«NON LA CONOBBE FINCHÉ . . . »
(Mt 1, 25)


INDICE
Introduzione
I. «E non la conosceva . . .»
a) conoscenza intellettuale
b) il «conoscere» biblico
II. Il «finché» nelle'esegesi patristica e moderna
a) storia dell'esegesi
b) una traduzione recente
III. V'è un finché precisivo?
A. Due errori di tradizione
a) Genesi 8, 7
b) Esodo 15, 16
B. «Fino alla morte . . . »
a) Fino alla morte individuale
b) Fino alla scomparsa (morte) degli avversari
c) Fino alla fine del mondo
C. «Fino ad oggi»
a) Antico Testamento
b) Nuovo Testamento
D. Fino ad un certo momento del passato
a) frase principale positiva
b) frase principale negativa
E. Le supposte eccezioni
a) frase principale affermativa
b) frase principale negativa
VI. La psicologia del passo


La finale del primo capitolo di Matteo ha suscitato aspre polemiche nel corso dei secoli a motivo della sua connessione con il problema della perpetua verginità di Maria. Questa finale alla lettera così suona: « E (Giuseppe) non la (Maria) conosceva(1) fino a che ella partorì un figlio(2) , e chiamò il suo nome Gesù(3) ».

Generalmente gli esegeti cattolici – seguiti anche da alcuni protestanti – affermano che la congiunzione «fino a che» (finché), riguardando solo il periodo precedente la nascita di Gesù, lascia completamente fuori visuale il tempo posteriore. Questo fenomeno si chiama senso «precisivo» della preposizione «finché», in quanto essa preciserebbe solo l’assenza di rapporti coniugali tra i due sposi nel periodo della gravidanza, «prescindendo» dal periodo successivo. Questa idea, ormai ritenuta un dato acquisito, va ripetendosi da scrittore a scrittore (sin dal tempo di Girolamo); i cattolici quasi si meravigliano al vedere l’esistenza di alcuni ritardatari che non hanno ancora capito tale senso della preposizione «finché». Per questo mancano studi recenti al riguardo, quasi che la questione fosse definitivamente risolta. Lo scrivente non è tuttavia di questo parere, per cui si permette di riesaminare tutto il problema per vedere se tale senso sia documentato.

Dopo un breve esame del verbo «conoscere», passerò a ricordare, sia pure sommariamente, le varie interpretazioni date alla preposizione «finché» ( greco eÁwj ); valuterò poi criticamente le ragioni addotte dai cattolici  per armonizzare il passo mattaico con il dogma della perpetua verginità di Maria, e da ultimo terminerò con un rapido accenno al senso di queste parole nel contesto del primo vangelo. Naturalmente il tutto sarà sviluppato in modo scientifico e non polemico, con l’intenzione di dare la migliore versione possibile del passo.

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I. «E non la conosceva . . .»

Il verbo «conoscere» è stato inteso in due modi dalla tradizione cristiana: conoscere la dignità di Maria, oppure conoscere Maria sessualmente.

a) Conoscenza intellettuale. – In questa interpretazione presentata al V secolo da Epifanio, tale versione non significherebbe, come usualmente presso gli Ebrei, «usare del matrimonio», bensì, come presso i greci, «conoscere intellettualmente» (4) .
Questa idea, rimasta isolata nella tradizione cristiana, fu ripresa dall’autore anonimo dell’ Opus imperfectum in Matthaeum(5) Recentemente tale ipotesi fu riesumata, sia pure con sfumatura diversa, da Maximo Peiñador, il quale, ritenendo che il pronome femminile «eam» (au¦th/n ) sia l’errata traduzione di un originale ebraico (od aramaico) neutro (= id latino), lo riferisce non a Maria bensì al precedente annunzio angelico. Così egli commenta il passo: « Giuseppe non ebbe la conoscenza sperimentale della verità annunciatagli dall’angelo se non dopo che vide Maria dare verginalmente alla luce il bimbo Gesù. In tale circostanza gli fu data la cognizione sperimentale che l’angelo aveva detto il vero» (6) .

Alla precedente ipotesi si possono muovere diverse obiezioni:

1. Anzitutto essa poggia sulla supposizione che il pronome eam in Mt 1, 25 sia un errore di traduzione, e questo senza alcun motivo plausibile. L’annuncio angelico è poi troppo lontano per essere richiamato dal pronome relativo eam (Mt 1, 20-21).

2. Il contesto parla di Giuseppe che introduce Maria nella sua casa, accettandola come sua legittima sposa; sembra quindi che tale parola non riguardi la «conoscenza» intellettuale di un prodigio divino avveratosi alla nascita di Gesù, di cui la Bibbia non parla, quanto piuttosto della temporanea sospensione dei rapporti coniugali quali di solito si compiono dopo le nozze.

3. Accogliendo Maria con sé, Giuseppe dà a vedere che «già conosceva» la verità del messaggio angelico, senza aver alcun bisogno della nascita di Gesù per esserne sicuro. La visione dell’angelo in sogno gli aveva già data la certezza che il futuro bimbo era frutto di miracoloso intervento divino, per cui non v’era alcuna necessità di un ulteriore segno.

4. La conoscenza «intellettuale» non si adegua alla mentalità semitica; il verbo conoscere (jadà c - ginw/skein nella Bibbia indica sempre una conoscenza sperimentale). Ora perché tale conoscenza potesse avverarsi si esigerebbe alla nascita di Gesù l’attuarsi di qualcosa di miracoloso, il quale avrebbe potuto favorire tale nuova conoscenza di Giuseppe. Questo fenomeno straordinario e fuori del comune, sperimentalmente constatabile, avrebbe confermato a Giuseppe la precedente miracolosa concezione di Maria, che lo sposo non poteva evidentemente constatare. Ma se tale fosse il senso della frase di Matteo, il primo vangelo avrebbe dovuto precisare in che cosa era consistito questo prodigio divino. Ma egli nulla dice della nascita di Gesù, lasciando supporre che essa si attuò secondo i canoni della normale nascita umana. Del resto anche una moderna concezione cattolica, non ancora condannata, ammette che la nascita di Gesù sia stata verginale, non perché ne sia stata miracolosamente evitata la rottura dell’imene (come la gran maggioranza dei teologi cattolici ammette), bensì per il solo fatto che essa, pur essendosi avverata nel medesimo modo di tutte le altre nascite umane, era frutto di concezione verginale (7) Se ciò è vero a che cosa si ridurrebbe la «prova sperimentale» capace di dare a Giuseppe la conoscenza speciale che il bimbo era frutto di concezione miracolosa e quindi il Messia predetto?

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b) Il «conoscere» biblico è qui sinonimo di «rapporti coniugali». – Spessissimo nella Bibbia il verbo «conoscere» è un eufemismo per designare i rapporti matrimoniali; viene usato non solo nel caso di due coniugi legittimi, in cui usualmente è il marito che conosce la sposa (Ge 4, 17.25; Nm 31, 17-35; Gdc 21, 12), ma anche nel caso di relazioni omosessuali (Ge 19, 5; Gdc 19, 22). Qualche volta anche della donna si dice che «conosce» l’uomo (8) .

Secondo il Dulac questo uso si riferirebbe al fatto che l’uomo nell’antichità veniva a «conoscere» il volto della moglie solo durante l’atto matrimoniale (cfr Gn 19, 25). Ma è forse meglio rifarsi al concetto biblico della conoscenza la quale non è mai una conoscenza astratta (propria dell’ideale greco), ma un rapporto di persona a persona, svolgentisi nella sfera dell’esperienza sensibile. Per il greco è tipica la distanza tra il conoscente e il suo oggetto; per l’ebreo invece è essenziale che il conoscere includa una relazione di vicinanza tra soggetto e oggetto. Ora tale conoscenza completa tra uomo e donna non si può mai effettuare appieno se non nel connubio coniugale. Di qui la terminologia biblica di «conoscere una donna» o di «conoscere un uomo»(9) .

Il rapporto dell’Assemblea anglicana di Lambeth (1958) ben descrive questa mutua «conoscenza» degli sposi quando afferma:

« Il rapporto sessuale non è l’unico linguaggio dell’amore terreno ma, nel suo uso pieno e giusto, ne è il linguaggio più intimo e rivelatore; ha la profondità di comunicazione espressa dalla parola biblica così spesso adoperata per indicare questo rapporto: conoscere. È un atto di dare e ricevere nell’unità di due spiriti liberi, che è in se stesso un bene (bell’ambito del vincolo matrimoniale) e che comunica questo bene a coloro che vi partecipano »(10) .

Il contesto mattaico ci obbliga a dare questo senso al «conoscere» di Giuseppe; dopo aver letto che egli condusse in casa Maria, prendendola con tale rito come sua moglie, Matteo precisa che i rapporti matrimoniali non vennero attuati subito, come sembrava cosa logica e naturale, ma furono evitati fino al momento della nascita di Gesù. Ma che significato bisogna dare alla congiunzione «finché»? Ecco il problema che dobbiamo toccare.

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II. Il «finché» nell’esegesi patristica e moderna

Dopo lunghe discussioni teologiche l’esegesi cattolica si va ora sempre più orientando verso una nuova traduzione, che meglio rispecchierebbe, a suo dire, il pensiero biblico.

a) Storia dell’esegesi. Il primo scrittore, che poggiando sul testo mattaico, sostenne la convivenza maritale di Giuseppe con Maria dopo la nascita di Gesù, fu un certo Elvidio, laico vissuto a Roma ai tempi di Damaso (366-384). Gli rispose in modo violento e focoso il presbitero Girolamo nel suo secondo soggiorno romano (382-385) con un trattato intitolato De perpetua virginitate Mariae adversus Helvidium(11) . Il fervente dalmata

faceva notare che la congiunzione ebraica ad-ki , come la corrispondente greca eÀwjouâ , per sé nega solo il passato senza curarsi del futuro e cita il passo del corvo che mandato fuori dall’arca non tornò (Gn 8, 7) fino a che non furono prosciugate le acque. L'Evangelista, il cui scopo è in quel capitolo di far risaltare la nascita soprannaturale di Gesù, afferma nettamente la verginità di Maria sino al parto; quello che avvenne poi e che a noi consta dalla tradizione, è fuori della sua prospettiva attuale(12) .

Tale interpretazione, divenuta tradizionale presso i teologi cattolici, fu accolta dai primi fautori del movimento protestante. Calvino, che più di altri si soffermò a considerare il passo mattaico, lo commentò in accordo con il pensiero cattolico.

Per quanto riguarda il tempo successivo alla nascita, l’evangelo non dice una parola . . . È certamente un punto su cui nessuno susciterà mai una disputa, a meno che non sia qualche curioso. Al contrario nessuno mai vi contraddirà con ostinazione, a meno che non sia un ostinato o un beffardo(13) .

Il pensiero di Calvino su questo punto si precisò ancor meglio in un sermone pubblicato nel 1562 secondo il resoconto stenografico di Denys Raguenau:

Vi sono alcuni fantasiosi che vollero dedurre da questo passo (Mt 1, 25) che la vergine Maria abbia avuto altri figli oltre che il Figlio di Dio e che Giuseppe abbia poi coabitato con lei; ma ciò è follia! Poiché l’evangelista non ha inteso raccontare ciò che avvenne dopo (la nascita di Gesù); egli vuole soltanto dichiarare l’obbedienza di Giuseppe e mostrare anche come egli sapesse bene e con coscienza che era stato Dio a inviargli il suo angelo. Egli non ha dunque coabitato con lei e non ne ha goduto la compagnia. E in questo vediamo che egli non ha avuto riguardo alla sua persona, poiché s’è privato della moglie. Egli poteva sposarne un’altra, in quanto non poteva godere della donna che aveva sposato; ma ha preferito non insistere sul suo diritto e astenersi dal matrimonio, essendo tuttavia sposato; egli ha preferito – ripeto – restare così per mettersi al servizio di Dio, anziché guardare a ciò che gli sarebbe stato gradito. Ha dimenticato tutto ciò, per assoggettarsi completamente a Dio (14) .

Tuttavia nei secoli successivi gran parte degli esegeti protestanti poggiarono proprio su questo passo per negare la perpetua verginità di Maria(15) altri invece si mostrarono incerti in tale valutazione, come ad esempio il P. Bonnard che così afferma:

Il v. 25 non sostiene l’idea della verginità susseguente di Maria; ma non la nega in senso assoluto. Il fatto che Matteo non sia più chiaro su questo punto mostra che tale idea era estranea al sui pensiero come pure all’ambiente per il quale scriveva(16) .

Da parte cattolica – dove l’esistenza di un dogma elimina su questo punto ogni libertà d’azione – non si fa che ripetere quanto fu asserito da Girolamo, come appare dalla citazione seguente ben chiara e precisa:

Ma questa opinione (protestante che ammette il successivo connubio dei due sposi) si basa su una falsa interpretazione della preposizione «finché»; quasi che questa dica: Giuseppe rispettò Maria finché divenne madre, e poi non più. Ora nella Bibbia la preposizione finché chiarisce solo i fatti fino al momento indicato da essa e non dopo. Così è detto che Mikal, figlia di Saul, non ebbe figlio fino al giorno della sua morte (2 Re 6, 23). Non vuol certo dire il Sacro Testo che li ebbe dopo...! Dunque nel nostro caso l’evangelista vuole indicare che Giuseppe nonostante avesse tutti i diritti maritali su Maria, tuttavia la rispettò, e così questa senza che egli l’avesse accostata, generò in modo verginale il figlio suo Gesù(17) .

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b) Una traduzione recente. – Per meglio far risaltare il senso precisivo o limitato del passo mattaico, si va ora imponendo la seguente traduzione, iniziata, a quel che mi consta, da P. Joûon: « Et sans qu’il l’eût connue, elle enfanta un fils, et lui donna le nom de Jésus» (18) Accolta in Francia da Buzy(19) e dalla Bible de Jerusalem(20) passò poi in Italia, dove fu presentata, tra gli altri, da Sisti (21) da S. Garofalo(22) , da A. Alberti(23) , da M. Laconi(24) per passare poi in Spagna, dove è ammessa da P. Severino del Paramo (25) In Germania è accolta, tra gli altri, da F. Streicher (26) da N. Schlögl(27) da O. Karrer(28) da W. Müller-Jurgens(29) Per fortuna altri continuano a conservare la traduzione tradizionale evitando in tal modo di introdurre nella versione ciò che è frutto di posteriore interpretazione teologica. Tra costoro ricordo M. Tellina (30) P. Rossano(31) F. Nardone(32) J. Schmidt(33) T. Robertella(34) .
Occorre quindi esaminare se le ragioni addotte a difesa di tale senso «precisivo» della preposizione «finché» siano valide o no.
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III. V’è un «finché» precisivo?

Siccome vari passi biblici furono e sono addotti per provare l’esistenza di un «finché» precisivo, intendiamo ora sottoporli ad un esame critico.

A. Due errori di traduzione

a) Genesi 8, 7

Il Bonaccorsi, nella citazione sopra riferita, adduce un passo latino che gli sembra oltremodo convincente, vale a dire il caso del corvo che mandato fuori dall’arca di Noè: «usciva e non tornava, finché furono prosciugate le acque della terra » (35) È evidente che l’uccello non vi tornò di certo dopo il prosciugamento della crosta terrestre.

Tuttavia ognuno può notare una certa incongruenza del passo; come poteva il corvo non tornare se tutta la terra era ancora allagata? dove poteva poggiarsi se non tornando nell’arca? Sembra che vi sia un errore. Infatti l’originale ebraico si esprime ben diversamente e in modo più logico: « E fece uscire (Noè) il corvo, che andava e tornava fino a che furono prosciugate ( cad-jeboshet) le acque sopra la terra» (36) .

Il corvo, mentre le acque ricoprivano tutta la terra, non avendo dove posarsi, usciva e di continuo tornava all’arca; ma poi, prosciugatasi finalmente la superficie terrestre, se ne uscì e non tornò più. Dunque anche in questo caso il «finché» non ha affatto il senso precisivo voluto, ma conserva il suo naturale senso di cambiamento di situazione al termine indicato: il prosciugamento della terra. Il senso precisivo di «finché» poggia qui solo su di un errore di traduzione.

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b) Esodo 15, 16

Nel libro dell’Esodo nel canto di trionfo dopo il passaggio del Mar dei Giunchi (è la traduzione letterale del nome), si legge:

Terrore e spavento si abbatté su di essi;
la potenza del tuo braccio li immobilizzò qual roccia,
fintanto che passi il tuo popolo, o Jahwé,
fintanto che passi il tuo popolo, che hai acquistato.
Ora lo Holzmeister, riferendo erroneamente questo versetto agli Egiziani, così commenta: « Forseché gli Egiziani non rimasero morti, come tante pietre, anche dopo il passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei? » (37) Ma qui il dotto autore, nella foga del suo entusiasmo, si è dimenticato di esaminare il contesto del passo, che non riguarda gli Egiziani bensì i Filistei, gli Edomiti, i Moabiti e i Cananei impressionati dalla notizia del miracoloso passaggio del Mare dei Giunchi. Mosè e il popolo si augurano che tutta questa gente, per potenza divina, sia così terrorizzata dinanzi agli Ebrei da rimanere ferma come pietre e da non osare muoversi sino alla definitiva conquista di Canaan. Una volta raggiunta la terra promessa, tali popoli si muovano pure, perché ormai non potranno più danneggiare i piani divini. È il caso di dire « aliquando bonus dormitat Homerus». Nessun senso precisivo in questo passo.
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B. «Fino alla morte . . . »

Spesse volte padri e teologi intendono provare il senso precisivo del «finché» ricorrendo a quei numerosi passi biblici in cui si afferma che una detta cosa si avverò sino alla morte di un individuo. Evidentemente il fatto indicato non si poté effettuare dopo morte! Tuttavia i passi di questa categoria non hanno alcun valore, in quanto la situazione dell’individuo dopo morte veniva a cambiarsi totalmente impedendo ogni possibilità di azione(38) Il che non è invece vero nel caso do Matteo, che pone il termine in un periodo nel quale vi era ancora la possibilità di rapporti coniugali. Se anche in Matteo leggessimo «fino alla morte» non vi sarebbe più nulla da ridire su questo argomento; sarebbe stato evidentemente escluso e per sempre ogni rapporto matrimoniale tra Giuseppe e Maria. Ma purtroppo non è questo il caso di Matteo. Sarebbe perciò inutile esaminare tali esempi, che tuttavia intendo presentare, sia pure brevemente, per maggiore completezza,

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a) Fino alla morte individuale.

Bastino i pochi casi seguenti:

1. « E Mikal, figlia di Saul, non ebbe figliuoli fino al giorno della sua morte » (2 Sm 6, 23) a castigo del disprezzo mostrato verso Davide quando questi volle accompagnare, danzando per le vie della città, il trasporto dell’arca alla sua nuova dimora di Gerusalemme.

2. Davide, pur donando i necessari alimenti alle sue concubine violate da Absalom, le tenne rinchiuse senza più avere alcun rapporto matrimoniale con loro; queste perciò vissero «come vedove fino al giorno della loro morte» (2 Sm 20, 3).

3. Azaria, colpito dalla lebbra mentre tentava di offrire incenso sull’altare di Dio pur non essendo sacerdote, rimase lebbroso «fino al giorno della sua morte, e visse in una casa appartata » (2 Re 15, 5). Evidentemente dopo morte cessò di essere lebbroso, ma iniziò ad essere roso dai vermi!

4. Di fronte alle accuse dei suoi amici, Giobbe afferma:

Per la vita di Dio che mi ha tolto il diritto
e per Shaddai che ha amareggiato la mia anima(39)
fintanto che vi sarà alito in me
e lo Spirito di Dio sarà nelle mie narici,
certo le mie labbra non diranno iniquità,
certo la mia lingua non proferirà cose false!
Non sia mai detto che io vi dia ragione!
Finché respiro non rinunzierò a dirmi perfetto! (Gb 15, 2.5)
Giobbe giura di continuare a proclamarsi innocente e giusto finché avrà vita: dopo morte logicamente non potrà più fare altrettanto di fronte ai suoi amici; sarà costretto a un silenzio forzato.

5. I lebbrosi dinanzi alla città di Samaria assediata, per non morire di fame, decidono di andare al campo nemico dei Siri: «Perché vogliamo noi restare qui finché moriamo? » (2 Re 7, 3). È evidente che dopo morte non staranno più lì, ma se ne andranno al soggiorno dei morti senza più esistere su questa terra.

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b) Fino alla scomparsa (morte) degli avversari.

Dopo che questi non esisteranno la situazione sarà evidentemente mutata e non si potrà più avere timore di essi. È il sentimento che si trova bene espresso dal Salmista in molti suoi inni o preghiere:

Sicuro è il mio cuore
esso non temerà
fino a che vedrà vinti
i suoi nemici (Sal 112, 8)
È evidente che dopo la sconfitta dei nemici egli non dovrà più temere quelle persone in quanto non gli possono nuocere o dare fastidio! Ben comprendendo tale senso i moderni esegeti preferiscono tradurre il «finché» con «mai».
Sicuro è il mio cuore (del giusto),
non temerà mai.
E finalmente vedrà vinti
i suoi nemici(40)
Simile è il passo dei Maccabei addotto dal Blinzer(41) Si tratta di Giuda che vuole rimpatriare i suoi connazionali dal Galaad in mezzo a pericoli gravissimi e contro l’opposizione degli avversari. Il passaggio riesce felicemente e gli esuli rimpatriati salendo sulla collina di Sion «con gioia e letizia offrirono olocausti perché fino al felice ritorno nessuno di loro era caduto » (1 Mac. 5, 54).

Naturalmente anche qui vi è un cambiamento di situazione, poiché dopo il loro ritorno a Sion non potevano più «cadere» per mano degli avversari che li attendevano per via, in quanto essi più non potevano nuocere loro. Il pericolo di morte per mano degli avversari non era più possibile in patria per la natura stessa delle cose. Al contrario i rapporti coniugali tra Giuseppe e Maria rimanevano sempre possibili anche dopo la nascita di Gesù.

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c) Fino alla fine del mondo.

Anche qui i passi sono paralleli a quelli della morte, solo che, invece della scomparsa di un individuo, si parla della fine del mondo, dell’umanità.

1. « Ecco io sarò con voi tutti i giorno, sino alla consumazione del mondo » (Mt 28, 20). Naturalmente dopo questo periodo di predicazione missionaria, Gesù non sarà più con i suoi come prima: ora è con essi per aiutarli nella loro missione di predicazione (« Andate  . . . »), dopo li introdurrà nella gioia definitiva dove non avranno più bisogno del suo aiuto per superare difficoltà inesistenti. La situazione sarà totalmente mutata e non vi sarà più posto per l’aiuto divino quale ora è richiesto(42) .

2. Anche il Salmista così afferma:

Fiorisca nei suoi giorni la giustizia
e grande regni la pace
finché più non vi sia luna! (Sal 72, 7)
Il Salmista si augura che il regno pacifico, qui preannunziato, possa durare fino alla fine del mondo, quando scomparirà la stessa luna. Dopo tale periodo non vi sarà più posto per un simile regno.

Tutti questi passi non possono evidentemente considerarsi paralleli a Matteo 1, 25 perché qui non si parla della fine del mondo o dell’individuo che avrebbe reso impossibile ogni rapporto coniugale, bensì di un determinato tempo ad esso anteriore, vale a dire la nascita di Gesù, dopo la quale i rapporti coniugali continuavano a rimanere possibili.

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C. « Fino ad oggi»

Questa espressione limita davvero la considerazione dello scrivente al periodo anteriore al termine fissato (senso precisivo), non perché ciò sia insito nella preposizione «finché», ma perché ciò è richiesto dal termine fissato, che è il momento in cui lo scrittore viveva. Egli voleva limitare il suo dire a questo istante per la semplicissima ragione che il resto, essendo ancora futuro, gli rimaneva ignoto. La realtà da lui indicata poteva continuare o no, per cui egli, a meno di avere una rivelazione divina, non poteva preannunziare ciò che sarebbe accaduto dopo tale momento a lui contemporaneo. Non si tratta quindi di un parallelo con il passo di Matteo in cui si parla di un tempo anteriore al momento in cui l’evangelista scriveva (= nascita di Gesù). Se Matteo avesse scritto «Giuseppe non ebbe rapporti sino ad oggi », allora si avrebbe escluso dalla sua considerazione tutto il tempo ad esso futuro.

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a) Antico Testamento.

Mosè fu seppellito nella valle, «ma nessuno fino ad oggi ha conosciuto il suo sepolcro». Tale frase può essere ripetuta oggi anche da noi; tuttavia non possiamo garantire ciò anche per il futuro; potrebbe verificarsi che per una circostanza fortuita (sia pure molto inverosimile) possa venire scoperta in un giorno felice la sua tomba (Dt 34. 6).

Sul sepolcro di Rachele, Giacobbe eresse un «monumento » che sussiste «sino a questo giorno » (Gn 35, 20). Oggi purtroppo non sussiste più (43) .

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b) Nuovo Testamento.

Il campo acquistato con il denaro di Giuda «è stato chiamato sino al dì d’oggi: campo di sangue » (Mt 27, 8). Oggi non è più chiamato così.

Il trafugamento del corpo di Gesù fu «divulgato fra i Giudei sino al dì d’ oggi» (Mt 28, 15). Ignoro se ancora oggi tale ipotesi sia divulgata fra i Giudei; ad ogni modo non poteva entrare nella considerazione di uno scrittore del primo secolo.

Tutti i passi sino ad ora presentati non corrispondono affatto al «finché» mattaico che noi studiamo poiché in essi, al termine fissato, non era affatto possibile compiere l’azione indicata, mentre al contrario l’azione di «conoscere» Maria era tuttora possibile dopo la nascita di Gesù. Essi non sono quindi paralleli al testo mattaico; perché lo fossero occorrerebbe leggere che Giuseppe non ebbe rapporti con la sposa sino alla di lei morte, o sino al dì d’oggi, o sino al momento in cui tale atto non era più possibile.

Vediamo ora il valore del «finché» biblico nei vari casi in cui l’azione indicata dal verbo principale rimaneva sempre possibile anche dopo il termine fissato. Qui siamo nel campo di un esatto parallelismo con il testo mattaico in discussione.

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D. Fino ad un certo momento del passato

In tutti questi casi il «finché» suppone sempre un cambiamento do situazione dopo il termine indicato.

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a) Nel caso in cui l’indicazione della frase principale sia positiva , se ne afferma la negazione al momento del termine indicato dal «finché».

Antioco « prospererà finché l’indignazione (divina contro gli Ebrei) sia esaurita», poi naturalmente egli non prospererà più, ma se ne andrà « verso la propria fine» (Dn 11, 36).

Il servo di Abramo disse a Rebecca che voleva attingere acqua: « Io ne attingerò anche per i tuoi cammelli, finché abbiano bevuto a sufficienza» (Gn 24, 19; dopo evidentemente non ne attingerà più.

Boaz, rivolgendosi a Rut venuta a spigolare nei suoi campi, disse: « Rimani con i miei servi, finché abbiano finito tutta la mietitura »; dopo evidentemente ella non dovrà più rimanere con i lavoratori che più non mietono (Rut 2, 21).

Le tribù di Gad e Ruben affermano che, pur avendo già preso dimora nella Transgiordania regione del Galaad, si terranno pronte in armi per marciare con i figli di Israele «finché» li abbiano condotti al luogo loro destinato, ossia fino alla conquista della Cisgiordania. Dopo, com’era naturale, essi torneranno alle proprie dimore (Nm 32, 17).

Isaia profetizza la futura fuga di Israele dinanzi ai nemici fino a quando saranno ridotti a un resto; poi verrà la ricostruzione e cesseranno i pericoli di prima.

Mille di voi fuggiranno alla minaccia di un solo
alla minaccia di cinque vi darete alla fuga,
finché rimaniate come un palo in vetta a un monte
come un’antenna sopra un colle (Is 30, 17; cfr 6, 11).
Giuseppe, sposo di Maria, stette in Egitto «fino alla morte di Erode » poi se ne tornò in Palestina (Mt 2, 15.19).

Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna nasconde in tre staia di farina «finché sia tutta lievitata » (Mt 13, 33; Lc 13, 21). Come dopo quel momento il lievito non è più nascosto, ma diviene palese nel volume assunto dalla nuova pasta, così il Regno, dopo un periodo di occultamento, mostrerà il suo meraviglioso potere trasformatore della massa umana.

Dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani, Gesù invitò gli apostoli a «precederlo sull’altra riva, fino a che egli avesse licenziato le turbe» (Mt 14, 22), poi naturalmente li avrebbe raggiunti camminando sulle acque (v. 25).

Prima di iniziare la sua passione Gesù andò nel Getsemani e disse ai discepoli: «Sedete qui finché sia andato là e abbia pregato» (Mt 26, 36); poi tutti assieme si sarebbero mossi per andare incontro alla turba che lo voleva catturare (v. 46).

Gesù così brama la sua morte redentrice da « essere angustiato finché non sia compiuta » (Lc 12, 50); dopo evidentemente non ne sarebbe più angustiato.

Dopo la sua resurrezione Gesù raccomandò agli apostoli di rimanere in Gerusalemme «finché» fossero rivestiti di potenza dall’alto (Lc 24, 49), in seguito avrebbero avuto licenza di andare in tutto il mondo, lasciando la città santa.

Paolo entra nel tempio «annunziando di voler compiere i giorni della purificazione, finché fosse presentata l’offerta per ciascuno di loro» (At 21, 26); poi, ultimata l’offerta per ciascuno dei quattro uomini che avevano fatto il voto, non vi sarebbe stata più alcuna necessità di purificazione.

Lo stesso apostolo fu custodito a Cesarea da Festo finché fu inviato a Cesare, per cui dopo tale invio egli non si sarebbe più trovato nelle carceri della città (At 25, 21).

Pietro raccomanda ai credenti di guardare alla lampada delle Sacre Scritture « finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei loro (cuori) ». Dopo tale giorno non sarà più la parola di Dio a guidare i credenti, poiché essi finalmente avranno lo stesso Dio per loro luce e gioia (2 Pt 1, 19; cfr Ap 22, 5).

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b) Se la frase principale è negativa (come nel caso di Matteo), il «finché» indica sempre l’attuarsi della cosa prima negata(44) .

Eliezer, inviato da Abramo a cercare una moglie per il figlio Isacco, disse a Labano: « Non mangerò finché non abbia detto (ciò che devo dire) »; dopo naturalmente mangerà (Ge 24, 33).

Anche i Giudei che intendevano uccidere Paolo « fecero voto con imprecazioni contro se stessi di non mangiare e bere finché non avessero ucciso Paolo» (At 23, 12.14.21).

Dopo la trasfigurazione Gesù raccomandò ai tre apostoli presenti di non parlare di tale visione «finché il Figlio dell’Uomo fosse risuscitato dai morti » (Mt 17, 9); dopo essi avrebbero potuto parlarne.

Quando Gesù lasciò Gerusalemme disse che più non lo avrebbero visto fino a che non lo avessero accolto al grido di « Benedetto colui che viene nel nome del Signore »; in quel momento l’avrebbero quindi rivisto(45) .

Del debitore messo in carcere Gesù dice che non ne sarebbe uscito finché non avesse pagato il suo debito fino all'ultimo spicciolo; poi evidentemente ne sarebbe uscito (Mt 5, 26).

Nell'ultima cena Gesù disse che non avrebbe più bevuto il succo di uva con loro finché la pasqua non fosse compiuta nel Regno dei cieli e questo regno fosse venuto (Lc 22, 16.18)(46) .

A Pietro, sicuro di se stesso, Gesù preannunzia che il gallo non avrebbe cantato fino a che egli non avesse per ben tre volte rinnegato il suo Maestro, dopo di che l'animale avrebbe cantato (Lc 22, 34; Gv 13, 38 + Gv 18, 27).

I Giudei non credettero che il miracolato fosse un cieco nato finché non ebbero interrogato i genitori; dopo di che dovettero per forza arrendersi di fronte all'evidenza (Gv 9, 18).

Nessuno può giudicare i pensieri e i sentimenti occulti dell'uomo prima che sia venuto il giorno del Signore il quale svelerà ogni cosa; solo allora il giudizio potrà essere adeguato alla realtà (1 Cor 4, 5).

Tutti i passi addotti, che si potrebbero moltiplicare assai di più, ci mostrano sempre un cambiamento introdotto dalla preposizione «finché ». Anzi, proprio poggiando su questo fatto, E. E. Ellis sostiene a ragione che Lc 9, 27 (Mc 9, 1) non riguarda la parusia finale di Cristo, bensì un fatto anteriore – come la distruzione di Gerusalemme – che farà comprendere ( «percepire» ) la potente presenza del Regno di Dio: «In verità io vi dico che vi sono alcuni qui presenti che non gusteranno la morte finché non avranno visto il regno di Dio». Questo «finché » indica quindi che gusteranno la morte dopo aver visto tale regno; esso non è quindi la sua venuta alla fine del mondo, dopo la quale più non vi sarà morte alcuna (47) .

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E. Le supposte eccezioni

Tuttavia i sostenitori del «finché» precisivo, limitato cioè al periodo che antecede il termine fissato, senza alcun riguardo al termine successivo, adducono dei passi che costituirebbero una eccezione alla regola precedentemente asserita e che quindi occorre esaminare uno ad uno. Raggrupperò tali passi in due categorie, di cui una ha la proposizione principale affermativa e la seconda negativa.

a) Con la frase principale affermativa:

1. Abbiamo un'espressione spesso riferita anche nel Nuovo Testamento:

Oracolo di Javé al mio Signore:
Siedi alla mia destra, finché io non abbia ridotto
i tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi(Sal 110, 1)
« Forse che, dopo aver dominato i suoi nemici, il Messia non starà più alla destra del Padre?» si chiede lo Holzmeister (48) Tuttavia anche in questo caso la frase indica un cambiamento di situazione. Originariamente il salmo era un inno di intronizzazione per il nuovo re che così veniva elevato alla destra di Dio, il quale gli assicurava la sua protezione («destra di Dio») sino alla definitiva scomparsa dei nemici antidivini. Poi tale protezione, simboleggiata dalla elevazione alla destra di Dio, non avrebbe più avuto alcun motivo di sussistere in quanto, mancando del tutto i nemici, il re non avrebbe più avuto alcun motivo di temerli o di essere danneggiato(49) .

Riferito poi a Gesù, come fa il N.T., tale salmo indica che dopo il definitivo annientamento dei suoi nemici con la scomparsa definitiva della morte, sarebbe subentrato un cambiamento nella posizione di Gesù Cristo il quale avrebbe deposto il suo potere nelle mani del Padre divino:

« Quando ogni cosa gli sarà sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa (quando le elevò alla sua destra) affinché Dio sia tutto in tutti » (1 Co 15, 27s).

Per ora non ci interessa conoscere in quale modo si debba intendere tale subordinazione, ci basti sapere che ci sarà una diversità tra il regno di Cristo anteriormente alla sconfitta dei suoi nemici e quello del periodo successivo (50) .

2. Il Salmista descrivendo la situazione di chi prega, così dice:

Ecco: come gli occhi degli schiavi
(guardano) alla mano del loro padrone,
come gli occhi della schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi (sono rivolti)
a Javé, Signore nostro
fino a che abbia pietà di noi(51)
Anche qui il passo indica un cambiamento di situazione, l'alzare gli occhi verso uno esprime l'attesa di un dono, di un beneficio; è evidente che, ottenuto questo dono, gli occhi più non si rivolgeranno verso il padrone per ottenerlo.

Il Salmista, di fronte alle difficoltà dell'esilio (Nehemia c. 4) non smarrisce la sua fiducia in Dio, che di certo libererà il suo popolo dagli oltraggi dei nemici. Naturalmente, dopo che tale liberazione sarà ottenuta, egli non chiederà più tale grazia a Dio; caso mai lo ringrazierà per il beneficio ricevuto oppure chiederà altri favori.

3. Paolo suggerisce a Timoteo il modo di comportarsi durante la sua assenza con queste parole:
« Fino alla mia venuta applicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento » (1 Ti 4, 13).
Forse che, si chiede lo Holzmeister, dovrà Timoteo sprezzare tali cose dopo la venuta dell'apostolo? Il dotto gesuita non ha pensato a sufficienza che qui si parla di «lettura» pubblica nelle riunioni religiose dei primi cristiani, di esortazione che in tale circostanza si effettuava dal presidente congiunta all'insegnamento per i fedeli. In assenza di Paolo toccava a Timoteo attuare ciò (o curarne l'effettuazione), mentre, al ritorno dell'apostolo, questi avrebbe curato personalmente tali cose (52) .

4. Parlando del Battista, che cresceva nel deserto, Luca così scrive:
« Intanto il fanciullo cresceva e il suo spirito si sviluppava. Visse in luoghi deserti fino al giorno in cui si rivelò a Israele » (Lc 1, 80).
Eppure – commenta lo Joüon – anche dopo la sua manifestazione ad Israele, Giovanni non abbandonò il deserto, come sappiamo da Matteo che, riportando le parole di Gesù, così scrive: « Che andaste mai a vedere nel deserto?» (53) .
È tuttavia sempre pericoloso confrontare il passo di un vangelo con quello di un altro, specialmente quando il contesto è diverso. Gesù chiede ai suoi uditori: «Che siete andati a vedere nel deserto?» (54) ossia nella steppa della regione meridionale di Giuda che si chiamava deserto di Giuda (Lc 3, 4; 7, 24). Luca invece afferma che Giovanni lasciò i luoghi deserti, non abitati da gente, dove si trovava « in solitudine» – come ben traduce Carlo de Ambrogio(55) – per recarsi sulle vie carovaniere e preparare la gente che vi passava alla venuta del regno messianico. Era quindi ancora nel deserto di Giuda, ma non più nella solitudine precedente.
È ciò che espressamente fa notare Luca quando scrive:
« La parola di Dio fu rivelata a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto ». Giovanni percorse allora tutta la regione ( peri¢xwron) del Giordano proclamando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati (Lc 3, 2s).
Non vi è nemmeno qui un « finché » precisivo, in quanto si afferma il passaggio dai luoghi isolati precedenti ai guadi del Giordano (cf Lc 4, 1).

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b) con la proposizione principale negativa(56)

1. Nella benedizione che Giacobbe rivolge ai suoi figli, abbiamo una predizione che riguarda Giuda.

Lo scettro non si diparte da Giuda
né la verga di tra i suoi piedi
finché . . . venga . . . Shilôh (?)
e a lui i popoli ubbidiscano (Ge 49, 10)
Il passo è assai discusso perché non si sa con precisione come intendere il vocabolo Shilôh, che usualmente significa la città di Silo, senso che non ha nulla a che vedere con il contesto. Si potrebbe con le versioni (eccetto la Vg) mutarlo in 'âsher lô, vale dire, finché venga « Colui al quale (appartiene il Regno)», cioè il Messia. In tale ipotesi preferirei intendere lo «scettro» e la «verga» non nel senso di «dignità regale» (questa era già scomparsa al tempo della venuta del Messia!), bensì nel senso di «autorità tribale». Si sa che il capo tribù stava assiso su di un trono tenendo tra le sue ginocchia una verga, simbolo del suo potere(57) In tale caso il senso del passo sarebbe il seguente: La tribù di Giuda avrà il predominio sulle altre tribù fino a quando sarebbe venuto il Messia il quale, creando un nuovo Israele, le avrebbe tolta tale supremazia(58) .

2. Gli Israeliti per ottenere il permesso di attraversare il territorio di Edom, così assicurano il re:

« Lasciaci passare, di grazia, attraverso il tuo paese; noi non attraverseremo né campi, né vigne e non berremo acqua dei pozzi. Seguiremo la via regia, non volgeremo né a destra né a sinistra, finché avremo attraversato le tue frontiere» (Nm 20, 17).

Anche qui non vi è senso precisivo, ma un cambiamento di attitudine; fino a quando gli Israeliti saranno nel territorio edomita, assicurano il re di accontentarsi del puro passaggio, senza deviare dalla via maestra, solo dopo averlo attraversato, potranno darsi alle scorrerie nei paesi vicini.

3. Il Blinzer adduce l'assicurazione fatta a Giacobbe da parte di Dio:

« Ed ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questa terra, poiché non ti abbandonerò fino a quando non avrò compiuto quanto ti ho detto» (Ge 28, 15)

« Di certo non vi è affermato che Dio abbandonerà Giacobbe dopo quel momento» (Holzmeister). Ma anche qui si tratta della provvidenza speciale con la quale Dio accompagnerà Giacobbe il quale stava allontanandosi da Canaan per timore della vendetta di Esaù. È quanto lo stesso Giacobbe comprende dall'assicurazione divina avuta in sogno:

« Se Elohim sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che ho intrapreso, e mi darà pane per mangiare e abiti per vestire e tornerò in pace alla casa di mio padre, Jahvé sarà il mio Dio » (Ge 28, 20-21).

Naturalmente, una volta tornato, Giacobbe non avrà più bisogno di questa provvidenza tutta speciale.

4. Un passo, assai discusso di Gesù, afferma, citando Isaia, che

Il servo del Signore
la canna fessa non spezzerà
e il lucignolo fumigante non spegnerà
finché non avrà condotto la giustizia alla vittoria (59)
Il senso del passo è il seguente: Gesù non spezza del tutto la canna piegata o rotta e non finisce di spegnere il lucignolo che ancora fumiga, ossia non scaccia lontano da sé con durezza ed intransigenza, come fanno gli scribi, i peccatori, fino a che vi è ancora un barlume di speranza per la loro conversione. Naturalmente, dopo che la giustizia e la vittoria finale sarà raggiunta, allora alla misericordia succederà la giustizia e chi si sarà convertito avrà il premio, mentre chi non si sarà convertito riceverà la giusta condanna delle sue opere.

Tale mutazione è ancora più chiara nell'originale isaiano, dove si legge:

Non spezzerà la canna fessa,
non spegnerà il lucignolo che fumiga
. . . Egli esporrà fedelmente la Legge,
né sarà affaticato né stanco
fino a quando non avrà stabilito sulla terra
la Legge e le isole attendono la sua dottrina (Is 42, 4)
Qui il «finché» si ricollega alle fatiche del Messia; questi non si concederà alcun riposo fino a che non abbia stabilito sulla terra la legge divina; dopo, e solo dopo, si prenderà il meritato riposo. Anche qui non vi è traccia di un «finché» precisivo.

Altri passi probativi – eccetto quello di Matteo – non si trovano nella Bibbia; sarei lieto se qualche benevolo lettore me ne potesse segnalare qualcuno, che possa essere sfuggito al mio esame. In tale caso chi introduce il senso precisivo in Mt 1, 25, lo fa attribuendo al «finché» un senso che mai altrove ha nella Bibbia. Il «finché» mattaico sarebbe quindi da intendenrsi come l'unica eccezione esistente nella Bibbia.

Si vede quindi dall'analisi precedente come sia inesatta la conclusione di K. Beyer, quando afferma che:

«Il "finché", anche dopo una negazione, in semitico ed in greco, spesso indica solo il limite entro cui l'azione viene considerata, senza però che sia affermato implicitamente l'avverarsi dell'opposto dopo tale termine» (60) .
Questo fenomeno si avvera solo quando dopo tale limite l'azione futura non era conosciuta («fino ad oggi») oppure era resa impossibile dalla morte («fino alla morte»). In tutti gli altri casi in cui l'azione continuava ad essere possibile, il «finché» indica sempre il cambiamento di ciò che era affermato o negato dal verbo principale.

Per non limitare al periodo antecedente la natività di Gesù l'esistenza di rapporti coniugali, Matteo avrebbe dovuto usare una espressione simile a quella di Giuditta, dove si legge che dopo la morte del suo primo marito «nessun uomo la conobbe per tutti i giorni della sua vita» (61) .

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IV. La psicologia del passo

Si tratta ora di vedere come mai Matteo abbia usato tale formula limitativa; per quale motivo abbia voluto insistere sul fatto che i rapporti coniugali non intervennero prima della nascita di Gesù.

a) Qualcuno vi ha trovato il motivo nel fatto che Matteo voleva con la sua frase sottolineare la concezione verginale di Maria e la paternità puramente legale di Giuseppe(62) .

Ma non v'era alcun motivo di riprendere tale tema dal momento che esso era già stato chiarito assai bene con l'espressione « e prima che fossero venuti a stare assieme, (Maria) si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo» (Mt 1, 16) oppure con le parole dell'angelo a Giuseppe « Non temere di prendere teco Maria, tua moglie, perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo » (1, 20). Sulla precedente concezione i rapporti susseguenti non avrebbero avuto alcun riflesso.

b) Ora si insiste sul fatto che Matteo voleva mostrare come in Maria fosse stata realizzata in pieno la profezia isaiana da lui citata:

Ecco la vergine sarà incinta
e partorirà un figlio
e lo si chiamerà Emmanuele (Mt 1, 21 = Is 7, 14)
Qui non solo si afferma la verginità di Maria al tempo del concepimento, ma anche al tempo della sua nascita. Ma la moglie di Giuseppe non sarebbe più stata vergine al tempo della nascita di Gesù qualora Giuseppe avesse avuto rapporti coniugali con lei prima di quel momento. Quindi egli sottolineò che fino a quel momento Giuseppe rispettò la propria moglie (63) .

Ma, come abbiamo visto sopra, con tale frase egli veniva pure ad asserire contemporaneamente l'esistenza di rapporti coniugali in epoca posteriore. Infatti, dopo aver detto che Giuseppe prese Maria come sua sposa e la introdusse in casa propria, era logico concludere che l'avesse trattata da moglie; Matteo perciò corregge tale pensiero dicendo che di fatto si astenne da ogni contatto sino alla nascita di Gesù. Il lettore era quindi logicamente indotto, per il normale andamento delle relazioni coniugali, a concludere che più tardi egli agì con lei da marito. Anche se il suo intento fosse stato quello di avvertire che la sposa rimase vergine sino alla nascita di Gesù, Matteo usò un linguaggio che chiaramente lasciava intravedere al lettore un comportamento diverso dopo tale nascita. Se Matteo fosse stato convinto che Maria rimase sempre vergine, non si sarebbe espresso con una frase ambigua, anzi compromettente.

Il Blinzer non vuole sentire questa difficoltà e la ribatte dicendo che siccome i primi cristiani sapevano che Gesù non ebbe fratelli germani da Maria, l'espressione di Matteo non destava loro alcuna difficoltà. Ma questo ragionamento ha il difetto di supporre già provato ciò che invece si deve dimostrare. Chi ci dice che i primi cristiani, i quali parlano tranquillamente di fratelli e di sorelle di Gesù, non li ritenessero originati da Maria e da Giuseppe? Dato che vi erano persone così chiamate non era assai più semplice chiarire ancora meglio il fatto della perpetua verginità di Maria, se tale sua condizione avesse avuto un qualche valore per la teologia cristiana? I primi credenti si interessavano di Gesù e non della verginità di Maria; questa aveva valore solo in quanto poteva documentare la concezione verginale del Cristo. Finita questa missione Maria rientrava per loro nella situazione di tutte le altre donne.

c) Come mai Giuseppe si astenne da ogni rapporto maritale sino alla nascita di Gesù? Si pensa di solito al fatto che Maria, essendo tempio di Dio, dove essere come un «tabù» per Giuseppe. L'autore dell' Opus imperfectum in Matthaeum , così dice: «Sarebbe stato credibile che prima del parto avesse potuto conoscerla, in quanto ignorava la dignità del mistero, ma quando conobbe che ella era divenuta il tempio dell'Unigenito di Dio, come avrebbe potuto usurparla?» (64) Ma questo ragionamento poggia su concezioni metafisiche proprie della teologia cattolica odierna, che Giuseppe non poteva possedere a quel tempo. Per lui Maria era la propria moglie, per lui il nascituro era frutto di uno speciale intervento divino, dopo tale nascita non vi sono ragioni per cui egli divesse ritenere «tabù» la propria moglie. Data l'illuminazione dell'angelo sarebbe stato logico, come dice Matteo, che Giuseppe si astenesse dai rapporti fino a quando il nascituro viveva nel seno di Maria e non dopo. Felice a tale riguardo l'espressione, a quel che si dice, di un imperatore bizantino, il quale paragonava Maria ad una borsa ricolma di oro, la quale ha valore fino a quando contiene l'oro, ma una volta svuotata perde ogni sua importanza.

d) Penso che si debba trovare un'altra ragione nel procedimento di Giuseppe, il quale non aveva ancora conoscenza della profezia isaiana come la raggiunse poi la posteriore tradizione ecclesiastica. Al tempo di Gesù, quella parte degli Esseni, che accettava il matrimonio, si asteneva da ogni rapporto coniugale durante la maternità, poiché per loro tale rapporto di legittimava solo con la procreazione(65) .

Ecco come ne parla Giuseppe Flavio:

(Alcuni di loro) quando le loro mogli sono incinte non hanno rapporti con esse, mostrando in tal modo di sposarsi non per il piacere, ma solo per amore dei figli(66) .
Non è impossibile che anche Giuseppe aderisse a tale idea e che quindi si astenesse da ogni contatto con Maria durante il periodo della gestazione. È noto infatti che tra i primi cristiani e gli Esseni vi sono dei contatti innegabili, anche se non dobbiamo dar credito alle esagerazioni di un primo tempo provocate dalla euforia delle straordinarie scoperte del Mar Morto. Si possono pure trovare dei rapporti innegabili tra gli scritti dei fratelli di Gesù, Giacomo e Giuda, con i documenti di Qumran, per cui non è impossibile provare che essi conoscessero tale movimento pur non essendone degli affiliati. Non poteva ciò derivare forse dalla formazione ricevuta in famiglia da parte di Giuseppe e Maria? (67) In tal caso sarebbe stato naturale per Giuseppe astenersi da ogni contatto coniugale durante il periodo della gestazione di Maria, per poi passare a rapporti regolari in vista della procreazione di figli, che sarebbero appunto stati i fratelli e le sorelle di Gesù. Matteo sottolinea tale fatto, per sé indifferente, per mostrare come anche in tal punto si fosse attuata in pieno la profezia isaiana.

A conclusione è utile ripetere che la perpetua verginità di Maria asserita da molti, crea dei problemi biblici non indifferenti, poiché sembra contraddetta da chiare testimonianze neotestamentarie. Essa infatti obbliga il credente a dare al «finché» di Matteo un senso precisivo che non si trova mai altrove nella Sacra Scrittura introducendovi una eccezione senza alcun sicuro fondamento(68)

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NOTE A MARGINE
(1) e¦gi/nwsken (= conosceva)  imperfetto di durata, anziché l’aoristo che si sarebbe atteso. Il verbo vuole sottolineare il fatto che per tutto il periodo della gestazione di Maria, Giuseppe non volle mai conoscere Maria (durata). Va però notato che nel passo simile di Gv 9, 18: «non gli credettero fino a quando interrogarono i genitori» si usa l’aoristo e non l’imperfetto. torna al testo

(2) Alcuni codici e versioni (CDEKL Vg Syr pesch) presentano un testo più lungo in quanto aggiungono a «figlio» l’epiteto «primogenito» (proto/tokon ), che manca invece nel testo egiziano (B e sinaitico). H.J. Vogels (Handbuch der nt. Texikritik, Münster l. W. 1923, p. 203; Bonn2 1955 p. 180, Novum Testamentum Graece et Latine, I. Freiburg im Br.3 1949, p. 4) sostiene genuina la lezione lunga che poi, dietro influsso di Taziano, sarebbe stata ridotta al semplice «figlio» per motivi dogmatici.
Tuttavia va osservato che la lezione «figlio primogenito» riappare in Lc 2, 7, dove è sicura in quanto non vi sono varianti testuali. Siccome non si può ammettere una reciproca diretta dipendenza tra i due vangeli di Luca e di Matteo, e siccome la critica testuale di Mt 1, 25 è dubbia, bisogna dire che la parola «primogenito» in Matteo è una variante testuale dovuta al tentativo posteriore di uniformare il testo di Matteo e quello Lucano. torna al testo

(3) In questo studio non intendo difendere o combattere la perpetua verginità di Maria, che in fondo rimane una pura questione storica di ben scarso rilievo, ma solo vedere se filologicamente il passo di Matteo sia favorevole, contrario o neutrale nei suoi riguardi. I cattolici – che della perpetua  di Maria hanno fatto un dogma – sostengono che il passo biblico qui studiato nulla dice, né pro, né contro tale verginità, la quale viene invece documentata dalla tradizione posteriore. Della tradizione storica parlerò in un volume su Maria, che è già pronto come manoscritto. torna al testo

(4) EPIFANIO, Haereses 78 PG 42, 728 «Non sapeva ancora (Giuseppe) che qualcuno e particolarmente una donna sarebbe stata così onorata sulla terra. Non conosceva ancora questo evento prodigioso, fino a quando non vide che da lei era nato il Figlio. Quando ella lo ebbe partorito, (Giuseppe) conobbe pure che ella era stata onorata da Dio, era stata lei a udire: Salve, favorita dalla grazia. Il Signore è con te!». torna al testo

(5) «Non la conobbe, finché ebbe partorito. Infatti prima non conosceva la dignità di colei che era stata madre dell’Unigenito di Dio. Ma dopo che ebbe partorito, allora la conobbe: in quanto era stata resa più bella e più degna di tutto il mondo intero. Infatti ella meritò di ricevere nel suo seno, come in una piccola cella, colui che tutto il mondo non può contenere. Giuseppe vide infatti che Maria era rimasta vergine anche dopo il parto; vide il mistero (o ministero) della stella che, stando sul capo del fanciullo, lo segnalò ai magi, gli stessi magi che lo adoravano e gli presentavano i loro doni divini. Sentì dai loro discorsi che dall’Oriente erano giunti a Gerusalemme guidati da una stella perché così meglio si svelasse la gloria di Dio. Questa nascita incomparabile, trascendente il modo di ogni nascita umana, mostrava a Giuseppe la divinità del bimbo nascente e la dignità di Maria che lo partoriva. Perciò si dice: E non la conobbe, finché ella ebbe partorito il suo figlio primogenito. Conobbe infatti ciò che ella veramente era, solo dopo il suo parto» (Opus imperfectum in Matth. Om 1, PG 56, 655).
Fino al secolo XVI questo commento fu accolto con grande stima come un’opera del Crisostomo; più tardi la critica, negando tale paternità, lo attribuì a Wlfilia, vescovo ariano dei Goti (+ 383) o al vescovo goto Massimino (l’avversario di Costantino). Per Stiglmayr l’originale di queste omelie latine sarebbe greco e da attribuire al presbitero ariano Timoteo, vissuto a Costantinopoli al tempo dell’imperatore Arcadio. Il Morin, al contrario, identifica l’autore con un vescovo ariano dell’Italia settentrionale (circa il 550), lo stesso che elaborò in latino il commento di Origene su Matteo. Buona bibliografia in J. QUASTEN, Patrology, vol. III, Spectrum Publishers, Newman Press, Ytrecht-Maryland 1960, p. 471; J. STIGLMAYER, Das Opus imperfectum in Matthaeum, in "Zeitachrift für Kath. Theologie 34 (1919), pp. 1-38, pp. 473-499; G.MORIN, Qielques aperçus nouveaux sue l’Opus imperfectum in Matthaeum, in "Rev. Bibl.", 37 )1925), pp. 239-262; obiezioni alla precedente ipotesi furono mosse da E. KLOSTERMANN in "Theolog. Literatur Zeitung" 73  (1948), pp. 49 ss. torna al testo

(6) M. PEINADOR. «Et non cognoscebat eam . . .» in «Estudios Boblicos» 8 (1949), pp. 355 s; IDEM, Temas de Mariologia biblica, Coculsa, Madrid 1963, p. 132. torna al testo

(7) Così MITTERER, Dogma und Biologie Der heilingen Familie, Wien 1952, pp. 98-132; E. L. Henry CLIFFORT, A doctor Considers the Birth of Jesus, in «The Homilet. and Pastoral Review» 54 (1953), pp. 219-223; J. GALLOT, La virginité de Marie en la naissance de Jésus, in «Nouvelle Revue Theologique» 82 (1960), pp. 449-469; W. DETTLOFF, Virgo-Mater, Kirchenväter und Moderne Biologie zur Jungfräulichen Mutterschaft Mariens, in «Wissenschaft Weisheit» 20 (1957), pp. 221-226, ecc. Forse avrò un’altra volta occasione di tornare su questo argomento, che trova consenzienti molti padri dell’antichità cristiana. torna al testo

(8) Cfr Ge 19, 8; Nm 31, 17; Gdc 11, 19; Giuditta 16, 26; Lc 1, 34. Nella Regola della Comu-nità, scoperta a Qumran, si legge: «e non si accosti a donna per conoscerla con un con-tatto virile, se non quando, compiuti i vent’anni sappia conoscere il bene e il male» (1Q Regola col. 1, lin 9 ss). torna al testo

(9) Cfr E. BAUMANN, Jadac und seine Derivate in «Zeitschr. altt. Wissenschaft» 28 (1928), pp. 22 ss. 110 ss.; P. THOMPSON . «Know in The New Testament» in «Expositor» 1925, pp. 379-382; KITTEL, Theol. Wörterbuch zum N.T., 1, 688-715. Nella Bibbia il verbo «conoscere» include sempre una sperimentale conoscenza effettiva, che può talvolta tradursi con «prendersi cura con affetto» (cfr Dt 9, 24; Is 13, 5; Sl 1, 6; Rm 8, 29 significa «quelli che Dio ha preconosciuti con amore»  li ha anche prescelti). La conoscenza di Dio non è veramente posseduta fino a quando si limita a un puro atto intellettuale; si può averla solo in un riconoscimento tutto sperimentale (Sl 83, 19; Is 11, 9; Os 4, 1, ecc.). Cfr E. CANTORE, la sapienza biblica, ideale religioso del credente, in «Rivista Bibl.» 8 (1960), p. 194. torna al testo

(10) Cfr A. DUMAS, Il Controllo delle nascite nel pensiero protestante, Torino, 1966, p. 45. torna al testo

(11) Advers. Helvidium 5-8 PL 23, 187-201. Le medesime idee di Elvidio furono poi sostenute da un certo Bonoso, vescovo d’Italia, condannato nel sinodo di Capua (inverno 391-392) e da Gioviniano (vissuto a Roma verso il 385) contro il quale scrisse Girolamo il suo trattato Adversus Jovinianum PL 23, 222-352. torna al testo

(12) A.T. ROBERTSON - G. BONACCORSI, Breve grammatica del N.T. greco per le scuole teologiche, Fiorentina, Firenze 1910, p. 245 nota 1 (è del Bonaccorsi).
In realtà Girolamo nel suo Trattato contro Elvidio, senza parlare del corvo, cita Mt 28, 20; 1 Co 15, 23-26; Sl 122, 3; 118, 125; Ge 35, 4 s; Dt 34, 6 (LXX). Le medesime ragioni sono addotte nel suo libro De perpetua virginitate 6, PL 23, 189 s e poi dall’ Opus imperfectum Hom 1 PG 56, 635; BASILIO, In Christi generationem 5 PG 31, 1468. torna al testo

(13) CALVINO, Comment. in Math. 1, 25 in M. THURIAN, Marie Mère du Seigneur, Figure de l’Eglise, Taizé 1962, p. 57. Anche Lutero discusse la congiunzione nella sua disputa tenuta a Lipsia con G. Eck («Disput. J. Eck et M. Luther» Lipsia habita 1519, in Weimar 2, 34). torna al testo

(14) In «La Revue Rèformé» 1956, 4 fasc. pp. 63-64 o in M. THURIAN, o.c. p. 57. torna al testo

(15) C.F. NOESGEN, Geschichte der Meutestamentlichen Offenbarung, vol. 1, 33. Lo stesso pensiero è pure espresso da A. SCHLATTER, Der Evangelist Matthäus, Stuttgart 1948, p. 24; da Th. ZAHN, Forschungen zur Geschichte des neutestamentliche Kanons un der altkirchlochen Literatur, VI Leipzig 1900, pp. 225-364 (la citazione si trova a p. 336). Anche Ugo KOCH e De la GARENNE ammettono l’identica soluzione che viene bene sintetizzata da Floid V. FILSON. torna al testo

(16) P. BONNARD, L’Evangile selon S. Matthieu, Delachaux et Niesllé (Commentaire du N.T.), Neuchâtel-Paris 1963, p. 22. torna al testo

(17) A. ALBERTI, Il Messaggio degli Evangeli, Massimo, Molano 1959, p. 40. torna al testo

(18) P. JOUON, L’Evangile de notre Seigneur Jesus Christ, 2 ediz. Beauchesne, Paris 1930, p. 5. Un primo tentativo di versione secondo questa linea direttiva era già stato attuato da Bossuet che suggeriva di tradurre il passo nella seguente maniera: «Et il ne l’avait pas connue, quand’elle enfanta son premier-né» (Elevation sur les mystères, XVI Semaine, e Elevation). Ma non era ancora giunto alla conclusione definitiva. torna al testo

(19) Denis BUZY, Evangile selon S. Matthieu, in «La Sainte Bible» par Pirot, t. IX, Paris, Letouzey 1935, p. 10. torna al testo

(20) «Et sans qu’il l’eût connue, elle enfanta un fils, auquel il donna le nome de Jésus» in «La Sainte Bible de Jérusalem» Editions du Cerfs, Paris 1956. p. 1291. torna al testo

(21) «E senza che egli la conoscesse, ella partorì un figlio, a cui pose nome Gesù» (A. SISTI, la S. Bibbia, edizione Salani, Firenze 1961, p. 1778). Questa traduzione è inferiore a quella francese poiché attribuisce a Maria l’imposizione del nome a Gesù, mentre ciò è riferito a Giuseppe nell’originale greco e anche nella traduzione francese. torna al testo

(22) S. GAROFALO, purificando la precedente traduzione italiana, così rende il nostro passo: «La quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, cui egli pose nome Gesù» (in «La Sacra Bibbia», vol. III, Marietti, Torino 1961, p. 14). La frase è tuttavia assai più contorta  dell’originale greco. torna al testo

(23) «E senza che egli l’avesse conosciuta, ella generò un figlio, a cui pose nome Gesù» (A. ALBERTI, Il Messaggio degli Evangeli, o.c. p. 41) dove ricorre il medesimo errore della traduzione di A. Sisti. Di più il verbo «generare» si applica al maschio e non alla femmina, cui si addice il verbo «partorire». torna al testo

(24) «La lingua moderna non riesce a rendere il senso esatto del testo, che non esclude di per sé posteriori relazioni coniugali, ma neppure le afferma, interessando esclusivamente il periodo antecedente al punto indicato, e non quello successivo. Meno legata alla lettera, ma più fedele al senso sarebbe la traduzione: Senza che lui la conoscesse, partorì un figlio, cioè era ancora vergine quando partorì» (Muro LACONI, Enciclopedia Mariana, Theotòcos, Milano, Massimo 2 ediz. 1957, p. 33). La ragione addotta per limitare la visuale del «finché» al periodo prenatale del Cristo, sarà esaminata nel corso del presente studio. torna al testo

(25) «Y, sin que tuviera con ella trato coniugal, dio a luz un hijo, y le puso el nombre de Jésus» (P. SEVERINO del PARAMO S.J. in «La Sagrada Escritura» Nuevo Testamento I, Evan-gelios, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1961, p. 29). V’è il solito errore di riallacciare a Giuseppe (almeno come la traduzione suona) la nascita di Gesù; infatti il soggetto di «dio a luz un hijo» nel contesto spagnolo, è Giuseppe e non Maria. Se è sottinteso il nome di Maria, allora anche l’imposizione del nome verrebbe attribuita a Maria e non a Giuseppe, come ha il testo originale greco. torna al testo

(26) F. STREICHER, Das Evangelium, Freiburg in Br. 1961, p. 11 «Ohne das er sie erkannte, gebar sie ein Sohn ihren Erstgeborenen». torna al testo

(27) N. SCHLOEGL, Die Helligen Schriften des Neuen Bundes, Wien 1920. p. 6 Joseph «nahm sein Weib zu sich, obgleich er ihr nie beiwohnte, und als sie dann ihren Sohn gebar, nannte er ihm Jesus». È troppo libera. torna al testo

(28) O. KARRER, Neues Testament, München 1954. p. 27. Joseph: «nahm seine Frau zu sich, ohne sich hir ehelich zu haben, bis sie einen Sohn gebar». torna al testo

(29) W. MUELLER - JURGENS, Das Evangelium. Mathäus, Nurnberg 1958. p. 4 «Und er hatte sie, bis sie ihren ersten Sohn gebar, vorher nicht erkannt». torna al testo

(30) «Ma non la conobbe finché partorì un figlio, a cui pose nome Gesù» (M. TELLINA, in La S. Bibbia del Garzanti, Milano 1964. p. 1787: sarebbe stato meglio tradurre il verbo con «conosceva». torna al testo

(31) «E non la conobbe finché diede alla luce un figlio e gli pose nome Gesù» (P. ROSSANO in La S. Bibbia, Vol III N.T.. UTET Torino 1963, p 4). Sarebbe stato meglio dire «non la conosceva». torna al testo

(32) «E non la conosceva, finché non diede alla luce un figlio e gli pose nome Gesù» (F. NARDONI, La S. Bibbia, Editrice Fiorentina, Firenze 1960, p. 1570, ben tradotto). torna al testo

(33) «E non la conobbe finché essa ebbe partorito in figlio ed egli gli diede nome Gesù» (J. SCHMID, L’Evangelo secondo Matteo, Morcelliana, Brescia 1957, P. 56). Sarebbe stato meglio dire «non la conosceva». torna al testo

(34) «Ma non la conobbe fino a che non partorì un figlio cui mise nome Gesù» (T. ROBER-TELLA, in «La Bibbia concordata, Mondadori 1968, p. 1661): più letterale sarebbe stato «non la conosceva». torna al testo

(35) «Qui egredebatur et non revertebatur, donec siccarentur aquae super terram» (Gn 8, 7). La lezione della Vg è pure quella della versione Siriaca e dei LXX. torna al testo

(36) Gn 8, 7 Versione Garzanti: Su questo passo cfr A. SCHULTZ, on «Zeitschr. f. alt. Wissen-schaft» 18 (1942-1943), p. 184 s; esso è pure ricordato da J. BLINZER, Die Brüder und Schwestern Jesu, Stuttgarter Bible Studien, 21 Stuttgart 1967, p. 51. Torna al testo

(37) U. HOLZMEISTER,  De Sancto Joseph quaestiones biblicae, Roma 1945, p. 46. torna al testo

(38) Lo stato dei morti era considerato come un’esistenza umbratile (Refa cîm) nella quale i defunti non possono più agire e nemmeno lodare Dio – con culto pubblico – come si compiva invece nel santuario di Gerusalemme (cfr Sl. 115, 17; Is 38, 18 s). torna al testo

(39) Sul giuramento per la vita di Dio cfr 1 Sm 14, 39; lo spirito è dato da Dio come principio vitale (Ge 2, 7; Is 2, 22; 2 Mac 7, 23); finché esso rimane nell’uomo, questo vive; quando Dio se lo riprende, questi muore, Dopo morte non si potrà più parlare né in bene né in male. torna al testo

(40) Bibbia Garzanti (o.c. p. 990). Anche il Penna (Bibbia di UTET o.c.) così traduce:
Sicuro è il cuore, non temerà:
alla fine vedrà sconfitti i suoi avversari! torna al testo

(41) J. BLINZER, Die Brüder und Schwestern Jesu, Stuttgarter Bible Studien, 21 Stuttgart 1967, pp. 50-56. torna al testo

(42) Non si può quindi essere d’accordo con Girolamo (Contro Elvidio, 6 PL 23, 198) quando scrive: «Ergo post consummationem saeculi a discipulis suis Dominus abscedet, et tunc quando in duodecim soliis judicaturi sunt duodecim tribus Israel (Mt 19, 28) Domini consortio fraudabuntur?». Si noti che la presenza del Cristo è qui intimamente collegata con l’apostolato missionario dei discepoli; Gesù deve aiutarli in tale opera meravigliosa; perciò, finita la loro missione, non vi sarà più bisogno di tale presenza soccoritrice nell’esecuzione della loro missione. Solo questo vuole indicare il testo di Matteo. torna al testo

(43) Ge 35, 20 è citato anche da Girolamo (Adversus Helvidium PL 23, 199). «he sia scomparso in seguito risulta dal fatto che oggi non v’è più. torna al testo

(44) «Quando modifica una frase principale negativa, la congiunzione significa regolarmente che il fatto della clausola principale accadrà quando si sarà effettuata l’affermazione della frase dipendente . . . Non risulta che ci siano eccezioni sicure a questa regola nel N.T., benché alcuni passi non siano chiari» E. Earle ELLIS, Present and Future Eschato-logy in Luke, in «New Testament Studies» 12 (1965), pp. 27-41; la citazione è a p. 32, nota 2. torna al testo

(45) Mt 23, 39 + 21, 9; l'ordine di Matteo non è sempre cronologico per cui il loghion di Gesù va posto prima dell'ingresso trionfale del Maestro in Gerusalemme (Mt 21, 1-11). torna al testo

(46) Si riferisce al compimento della sua resurrezione (Cristo è la nostra pasqua) oppure al regno escatologico finale quando Cristo sarebbe tornato. torna al testo

(47) E.E. ELLIS , 1. c. in «New Test. Studies» 1965, pp. 30-32. Tuttavia se questa interpretazione non fosse ritenuta possibile, il passo rientrerebbe nella classe di cui abbiamo parlato più sopra («sino alla fine del mondo»). torna al testo

(48) U. HOLZMEISTER, De s. Joseph, o.c., p. 46. torna al testo

(49) Sedere alla destra di Dio significava essere costituito signore del creato; presso i re d'oriente il primo ministro stava alla destra del re. Il re è quindi il luogotenente di Dio nel distruggere i nemici antidivini che perciò sono annientati e posti, come spesso si vede nei monumenti egizi od assiri, come sgabello sotto i piedi del sovrano seduto sul trono. Evidentemente dopo che tale missione sarà compiuta, egli non avrà più motivo di stare alla destra di Dio per tale scopo (come luogotenente per annientare i nemici di Dio). torna al testo

(50) Il passo è spesso citato nel N.T.: Mt 22, 44 (Gesù stesso); Mc 12, 36; Lc 20, 42-43 (sono paralleli a Matteo); At 2, 34-35; Eb 1, 13 e 1 Co 15, 25. L'espressione «alla destra di Dio» si legge 20 volte nel N.T. ed è riferita al Cristo; così, oltre ai cinque passi precedenti, la troviamo anche in Mt 26, 64; Mc 14, 62; Lc 22, 69; Mc 16, 19; At 2, 33 e 5, 31; 7, 55; Rm 8, 34; Ef 1, 20; Cl 3, 1; Eb 1, 3; 8, 1; 10, 12; 12, 2; 1 Pt 3, 22. In Ap 5, 1.7 si riferisce al libro scritto che sta alla destra di Dio. Lo «stare a destra» o «l'essere elevato alla destra» indica l'esaltazione di Cristo a principe e salvatore (At 5, 31), sopra le potenze cosmiche (Ef 1, 20; 1 Pt 3, 22) e la sua intercessione (Ef 1, 20), attività questa che avrà termine con la definitiva instaurazione del regno celeste.
Alcuni, poggiando su questo passo, sostengono la subordinazione del Figlio nel senso di una sua inferiorità (come la intendevano gli Ariani); altri pensano solo al termine della sua funzione di mediazione redentrice. Anche lo Holzmeister afferma che «in questo passo la parola regnare si prende in senso ristretto coercitivo, che con la scomparsa dei nemici sarebbe cessata del tutto» (De s. Joseph, o.c., p. 46). torna al testo

(51) Sl 123, 2-3. GIROLAMO, Adv. Helv. 6 PL 23, 199, così commenta malamente: «Ergo tamdiu propheta oculos habebit ad Dominum, quamdiu misericordiam impetret, et post impetratam misericordiam oculos torquebit in terram?». torna al testo

(52)  Risulta da questo passo che al tempo di Timoteo il culto cristiano era già più organizzato, senza quella libertà (talora confusionaria) rispecchiata dalla prima lettera ai Corinzi (c. 14). torna al testo

(53) Mt 11, 7. L'osservazione è fatta dal P. Joüon: L'Evangile de notre Seigneur Jésus-Christ, Paris 1930, 2a ediz., pp. 295s. torna al testo

(54) Singolare e¦n th= e¦rh¢m% (Mt 11, 7; cf Mc 1, 3); è questo il deserto di Giuda (cf Mt 3, 1), vale a dire la zona arida sulle rive del Mar Morto, nei pressi dell'abitato di Qumran (cf pure Lc 3, 2.4; Gv 1, 23; Lc 7, 24). torna al testo

(55) C. De AMBROGIO, Il Vangelo di Luca, Vol. I, Internazionale, Torino 1965, p. 84. Il greco di Lc 1, 80 dice appunto che Giovanni viveva e¦n tai¤j e¦rh¢moij žXo¢raijŸ ; vale a dire in «luoghi deserti», quindi in solitudine. torna al testo

(56) Questa serie di passi biblici costituisce il parallelo più evidente con quello di Matteo che stiamo studiando. torna al testo

(57) Per la verga del comando cf Nm 21, 18; Sl 60, 9 (Riveduta v. 7) = Sl 108, 9 (Riveduta v. 8). Questa verga (mehoqeq) non ha mai il significato regale; anche il shebet (riferito più tardi alla corona regale) all'origine aveva un senso legato alla tribù. torna al testo

(58) Si potrebbe anche riferire il passo al re Davide (tipo del Messia) nel senso che, con la sua venuta, la supremazia, prima posta nelle mani della tribù, sarebbe cessata per passare in mano al re. Su questo passo cf POSNANSKI, Schilo. Ein Beitrag zur Geschichte der Mesiaslehre I Tell. Auslegung von Ge 49, 10 in Alterturm bis zum Ende des M.A., 1904; J. SKINNER, Genesis, Edinbourgh 1930 2a ediz., pp. 518-525. torna al testo

(59) BLINZER o.c., p. 51. Mt 12, 18-21 che cita Is 42, 1-4, con lezioni proprie, indipendenti tanto dall'ebraico che dal greco dei LXX e la cui ragione rimane incerta. torna al testo

(60) K. BEYER, Semitische Sintax in N. Testament, Vol. I; Satzlehew Teil 1 Göttingen 1962, p. 132 A 1. torna al testo

(61) Giuditta 16, 22. torna al testo

(62) Così P.R. BOTZ, Die Jungfrauschaft Marias im Neuen Testament und in der nach-apostolichen Zeit, Doss. Tübingen 1935 s; F.X. STEINMETZER, in «Theol. Revue» 37 (1938) p. 183. torna al testo

(63) Così Giovanni CRISOSTOMO, Comm. in Matth. 1, 25 PG 57, 58 e più recentemente U. HOLZMEISTER, De Sancto Joseph questiones biblicae, Roma 1945, p. 47; J. SCHMIDT, Das Evangelium nach Matthäus, Regensburg 1956, p. 44, traduzione italiana, Brescia, Morcelliana 1957, p. 59; J. BLINZER, Die Brüder uns Schwestern Jesu, o.c., p. 52 s. torna al testo

(64) Joseph ante partum credibile fuit ut cognosceret eam, quia nondum cognoscebat mysterii dignitatem; postquam vero cognovit quia facta est Unigeniti Dei templum, quo modo poterat hoc usurpare? ( Opus imperfectum in Matthaeum Hom. I PG 56, 635). torna al testo

(65) Gli Esseni avevano un'idea assai affine a quella dominante sino a poco fa in campo cattolico, benché fossero consequenziali nella sua applicazione pratica. torna al testo

(66) Guerra Giudaica 2, 8, 13 par. 161. torna al testo

(67) Su questo punto rimando allo studio che ho in preparazione sui Manoscritti di Qumran e la Bibbia. torna al testo

(68) Non si deve affatto insistere, come faceva in modo ridicolo Girolamo, sul fatto che, subito dopo la nascita non si potevano avere dei rapporti coniugali e che perciò il «finché» non esclude la continuazione dell'astensione matrimoniale anche dopo la «nascita di Gesù». È evidente che la nscita non deve intendersi come il momento preciso del parto; essa include tutto il periodo in cui, secondo la Legge, tale rapporto non era permesso proprio a motivo di tale nascita (cf Lv 12, 2-8; 15, 19-30): sette giorni per un bimbo e 14 per una bimba; in tale periodo la donna era impura come al tempo del flusso mestruale e si diveva evitare ogni contatto con lei. Il «finché ebbe partorito» include dunque tutto il periodo ricollegato con l'impurità del parto e che proibiva al coniuge ogni rapporto matrimoniale con la propria moglie. torna al testo



(Fausto Salvoni, in «Sesso e amore nella Bibbia», Editrice Lanterna Genova 1968, pagg. 95-132)