterio della relizzazione delle predizioni risulta insufficiente ed è comunque meno decisivo del contenuto del messaggio profetico che deve essere coerente con l'azione e la parola di Dio. Anche Geremia sembra avallare lo stesso criterio di Dt 18, 21-22 (Gr 28, 8-9).

6 . Se tuo fratello, figlio di tua madre, tuo figlio, tua figlia, la moglie che riposa sul tuo seno o l'amico che ti è caro come la tua stessa anima ti incita in segreto, dicendo: «Andiamo a servire altri dèi», che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto,

7 . divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani, da un'estremità della terra all'altra estremità della terra,

8 . non cedere a lui e non dargli ascolto; l'occhio tuo non abbia pietà per lui; non risparmiarlo, non nasconderlo.

9 . Ma tu lo dovrai uccidere; la tua mano sia la prima a levarsi contro di lui, per metterlo a morte; poi venga la mano di tutto il popolo.

10 . Tu lo lapiderai con pietre ed egli morrà, perché ha cercato di farti allontanare dall'Eterno, il tuo DIO, che ti fece uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù.

11 . Così tutto Israele udrà e avrà timore, e non commetterà più una cosa malvagia come questa in mezzo a te.

Dai versetti 6 a 11 si avanza il caso di uno stretto familiare o di un amico intimo che cerchi di corrompere qualcuno invitandolo a servire altri déi, sia che si tratti di divinità dei popoli vicini che di divinità di popoli lontani ovunque si trovino. In tal caso la persona interessata è invitata, non solo a non dargli retta, ma addirittura a non aver pietà di lui, a non risparmiarlo,a non nasconderlo. L'ordine era quello di recidere in mezzo a loro la pianta velenosa che poteva contaminare con il proprio veleno tutto il popolo. Naturalmente questo atteggiamento potrebbe sembrare ai nostri occhi particolarmente crudele ed inconcepibile con la nostra civiltà, ma non dobbiamo mai dimenticare il tempo in cui questo avveniva. Siamo agli inizi della formazione del popolo di Dio il quale si trovava a convivere con popolazioni pagane. Mantenersi puri dalle loro contaminazioni idolatriche era una questione di vitale importanza per il popolo. Se essi avessero ceduto alle lusinghe di quelle religioni, avrebbero compromesso la loro stessa esistenza come popolo di Dio ed i mali che sarebbero derivati da questa contaminazione sarebbero stati ben peggiori dei rimedi, che dovevano essere presi con tempestività per evitare qualsiasi tipo di degenerazione. Per questo motivo la deviazione in campo religioso prevedeva, nella legislazione ebraica, l'esecuzione della condanna a morte per mezzo della lapidazione. La lapidazione aveva una duplice portata. Da una parte, il colpevole che aveva attentato a ciò che è sacro, diventava intoccabile e perciò doveva essere suppliziato senza mettere la mano su di lui (Es 19, 12-13; Es 21, 28; Nm15, 35). Dall'altra parte la lapidazione rendeva possibile un'esecuzione collettiva della pena, costringeva tutti i membri del popolo a rompere la solidarietà con chi aveva mancato, partecipando personalmente alla sua messa a morte. Così ciascuno poteva sentirsi immediatamente responsabile del mantenimento dell'ordine. Per il fatto che nessuno toccava il colpevole, la lapidazione esprimeva anche il suo rigetto da parte dell'intera comunità. Vediamo in Gs 7, 25 che nel caso di Akan che «tutto Israele » partecipò alla lapodazione. Restando il cadavere sotto il mucchio di pietre, talvolta la lapidazione serviva anche da sepoltura.
Perdonando all'adultera Gesù si dimostra polemico nei confronti di quel tipo di supplizio, sia sottolineando la solidarietà di tutti gli uomini nella colpa, sia ristabilendo la comunione con colei che aveva peccato (Gv 8, 2-11)

12 . Se in una delle tue città, che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà per abitarvi, senti dire

13 . che uomini perversi sono usciti di mezzo a te e hanno sedotto gli abitanti della loro città dicendo: «Andiamo a servire altri dèi», che voi non avete mai conosciuto,

14 . tu farai indagini, investigherai e interrogherai con cura; e se è vero e certo che tale abominio è stato realmente commesso in mezzo a te,

15 . allora passerai a fil di spada gli abitanti di quella città, votando allo sterminio essa e tutto ciò che vi è, e passerai a fil di spada anche il suo bestiame.

16 . Poi ammasserai tutto il suo bottino in mezzo alla piazza e brucerai col fuoco la città e l'intero suo bottino davanti all'Eterno, il vostro DIO; essa rimarrà un cumulo di rovine per sempre e non sarà mai più ricostruita.

17 . Perciò nulla di ciò che è stato votato allo sterminio si attaccherà alle tue mano, affinché l'Eterno desista dall'ardore della sua ira e ti usi misericordia, come giurò ai tuoi padri,

18 . perché tu hai dato ascolto alla voce dell'Eterno, il tuo DIO, osservando tutti i suoi comandamenti che oggi ti prescrivo e facendo ciò che è giusto agli occhi dell'Eterno, il tuo DIO.

Infine viene avanzato il caso di un'intera città che si contamini con l'idolatria. In tal caso è previsto addirittura lo sterminio completo della città. Abbiamo già parlato delle guerre di sterminio a proposito del primo discorso di Mosè. per quanto riguarda quindi i problemi morali che tali azioni potrebbero causare alla nostra sensibilità moderna, si rimanda all'analisi che abbiamo fatto in quell'occasione.

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Capitolo 14
Animali puri e impuri

1. Voi siete i figli dell'Eterno, il vostro DIO; non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto;

« voi siete figli dell'Eterno». Ecco una nuova qualifica data agli Israeliti. Isaia 1, 2.4 allude al popolo ebraico come a dei figli che Dio ha fatto crescere e che alla fine gli si sono rivoltati contro.
« non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto ». Si tratta dei riti di lutto menzionati anche da Geremia, il quale parla di essi come di un'usanza praticata ai suoi tempi, però senza approvarla né disapprovarla (Gr 16, 16). Questi riti erano anche praticati dai pagani (1 Re 18, 28; Gr 47, 5). La legge qui li probisce (vedi anche Lv 19, 27-28; 21, 5) perché si oppone ad ogni pratica tendente a divinizzare i morti e a rendere loro un culto. A questi riti di lutto si accenna anche in Dt 26, 14 dove ci sono tre espressioni: con le quali il fedele afferma che si è impegnato a non praticare certi riti pagani di cui oggi non conosciamo né la la modalità né la portata: « Non ne ho mangiato durante il mio lutto, non ne ho preso quando ero impuro e non ne ho offerto ai morti». C'è inoltre da rilevare che il termine ebraico usato per « morto» potrebbe anche alludere a Mot, una divinità fenicia.

2. poiché tu sei un popolo santo all'Eterno, il tuo DIO, e l'Eterno ti ha scelto per essere un popolo suo, un tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra.

Il motivo per cui si dovevano astenere da queste pratiche pagane era che il popolo di Israele è un popolo santo, cioè appartato per essere il popolo di Dio. « Un tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra ». Abbiamo già trovato questa stessa espressione in Es 19, 5; Dt 7, 6.

3. Non mangerai cosa alcuna abominevole.

Una cosa abominevole era una cosa odiosa e detestabile, una specie di tabù. Ad esempio, gli Egiziani consideravano una cosa abominevole mangiare con gli Ebrei (Ge 43, 32). Ciò derivava dal fatto che gli Egiziani avevano in abominio tutti i pastori (Ge 46, 34). Sotto la legge Mosaica sono considerati abominevoli tutti quegli animali e tutti quegli atti il cui uso e la cui effettuazione erano espressamente proibiti dalla legge: Questo aggettivo era specialmente applicato ad ogni genere di idolatria.

4. Questi sono gli animali che potete mangiare: il bue, la pecora, la capra,

5. il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l'antilope, il capriolo e il camoscio.

6. Potete mangiare ogni animale che ha lo zoccolo spaccato e il piede diviso e che rumina tra gli animali.

7. Ma di quelli che ruminano soltanto o che hanno soltanto lo zoccolo spaccato o il piede diviso non mangerete il cammello, la lepre e il tasso, che ruminano ma non hanno lo zoccolo spaccato; per voi sono impuri;

8. anche il porco, che ha lo zoccolo spaccato ma non rimuna, è impuro per voi. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro corpi morti.

9. Fra tutti gli animali che vivono nelle acque, potete mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame;

10. ma non mangerete alcuno di quelli che non hanno pinne e squame; sono impuri per voi.

11. Potete mangiare ogni uccello puro;

12. ma non mangerete questi: l'aquila, l'ossifraga, il falco di mare;,

13. il nibbio, il falco e ogni specie di avvoltoi,

14. ogni specie di corvi,

15. lo struzzo, il barbagianni, il gabbiano e ogni specie di sparvieri,

16. il gufo, l'ibis, il cigno,

17. il pellicano, il martin pescatore, il cormorano,

18. la cicogna, ogni specie di aironi, l'upupa e il pipistrello.

19. Ogni insetto che vola è impuro per voi; non ne mangerete.

20. Potete invece mangiare ogni uccello puro.

In questi versetti abbiamo un elenco di animali puri e impuri. Si occupa in modo particolare di animali puri ed impuri tutto il capitolo 11 del Levitico che possiamo leggere a completamento dell'elenco del Deuteronomio.
Vengono qualificati puri tutti gli animali le cui carni potevano legittimamante essere usate dall'uomo come nutrimento. Questo poteva evvenire però a determinate condizioni. A tale scopo gli animali vengono raggruppati, secondo le disposizioni di Mosè, in quattro raggruppamenti.

Abbiamo pertanto:

I QUADRUPEDI
Perché potessero essere considerati puri questi animali dovevano avere l'unghia completamente divisa ed essere ruminanti. Ogni quadrupede che non rispondeva a questi requisiti era impuro. Non era sufficiente che l'animale avesse l'unghia divisa, ma doveva essere anche ruminante e viceversa. Mosè ha voluto semplicemente dare dei segni esterni ed evidenti che potessero servire al riconoscimento di tali animali. E' pertanto inutile cercare in alcuni casi una giustificazione scientifica, poiché l'importante, dal punto di vista esterno e secondo la nozione popolare, era che essi sembrassero adempiere alle due condizioni. Così ad esempio il cammello (Lv 11, 4), nonostante sia ruminante ed abbia l'unghia divisa, non viene compreso fra gli animali puri, perché il suo piede, completamente diviso, resta ricoperto da una materia ossea che ne nasconde la fenditura. Allo stesso modo la lepre (Lv 11, 6; Dt 14, 7) che viene annoverata fra i ruminanti, pur non essendolo, per il continuo movimento del muso. Oltre a queste indicazioni, il Deuteronomio menziona dieci qudrupedi puri, incominciando da quelli (i primi tre) che venivano usati per i sacrifici. Essi sono:
Il bue,
la pecora,
la capra,
il cervo,
la gazzella,
il daino,
lo stambecco,
l'antilope,
il capriolo,
il camoscio.

I VOLATILI
Fra gli uccelli Mosè menziona unicamente quelli impuri, che sono:
l'aquila,
l'ossifraga,
il falco,
il nibbio,
ogni specie di avvoltoi,
ogni specie di corvi,
lo struzzo,
il barbagianni,
il gabbiano,
ogni specie di sparvieri,
il gufo,
l'ibis,
il cigno,
il pellicano,
il martin pescatore,
il cormorano,
la cicogna,
ogni specie di aironi,
l'upupa,
il pipistrello.
Gli insetti alati sono quasi tutti impuri, fatta eccezione per le locuste, le cavallette, i grilli e ogni specie di acridi (Lv 11, 22).

ANIMALI ACQUATICI
Tra gli animali che vivono nell'acqua sono puri quelli che hanno pinne e squame(Dt 14, 9-10; Lv 11, 9-12). Quelli ai quali manca uno o l'altro di questi requisiti sono considerati impuri. Sono quindi compresi tra gli impuri: i catacei, i crostacei, i molluschi, ecc.

RETTILI
Tutti i rettili e gli animali che, senza esserlo, sembra che striscino sulla terra sono impuri (Lv 11, 29-31).

21. Non mangerete alcuna bestia morta di morte naturale; la puoi dare allo straniero che è entro le tue porte perché la mangi o la puoi vendere ad un estraneo, perché tu sei un popolo consacrato all'Eterno, il tuo DIO. Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre.

In base al versetto 21 non si poteva mangiare alcuna bestia morta di morte naturale. Fra queste erano comprese anche le bestie sbranate dalle fiere nella campagna (Lv 22, 8; Es 22, 31). Questi animali tuttavia potevano essere venduti allo straniero. Un'altra disposizione era quella di non fare cuocere il capretto nel latte di sua madre (Es 23, 19; 34, 26). Non troviamo altra indicazione nella Bibbia circa quest'ultima disposizione e quindi non ne conosciamo il motivo. Forse essa era dettata semplicemente da un atto di misericordia nei confronti del capretto ucciso che per lo meno non doveva essere cotto nel latte di sua madre.

Norme relative alle decime

22. Ti impegnerai a dare la decima di tutto ciò che semini e che il campo produrrà ogni anno.

23. Mangerai davanti all'Eterno, il tuo DIO, nel luogo che egli ha scelto per farvi dimorare il suo nome, la decima del tuo frumento, del tuo mosto, del tuo olio, e i primogeniti delle tue mandrie e delle tue greggi, affinché tu impari a temere sempre l'Eterno, il tui DIO.

24. Ma se il cammino è troppo lungo per te e tu non puoi portare le decime fino là, perché il luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto per stabilirvi il suo nome è troppo lontano da te, quando l'Eterno, il tuo DIO, ti avrà benedetto,

25. allora le convertirai in denaro e con il denaro in mano andrai al luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto,

26. e userai quel denaro per comprare tutto ciò che il tuo cuore desidera: buoi, percore, vino, bevande inebrianti, o qualunque cosa il tuo cuore desidera; e là mangerai davanti all'Eterno, il tuo DIO, e gioirai, tu con la tua famiglia.

Delle decime abbiamo già parlato nel capitolo precedente. Comunque, come dice la stessa parola, è un'imposta del dieci per cento; è però possibile che in certe epoche la percentuale sia stata diversa: E' parimenti probabile che il dovuto per la decima non fosse interamente mangiato in occasione del banchetto sacrificale nel santuario, bensì che una parte fosse consegnata ai Leviti (Nm 18, 21-32). La novità qui consiste nel fatto che la decima deve ormai essere portata e mangiata nel santuario centrale. Vengono quindi date disposizioni su come fare questo. Se una persona abitava lontano da questo santuario è ovvio che non poteva caricarsi durante il vaggio della decima parte dei prodotti della terra o del bestiame, ma gli veniva consentito di trasformare questi prodotti in denaro con il quale avrebbe potuto comprare nel luogo tutto quello che desiderava.

27. Inoltre non trascurerai il Levita che abita entro le tue porte, perché non ha parte né eredità con te.

28. Alla fine di ogni tre anni, metterai da parte tutte le decime dei tuoi prodotti del terzo anno, e le riporrai entro le tue porte;

29. e il Levita, che non ha parte né eredità con te, e lo straniero e l'orfano e la vedova che si trovano entro le tue porte verranno, mangeranno e si sazieranno, affiché l'Eterno, il tuo DIO, ti benedica in ogni lavoro a cui metterai mano.

Oltre alla consueta raccomandazione di non trascurare il Levita che abitava in mezzo a loro, qui si parla anche della decima triennale (vedi anche Dt 26, 12-15). Questa decima si distingue da quella annuale per due motivi: non è portata al santuario, ed è destinata per intero ai diseredati (di cui i Leviti facevano parte). Le due ragioni sono strettamente collegate fra loro: prima del Deuteronomio, tutti i diseredati venivano invitati al banchetto sacro che aveva allora luogo nei vari santuari locali; d'ora in avanti, dovendosi recare nel santuario centrale, è possibile invitare soltanto il Levita (v. 27): gli altri diseredati (lo straniero, l'orfano e la vedova) ricevevano la loro parte ogni tre anni e quella decima era loro dovuta interamente.

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Capitolo 15
La remissione dei debiti

1 . Alla fine di ogni sette anni concederai la remissione dei debiti.

2 . E questa sarà la forma della remissione: Ogni creditore condonerà ciò che ha dato in prestito al suo prossimo; non esigerà la restituzione dal suo prossimo e dal suo fratello, perché è stata proclamata la remissione dell'Eterno.

3 . Potrai richiederlo allo straniero; ma condonerai a tuo fratello quanto egli ti deve.

Questo periodo di sette anni rievoca il ritmo con cui venivano allora fatti i lavori dei campi: secondo Es 23, 10-11, ogni sette anni si doveva rinunziare al raccolto quale proclamazione dei diritti che il Signore aveva sul paese (Lv 25, 2-7). Esteso pure ai debiti, questo ritmo settimanale rimane così fissato nel calendario. Ma questo, come vedremo ai vv. 12-18, non valeva per la prescrizione di liberare ogni schiavo ebreo il settimo anno, poiché in questo caso il settennio è calcolato a partire dall'inizio della sua condizione di schiavo.
Vediamo così che l'antica legge agricola è qui applicata anche all'economia commerciale, propria della società urbana nell'epoca della monarchia. Il Deuteronomio adatta così la legge alla nuova situazione economica, per mettere in risalto i diritti del Signore sull'intera vita sociale. Applica pertanto al condono dei debiti lo stesso termine ebraico che in Esodo è usato per la rinunzia al raccolto.
L'esatta consistenza di questa remissione dei debiti non è ben precisata. Si tratta della concessione di una tregua che dilaziona di un anno il pagamento del debito, oppure di una liberazione definitiva nei confronti di tutti i debiti contratti nei sei anni precedenti? Quanto viene detto al v. 9 si comprende meglio nell'ipotesi di un proscioglimento definitivo, ma questa messa in guardia ci lascia pure intrevedere la difficoltà che poteva incontrare l'applicazione pratica di un simile provvedimento.

4 . Non vi sarà tuttavia alcun bisognoso tra di voi, poiché l'Eterno ti benedirà grandemente nel paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti darà in eredità, perché tu lo possieda,

5 . solo però se tu ubbidisci diligentemente alla voce dell'Eterno, il tuo DIO, avendo cura di mettere in pratica tutti questi comandamenti, che oggi ti prescrivo.

6 . Poiché l'Eterno, il tuo DIO, ti benedirà come ti ha promesso; allora farai prestiti a molte nazioni, ma tu non chiederai prestiti; dominerai su molte nazioni, ma esse non domineranno su di te.

L'annotazione « Non vi sarà alcun bisognoso tra voi» lascia intravedere la visione profonda che anima questa legislazione. L'esistenza dei poveri rappresenta una specie di smentita della prosperità, destinata dal Signore all'intero suo popolo. Occorre pertanto che Israele impari a superare una tale anomalia, sebbene tale anomalia non sempre può essere evitata, come appare dai successivi versetti 7 e 11. Quindi la solidarietà tra fratelli e la generosità verso i poveri rappresentano un modo per dimostrare la propria fede nelle promesse divine.
Qui siamo nel campo delle benedizioni di Dio ad Israele, benedizioni che però sono inevitabilmente subordinate all'ubbidienza, in quanto Israele dovrà aver cura di mettere in pratica tutti i comandamenti di Dio. Le benedizioni di Dio faranno prosperare Israele in modo che potrà fare dei prestiti alle altre nazioni, ma non sarà costretto a chiederne. Prendere del denaro in prestoto significava in un certo senso mettersi sotto la tutela di colui che prestava il denaro e quindi significaca anche essere da lui dominati. Ecco perché il dominare sulle altre nazioni e il non essere dominato da loro viene messo in parallelo con il fare prestiti e il non chiedere prestiti.

7 . Se vi sarà qualche tuo fratello bisognoso in mezzo a te, in alcuna delle tue città del paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà, non indurerai il tuo cuore e non chiuderai la tua mano davanti al tuo fratello bisognoso;

8 . ma gli aprirai generosamente la tua mano e gli presterai quanto gli occorre per venire incontro al bisogno in cui si trova.

9 . Bada che non vi sia alcun cattivo pensiero nel tuo cuore, che ti faccia dire: "il settimo anno, l'anno di remissione, è vicino", e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe contro di te all'Eterno e ci sarebbe del peccato in te.

10 . Dagli generosamente, e il tuo cuore non si rattristi quando gli dai, perché proprio per questo, l'Eterno. il tuo DIO, ti benedirà in ogni tuo lavoro e in ogni causa a cui porrai mano.

11 . Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese, perciò ti do questo comandamanto e ti dico: "Apri generosamente la tua mano a tuo fratello, al tuo povero e al tuo bisognoso nel tuo paese".

Fra i vari comandamenti che Israele doveva aver cura di mettere in pratica, una volta insediatosi nella terra promessa, c'era senz'altro quello della solidarietà verso colui che si trovava nel bisogno. Abbiamo già visto precedentemente come questa solidarietà doveva essere dimostratta in modo particolare nei confronti di alcune categorie, come ad esempio quella dei Leviti, degli stranieri, delle vedove e degli orfani. Essa comunque non doveva mancare mai nei confronti di chiunque nel paese si trovasse in difficoltà. Essendo questa solidarietà strettamente collegata con la remissione dei debiti che doveva avvenire ogni sette anni, a partire dalla data di ingresso nella terra promessa, il popolo viene messo in guardia dal non fare calcoli opportunistici, come ad esempio quello di negare l'aiuto, o meglio il prestito, in prossimità della scadenza settennale. Era umanamente comprensibile che questo avvenisse, ma il Deuteronomio avverte che tale comportamento sarebbe stato considerato un peccato.
Il buon Israelita non doveva farsi trascinare da calcoli opportunistici soprattutto pensando che la sua prosperità era frutto della benedizione di Dio. Dio infatti avrebbe benedetto e fatto prosperare ogni lavoro ed ogni impresa di colui che si sarebbe domostrato generoso nei confronti dei bisognosi e dei poveri.
Il versetto 6 sembrerebbe contraddire quanto affermato prima al versetto 4 in cui si dice che non vi sarebbe stato «alcun bisognoso fra voi ». I bisognosi non sarebbero mancati, ma essi non sarebbero stati più tali se ognuno avesse avuto cura di mettere in pratica il comandamento della solidarietà.

La liberazione degli schiavi

12 . Se un tuo fratello ebreo o una sorella ebrea si vende a te, ti servirà sei anni; ma il settimo, la lascerai andare da te libero.

13 . Quando poi lo manderai via da te libero, non lo lascerai andare a mani vuote;

14 . lo fornirai generosamente di doni del tuo gregge, della tua aia e del tuo strettoio; gli farai parte delle benedizioni di cui l'Eterno, il tuo DIO, ti avrà ricolmato;

15 . e ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che l'Eterno, il tuo DIO, ti ha redento; perciò oggi ti comando questo.

In questa sezione viene sollevato il problema degli schiavi. La schiavitù non era del tutto abolita in Israele, ma veniva notevolmente mitigata. Una delle principali cause di schiavitù era l'insolvenza. C'era l'usanza in Israele che il creditore potesse vendere come schiavo il debitore insolvente ( 2 Re 4, 1;Ne 5, 1-5; Is 50, 1). La legge indirettamente ammetteva un tale diritto (Es 22, 3; 21, 2), ma cercava in tutti i modi di proteggere coloro che erano diventati schiavi per questo motivo, stabilendo un limite agli anni di servizio. Tale limite era di sei anni come come ci viene detto al v. 12. La disposizione di liberare gli schiavi valeva naturalmente soltanto nei confronti degli schiavi ebrei. Questa disposizione è molto antica, perché la troviamo anche in Es 21, 1-6. Rispetto al libro di Esodo, il Deuteronomio contiene una novità. Non solo dopo sei anni lo schiavo ebreo doveva essere liberato, ma non doveva essere mandato libero a mani vuote. Il padrone gli doveva donare con generosità parte dei suoi beni, come una liquidazione per gli anni di servizio prestati a metà del prezzo di un bracciante (v. 18). Tale disposizione era motivata dal fatto che Dio  lo aveva a sua volta benedetto colmandolo di beni. Inoltre egli non doveva mai dimenticarsi di essere stato a suo tempo schiavo in Egitto e di essere stato liberato gratuitamente da Dio.

16 . Ma se egli dovesse dirti: "Non voglio andarmene da te", perché ama te e la tua casa, dato che prospera con te,

17 . allora prenderai un punteruolo, gli forerai l'orecchio contro la porta ed egli sarà tuo schiavo per sempre. Lo stesso farai per la tua schiava.

18 . Non ti deve sembrare difficile rimandarlo da te libero, poiché t'ha servito sei anni a metà prezzo di un bracciante; e l'Eterno, il tuo DIO, ti benedirà in tutto in tutto ciò che farai.

Naturalmente era previsto anche il caso in cui lo schiavo non volesse andarsene dalla casa del suo padrone in quanto si era affezionato a lui e alla sua famiglia, si trovava bene anche dal punto di vista economico, per il senso di sicurezza e di tranquillità che gli offriva la sua condizione. In tal caso veniva compiuto uno speciale cerimoniale in cui venivano riprese le prescrizioni parallele di Es 21, 1-6. Il gesto arcaico di forare l'orecchio dello schiavo simboleggiava il legame legittimo e definitivo dello schiavo con la casa del padrone. Non si trattava di un gesto infamante e crudele, ma di un atto che conferiva a questo israelita schiavo, che aveva optato per rimanere al servizio del suo padrone, il particolare statuto giuridico di «schiavo perpetuo».
Il versetto 18 rappresenta un ulteriore esortazione ricordando a colui che doveva liberare lo schiavo che esso aveva prestato la sua opera presso di lui ad un prezzo molto ridotto, la metà della paga di un bracciante.

I primogeniti degli animali

19 . Consacrerai all'Eterno, il tuo DIO, tutti i primogeniti maschi che nasceranno dalla tua mandria e dal tuo gregge. Non farai alcun lavoro con il primogenito della tua vacca e non toserai il primogenito della tua pecora.

20 . Li mangerai ogni anno, tu e la tua famiglia, davanti all'Eterno, il tuo DIO, nel luogo che l'Eterno ha scelto.

21 . Ma se l'animale ha qualche difetto, se è zoppo, cieco, o ha qualche altro grave difetto, non lo sacrificherai all'Eterno, il tuo DIO.

22 . lo mangerai entro le tue porte; l'impuro e il puro lo possono ugualmente mangiare, come se fosse una gazzella o un cervo.

23 . Ma non ne mangerai il sangue; lo verserai per terra come l'acqua.

Qui abbiamo nuovamente delle disposizioni che riguardavano i primogeniti nati dalla mandria e dal gregge. Abbiamo già esaminato precedentemente questa disposizione al cap. 12 versetto 6 . La novità ora, rispetto ai primogeniti di questi animali che dovevano essere sacrificati nel santuario centrale, è che essi non dovevano avere dei difetti, come, ad esempio, essere ciechi, zoppi, od avere altre gravi menomazioni. In tal caso l'animale poteva essere mangiato a casa e di esso si poteva cibare sia il puro che l'impuro, come avveniva quando si mangiava della carne di animali comuni, considerati puri, ma non destinati al sacrificio (gazzella, cervo, ecc.). L'unica disposizione che rimaneva sempre valida era quella naturalmente di non cibarsi del loro sangue, ma di versarlo per terra come si faceva per l'acqua, per il fatto che nel sangue si riteneva che risiedesse la vita.

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Capitolo 16
La Pasqua

1. Osserva il mese di Abib e celebra la Pasqua in onore dell'Eterno, il tuo DIO, perché nel mese di Abib, l'Eterno, il tuo Dio, ti fece uscire dall'Egitto, durante la notte.

2. Immolerai perciò la Pasqua dell'Eterno, il tuo Dio, con animali presi dal gregge e dalla mandria, nel luogo che l'Eterno ha scelto per farvi dimorare il suo nome.

3. Non mangerai con essa pane lievitato; per sette giorni mangerai con essa pane azzimo (poiché uscisti in fretta dal paese d'Egitto), affinché ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d'Egitto tutti i giorni della tua vita.

4. Non vedrai lievito presso di te, entro i tuoi confini, per sette giorni; e non rimarrà nulla della carne che hai immolato la sera del primo giorno per tutta la notte fino al mattino.

5. Non potrai immolare la Pasqua in una qualsiasi città che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà,

6. ma immolerai la Pasqua solamente nel luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto per farvi dimorare il suo nome; la immolerai la sera, al tramontare del sole, nell'ora in cui uscisti dall'Egitto.

7. Farai cuocere la vittima e la mangerai nel luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto; e al mattino te ne potrai andare e rientrare alle tue tende.

8. Per sei giorno mangerai pane senza lievito; e il settimo giorno vi sarà una assemblea solenne in onore dell'Eterno, il tuo DIO; non farai in esso alcun lavoro.

I l mese Abib, citato nel primo versetto, ci offre l'occasione per parlare del calendario ebraico basato sui cicli lunari. All'inizio il calendario ebraico si basava sull'anno agricolo cananeo, come viene provato dal cosiddetto calendario di Ghezer, ritrovato negli scavi archeologici in questa località. Si tratta di una piccola lastra di argilla che comincia con il «mese del raccolto» e termina con il «mese dei frutti d'estate». Questo reperto è databile verso il 925 a.C. ed è il più antico scritto ebraico non biblico. I più antichi nomi dei mesi contenuti nell'A.T. risalgono a questo calendario e sembrano avere il significato di fenomeni agricoli. Così ad esempio Abib detto «mese delle spighe mature», che corrisponde al nostro marzo-aprile lo troviamo, oltre che in Dt 16, 1, anche in Es 13, 4; 23, 15; 34, 18; Ziv  detto il «mese dei fiori», che corrisponde ad aprile-maggio, lo troviamo in 1 Re 6, 1; Ethanim , che corrisponde a settembre-ottobre, lo troviamo in 1 Re 8, 2; Bul , che corrisponde a ottobre-novembre, lo troviamo in 1 Re 6, 38.

Nel periodo dell'esilio gli Ebrei vennero a conoscenza del calendario babilonese che adottarono, sostituendo nel periodo postesilico gli antichi nomi dei mesi del calendario cananeo con i nuovi nomi babilonesi (Ne 2, 1; Est 3, 7). Così il mese di Abib divenne Nisan (marzo-aprile); il mese di Ziv divenne Iyyar (aprile maggio); Sah divenne Ab (luglio-agosto); Ethanim divenne Tishri (settembre-ottobre); Bul divenne Marheshwan (ottobre-novembre).

Nella colonia ebraica di Elefantina in Egitto questo calendario babilonese era già in uso nel V sec. a.C.:

1. Nisan (Abib) = marzo-aprile
2. Iyyar (Ziv) = aprile-maggio
3. Sivam = maggio-giugno
4. Tammuz = giugno-luglio
5. Ab (Sah) = luglio-agosto
6. Elul = agosto-settembre
7. Tishri (Ethanim) = settembre-ottobre
8. Marheshwan (Bul) = ottobre-novembre
9.  Kislew = novembre-dicembre
10. Tebet = dicembre-gennaio
11. Sebat = gennaio-febbraio
12. Adar = febbraio-marzo

In questo calendario l'anno cominciava in primavera col primo del mese di Nisan, mentre nell'antico calendario ebraico il capo d'anno cadeva in autunno (il primo giorno di Tishri). Al principio dell'era cristiana i Giudei osservavano ambedue i giorni, il 1° di Nisan come inizio dell'anno liturgico ed il 1° Tishri come inizio dell'anno civile.

Della Pasqua ci parla in maniera più dettagliata il libro dell'Esodo (12, 1-18). E' utile leggere il brano dell'Esodo per poter fare un confronto con il Deuteronomio e vedere le eventuali novità introdotte da questo libro. La festa della Pasqua affonda le sue radici in una celebrazione che risale al periodo in cui il popolo ebraico risiedeva ancora in Egitto e di cui troviamo un cenno in Es 5, 1. Questi pellegrinaggi nel deserto erano delle feste comunitarie celebrate in data fissa nei luoghi santi. La festa che Mosè vuole andare a celebrare nel deserto e che, in seguito agli avvenimenti dell'esodo, sarà caricata di un senso nuovo, molto probabilmente era legata con il sacrificio che i pastori nomadi o seminomadi offrivano in primavera per la protezione dei loro greggi (Es 5, 3).

L'etimologia della Parola Pasqua (ebr. pesah) è sconosciuta. Essa è legata al verbo pasah (saltare, passare oltre, risparmiare) che troviamo in Es 12, 13.27. La celebrazione dei pastori nomadi, di cui abbiamo visto in Es 5, 1, in Israele riceve un nuovo significato, diventa il memoriale di un avvenimento storico in cui il popolo ha riconosciuto un atto salvifico di Dio, che lo ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. La festa della Pasqua ha una sua prima evoluzione nel rituale, come vedremo, in Deuteronomio 16, passando da festa che veniva celebrata in famiglia a festa che doveva essere celebrata nel santuario centrale di Gerusalemme. Nel cristianesimo la speranza che la Pasqua israelita nutriva ha trovato il suo compimento e la sua realizzazione in Cristo, come scrive l'apostolo Paolo ai Corinzi (1 Co 5, 7-8; cfr Lc 22, 15-16).

Le novità introdotte dal Deuteronomio rispetto al libro dell'Esodo sono che la vittima dei sacrifici poteva anche essere anche presa, oltre che dal gregge, anche dalla mandria. Inoltre l'immolazione e la festa dovevano aver luogo nrel santuario centrale. La novità, infatti, introdotta dalla Pasqua celebrata sotto il regno di Giosia, dopo il ritrovamento del libro della legge, fu proprio la sua celebrazione nel tempio di Gerusalemme (2 Re 23, 21-23).

La festa annuale dei pani senza lievito (o azzimi) potrebbe essere stata originata da una festa rurale che si celebrava all'inizio della mietitura dell'orzo. Si trattava di un rito di rinnovamento, di inizio in cui si mangiava il pane fatto con il grano nuovo, non lievitato, cioè senza niente che provenisse dal vecchio raccolto. Adottando questa festa dopo la sua entrata in Canaan, Israele le ha voluto conferire un significato nuovo, collegandola con l'uscita dall'Egitto. Il rituale riportato in Es 12, 1-20 unisce la Pasqua e la festa dei pani azzimi; ma calendari liturgici più antichi non stabiliscono questo legame, come possiamo vedere in Es 23, 15 e 34, 18. Nel Deuteronomio si coglie invece l'intenzione di unificare queste due feste: la Pasqua ed il rito degli azzimi, spiegandole con le circostanze che caratterizzarono l'uscita dall'Egitto. Anche l'apostolo Paolo, come abbiamo visto in 1 Co 5, 7-8, collega le due festività, dando però ad esse un significato più elevato in quanto esse  trovano il proprio compimento e la propria realizzazione nella realtà superiore di Cristo, che le riassume entrambre, sia per la novità che Egli rappresenta rispetto al passato, sia per l'opera di liberazione dalla schiavitù del peccato, da Lui compiuta sulla croce.

La festa delle Settimane

9. Conterai sette settimane; inizia a contare sette settimane dal tempo che cominci a mietere il grano;

10. poi celebrerai la festa delle Settimane in onore dell'Eterno, il tuo DIO, mediante offerte volontarie da parte tua, che porterai nella misura che l'Eterno, il tuo DIO,ti benedice.

11. E gioirai davanti all'Eterno, il tuo DIO, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il Levita che è entro le tue porte, e lo straniero, e l'orfano e la vedova che sono in mezzo a te, nel luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto per farvi dimorare il suo nome.

12. Ti ricorderai che fosti schiavo in Egitto e avrai cura di mettere in pratica questi statuti.

Questa festa è una delle tre  feste di pellegrinaggio al santuario nazionale scelto da Jahvé (Es 23, 16-17; Dt 16, 16). Ordinariamente è chiamata «festa delle Settimane » (v. 10 e 16), perché si celebrava sette settimane dopo la Pasqua, sette settimane dopo aver mietuto il grano (Lv 23, 15-16). É pure detta festa del Raccolto (della Mietitura) e delle Primizie (Es 23, 16; Nm 28, 26). Il nome "Pentecoste " compare soltante nel periodo ellenistico e ci viene testimoniato dai libri deuterocanonici di Tobia e dei Maccabei (Tob 2, 1; 2 Mac 12, 31s). Esso trova il suo fondamento nei «cinquanta giorni » ( penth¢konta h¥me¢raj ) che dovevano essere contati a partire dal giorno seguente al sabato della festa della Pasqua (Lv 23, 16). Però anche in questa determinazione cronologica della festa delle Settimane o Pentecoste c'è stata una controversia nel giudaismo posteriore: i Sadducei contavano i cinquanta giorni partendo dal primo sabato dopo la festa di Pasqua, mentre i Farisei vedevano questo sabato nel primo giorno della Pasqua, il 15 di Nisan (o Abib), e iniziavano a contare i cinquanta giorno dai 15 di Nisan.

La festa era essenzialmente agricola ed aveva il significato di ringraziamento a Jahvè per la mietitura. Oltre alle «offerte volontarie », di cui si fa menzione al v. 10, si dovevano portare al santuario due pani cotti con lievito, quali primizie per Jahvé. Dovevano essere pani fermentati perché simboli del ringraziamento per il sostentamento quotidiano; per lo stesso motivo non saranno bruciati dal fuoco ma agitati davanti a Jahvé; erano per i sacerdoti, come pure i due agnelli del sacrificio pacifico. Inoltre come offerta del popolo venivano sacrificati sette agnelli senza difetto, un torello e due montoni come olocausto a Jahvé e quindi questi ultimi venivano bruciati col fuoco. Veniva anche sacrificato un capro come sacrificio espiatorio per i peccati del popolo e i due agnelli per il sacrificio pacifico (Lv 23, 17-20).

Era un giorno di molta allegria e di riposo assoluto. Veniva ricordato ad Israele che Jahvè, che lo aveva tratto dalla terra d'Egitto e portato in una terra fertile a ampia (Es 3, 8), era fedele alla sua promessa, dandogli ogni tipo di beni. Delle tre feste di pellegrinaggio, la Pentecoste era la meno importante. Durava soltanto un giorno. Durante questa festa si leggeva il libro di Rut, il capitolo 16 di Deuteronomio ed il capitolo 1 di Ezechiele. I pellegrini, giunti con le loro offerte a Gerusalemme, venivano accompagnati dai sacerdoti e dai leviti nel tempio dove offrivano i loro doni e ringraziavano, Dio recitanto le parole di Dt 26, 3-10.

Il collegamento di questa festa con la consegna della legge a Mosè sul Sinai risale al II° secolo d. C. Infatti né Filone né Giuseppe Flavio ne sono a conoscenza. Con la distruzione del tempio nell'anno 70 non poteva essere conservato il senso primitivo della festa. L'unione di questa festa con la consegna della legge sul Sinai si spiega facilmente. Pentecoste era per i Giudei la fine della Pasqua. Secondo l'Esodo (19, 1) gli Israeliti giunsero al Sinai il primo giorno del terzo mese dopo l'uscita dall'Egitto; la legge fu loro consegnata dopo pochi giorni e così arriviamo ai cinquanta giorni che intercorrono fra le due fese, quella della Pasqua e quella della Pentecoste. Celebrata perciò la Pasqua in ricordo dall'uscita dall'Egitto, era facile collegare la Pentecoste come la festa dell'alleanza in cui Dio consegnò al popolo la legge sul Sinai per mezzo di Mosè.

La Pentecoste riveste grande importanza anche nel Nuovo Testamente. Quello infatti fu il giorno in cui, secondo il libro degli Atti, lo Spirito Santo discese sugli apostoli ed ebbe inizio la prima comunità della Chiesa di Cristo.

La festa delle Capanne

13. Celebrerai la festa delle Capanne per sette giorni, dopo aver raccolto il prodotto della tua aia e del tuo strettoio;

14. e gioirai nella tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, e il Levita, lo straniero, l'orfano e la vedova che sono entro le tue porte.

15. Celebrerai una festa per sette giorni in onore dell'Eterno, il tuo DIO. nel luogo che l'Eterno ha scelto, perché l'Eterno, il tuo DIO, ti benedirà in tutto il tuo raccolto e in tutto il lavoro delle tue mani e tu sarai grandemente contento.

16. Trevolte all'anno ogni tuo maschio si presenterà davanti all'Eterno, il tuo DIO, nel luogo che egli ha scelto: nella festa dei pani azzimi, nella festa delle Settimane e nella festa delle Capanne; nessuno di essi si presenterà davanti all'Eterno a mani vuote.

17. Ma ognuno darà da parte sua secondo la benedizione che l'Eterno, il tuo DIO, ti ha dato.

Circa la festa della Capanne, detta anche dei tabernacoli perché si celebrava sotto le tende o meglio in capanne (sukkot), ce ne parla anche il libro del Levitico (23, 34-43) ed il libro dei Numeri (29, 12-39). Troviamo un accenno alla celebrazione della festa delle Capanne da parte di Salomone in 2 Cr 8, 12-13 e da parte degli esuli tornati da Babilonia nel libro di Esdra (3, 4) e di Nehemia (8, 13-17). Questa festa però non fu sempre celebrata allo stesso modo. All'inizio infatti fu stabilito che gli Israeliti celebrassero la festa della raccolta dei frutti alla fine dell'anno, cioè una volta terminati i lavori dei campi, e che in tale occasione si recassero al santuario (Lv 23, 16b -17; 34, 22b-23) per ringraziare l'Eterno con l'offerta di sacrifici per i frutti raccolti. In seguito gli israeliti celebrano queste festività, chiamate anche genericamente «feste di Jahvé», per sette giorni dal 15 a al 21 del settimo mese (Tishri). Nel primo dei sette giorni giorni, dopo aver preso del frutto di albero di ornamento: rami di palme, rami di folto fogliame e salici dei torrento, si riunivano alla presenza di Jahvè per offrire numerose vittime, oltre al sacrificio quotidiano. Era anche stabilito che ogni Israelita dovesse abitare in capanne, durante questi sette giorni del settimo mese, per ricordarsi della lunga marcia nel deserto.

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