2° DISCORSO DI MOSÈ ( 4, 44 - 28, 68)

Il codice deuteronomico (cc. 12-26 )

Le strutture della teocrazia
(ispettori e giudici - re - sacerdoti leviti - profeti ; 16, 18 - 18, 22)


INDICE

Capitolo 16, 18-20 : i giudici
Capitolo 16, 21-22 - 17, 1-7 : le pratiche idolatriche
Capitolo 17, 8-13 : vertenze difficili
Capitolo 17, 14-20 : il re, sua elezione e suoi doveri
Capitolo 18, 1-8 : la parte dovuta ai sacerdoti e ai leviti
Capitolo 18, 15-22 : Il profeta promesso ed i falsi profeti


Capitolo 16, 18-20

I Giudici

18. Costituirai dei giudici e dei magistrati nelle tue porte per ogni tua tribù, in tutte le città che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà; ed essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze.

19. Non pervertirai il diritto, non userai parzialità e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le parole dei giusti.

20. Seguirai interamente la giustizia, affinché tu viva e possieda il paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà.

Nel Deuteronomio troviamo spesso delle ripetizioni. Così il v. 18 ci rimanda al brano 1, 9-18, relativo all'istituzione dei capi tribù, che svolgevano anche funzioni di giudice (1, 16-18). Molto probabilmente all'inizio la funzione di giudice era svolta dagli stessi capi tribù, ma ciò non esclude che in seguito si sia formata una vera e propria classe di magistrati, come lascia presupporre il v. 18: «Costituirai del giudici e dei magistrati ... ». Come nei versetti 18-19-20, si raccomanda vivamente di amministrare la giustizia con equità, senza parzialità, senza avere riguardi personali e soprattutto senza accettare regali che avrebbero potuto influenzare il giudizio a favore dei donatori e quindi pervertire la giustizia. In 1 Sm 8, 3 abbiamo l'esempio dei figli di Samuele che « non seguivano le sue orme, ma si lasciavano sviare da guadagni illeciti, accettavano regali e pervertivano la giustizia ». La disposizione di amministrare la giustizia con equità, soprattutto nei confronti dei più deboli (« i poveri »), era molto vecchia e faceva già parte dell'antico codice israelitico (Lv 19, 15). Il senso della giustizia era molto elevato. In Es 23, 1-3, infatti, si raccomanda, non solo di non favorire l'empio nel giudizio, schierandosi con la maggioranza, ma addirittura anche di non eccedere in senso contrario, favorendo il povero nel suo processo, spinti magari da un esagerato spirito umanitario.

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Capitolo 16, 21-22 - 17, 1-7

Pratiche idolatriche

21. Non erigerai per te nessuna Ascerah di alcuna specie di legno accanto all'altare che costruirai all'Eterno, il tuo DIO;

22. e non erigerai alcuna colonna sacra, che l'Eterno, il tuo DIO, odia.

17 ,1. Non immolerai all'Eterno, il tuo DIO, bue o pecora o capra che abbia alcun difetto o deformità, perché sarebbe cosa abominevole per l'Eterno, il tuo DIO.

2. Se si trova in mezzo a te, in una delle città che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà, un uomo o una donna che faccia ciò che è male agli occhi dell'Eterno, il tuo DIO, trasgredendo il suo patto,

3. e che vada a servire altri dèi e si prostri davanti a loro, davanti al sole o alla luna o a tutto l'esercito del cielo, cosa che io non ho comandato,

4. e ti è stato riferito e ne hai sentito parlare, allora investiga diligentemente; e se è vero e certo che tale abominazione è stata commessa in Israele,

5. farai condurre alle porte della tua città quell'uomo o quella donna che ha commesso quell'azione malvagia, e lapiderai con pietre quell'uomo o quella donna; così moriranno.

6. Colui che deve morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; ma non sarà messo a morte sulla deposizione di un solo testimone.

7. La mano dei testimoni sarà la prima a levarsi contro di lui per farlo morire; poi seguirà la mano di tutto il popolo; così estirperai il male di mezzo a te.

Il discorso sui giudici si interrompe bruscamente per introdurre alcune disposizioni relative alle pratiche idolatriche. Disposizioni che ci sono ormai familiari perché le abbiamo incontrate nei precedenti capitoli del Deuteronomio, che abbiamo precedentemente esaminato (Dt 7, 5; 12, 3). In quell'occasione abbiamo anche parlato della dea Ascerah la divinità cananea della guerra e del sesso.

Nel versetto 1 del capitolo 17 viene nuovamente ribadita la disposizione riguardante l'integrità fisica degli animali destinati ai sacrifici, che non dovevano avere alcun difetto o deformità. Qui viene ripetuto sostanzialmente quanto era già stato detto in Dt 15, 21.

Dal v. 2 al v. 7 si parla delle deviazioni idolatriche introdotte da qualcuno del popolo, sia esso uomo o donna. Anche qui viene ripetuto sostanzialmente quanto già detto in Dt 13, 6-11 ed in modo particolare nei versetti 12-18. Quella persona deve essere lapidata e la città distrutta. L'unica novità introdotta nei vv. 6-7 è che il colpevole poteva essere condannato alla lapidazione soltanto sulla base della testimonianza di due o tre persona e non su quella di un solo testimonio. I testimoni avrebbero scagliato per primi le pietre e poi sarebbero stati seguiti da tutto il popolo.

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Capitolo 17, 8-13

Disposizioni per vertenze difficili

8. Se sorge un caso che è troppo difficile per te da giudicare, tra omicidio e omicidio, tra una causa e l'altra, tra un ferimento e l'altro, casi di disputa entro le tue porte, ti leverai e salirai al luogo che l'Eterno, il tuo DIO, ha scelto;

9. e andrai dai sacerdoti levitici e dal giudice in carica a quel tempo e li consulterai; essi allora pronunceranno la sentenza di giudizio;

10. e tu ti atterrai alla sentenza che essi ti hanno indicato nel luogo che l'Eterno ha scelto, e avrai cura di fare tutto ciò che ti hanno insegnato.

11. Ti atterrai alla legge che ti hanno insegnato e al giudizio che ti hanno dichiarato; non devierai dalla sentenza che ti hanno indicato, né a destra né a sinistra.

12. Ma l'uomo che agirà con presunzione a non darà ascolto al sacerdote che sta là per servire l'Eterno, il tuo DIO, o al giudice, quell'uomo morirà; così toglierai il male da Israele:

13. così tutto il popolo verrà a saperlo, ne avrà timore e non agirà più con presunzione.

Dal v. 8 al v. 13 vengono date delle disposizioni per i casi difficili che esulano dalle competenze locali. Anche in Dt 1, 17b, quando Mosè stesso istituisce i capi tribù, che dovevano svolgere anche mansioni di giudice, c'è un riferimento ai casi difficili. Allora i casi difficili dovevano essere presentati direttamente a Mosè. Ma le disposizioni che vengono date in Dt 17, 8-13 riguardavano un tempo in cui Mosè non poteva essere presente ed era quindi necessario che le sue competenze continuassero ad esse svolte dai « sacerdoti leviti », suoi collaboratori fin dall'inizio. In pratica i sacerdoti leviti furono i continuatori dell'opera di Mosè, anche in campo legislativo. Essi apportarono infatti alla legge tutte quelle modifiche e quegli adattamenti, resi necessari dalle nuove circostanze. Mosè muore proprio nel momento in cui gli Ebrei stavano per entrare in Palestina, dove, da popolo essenzialmente nomade, sarebbero divenuti un popolo stanziale. È veramente ingenuo pensare che le stesse leggi che governavano un popolo nomade potessero essere sempre valide anche nella nuova situazione in cui si era venuto a trovare il popolo di Dio dopo il suo insediamento nel territorio palestinese. Pur mantenendo intatta l’impostazione generale data da Mosè fin dall’inizio, si rendeva necessario riconsiderare continuamente la legislazione per adattarla alle nuove circostanze.

Ora questo lavoro di adattamento era un compito che fu svolto principalmente e con autorità dalla classe
dei leviti i quali, convivendo tra le varie tribù, avevano il compito di insegnare al popolo la legge e la sua
applicazione alle situazioni concrete della vita.

Questa idea non appare del tutto campata in aria se consideriamo il ruolo di continuazione dell’attività
mediatrice di Mosè che i leviti hanno esercitato dopo la morte del grande legislatore. In Dt 33, 10, nelle
benedizioni impartite alle dodici tribù, a loro viene riconosciuto il compito di insegnare la legge ed i
decreti al popolo ebraico. In Dt 31, 9-13 Mosè consegna la legge da lui scritta ai leviti con l’incarico di
leggerla pubblicamente in occasione della festa per il rinnovo dell’alleanza. In Dt 27, 9 i leviti appaiono
associati a Mosè nell’esortare il popolo ad essere fedele a Dio.

Mosè ebbe senz’altro un ruolo di iniziatore nell’insegnamento della legge dell’alleanza, ma dopo di lui
furono i leviti a portare avanti il suo ufficio vegliando attivamente sulla trasmissione di quel patrimonio che
lui stesso aveva lasciato al popolo.

Chiarito quanto sopra, vediamo di esaminare il testo. Il v. 9 ci parla di « casi di disputa entro le tue porte». La formula, molto generica, indica una causa difficile da giudicare, proprio perché non corrisponde esattamente ad alcuno dei casi previsti dalla legge, per es. dal codice penale di Es 21, 12 - 22, 16. L'istituzione di un tribunale supremo, le cui decisioni hanno valore di giurisprudenza, è una delle misure che accompagnano la centralizzazione del culto e il raduno di tutto il clero nel santuario centrale. La legge dell'unico santuario, difesa in modo rigoroso da un certo numero di passi del Deuteronomio (Dt 12; 14, 22-29; 15, 19-23; 16; 17, 8-13), ma sconosciuta a quanto pare ad altri testi dello stesso libro, è all'origine della gloria di cui godette il tempio di Gerusalemme. E' possibile tuttavia che nella sua primitiva redazione questa legge abbia riguardato un altro santuario, quello di Sichem (Dt 11, 30; cf Gs 8, 30-35) o di Silo (Gr 7, 12). Celebrare il culto in un solo luogo, equivale ad affermare che il Signore è « uno» (6, 4) (1) inoltre sottrae la religione alle influenze e ai costumi pagani, che potevano sopravvivere nei santuari cananei, diventati poi del Dio di Israele. Ciò manifesta infine l'unità del popolo al servizio del Signore.

L'attività di questo tribunale supremo è attesta dopo l'esilio da 2 Cr 19, 10-11. Le sue competenze saranno più tardi esercitate dal « gran sinedrio» presieduto dal sommo sacerdote (cfr Mc 14, 53-64; At 22, 5), mentre esistono « piccoli sinedri» nelle comunità locali (cfr Mt 10, 17: Mc 13, 9)

I « sacerdoti levitici» del v. 9 è l'appellativo caratteristico con il quale viene designato il clero che officia nel santuario centrale (cf 17, 18; 18, 1; 24, 8; ; 27, 9) e lo distingue dagli altri leviti sparsi nel paese (cf 12, 12.18; 18, 6; ecc.) che hanno rinunciato al loro diritto di farne parte (18, 6-8). Il « giudice» (ricordato accanto ai sacerdoti) è uno di loro, incaricato in modo particolare di questa funzione. oppure un magistrato appartenente al corpo dei giudici, stabilito dal re (16, 18-20).

« li consulterai»: l'assenza di ulteriori precisazioni intorno a chi bisogna consultare lascia capire che, attraverso i sacerdoti, è Dio stesso ad essere consultato per conoscere la sua volontà nella questione

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Capitolo 17, 14-20

Il re: sua elezione e suoi doveri

14. Quando entrerai nel paese che L'Eterno, il tuo DIO, ti dà e ne prenderai possesso e l'abiterai, se dici: "Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi circondano",

15. dovrai costituire sopra di te il re che l'Eterno, il tuo DIO, sceglierà. Costituirai sopra di te un re scelto fra i tuoi fratelli; non potrai costituire sopra di te uno straniero che non sia tuo fratello.

16. Ma egli non deve procurarsi un gran numero di cavalli, né deve far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, poiché l'Eterno vi ha detto: "Non ritornerete più per quella via".

17. Non deve procurarsi un gran numero di mogli, affinché il suo cuore non si svii; e non deve accumulare per se stesso una grande quantità di argento e d'oro.

18. Inoltre, quando siederà sul trono del suo regno, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo l'esemplare dei sacerdoti levitici.

19. La terrà presso di sé e la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere l'Eterno, il suo DIO, e a mettere in pratica tutte le parole di questa legge e di questi statuti,

20. perché il suo cuore non si innalzi sopra i suoi fratelli ed egli non devii da questo comandamento né a destra né a sinistra, e prolunghi così i suoi giorni nel suo regno, lui e i suoi figli, in mezzo a Israele.

Il v. 14 mostra chiaramente che l'autore è a conoscenza della richiesta che venne a suo tempo inoltrata dal popolo a Samuele (1 Sm 8, 4-20) di avere un re come tutte le nazioni che lo circondavano. Inoltre la reticenza di tutto questo brano circa la monarchia evidenzia come già l'autore fosse a conoscenza dei rischi in cui sono incorsi i re ebraici: potenza, ricchezza, orgoglio. Occorre tuttavia osservare  che la monarchia, presentata qui come risposta ad una richiesta del popolo, è fondata sul fatto che è Dio stesso ad eleggere il re, così come l'esistenza stessa di Israele si basa sulla sua elezione (4, 32-38). D'altra parte il re beneficia della promessa di perennità fatta all'intero popolo, se però anch'egli resta fedele alla legge. Ciò equivale a dire che il re è del tutto solidale con il suo popolo e che lui pure è al servizio di Dio come ogni altro membro della comunità ebraica.

Nel versetto 18 la Nuova Diodati usando l'espressione «una copia di questa legge» ha tradotto correttamente la corrispondente espressione ebraica. Non altrettanto è avvenuto nella traduzione greca dei LXX che ha erroneamente reso la stessa espressione con «la seconda legge », dando così il titolo all'intero libro (Deuteronomio). In realtà questo libro non è una nuova legge (la seconda), bensì un adattamento della legge accompagnato da un commentario.

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Capitolo 18, 1-8

La parte dovuta ai sacerdoti e ai leviti

1. I sacerdoti levitici, tutta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifici fatti col fuoco, la sua eredità.

2. Non avranno alcuna eredità tra i loro fratelli; poiché l'Eterno è la loro eredità, come ha detto loro.

3. Questo è ciò che è dovuto al sacerdote da parte del popolo, da quelli che offrono un sacrificio, sia esso un bue o una pecora o capra; essi daranno al sacerdote la spalla, le mascelle e lo stomaco.

4. Gli darai le primizie del tuo frumento, del tuo mosto e del tuo olio, e le primizie della tosatura delle tue pecore;

5. poiché l'Eterno, il tuo DIO, lo ha scelto fra tutte le tue tribù, per compiere il servizio nel nome dell'Eterno, lui e i suoi figli per sempre.

6. Or se un Levita. proveniente da una delle tue città dell'intero Israele, dove egli risiedeva, viene con tutto il desiderio del suo cuore al luogo che l'Eterno ha scelto,

7. allora egli potrà servire nel nome dell'Eterno. il suo DIO, come tutti i suoi fratelli Leviti che stanno là davanti all'Eterno.

8. Essi riceveranno per il loro sostentamento parti uguali, oltre al ricavato della vendita del suo patrimonio.

Già in  Dt 10, 8-9 viene detto che la tribù di Levi doveva essere separata da tutte le altre tribù e quindi consacrata per portare l'arca del patto, per stare davanti all'Eterno per servirlo e per benedire nel suo nome gli altri Israeliti. Perciò i leviti, a differenza di tutte le altre tribù, non ebbero né parte né eredità nel paese in cui entreranno, ma l'Eterno stesso era la loro eredità.

Nel libro del Levitico in particolare ci viene descritta l'immagine del sacerdote israelita, ma tale immagine è il risultato di un'evoluzione di più secoli, durante i quali si sono manifestati diversi influssi religiosi, morali, sociali e politici.
All'inizio la funzione sacerdotale di mediazione fra Dio e l'uomo non era esercitata esclusivamente da una classe particolare. I patriarchi, infatti, come capifamiglia, offrivano essi stessi i loro sacrifici a Dio. Tuttavia presso certi luoghi di culto speciali (Silo e Dan) vennero stabilite delle famiglie sacerdotali con l'incarico di assicurare il servizio del santuario, custodendone la tradizioni. Davide trovò a Gerusalemme una famiglia sacerdotale (quella di Tsadok) che si ricollega forse con Melchisedec, il re-sacerdote del tempo patriarcale.
L'importanza acquisita da Gerusalemme vi attirò numerosi sacerdoti di altri santuari; d'altra parte essi furono poi obbligati a recarvisi quando Giosia accentrò a Gerusalemme tutto il culto israelitico, anche se questa riforma non mancò di creare tensioni fra i nuovi venuti ed il clero di Gerusalemme.
All'epoca di Salomone due famiglie sacerdotali presero a lottare fra loro per il predominio, quella Abiathar e quella di Tsadok. La contesa fra le due famiglia sacerdotali prese spunto dalla successione al trono di Davide. Mentre Abiathar sosteneva Adonijah, Tsadok era favorevole all'ascesa al trono di Salomone (1 Re 1, 7.8). Tsadok finì per prevalere escludendo quasi completamente Abiathar (1 Re 2, 26-27).
Con l'esilio babilonese queste contese cessarono e i due gruppi vennero ricollegati entrambi per via genealogica ad Aronne. Costui, membro della tribù di Levi, fu considerato come il primo «sommo sacerdote », che stava all'origine quindi di ogni sacerdozio ( 1 Cr 24, 1-6).
Dopo il ritorno dall'esilio (538 a.C.), scomparsa ormai la monarchia, fu il sacerdozio a prendere in mano il destino del popolo ebraico. Colui al quale si diede poi il nome di « sommo sacerdote » occupò pertanto, un poco alla volta, una funzione equivalente a quella del re. Infatti portava insegne regali (Lv 8, 9; Es 29, 6) ed era unto con l'olio (Lv 8, 12; Es 29, 7), proprio come lo erano i re prima dell'esilio. Con Aristobulo I (104-103 a.C.), esponente della dinastia asmonea, quello che era stato fino ad allora soltanto implicito, divenne esplicito: il « sommo sacerdote» ebbe anche il titolo di re.
In tutta questa evoluzione ciò che rimase sempre inalterato è la caratteristica principale del sacerdote e cioè quella di mediatore. Introdotto dalla sua consacrazione nella sfera del sacro, il sacerdote era abilitato a svolgere il ruolo di intermediario autorizzato tra Dio e l'uomo.

I versetti 3 e 4 ci danno un elenco delle parti spettanti ai sacerdoti nei sacrifici, ma tale elenco differisce da quello della legislazione « sacerdotale» che attribuisce ai sacerdoti il petto e la coscia destra (Lv 7, 31-34; 10, 14; Nm 6, 20; 18, 18-19)

In Dt 18, 6-8 abbiamo una nuova misura di equità a favore dei discendenti di Levi, che, privi di patrimonio, erano costretti a vivere della pubblica generosità. Essi tuttavia, nessuno escluso, avevano il diritto di accedere al santuario centrale per celebrarvi gli uffici e partecipare di quanto loro spettava dei sacrifici, in parti uguali con il clero che si trovava già nel tempio di Gerusalemme. Non sembra che questo diritto, sancito dal Deuteronomio, sia stato sempre rispettato. 2 Re 23, 8-9 lascia intendere che i nuovi arrivati dovettero accontentarsi di una condizione inferiore, non potendo godere delle prerogative del sacerdozio ufficiale. Alla fine del versetto 8 si parla  del ricavato della vendita del patrimonio. Poiché i Leviti non avevano né parte né eredità, dobbiamo pensare che si trattava di un patrimonio costituito per lo più da beni mobili, il cui ricavato rimaneva nelle loro mani, oltre alla parte loro spettante per l'ufficio di sacerdote.

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Capitolo 18, 9-14

Proibizione di pratiche pagane (sacrifici umani, magia, spiritismo, occultismo)

9. Quando entrerai nel paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà, non imparerai a seguire le abominazioni di quelle nazioni.

10. Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco, né chi pratichi la divinazione, né indovino, né chi interpreta presagi, né chi pratica la magia,

11. né chi usa incantesimo, né un medium che consulta gli spiriti, né uno stregone, né chi evoca i morti,

12. perché tutti quelli che fanno tali cose sono in abominio all'Eterno; e a motivo di queste abominazioni, l'Eterno, il tuo DIO, sta per scacciarli davanti a te.

13. Tu sarai integro davanti all'Eterno, il tuo DIO;

14. poiché quelle nazioni, che tu scaccerai, hanno dato ascolto a indovini e a maghi; ma, quanto a te, l'Eterno, il tuo DIO, non ha permesso che tu faccia così.

I n questo brano abbiamo delle prescrizioni che proibiscono tassativamente certe usanze pagane particolarmente abominevoli, che venivano regolarmente praticate dai popoli abitanti nel paese nel quale Israele si accingeva ad entrare. Tale prescrizione l'abbiamo già trovata nel capitolo 12 da versetto 29 al 31. In tale occasione si raccomanda al popolo di non seguire l'esempio dei popoli pagani che avrebbe trovato nel paese che stava per occupare, perché questi popoli si erano macchiati di pratiche idolatriche particolarmente abominevoli, come ad esempio quella di immolare nel fuoco i propri figli in onore dei propri dèi. In Lv 18, 21 si parla di discendenti offerti al dio Molek. Molek o Molok, a volte identificato con Milkom, è una divinità semitica a cui nella Fenicia ed in altri paesi circonvicini venivano offerti sacrifici di bambini, che erano fatti passare attraverso il fuoco. Gli Ammoniti onoravano Molek come un padre protettore. Il culto a Molek era severamente proibito agli Ebrei, come abbiamo già visto in Dt 18, 10 e come viene anche ribadito il Lv 18, 21 e 20, 1-5. Nonostante ciò Salomone costruì un altare a Molek vicino a Gerusalemme, e precisamente a Tofet nella valle di Hinnom (1 Re 11, 7), che rimase nella memoria del popolo come un luogo particolarmente abominevole (1 Re 11, 7). Vari profeti denunciarono fortemente la pratica abominevole di far passare i propri figli attraverso il fuoco (Gr 7, 29-34; Ez 16, 20-22; 23, 37-39). Dopo parecchi anni Stefano, nel rievocare la storia ebraica, ricorda ancora le infedeltà di Israele con il dio Molok (At 7, 43).

L'elenco delle cose abominevoli dalle quali gli Ebrei dovevano astenersi continua con la divinazione, gli indovini, gli interpreti di presagi, la pratica della magia e degli incantesimi, i medium che consultano gli spiriti, gli stregoni e tutti coloro che evocano i morti. Si tratta di un insieme di pratiche relative alla magia, allo spiritismo e all'occultismo di cui si era già precedentemente occupato anche il libro del Levitico (19,  31; 20, 6.27). Anche i profeti non hanno mancato di stigmatizzare queste pratiche (Is 8, 19).

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Capitolo 18, 15-22

Il profeta promesso ed i falsi profeti

15. L'Eterno, il tuo DIO, susciterà per te un profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli; a lui darete ascolto,

16. in base a tutto ciò che chiedesti all'Eterno, il tuo DIO, in Horeb, il giorno dell'assemblea, quando dicesti: "Che io non oda più la voce dell'Eterno, il mio DIO, e non veda più questo gran fuoco, perché non muoia".

17. E l'Eterno mi disse: "Ciò che hanno detto, va bene";

18. io susciterò per loro un profeta come te di mezzo ai loro fratelli e porrò le mie parole nella sua bocca, ed egli dirà loro tutto ciò che io gli comanderò.

19. E avverrà che se qualcuno non ascolterà le parole che egli dice in mio nome, io gliene domanderò conto.

20. Ma il profeta che ha la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire o che parla in nome di altri dèi, quel profeta sarà messo a morte.

21. E se ti dici in cuor tuo: "Come faremo a riconoscere la parola che l'Eterno non ha proferito?"

22. Quando il profeta parla in nome dell'Eterno e la cosa non si avvera, quella è una cosa che l'Eterno non ha proferito; l'ha detta il profeta per presunzione; non aver paura di lui.

In questo brano si sollevano due questioni: quella del nuovo profeta che verrà dopo Mosè, pari a lui, al quale Dio porrà le sue parole in bocca e che bisogna ascoltare; e quella dei falsi profeti che saranno giudicati in base al verificarsi degli eventi che essi profeteranno.

Mosè viene considerato come il primo dei profeti. Dt 34,10, però, sembra contraddire quanto viene detto qui. La tradizione posteriore ha, infatti, costantemente oscillato tra l'affermare il carattere unico di Mosè, a cui sembrerebbe alludere anche Nm 12, 6-7, ed il ricollegare a lui gli uomini di Dio delle successive generazioni. Il giudaismo posteriore, leggendo il passo in senso più circoscritto, vi ha scorto l'annunzio di un profeta eccezionale, identificato talvolta con il Messia. Questa tradizione affiora nelle risposte date dalla folla all'identità di Gesù (Gv 1, 21; 6, 14; 7, 40). Sembrerebbe alludere a questo passo anche Gv 5, 46. La primitiva predicazione cristiana comunque considera esplicitamente Gesù come il profeta annunziato da Mosè in Dt 18, 15.18-19.

La seconda parte del brano presenta il problema di distinguere i veri profeti da quelli falsi. Il criterio che viene però qui dato (= la realizzazione delle profezie) risulta da solo insufficiente. E' infatti meno decisivo di quello a cui allude Dt 13, 3-6 che è dato dal contenuto del messaggio profetico e dalla sua coerenza con l'azione e la parola di Dio. Il profeta accompagna spesso il suo messaggio con un segno miracoloso che serve ad autenticarne l'origine divina; così infatti fecero Mosè (Es 4, 30-31), Elia (1 Re 18, 36-39); Isaia (Is 7, 14). La stessa cosa avviene per i miracoli di Gesù (Mt 9, 6-7; Gv 10, 37-38). Ma anche un falso profeta è capace di offrire alcuni segni, come fecero a suo tempo i maghi del faraone (Es 7, 11). Il Nuovo Testamento, più volte e in più occasioni, mette in guardia contro la seduzione di prodigi compiuti dai falsi cristi o dai falsi profeti (Mt 24, 24; At 8, 11) o da Satana stesso (2 Te 2, 9; Ap 13, 13), che distolgono dalla verità per indurre nell'errore coloro che li ascoltano. Quindi il vero criterio per riconoscere l'autenticità di un profeta è anzitutto il contenuto del suo messaggio.

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NOTE A MARGINE
1. IL versetto 6, 4 è la prima frase della professione di fede, fatta tradizionalmente da Israele e denominata nella prima parola Shemah («ascolta»). Per sottolineare l'importanza di questo versetto, i manoscritti ebraici ne hanno scritto l'inizio e la fine a caratteri più grandi. La formula « il Signore è uno solo» vuole anzitutto affermare che il Dio di Israele non può essere diviso, come potrebbero lasciar credere le immagini ed i molteplici santuari contro i quali lottava giustamente il Deuteronomio (12, 2-12). torna al testo