Prigionia di Lot. v. 12 "Presero
anche Lot, figlio del fratello di Abramo, con i suoi averi, e se ne andarono.
Lot abitava in Sodoma". Questa notizia della
prigionia di Lot serve a legare la prima parte del racconto con la
seconda che più interessa all'autore sacro. La cattura di Lot
con tutti i suoi averi provoca infatti l'intervento di Abramo che é
l'eroe principale dell'intero racconto.
La vittoria dell'eroe vv. 13-17
Per ragioni ideali il Redattore,
diversamente dallo stile della "stele di
vittoria ", descrive prima la vittoria
di Abramo e poi la benedizione di Melchisedek, che costituirà il
tema centrale di questa seconda parte del racconto.
Mamre, Eshkol, Aner e i servi
. vv. 13-14 "Ma uno degli scampati
venne a dirlo ad Abramo l'Ebreo, che abitava alle querce di Mamre,
L'Amoreo, fratello di Eshkol e fratello di Aner, i quali avevano fatto
alleanza con Abramo. Quando Abramo seppe che suo fratello era stato fatto
prigioniero, armò gli uomini addestrati, servi nati in casa sua,
in numero di trecentodiciotto, e inseguì i re fino a Dan
"
Uno degli scampati viene ad avvertire
Abramo che in questa occasione é identificato come l'Ebreo, cioé
come uno di quegli enigmatici 'Apiru di cui abbiamo già parlato a
pag. 156, nel capitolo riguardante L'ORIGINE ETNICA
DEI PATRIARCHI, nel paragrafo relativo a "
I senza patria". Costoro erano sempre pronti a difendersi con le
armi in ogni occasione.
Quando gli arrivò l'ambasciata,
Abramo era accampato sotto le 'Querce di
Mamre ' che in questa occasione non indica
più, come in Ge 13, 18 la località di Hebron dove si trovava
il famoso santuario omonimo, bensì il nome dell'Amoreo a cui apparteneva,
molto probabilmente, questo santuario. Sono nominate anche altri due persone
che compaiono come fratelli di Mamre e, tutte e tre, come alleate di Abramo.
Il termine ebraico usato per "alleati", indica i partecipanti di un patto
giurato e i membri di una confederazione. Il termine "
fratelli ", quindi, più che un
vincolo di sangue e di parentela, indica in questo caso un vincolo confederativo,
come avveniva spesso fra gli Amorei. Poiché molto spesso i clan
venivano designati soltanto con il nome del loro capo, in questo caso siamo
autorizzati a pensare che intorno al santuario di 'Mamre' si era formata
una confederazione di cui facevano parte gli Amorei di Mamre, di Eshkol,
di Aner e gli 'Apiru di Abramo. Si trattava quindi di un esercito composto
da un numero di combattenti abbastanza cospicuo, non indifferente per
quei tempi, e non soltanto dei 318 servi mobilitati da Abramo. Questi ultimi,
ci viene precisato, erano nati in casa, cioè legati alla famiglia
e quindi pronti all'occorrenza anche ad impugnare le armi. A capo di questo
esercito Abramo, alla notizia che Lot era stato condotto in prigionia dai
re orientali, si avvia ad inseguire i vincitori fino a Dan. É chiaro
che Dan é un'annotazione redazionale in quanto questa località,
prima dell'occupazione israelitica, era conosciuta con il nome di Lais. A
meno che tale frase " fino a Dan
", non stia qui ad indicare l'estremo limite nord della Terra Promessa
da cui Abramo perciò avrebbe cacciato i nemici.
Prigionieri cananei. Bottino
. vv. 15-16 "Egli divise le sue forze
contro di loro di notte, e coi suoi servi li attaccò e li inseguì
fino a Hobah, che é a sinistra di Damasco. Così recuperò
tutti i beni e riportò indietro anche Lot suo fratello e i suoi
beni, come pure le donne e il popolo".
Frutto di questo inseguimento
é la sconfitta dell'esercito nemico addormentato (v. 15) ed il
recupero dei prigionieri e del bottino (v. 16).
La manovra di Abramo diverrà
classica nella strategia ebraica (Gdc 7, 16;1° Sm 11, 11; Gb. 1,
17; 1° Mac. 5, 33): divisione del contingente in tre schiere, attacco
notturno di sorpresa, inseguimento fino a tardo giorno. Sicché le
truppe avversarie scompigliate, potessero essere decimate ed il bottino
recuperato.
Abramo dopo averli sbaragliati,
insegue i nemici fino a Hobah, che secondo l'autore si trova a settentrione
di Damasco. Secondo parecchi esegeti si tratterebbe della regione stessa
di Damasco. Altri, più in sintonia con l'autore che la separa da
Damasco, identificano la città di Hobah con un'altra città
a Nord di Damasco. Chi con Choba (Gr. Cwba) di Giuditta (4, 4; 15, 4-5);
e chi con Helbon di Ezechiele (27, 18).
Segue l'elenco dei beni recuperati
da questa razzia che sono tutti i beni predati dalla spedizione dei re
orientali e cioè Lot e i suoi averi, le donne e i soldati fatti
prigionieri.
Incontro con il re di Sodoma
(sconfitto). v. 17 "Dopo il suo ritorno
dalla sconfitta di Kedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma
gli andò incontro nella valle di Saveh, (che é la Valle
dei re)".
Avendo udito che
Abramo ritornava vittorioso dalla battaglia contro Kedorlaomer ed i suoi
alleati, carico del bottino recuperato e con i prigionieri riscattati,
il re di Sodoma gli andò incontro nella Valle di Saveh, che l'autore
ci precisa essere la Valle dei re. Gli esegeti sono d'accordo nel pensare
che tale valle si trovi nei dintorni di Gerusalemme, ma non riescono
ad identificarla esattamente. Le numerose proposta finora fatte di identificazione
non soddisfano completamente.
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Intervento della divinità:
Melchisedek vv. 18-20
Interrompendo chiaramente il racconto, il redattore ha dato alla
pericope una forma unitaria e l'ha immessa nella narrazione. Originariamente,
nella stele di vittoria, l'intervento della divinità era suddiviso
in due parti: la benedizione prima della battaglia e la benedizione dopo
la vittoria.
Melchisedek. vv. 18-20 "Allora Melchisedek,
re di Salem portò pane e vino. Egli era sacerdote del Dio Altissimo.
E benedisse Abramo dicendo: «Benedetto sia Abramo dal Dio Altissimo,
padrone dei cieli e della terra! E benedetto sia il Dio Altissimo, che
ti ha dato nelle mani i tuoi nemici!». E Abramo gli diede la decima
di ogni cosa"
La scena si apre con la comparsa improvvisa di Melchisedek, che
offre pane e vino e viene presentato come re di Salem e sacerdote del
Dio Altissimo. Era piuttosto comune a quei tempi che il re di una città
ne fosse anche il sacerdote. Secondo la maggior parte degli esegeti moderni,
la città di Salem corrisponderebbe all'antica Gerusalemme.
Come sacerdote Melchisedek benedice Abramo. Egli però non
é, come ci si potrebbe aspettare, sacerdote del Dio locale, ma
del Dio Altissimo ('El 'Elyon). Questa antica divinità cananea
era distinta dal 'El, di cui anzi sarebbe stato il padre. Per questa
ragione era nominato "Altissimo". Anche in alcuni passi molto antichi
della Bibbia, 'Elyon é considerato come Dio supremo, unico e senza
rivali (Nm 24, 16; Dt 32, 8; Is. 14, 14; Sl 9, 2).
Con il tempo
però, tanto nell'ambiente fenicio, come in quello biblico, 'Elyon
fu spodestato da 'El e da Ba'al-Jahvé, i quali presero il nome del
loro padre come un appellativo che sottolineava la loro caratteristica,
sicché abbiamo come nel nostro passo: 'El 'Elyon (= il Dio Altissimo)
(vedi anche Sl 78, 35); 'Elöhîm 'Elyon (Sl 47, 2). É
chiaro che. nell'ambiente biblico, non si risenta più della mitica
teogonia fenicia, e che il titolo 'Elyon si riferisce al Dio vero, monoteistico;
anche se magari Melchisedek, re-sacerdote di Salem, non ne abbia compresa
tutta la portata religiosa.
A nome di 'El 'Elyon, Melchisedek benedice Abramo. Nella stele
di vittoria questa benedizione era data due volte dall'indovino dell'esercito,
sia prima che dopo la battaglia. L'autore invece nella sua composizione
biblica la fa dare una sola volta dopo la vittoria con la chiara intenzione
di mettere tutta l'azione di Melchisedek come tema centrale del
racconto.
Il testo della benedizione é chiaramente liturgico e ritmico.
Astraendo dai particolari del contesto fa riferimento a nemici in genere.
Riferendosi al Dio Altissimo, Melchisedek lo designa come "
Padrone del cielo e della terra".
Questa espressione sembra possedere un significato originario ed uno
redazionnale.
Possiamo infatti
intenderlo come "Padrone e Signore del
cielo e della terra", ma anche come "
Creatore del cielo e della terra".
La radice del termine ebraico si presta molto bene a questo duplice
valore. Senz'altro il redattore ha voluto dargli il significato di "
Creatore". Originariamente, però,
quando questa benedizione si trovava prima della battaglia, deve aver
avuto il senso di possedere e quindi "Padrone
del cielo e della terra". Melchisedek ad
Abramo che partiva per la lotta augurò che 'El 'Elyon, che possedeva
il cielo e la terra, lo benedicesse, lo facesse, cioé, compartecipe
del suo dominio universale, e perciò anche del dominio dei nemici
che doveva attaccare.
La prima parte della benezione ha come oggetto Abramo. La seconda
parte, invece, ha come oggetto 'El 'Elyon stesso, il quale viene ringraziato
(certamente dopo la vittoria), perché come padrone assoluto dell'umanità,
ha consegnato nelle mani di Abramo i suoi nemici. Melchisedek constata
il fatti della vittoria ed incita Abramo a manifestare la sua gratitudine
al Dio che lo ha protetto.
Abramo, generoso e pio, come di solito facevano i generali dell'ambiente
accadico e forse anche cananeo, offre la decima del bottino al Dio 'El
'Eloym di Melchisedek. L'Ebreo che portava la sua decima al Tempio poteva
ricordare che il padre del suo popolo, proprio vicino alla città
santa, aveva già pagato un simile canone. (Dt 12, 11; Dt 14, 22-27).
Certamente l'azione di Abramo dovette risalire ad una grande antichità,
perché in nessuna epoca della storia israelitica, dopo la conquista
di Canaan, avrebbe potuto crearsi una leggenda in cui Abramo, il fondatore
di Israele e "l'amico di Dio
" (Is. 41, 8), riceve la benedizione di un cananeo e, a sua volta,
lo riverisce come sacerdote con il pagamento della decima.
Questa comparsa improvvisa della figura di Melchisedk, la benedizione
che ne é seguita e l'ossequio da parte di Abramo con il pagamento
della decima, ha offerto lo spunto ad altri autori biblici per sviluppare
alcuni interessanti temi di carattere teologico che vedremo di esaminare.
Il tema di Melchisedek viene ripreso dal Salmo 110 che da più
parti viene indicato come un salmo messianico. Questo Salmo, infatti,
nel N.T. é applicato a Gesù Cristo, anzitutto da Gesù
stesso, come risulta in Mt 22, 41-44 e paralleli (Mc. 12, 35-37; Lc. 20,
41-44). Lo fa anche l'apostolo Pietro nel suo primo discorso a Gerusalemme,
il giorno della Pentecoste, in cui ci fu la discesa dello Spirito Santo
in forma straodinaria sui discepoli (At. 2, 34-35). Pure l'apostolo Paolo,
parlando ai Corinzi, attribuisce il Salmo 110 a Cristo (1° Co 15,
25).
Se nel N.T. quindi la figura di Melchisedek é vista come
il tipo del futuro Messia. é sopratutto la lettera agli Ebrei (7,
1-28) che sviluppa il tema della tipologia tra il sacerdozio di Melchisedek
e quello del Cristo, l'uno e l'altro superiori a quello di Levi. La ragione
di tale superiorità sta nel fatto che tanto quello di Cristo come
quello di Melchisedek non sono sacerdozi fondati sulla "
generazione", come quello di Levi,
ma sulla Parola di Dio; per cui non durano solo una vita naturale, ma
tutta l'eternità. Del resto tale superiorità fu confessata
da Abramo, padre di tutti gli Ebrei e perciò anche dai sacerdoti
Leviti, quando si curvò per ricevere la benedizione del sacerdote
di 'Elyon e grato gli offrì la decima di tutto il bottino.
A proposito del sacerdozio "secondo
l'ordine di Melchisedek", trattato in
modo particolare nel capitolo settimo della lettera agli Ebrei e che
viene inequivocabilmente riconosciuto a Cristo stesso, fa meraviglia constatare
che esista ancora in seno al cristianesimo una divisione dei fedeli in
clero (sacerdoti) e laici. I primi avrebbero il compito di far accedere
i secondi alla grazia divina.
Viene spontaneo chiedersi di quale sacerdozio possiamo oggi parlare.
Non certamente del sacerdozio secondo l'ordine di Aronne in quanto,
avendo Cristo portato a compimento la legge di Mosè, i sacerdoti
leviti non hanno più alcuna ragione di esistere (Eb. 7, 12).
Né tanto meno possiamo parlare del sacerdozio "
secondo l'ordine di Melchisedek", perché
quest'ultimo é stato attribuito esclusivamente a Cristo e non può
essere trasmesso ad alcuno (Eb. 7, 24).
Se dal punto di vista giuridico non possiamo oggi più parlare
di sacerdozio come casta separata di credenti, tanto meno lo possiamo
fare se consideriamo il compito che i sacerdoti erano chiamati a svolgere.
Essi in pratica erano dei mediatori che dovevano amministrare i rapporti
fra Dio ed il popolo. Il popolo non poteva accedere direttamente a Dio se
non tramite loro. Nel Tempio ebraico di Gerusalemme esisteva infatti una
speciale cortina che separava il luogo Santissimo dalle altre parti. In
questo luogo Santissimo, in cui c'era la presenza di Dio, poteva entrare
solo il Sommo Sacerdote una volta l'anno per ottenere il perdono dei peccati
suoi e del popolo per mezzo di un sacrificio cruento.
Dopo la morte e la resurrezione di Cristo questa cortina é
stata squarciata dall'alto in basso (Mt 27, 51) per significare che é
stata abolita completamente questa separazione fra Dio e gli uomini i quali
mediante la fede in Cristo possono ora accedere liberamente alla grazia
divina senza che sia necessario alcun altro mediatore se non Cristo stesso
(Eb. 10, 19-22; Cfr. anche 1° Ti 2, 5-6).
In considerazione della libertà che ha oggi il cristiano
per mezzo di Cristo di beneficiare della Grazia divina mediante la fede
e l'ubbidienza, possiamo parlare come faceva l'apostolo Pietro di "
un sacerdozio regale" e universale,
aperto a tutti i credenti (1° Pt. 2, 9). Ogni credente infatti ha
oggi il privilegio di presentare sé stesso a Dio quale sacrificio
vivente, santo e accettevole (Rom. 12, 1) ed ha anche il privilegio di proclamare
al mondo le meraviglie di Dio che li ha chiamati dalle tenebre alla luce
(1° Pt. 2, 9) e li ha trasportati nel Regno (Chiesa) del Suo amato Figlio
nel quale hanno ottenuto la redenzione ed il perdone dei peccati (Cl 1,
13-14).
Diversa cosa dal sacerdozio sono i servizi che alcuni credenti
più maturi ed in possesso di alcuni requisiti ben precisi sono
tenuti a svolgere all'interno delle singole comunità locali (1°
Ti 3, 1-13; Tt 1, 5-10; Ef. 4, 11-16; At. 14, 23; At. 20, 17-35; ecc).
Stiamo parlando naturalmente dei dottori, degli evangelisti, degli anziani
o vescovi e dei diaconi che hanno il compito di mettere i propri talenti
a disposizione della comunità locale per l'edificazione e la crescita
spirituale dei credenti, per sorvegliare che i fedeli non ancora cresciuti
nella fede e nella conoscenza divengano facile preda di false dottrine.
Non si tratta di una casta separata, né tanto meno di sacerdoti
che amministrano la Grazia di Dio agli altri fedeli, ma semplicemente
di credenti più maturi che nel primo secolo venivano designati
dagli apostoli o dagli evangelisti da loro incaricati, ma potevano anche
essere eletti direttamente dalla comunità locale che riconosceva
in alcuni fratelli le doti necessarie per poter svolgere in maniera efficace
il compito che veniva loro assegnato (At. 6, 5-6).
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Le azioni dopo la vittoria vv. 21-24
Il Redattore analizza, nel 7° tema della stele di vittoria,
le azioni compiute dall'eroe, dopo la vittoria: Rprendendo il discorso
interrotto al versetto 17 a causa dell'inserimento nella vicenda di Melchisedek,
l'azione si sposta sul re di Sodoma.
Proposta del re di Sodoma. v. 21 "
Poi il re di Sodoma disse ad Abramo: «Dammi le persone, e prendi
i nbeni per te»" Generosamente
il re di Sodoma offre al vincitore tutti i beni riscattati nella razzia,
ma reclama per sé le persone. Il termine ebraico usato qui per
" persone
" può indicare tanto gli uomini che gli animali. É lo stesso
termine già adoperato per indicare genericamente gli "
esseri viventi" sia in
Ge 1, 20-21.24 (animali acquatici e terrestri) che in G2 2, 7 (l'uomo).
Dal contesto, però, si capisce che si tratta dei soldati riscattati.
Risposta (rifiuto) di Abramo per sé stesso. vv 22-23. "
Ma Abramo rispose al re di Sodoma: «Ho alzato la mano all'Eterno,
il Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra, che non avrei preso
niente di ciò che ti appartiene, neppure un filo o un legaccio dei
calzari, perché tu non abbia a dire: — Ho arricchito Abramo —
»". Abramo non accetta
l'offerta generosa del re di Sodoma perché aveva già fatto
un giuramento solenne a Dio di non prendere nulla di ciò che apparteneva
ad altri ed in particolare, in questo caso, al re di Sodoma. C'é
da notare che qui per bocca di Abramo viene usato il nome di Jahvé,
mentre 'El 'Elyon (Il Dio Altissimo) diventa soltanto un suo attributo.
Con questa precisazione l'autore sacro vuole dirci che il Dio Altissino
di Melchisedek, che aveva benedetto Abramo ed a cui Abramo stesso si era
sottomesso con il pagamento della decima, altri non era se non lo stesso
Jahvé che aveva fatto le promesse al nostro patriarca. Abramo vuole
essere arricchito da questo Dio e non dalla generosità degli uomini
perché nessuno possa dire: "
Io ho arricchito Abramo ".
Riserva per gli
alleati (Mamre, Eshkol e Aner) e i servi (giovani). v. 24 "
«Non prenderò
nulla per me ad eccezione di ciò che hanno mangiato i giovani e
la parte che spetta agli uomini che sono venuti con me: Aner, Eshkol e Mamre,
lascia che essi prendano la loro parte»
". Naturalmente il giuramento valeva solo per Abramo, ma non per
ciò che avevano consumato i giovani (i servi che avevano combattuto
per lui), né per i suoi alleati a cui aspettava, secondo le usanze
di quei tempi, una parte del bottino conquistato.