GENESI - LA STORIA PATRIARCALE 

INDICE
Storia patriarcale
Cornice storica
Egemonia di Ur (ca. 2070-1960 a.C.)
Espansione degli Amorrei (2000-1800 a.C.)
Espansione degli Hurriti (ca. 1850-1750 a.C.)
Impero degli Hyksos (1720 a. C.) ed egemonia di Hammurabi (1728-1686 a. C.)
Fine degli Hyksos (1580 a. C.) e della I dinastia di Babilonia (1550 a. C.)
Origine tecnica dei patriarchi
I nomadi
I senza-patria
Ambito cronologico dei patriarchi
Abramo
Abramo contemporaneo di Hammurabi?
Data dell'ingresso di Giacobbe in Egitto e dell'Esodo
Il numero di 430 anni
Carattere storico delle narrazioni sui patriarchi ebrei
Argomenti esterni: Indizi storici ed archeologici
Argomenti interni di veridicità
Possibilità della trasmissione
Limiti della storiografia patriarcale

STORIA PATRIARCALE
Risulta molto difficile collocare le vicende patriarcali in un quadro cronologico ben preciso e determinato in quanto la storia di una famiglia nomade o seminomade non interferisce necessariamente con la storia dei grandi centri urbani. Inoltre il senso della storia degli antichi era molto diverso dal nostro. Non si preoccupava tanto di registrare l'esattezza cronologica dei fatti, ma piuttosto si prefiggeva di raggiungere, attraverso le vicende narrate, un ben preciso scopo che era soprattutto quello di rendere attuale il passato per spiegare il presente.

Nel nostro caso specifico la preoccupazione dell'autore sacro era quella di dimostrare ai propri contemporanei che Dio é presente nella storia attuale degli uomini, perché questa storia é stata da lui determinata fin dai tempi più remoti con un ben preciso disegno che si é progressivamente sviluppato nel corso dei secoli fino a sfociare nell'attuale stato di cose.

Poiché il tema principale sviluppato dal libro della Genesi (come pure da tutti gli altri libri della Bibbia) é quello della salvezza, il nostro autore si preoccupa anzitutto di esaminare le vicende dell'umanità intera, dei singoli popoli e delle singole persone, alla luce di questa salvezza.

Possiamo tuttavia, nei limiti consentiti dalle recenti scoperte archeologiche, tentare di inquadrare le vicende dei patriarchi in una cornice storica che ci possa aiutare a comprendere meglio i fatti narrati ed il comportamento dei singoli protagonisti.
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CORNICE STORICA

La prima metà del secondo millennio prima di Cristo, epoca in cui si inseriscono le vicende da Abramo a Giuseppe (cc. 12-50), ci é nota, attraverso i documenti scritti e l'esplorazione archeologica, solo in modo saltuario. Certi punti nel tempo e nello spazio sono conosciuti fin nei particolari (risultano, ad esempio, dagli archivi di Mari nel medio Eufrate); altri punti (per esempio, il suolo Palestinese) sono immersi nella luce crepuscolare dei reperti archeologici (ceramica, sigilli, piccoli oggetti di arte, ecc.), sufficienti per stabilire le successioni e le mutue influenze delle civiltà.

Non mancano zone di completa oscurità, specialmente per quanto riguarda l'origine e gli spostamenti dei popoli nomadi, che non hanno lasciato traccia reperibile all'archeologia, e che facevano capolino solo nei documenti, quando le loro scorrerie disturbavano le popolazioni urbane. Comunque ora é possibile, più di quanto non lo fosse qualche tempo fa, ricostruire quel periodo storico, e ne risulta uno svolgimento alquanto diverso da quello che si supponeva allora. La cronologia ha subito un vero e proprio rivolgimento soprattutto dopo che le tavolette, scoperte a Mari (Tel Hariri, scavi dal 1933 al 1939), hanno rivelato il sincronismo tra Hammurabi e Samsi-Adad I di Assiria e dopo che nel 1942 fu pubblicata una nuova e completa lista dei re assiri, detta Khorsabad, la quale condusse a fissare il regno di Hammu-rabi dal 1728 al 1686.

L'esame dei documenti e la coincidenza di molti indizi permettono di tracciare, dell'epoca che ci interessa, il seguente quadro che, per facilitarne l'esposizione, dividiamo in cinque momenti successivi:

1) Egemonia di Ur (ca 2070-1960 a.C.)
2) Espansione degli Amorrei (2000-1800 a.C.)
3) Espansione degli Hurriti (ca 1850-1750 a.C.)
4) Impero degli Hyksos (1720 a.C.) ed egemonia di Hammurabi (1728-1686 a.C.)
5) Fine degli Hyksos (1580 a.C.) e della I° dinastia di Babilonia (1550 a.C.)
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Egemonia di Ur (ca. 2070-1960 a.C.)

Verso l'anno 2000 é in pieno rigoglio la dinastia III di Ur, durante la quale l'antica civiltà sumerica diffonde i suoi ultimi sprazzi di luce fino all'alta Mesopotamia e alla Siria. Tuttavia l'elemento di lingua accadica, già ben rappresentato nella capitale Ur e nelle antiche città sumeriche, é assolutamente predominante più a nord, fino agli estremi confini dell'Assiria.

Dall'altra estremità dell'antico Oriente, l'Egitto, ormai superato quella specie di medioevo, chiamato periodo intermedio, si va unificando sotto la dinastia XI.

In mezzo sta la Palestina, popolata da una costellazione di piccole città-stati fondate dai Cananei, autori della civiltà palestinese del Bronzo Antico (terzo millennio), i cui documenti non sono epigrafici, ma solo archeologici.

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Espansione degli Amorrei (2000-1800 a.C.)

Il momento successivo é caratterizzato dall'espansione degli Amorrei, popolazione semitica che in antecedenza percorreva, alla maniera dei nomadi, il bordo del deserto ad occidente dell'Eufrate. L'egemonia di Ur, indebolita da una parte dall'invasione amorrea e assalita dall'altra dal rivale Elam, cadde nel 1960 a.C. circa (ultimo re Ibi-Sin). Devastata gravemente la città di Ur, si instaura l'egemonia degli Elamiti, che controllano le due dinastie successive di Isin e di Larsa (1960-1698 a.C.), dalle quali dipende ormai la decadente città di Ur. Gli Amorrei fondano una dinastia a Mari (verso il 1958 a.C.), sul medio Eufrate e più tardi, nel 1830, con Sumu-abum, s'impadroniscono della città di Babilonia iniziando la dinastia I di Babilonia.

Dall'altro lato del deserto Siro-Arabico, da cui erano usciti, gli Amorrei occupano la Transgiordania e la Palestina e vi diventano sedentari. La Palestina a quell'epoca é sotto il controllo dell'Egitto, salito a grande potenza con i sovrani della XII dinastia, che avevano la loro capitale ad Heracleopoli, e cioè non eccessivamente lontano dal Delta e dal confine asiatico. Neppure gli Amorrei lasciano documenti scritti in Palestina, ma noi riconosciamo la loro presenza dai testi di esecrazione egiziani, una serie di cocci e di statuette di argilla con sopra scritti i nomi dei capi palestinesi che costituivano un pericolo per l'egemonia egiziana. Sono nomi di Amorrei, che verso il 1950 appaiono da diversi indizi come nomadi, mentre verso il 1850 si trovano raggruppati in piccole città governate da un re.

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Espansione degli Hurriti (ca. 1850-1750 a.C.)

Dopo circa il 1800 a. C., mentre la XII dinastia in Egitto, va perdendo di forza e non controlla più la Palestina, e in Oriente continua l'egemonia degli Elamiti, mentre gli stati amorrei di Mari e di Babilonia vanno consolidandosi, é in piena fase di sviluppo l'infiltrazione degli Hurriti. Questa popolazione non semitica, la cui lingua, ancora non perfettamente conosciuta, era di tipo agglutinante, aveva occupato le montagne ad oriente del Tigri, donde incominciò a scendere pacificamente nella pianura mesopotamica e lungo l'Eufrate. Un forte contingente di nomi propri hurriti si trova nelle tavolette scoperte nella località ora detta Shagar-Bazar (scavi dal 1935 al 1937), nel bacino del Khabur, e negli stessi documenti di Mari, dove alcuni testi religiosi sono interamente in hurritico. A Nuzi, oggi Yorgan Tepe (scavi dal 1927 al 1931), non lontano da Kerkuk, si stabilì a oriente del Tigri una popolazione interamente hurrita, i cui documenti sono tuttavia di un epoca tardiva, dal 1500 al 1400 a.C.. Parecchi indizi ci assicurano che gli Hurriti si insinuarono in Siria e scesero fin nella Palestina, formando piccoli centri urbani o aggregandosi a quelli già esistenti. Dallo studio dei nomi propri appare che gli Hurriti erano guidati da un'aristocrazia di lingua indo-ariana. É in armonia con questi dati la notizia di Ge 36, 20-30, secondo cui gli Edomiti si uniscono a una tribù di Hurriti (Horim) nella regione di Seir, a sud del Mar Morto.
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Impero degli Hyksos (1720 a. C.) ed egemonia di Hammurabi (1728-1686 a. C.)

Verso il 1730, indebolitosi l'Egitto sotto la XIII dinastia, era in atto il Palestina, parallelamente, all'infiltrazione Hurrita, una invasione graduale di elementi semitici che, facendo pressione ai confini dell'Egitto e, pare, stanziandosi parzialmente nel Delta, costituivano i prodromi della dominazione degli Hyksos. Nel 1720 Avaris nel Delta diventa la capitale di un regno vero e proprio, esteso in tutta la Palestina e su buona parte dell'Egitto. Il nome Hyksos era già usato in antecedenza dagli Egiziani per indicare i capi delle tribù nomadi del confine asiatico, e si deve tradurre "capi dei paesi stranieri", ma dai Greci, nell'epoca ellenistica, fu interpretato " re pastori", e così sono ancora talvolta chiamati gli Hyksos nei manuali di storia. Questi sovrani assimilarono in parte la civiltà egiziana, ma, segno di decadenza, non lasciarono documenti, se non un gran numero di scarabei (paragonabili alle nostre medaglie commemorative), con i nomi dei regnanti. Essi introdussero l'uso del cavallo e dei carri da guerra, nonché dei castelli fortificati in terra battuta, di cui costellarono la Palestina.

Contemporaneamente allo stabilirsi degli Hyksos nel Delta, a Babilonia si inizia il regno glorioso di Hammurabi (1728-1686 a.C.), il quale nel trentesimo anno del suo regno abbatte la supremazia degli Elamiti (1698 a.C.) e conquista i regni confinanti, Larsa e Mari. Così la dinastia Amorrita già insediatasi a Babilonia nel 1830, riunisce ora sotto Hammurabi tutto il paese abitato dagli Accadi e dagli ultimi nuclei di Sumeri. Intanto nell'Anatolia centro-orientale si va formando la potenza di un nuovo popolo: gli Hittiti .

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Fine degli Hyksos (1580 a. C.) e della I dinastia di Babilonia (1550 a. C.)

Dopo circa un secolo e mezzo la situazione cambia totalmente, sia in Egitto che a Babilonia. In Egitto il movimento di riscossa nazionale guidato da Ahmosi I (1580-1558), il fondatore della dinastia XVIII, culmina con la caduta di Avaris nel 1580 e con la distruzione dell'impero degli Hyksos, dopo di che la Palestina diventa in pochi decenni una provincia dell'impero egiziano.

Intanto nella Mesopotamia meridionale i Cassiti, una nuova popolazione discesa dalle montagne dello Zagros (tra l'altipiano iranico e la pianura babilonese), si erano impadroniti di una parte del territorio, sottratta ai successori di Hammurabi; finché nel 1550 ca., Babilonia fu ferocemente saccheggiata da una razzia di Hittiti, condotti dal re Mursilis I.

Ritiratisi gli Hittiti, Babilonia viene occupata dai Cassiti, che col re Agum II vi inaugurano (ca. il 1520) una lunga dinastia, che durerà senza gloria fino al 1178, quando Babilonia soccomberà ad una ripresa di potenza da parte degli Elamiti. La regione di Babilonia sotto i Cassiti prende il nome di Kardunias.

Poco dopo, verso il 1500, gli Hurriti con Sudarna I° fondano uno stato che si affaccia sulla Siria e avrà una grande parte nell'equilibrio politico dei successivi centocinquant'anni. É il regno dei Mitanni, situato nella Mesopotamia settentrionale, chiamata dagli Egiziani con il suo nome semitico di Naharina (ebraico Nahãrayim). Gli Assiri a quest'epoca sono vassalli dei Mitanni e gli Hittiti attendono la loro ora per espandersi verso oriente a spese dei Mitanni. Le due potenze confinanti sono il Mitanni e l'Egitto. É il periodo delle campagne asiatiche di Tutmosi III (1504-1450), seguito dal cosiddetto periodo di El-Amarna (Amenophis III e A-menophis IV, 1405-1352).

Ma, a questo punto della storia, siamo certamente già fuori dell'epoca dei patriarchi ebrei.
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ORIGINE ETNICA DEI PATRIARCHI

I nomadi

I nomadi sono attestati negli archivi di Mari, nel sec. XVIII, col nome più frequente di Sutu, dei quali due tribù importanti erano i Banu-Simal (Figli del Settentrione) e i Banu-Jamina (Figli del Meridione). Si tratta di allevatori di piccolo bestiame, che, spostandosi lungo il medio Eufrate, si danno talora alla razzia e creano noie ai re di Mari, da cui in linea di principio dovrebbero dipendere. La loro presenza é segnalata a quest'epoca anche nell'alta Mesopotamia, nella regione di Harran e, quattro secoli dopo, all'epoca di El-Amarna, nella Siria meridionale al servizio degli Egiziani.

Comunemente si pensa che questi Sutu siano gli antenati o gli equivalenti degli Ahlamu, spesso menzionati nel sec. XIV nelle iscrizioni assire, e che gli Ahlamu a loro volta formassero un gruppo etnico nel quale poi emersero e predominarono gli Aramei. La prima menzione di costoro fuori dalla Bibbia é del sec. XII, in una iscrizione di Tiglat-Pileser V (verso il 1110), nella quale gli Aramei, chiamati Ahlamu-Aramei, appaiono stanziati tra Palmira (Tadmor) e l'Eufrate. Ciò non vuol dire che questo gruppo etnico abbia cominciato solo allora ad esistere ed a chiamarsi col nome di Aram. In una questione avvolta ancora da tanta oscurità ci sembra preferibile l'ipotesi che presume che i nomadi Ahlamu, di origine araba, stabilitisi in Siria e Mesopotamia verso il sec. XII, abbiano assunto il nome di Aram e il dialetto aramaico proprio delle popolazioni che li avevano preceduti su quel territorio. Che poi queste popolazioni si trovassero là fin dal tempo dei patriarchi, come appare dalla Bibbia (Gn 25, 20; 28, 5; 31, 20.24), sarebbe confermato dalla lingua aramaica, la quale é derivata da un dialetto semitico occidentale parlato nella Mesopotamia settentrionale all'inizio del secondo millennio, dialetto di cui si trovano tracce riconoscibili nei documenti di Mari.

Ci si domanda quale siano i rapporti di questi nomadi del secolo XVIII con i patriarchi ebrei. Che vi sia somiglianza di vita (tranne le razzie, attestate come fatto eccezionale nell'assalto di Sichem, (Ge 34) e di irradiazione geografica (spostamento lungo l'Eufrate e stanziamento semi sedentario nella Mesopotamia settentrionale) é innegabile. Che vi sia anche appartenenza etnica può apparire dal fatto che non solo i parenti di Abramo, Bethuel e Labano, sono chiamati Aramei, ma anche Giacobbe é designato come Arameo errante (Dt 26, 5). Tuttavia questa designazione potrebbe essere più geografica che razziale, in quanto i parenti di Abramo. e per lunghi anni anche Giacobbe,  si trovarono stanziati in territorio arameo, chiamato appunto dal libro della Genesi Aram-Nahãrayim (Aram dei due fiumi o presso le due rive del fiume Eufrate) (Gn 24, 10).

La Tavola delle Nazioni di Ge 10 distingue Arpaksad, l'antenato degli Ebrei e di certe tribù dall'Arabia, da Aram (Ge 10, 22). Tuttavia a nostro parere in questo contesto si fondano due dati. Un dato etnografico (o piuttosto geografico) di popoli connessi con l'antenato comune Sem, fra i quali appare Aram, cioè il popolo arameo, accanto all'Elam e all'Assiria, e un dato genealogico, e cioè una catena di individui, quale appare in Ge 11, 10-26, i quali sono gli antenati di Abramo. L'ultimo raggiungibile dalla tradizione genealogica é Arpaksad, il quale viene di conseguenza elencato come figlio di Sem. Ma i due nomi l'uno del popolo (Aram) e l'altro di individuo (Arpaksad) non vanno messi sullo stesso piano e pertanto non si escludono necessariamente, come due entità senza possibili interferenze. L'origine di Abramo da Ur (Ge 11, 28-31) non risolve la questione, perché ad Ur insieme con i Sumeri vi erano gli Accadi e Habiru e, in più, nelle adiacenze di Ur, posta sul limite della steppa, dovevano accamparsi gruppi di nomadi.

I senza-patria

I senza-patria, chiamati Habiru nei testi cuneiformi. 'Apirim (o 'Apirüma?) nei testi di Ugarit e 'Apiri ('prw) nei testi egiziani, sono documentati dal sec. XX a.C. al secolo XII un po’ dappertutto nel vicino Oriente. Appaiono come soldati mercenari a Ur (sec. XX) e a Larsa (sec. XVIII), mentre nell'Asia minore, nel secolo XIX , sono ricordati come prigionieri di guerra. A Mari, al tempo di Hammurabi,  gli Habiru formano delle bande nemiche, stanziate a nord di Mari. Dai documenti dei Nuzi, provenienti da Hurriti, ivi stanziati nel secolo XV, gli Habiru risultano  degli stranieri che si danno in servitù e determinate condizioni. Nello stesso secolo vengono elencati tra i prigionieri di Amenophis II. In Siria e Palestina appaiono nel periodo di El-Amarna (secc. XV i XIV) come bande armate contrarie al potere costituito. Presso gli Hittiti (sec. XIV e XIII) si trovano gli Habiru come soldati mercenari, e nello stesso tempo il loro nome compare, come vedemmo, a Ugarit. Verso il 1300 sono menzionati in una spedizione di Seti I in Palestina e in Egitto; poi si trovano addetti ai lavori pubblici sotto Ramses II, III, IV (secc. XIII e XII). È significativo che non si trovi in nessuno di questi numerosi documenti un accenno al paese degli 'Apiru-Habiru. Tutto fa pensare che essi non costituissero un'unità etnica, benché il nome, altrimenti inspiegabile, sia stato, forse, originariamente quello di una tribù uscita dal deserto siro-arabico.

Ultimamente l'Albright ha considerato gli Habiru come carovanieri, ritenendo che il termine equivalga a uomo dell'asino, cavalcatore, carovaniere. Originariamente non sarebbero stati né briganti, né condottieri, ma gente che nel XIX secolo avrebbe impiantato una vasta rete di carovane, servendosi degli asini. Poi sarebbero diventati mercenari, briganti ed altro, quando con il loro commercio non riuscirono più a procurarsi i mezzi per vivere. Comunque la questione resta aperta.

Ritornando ora ai patriarchi ebrei, dei quali il capostipite Abramo é designato appunto con l'appellativo di 'ibrî (ebreo Ge 14, 13), notiamo che essi hanno una certa analogia con questi Habiru-'Apiru, e non soltanto nel nome. Con ogni probabilità i patriarchi ebrei e i loro discendenti furono designati dagli stranieri come 'ibrîm, cioè appartenenti alla categoria degli 'Apiru. È anche significativo il fatto che gli Israeliti chiamino sé stessi Ebrei solo nei rapporti con gli stranieri (Ge 39, 14.17; 40, 15; 41, 12; 43, 32; Es 1, 16.19; 2, 6; Dt 15, 12;Gr 34, 9; ecc.).

Generalmente si ritiene che gli 'Apiru non formassero un'unità etnica, ma che questo denominatore comune comprendesse gente di varia provenienza. I patriarchi proverrebbero da un gruppo di 'Apiru aramei o proto-aramei, come abbiamo insinuato sopra.

Tuttavia si potrebbe suggerire un'altra spiegazione, basata sulla coscienza degli Israeliti di provenire da un gruppo detto dei figli di Eber (Ge 10, 21), che comprendeva tanto gli antenati di Abramo, discendenti da Eber attraverso Peleg (Ge 11, 16-26), quanto un numero notee-vole di gruppi etnici arabi, discendenti da Eber attraverso Joqtan (Gn 10, 25-30). Ora presso gli Israeliti rimasero tenaci le tracce psicologiche del nomadismo ancestrale, fra cui l'attace-camento alle genealogie e l'importanza data alle affinità etniche. La conoscenza davvero sorprendente delle divisioni etnografiche dell'Arabia si spiega bene con la coscienza di un'affinità etnica. I gruppi originari di 'Apiru poterono assumere la lingua del paese dove si adattavano a vivere, poterono aggregare a sé nuclei di popolazioni diverse, ma alla base di questa denominazione doveva effettivamente trovarsi una realtà etnica e non solo sociale.

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AMBITO CRONOLOGICO DEI PATRIARCHI

Abramo da Ur a Harran e in Palestina

Generalmente ci si limita a constatare una sostanziale coincidenza dei grandi movimenti migratori con gli spostamenti della famiglia d'Abramo da Ur a Harran, di qui in Palestina e in Egitto. Dopo la caduta della III dinastia di Ur (1960) si comprende l'emigrazione di elementi avventizi, fino allora trattenuti dalla potenza commerciale della città. Una migrazione verso Harran é la più ovvia, date le antiche relazioni tra Ur e Harran.

La partenza di Abramo da Harran può essere messa in relazione con l’infiltrazione degli Hurriti dalla Mesopotamia settentrionale fin nella Palestina. Così Abramo poté trovarsi in Palestina vero il 1850 o alquanto dopo. L'ingresso in Egitto di Giacobbe con tutto il suo Clan può facilmente essere simultaneo con l'insediamento degli Hyksos in Egitto verso il 1700. Se a questa data si aggiungono i 430 anni trascorsi dagli Ebrei in Egitto (Es 12, 40), si arriva alla metà del sec. XIII, sotto Ramses II o il successore, cioè all'epoca quasi certa dell'Esodo.

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Abramo contemporaneo di Hammurabi?

Generalmente si trova un punto di riferimento cronologico identificando il re Amrafel di Sennar, menzionato al tempo di Abramo (Gn 14, 1. 9), col grande Hammurabi, ma questa identificazione male si accorda con il quadro cronologico sopra esposto, secondo il quale Hammurabi si colloca in un epoca assai più recente (1728-1686).

Ma noi crediamo di poter arrivare a sostenere al contemporaneità di Abramo e di Hammurabi per un'altra via. Abramo scende in Egitto per la carestia e trova il Faraone, per così dire, a portata di mano (Ge 12, 10-20). Questo é comprensibile solo al tempo degli Hyksos, che avevano la capitale nel Delta, dunque non prima del 1720. D'altra parte la spedizione contro la Pentapoli appare guidata dal re dell'Elam (Ge 14, 5-9), dunque prima del 1698, anno in cui l'egemonia dell'Elam fu schiacciata da Hammurabi. Così si potrebbe supporre Abramo in Palestina verso il 1720.

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Data dell'ingresso di Giacobbe in Egitto e dell'Esodo

Dall'ingresso di Abramo in Palestina all'ingresso di Giacobbe in Egitto i dati biblici suppongono uno spazio di 215 anni (Ge 12, 4; 21, 5; 25, 26; 47, 9). É bensì vero che questi dati sembrano calcolati artificiosamente, tuttavia la distanza tra i due avvenimenti non dovette essere minore di molto, se si tiene conto che Abramo arrivò in Palestina in buona età, come suggerisce l'avvenenza della moglie Sara (Ge 12, 11), e che effettivamente ebbe il figlio Isacco in età assai avanzata (Ge 18, 11 s.; 21, 2. 5), come risulta anche dal confronto con la discendenza di Nahor. Alla linea Nahor-Bethuel-Labano (fratello di Rebecca)-Rachele corrisponde, infatti, la linea Abramo-Isacco (marito di Rebecca)-Giacobbe (marito di Rachele). Isacco dunque é nato una generazione più tardi del normale, dopo la generazione che nella linea parallela di Nahor é rappresentata da Bethuel (cfr. Ge 22, 20-23; 24, 15; 29, 10). Si tratta insomma dello spazio di almeno cinque generazioni da Abramo ai nipoti di Giacobbe, il che deve sorpassare i 150 anni. Se dunque Abramo entrò in Canaan verso il 1720 e il Clan di Giacobbe entrò in Egitto dopo ca. 150 anni, cioè verso il 1570 a.C., ciò vuol dire che la fortuna di Giuseppe in Egitto va posta alla fine dell'impero degli Hyksos, o addirittura nei primi decenni della dinastia XVIII.

Tale ipotesi spiegherebbe ottimamente due fatti. Anzitutto l'assenza di notizie e la brevità delle genealogie tra la morte di Giuseppe e il tempo della nascita di Mosé (Ge 50, 26; Es. 1-8). Si pensi alla genealogia di Mosé: Levi (fratello di Giuseppe)-Qahat-Amram-Mosé (Es 6, 16-20). In secondo luogo é più facile comprendere come la società egiziana, nella quale si muove Giuseppe, non risenta per nulla di un dominio straniero (cfr. Ge 42, 9. 23; 43, 32); o si tratta dell'epoca in cui i costumi egiziani avevano ormai fortemente trasformato la classe dominante degli Hyksos, ovvero la vicenda di Giuseppe si deve proprio porre dopo la cacciata degli Hyksos nel 1580 a.C..

Anche in questa ipotesi non fa meraviglia che Giuseppe sia stato elevato a tanto onore, nonostante la sua origine semitica. Giunto infatti in Egitto ancora giovinetto e solo, non poteva avere nulla a che fare con gli Hyksos. Invece l'antipatia degli Egiziani verso i pastori, segnalata in occasione dell'arrivo del clan israelita (Ge 46, 34), non si spiega se non dopo la dominazione degli Hyksos. L'unica difficoltà é la residenza del Faraone, che durante la XVIII dinastia era a Tebe (o a El-Amarna sotto Amenophi IV, mentre la storia di Giuseppe si svolge nell'Egitto settentrionale. Risolviamo la difficoltà supponendo che Giuseppe risiedesse a Eliopoli (cfr. Ge 41, 50, la moglie di Giuseppe é figlia del sommo sacerdote di Eliopoli), dove appunto durante la XVIII dinastia era la residenza di uno dei due Visir; e che la corte del Faraone in certe epoche si trasferisse nell'Egitto settentrionale per ragioni di sicurezza militare.

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Il numero di 430 anni

Naturalmente portando l'ingresso degli Israeliti a quest'epoca (dopo il 1550) non si può più ritenere che tra questo ingresso e l'esodo Dall'Egitto siano trascorsi 430 anni. Di conseguenza si deve scartare la lezione del Testo Masoretico (e della Volgata) nel passo di Es. 12, 40, per seguire la lezione dei Settanta, confermata dal testo Samaritano e seguita da Paolo (Ga 3, 17) e da Flavio Giuseppe, secondo la quale i 430 anni coprono tutto il periodo del soggiorno di Abramo, Isacco e Giacobbe In Canaan  e il periodo di dimora in Egitto. Contando dunque 430 anni dal 1700, epoca largamente approssimativa di Abramo, si arriva al 1270, durante il regno di Ramses II (1301-1234 a. C.), che dai più é ritenuto il Faraone persecutore (Es 1, 8-11) e da alcuni contemporaneo dell'uscita degli Israeliti dall'Egitto.

A proposito di questi 430 anni si noti il carattere convenzionale di questo numero che é il doppio esatto degli anni che intercorrono tra l'ingresso di Abramo in Canaan e l'ingresso di Giacobbe in Egitto. E questo stesso numero di 215 anni deve essere stato calcolato non in base ad un criterio oggettivo, ma di approssimazione o di sistemazione logica. Infatti Abramo a 75 anni entra in Canaan (Ge 12, 4); dopo 25 anni nasce Isacco (Ge 21, 5); alla nascita di Giacobbe Isacco ha 65 anni (Ge 25, 26) e Giacobbe ha 130 anni al suo ingresso in Egitto. La somma fa appunto 215 anni, che con tutta probabilità, come si é visto, non vanno aggiunti ai 430 anni di Es 12,40, ma ne costituiscono la prima parte. Per questo non é possibile ricostruire con maggiore precisione il sincronismo dei fatti dei patriarchi con gli avvenimenti noti dalla storia a loro contemporanea.
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CARATTERE STORICO DELLE NARRAZIONI SUI PATRIARCHI EBREI

Il valore storico delle vicende patriarcali é connesso con l'insegnamento religioso della Bibbia, in quanto le tradizioni sui patriarchi conservano il ricordo dell'intervento di Dio nella storia della salvezza. Il Dio che ha salvato gli Ebrei dall'oppressione egiziana ed ha fatto di loro un popolo -- il suo popolo -- é costantemente chiamato il Dio dei padri, oppure il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (Cfr. Es 3, 6. 15). La cura che Dio si prese di questo popolo appare sempre come la continuazione dei suoi interventi a favore di Abramo e dei suoi discendenti immediati. Come il popolo ebreo non appare  un qualche cosa di nuovo al tempo dell'Esodo, così Jahvé, sia pure presentato con un nome nuovo (Es 6, 3), risulta già noto al popolo. Tutto ciò si comprende solo se si ammettono gli antefatti narrati nel libro della Genesi.

Dio dovette, dunque, provvedere a che il ricordo delle sue prese di contatto con i patriarchi e della sua particolare provvidenza a loro riguardo non andasse perduto. Perciò si é servito dell'unico mezzo normale di trasmissione accessibile ad un popolo di illetterati: la tradizione familiare prima, e poi popolare, curando che questa raggiungesse lo scopo. A rigore, non sarebbe stato contrario alla sapienza divina, se Dio avesse spinto la sua condiscendenza fino al punto di lasciare sviluppare naturalmente le tradizioni secondo l'indole propria dei narratori popolari e le esigenze dei loro ascoltatori, purché fosse così rispettata, anzi resa possibile e gradevole, la trasmissione di ciò che era essenziale al suo scopo. Probabilmente il concetto di inerranza biblica non esige di più, essendo la veridicità misurata dal rapporto con la realtà insito nel genere letterario, analogamente a quanto si ammette per i primi undici capitoli del libro della Genesi.

Tuttavia il valore storico, non solo di quanto é essenziale alla storia religiosa, ma anche del resto, deve essere ammesso in forza di validi argomenti, sia esterni che interni, valutati i quali, sarà opportuno accennare alla possibilità, anche sotto l'aspetto puramente umano, di una trasmissione fedele e alle inevitabili differenze che passano tra una storia così tramandata e una storia alla maniera moderna.

Non ci si deve aspettare di trovare nei documenti profani una conferma dei fatti patriarcali, trattandosi della storia di una famiglia privata, che non interferisce negli avvenimenti politici delle grandi nazioni; senza contare che neppure i grandi avvenimenti di quell'epoca sono ben conosciuti attraverso documenti. Ma, se non i fatti, per lo meno il tenore di vita dei patriarchi può essere confrontato con quanto ci risulta dall'archeologia e dall'etnografia; e la coincidenza é sorprendente.

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Argomenti esterni: Indizi storici ed archeologici

I patriarchi risentono delle consuetudini e della mentalità dei nomadi: vita sotto le tende, ricerca dei pozzi, emigrazione periodica nei luoghi dei pascoli, preoccupazione di mantenere la purezza di sangue (Ge 24, 3 s; 28, 1), fraternità con i clan di origine comune (Ge 14, 15 s.), concetto di responsabilità collettiva del clan (Ge 34, 25 s). Ma in più essi dimostrano di comportarsi secondo le norme giuridiche dei popoli sedentari a noi note attraverso i codici (Hammurabi) e i documenti analoghi dell'epoca, specialmente di Nuzi, abitata da Hurriti. Ciò corrisponde alla situazione della Siria e Palestina nei secc. XIX e XVIII, quando i gruppi di nomadi entravano in contatto con le popolazioni sedentarie raggruppate nelle rare città, vi facevano contratti (Ge 23) o razzie (Ge 34), e alla fine assumevano i costumi dei più civili, fissandosi parzialmente in determinate regioni.

Un'altra osservazione é quella dei luoghi percorsi dai patriarchi. I loro spostamenti sono limitati alla regione montagnosa e alle steppe del Negeb (Palestina meridionale), e le città menzionate sono Sichem, Betel, Ai, Hebron, nei dintorni delle quali i patriarchi si accampano. Ora l'archeologia ci assicura che a quell'epoca la pianura e la costa erano disseminate di città cananee, e le terre erano sfruttate dai sedentari, mentre per i nomadi rimaneva libera la montagna ed il Negeb. Le città menzionate esistevano appunto a quel tempo, mentre delle più recenti nessuna é ricordata nelle narrazioni patriarcali.

Ora se noi pensiamo che, con l'epoca del ferro (sec. XIII), tutto questo aspetto muta radicalmente, che Israeliti, Moabiti, Edomiti diventano sedentari, che le consuetudini giuridiche e familiari conservate nei codici israelitici sono diverse dalle consuetudini dei patriarchi, dobbiamo riconoscere la fedeltà e la tenacia delle tradizioni d'Israele sui propri antenati. Tanto più che il popolo, anche quando trasmette la memoria di fatti storici, ne deforma insensibilmente l'ambientazione, non riuscendo a concepire in modo diverso dal proprio. Qui, invece, la rappresentazione é straordinariamente fedele. Anche i nomi Abramo e Giacobbe furono portati da altre persone che nella prima metà del secondo millennio abitavano quelle regioni, e ritornano più di una volta in documenti dell'epoca, mentre presso gli Israeliti non solo questi nomi, ma anche quelli dello stesso tipo non si usano più in seguito.

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Argomenti interni di veridicità

La tradizioni popolari amano il meraviglioso, ed invece la storia dei patriarchi é del tutto normale: le stesse teofanie sono presentate in forme piuttosto astratte (Ge 17) o, almeno molto semplici (Ge 18).

Le tradizioni leggendarie idealizzano i propri eroi, invece i patriarchi non appaiono affatto sotto una luce ideale. Ci si aspetterebbe di vederli celebrati per la loro santità e potenza, ma spesso non é così: Abramo ha paura e ricorre ad una restrizione mentale, che gli viene fieramente rimproverata (Ge 12, 18 s; 20, 9-13); Sara si mostra gelosa e cattiva verso Agar, mentre il narratore si mostra solidale con Agar, soccorsa due volte dall'angelo (Ge 16, 6-12; 21, 10-19); Giacobbe inganna il vecchio padre, e per questo deve fuggire (Ge 27, 41-45) e viene a sua volta ingannato (Ge 29, 20-25), mentre la predilezione per Rachele e per Giuseppe sono per lui la causa di tanti guai domestici, che gli amareggiano la vita. Ruben perde il diritto di primogenitura per un incesto (Ge 49,4), Simone e Levi sono puniti per la loro crudeltà omicida (Ge 49, 6-7, cfr 34, 25-30), eppure Levi sarà il capostipite della tribù sacerdotale. Abramo che sposa una figlia di suo padre (Ge 20, 12), e Giacobbe, che sposa due che sono sorelle (Ge 29, 23-28), non agiscono secondo le tradizioni matrimoniali che più tardi saranno radicate in Israele e sanzionate dalla pena di morte (Lv 18, 8-18; Dt 27, 22). Tutti questi tratti sono segno di sincerità e di imparzialità.

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Possibilità della trasmissione

La forza della memoria presso i popoli poco usi alla scrittura e la continua ripetizione degli stessi racconti, durante le lunghe soste dei seminomadi presso il gregge, spiegano la trasmissione fedele anche per un periodo di qualche secolo.

Alcune circostanze, nel nostro caso, favorirono la conservazione di queste memorie. Si tratta, infatti, di un patrimonio di famiglia, connesso con la coscienza del proprio destino rivolto all'avvenire; le memorie sono spesso legate ad un pozzo, ad una pietra, ad un albero, al nome di una località o di una persona. Ritornando sugli stessi luoghi nel lungo vagare dietro al gregge veniva spontaneo il ricordo ed il racconto dei fatti relativi. Lo stesso uniforme tenore della vita patriarcale spiega il ripetersi delle stesse circostanze e la vivacità delle loro narrazioni, come di cose viste e sperimentate.

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Limiti della storiografia patriarcale

Naturalmente, il racconto, così conservato da narratori popolari non segue i limiti della storiografia. Quest'ultima vuole essere una ricostruzione esatta dei fatti passati, e quando ciò non é possibile, deve limitarsi a notizie astratte. Invece la narrativa popolare é come un quadro artistico, dove la realtà é presentata secondo certi punti di vista particolari e certi canoni artistici, e, comunque, deve sempre essere concreta, drammatica. Per questo nella narrazione sui patriarchi vi é costantemente l'uso del discorso diretto, con lunghe parlate, le quali non possono essere la registrazione meccanica della realtà. bensì una sua ricostruzione necessariamente approssimativa. Analogamente si giudichino altri particolari concreti, la cui rispondenza con l'archeologia é tuttavia una bella garanzia di fedeltà, almeno generica.

Specialmente le correlazioni cronologiche sfuggono alla narrativa popolare. A questo riguardo notiamo che la serie collegata di annotazioni cronologiche, di cui si trova arricchita la vita dei patriarchi, non é di origine popolare ed é fatta con un criterio diverso da quello che guida le narrazioni tradizionali. Si tratta di un criterio largamente approssimativo o addirittura artificioso, che non può essere preso alla lettera per ricostruire una cronologia precisa. Per questo le narrazioni tradizionali devono essere interpretate prescindendo dai numeri, apparentemente precisi, che vi si trovano inseriti.

Un esempio di questa indipendenza di dati si ha nella storia di Giacobbe. Secondo il filo narrativo fondamentale, Giacobbe rimane presso Labano vent'anni; quattordici per pagare il prezzo delle due mogli e sei per badare ai propri interessi aumentando il gregge (Ge 31, 38. 41). Inoltre, si ha che Giacobbe incominciò a pensare ai propri interessi dopo la nascita di Giuseppe, il quale, di conseguenza, nacque sei anni prima che Giacobbe lasciasse la Mesopotamia. Orbene, se noi combiniamo questi dati con quelli più numerosi forniti dalla tradizione sacerdotale, arriviamo a risultati inconciliabili. Infatti leggiamo che Giacobbe andò a Harran dopo il matrimonio del gemello Esaù, contratto all'età di 40 anni (Ge 26, 34); dunque Gia-cobbe, avendo poco più di 40 anni quando arrivò in Harran, alla nascita di Giuseppe, dopo 14 anni, ne doveva avere poco più di 54. Giuseppe fu portato in Egitto all'età di 17 anni (Ge 37, 2), quando Giacobbe doveva avere 71 anni. Quando poi Giuseppe divenne viceré d'Egitto aveva 30 anni (Ge 41, 46). Poi vennero 7 anni di abbondanza (Ge 41, 47) e due di carestia (Ge 45, 6), dopo di che Giacobbe entra in Egitto; quando dunque Giuseppe aveva 39 anni. Di con-seguenza l'età di Giacobbe doveva essere di poco superiore ai 93 anni (54 + 39). E invece a questo punto la tradizione sacerdotale afferma che ne aveva 130 (Gn 47, 9) e diciassette anni dopo, all'epoca della sua morte 147 (Ge 47, 28). La differenza é di 37 anni! Se invece teniamo distinti i due fili e diamo un significato largamente approssimativo o addirittura convenzionale ai dati della tradizione sacerdotale, cade ogni difficoltà.
Ancora. Se tutto il tenore dell'episodio di Agar nel deserto col figlio Ismaele morente fa pensare che il figlio sia ancora fanciullo (Ge 21, 13-30), noi non dovremo fare violenza a questo commovente racconto per metterlo in armonia con i dati cronologici secondo i quali Ismaele doveva avere almeno 16 anni (cfr. Ge 16, 16; 17, 25; 21, 5-8).

Tutto questo significa che non ci é possibile ricostruire con sufficiente precisione la serie completa e ordinata degli avvenimenti patriarcali, perché questo punto di vista, che interessa noi moderni, non interessava coloro che trasmisero le notizie e le collegarono in un racconto continuato.