I VANGELI DELL'INFANZIA
 
LA FUGA IN EGITTO  (Mt 2, 13-15)

Testo:

13. Ora, dopo che furono partiti, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e rimani là finché io non ti avvertirò, perché Erode cercherà il bambino per farlo morire».
14. Egli dunque, destatosi, prese il bambino e sua madre di notte, e si rifugiò in Egitto.
15. E rimase là fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta, che dice: «Ho chiamato il mio figlio fuori dall'Egitto»

La via dell'Egitto

Certamente la notizia di questo viaggio della famiglia di Gesù verso l'Egitto, per sfuggire alle cattive intenzioni di Erode, deve essere stata presa da Matteo dalla tradizione proveniente dai parenti di Giuseppe e Maria.

Dopo che i Magi, divinamente avvertiti in sogno di far ritorno al loro paese di provenienza passando per un'altra strada, in modo da evitare di tornare a Gerusalemme, dove Erode li attendeva per sapere notizie del bambino, ecco che l'angelo appare nuovamente in sogno a Giuseppe per avvertirlo di prendere con sé il bambino appena nato e sua madre e di fuggire in Egitto.

Perché? Perché Erode non aveva rinunciato al suo progetto di eliminare colui che poteva in qualche modo insidiare il suo potere. L'angelo, infatti, avverte Giuseppe che Erode stava cercando il bambino per farlo morire.

Appena destatosi dal sonno, nella notte stessa in cui ebbe la visione, Giuseppe prende con sé il bambino e sua madre e scappa in Egitto. Matteo non dice né la strada che Giuseppe prende, né la città o la località dell'Egitto in cui si reca.
Evidentemente tutti questi particolari esulavano dal suo interesse. Quello che importava maggiormente a Matteo era di mettere in evidenza il fatto che anche per Gesù come per i suoi antichi e famosi antenati, sin dai tempi di Abramo, l'Egitto aveva sempre rappresentato il tradizionale paese di rifugio.

Evidentemente, come abbiamo già visto precedentemente, lo scopo di Matteo non era tanto quello di presentarci un racconto storico particolareggiato e cronologico degli avvenimenti, quanto piuttosto quello più teologico di farci vedere come Gesù fosse veramente degno di essere il Messia in quanto fin da bambino egli già ricalcava le orme dei suoi più famosi antenati che determinarono con le loro gesta le sorti del popolo d'Israele.

Se Matteo avesse avuto la preoccupazione di uno storico che fa un resoconto particolareggiato degli avvenimenti, ci avrebbe informato che Giuseppe con tutta la sua famiglia, per dirigersi verso l'Egitto non aveva a disposizione che due vie: la prima era quella di andare verso nord fino a Gerusalemme e da lì prendere la strada che dirigendosi verso sud-ovest si immetteva nella famosa "Via Maris" poco prima di Gaza; la seconda strada era invece quella verso sud che, percorrendo la dorsale montuosa, congiungeva Gerusalemme ad Ebron passando per Betlemme. Poiché a Gerusalemme c'era Erode che non aveva certamente dei buoni propositi nei confronti del piccolo Gesù, ci sembra ovvio pensare che Giuseppe abbia scelto la seconda strada, quella verso sud, per allontanarsi il più possibile da Gerusalemme, ed una volta arrivato ad Ebron, abbia deviato verso ovest per immettersi nella "Via Maris", passando per la cittadina di Mareshah.

Una volta immessosi sulla Via Maris, andando verso sud si giunge inevitabilmente in Egitto nel paese di Goshen, alle foci del Nilo, dove già i suoi famosi antenati si erano rifugiati in particolari momenti di crisi.

Matteo non ci dice neppure il luogo esatto dove Giuseppe si rifugiò con la sua famiglia. Questo luogo potrebbe essere appena dopo Rhinocolura, che oggi è chiamata El Arish, e che, trovandosi a metà strada tra Gaza e Pelusio, segnava il confine tra la Palestina e L'Egitto, oppure potrebbe essere andato proprio nel paese di Goshen alle foci del Nilo, ma non ci è dato modo di saperlo con esattezza, nonostante che le tradizioni cristiane e islamiche indichino ben diciannove località nel Delta del Nilo e nell'Alto Egitto che potrebbero essere state il luogo verso cui Giuseppe si era diretto. Può anche darsi che Giuseppe con la sua famiglia si sia rifugiato presso parenti e conoscenti che già risiedevano in Egitto, dove viveva una fiorente colonia giudaica altrettanto numerosa che quella della madre patria.

Gesù in fuga come l'antico Israele

Lasciando comunque da parte tutte queste supposizioni, seguiamo Matteo il quale certamente, non indicandoci tutti i particolari della storia,  ha voluto attrarre la nostra attenzione su qualcosa di più grande. La fuga della famiglia di Gesù in Egitto richiama alla nostra memoria i fatti dell'Antico Testamento. In Genesi 12, 10 troviamo infatti che lo stesso Abramo a causa di una carestia si recò in Egitto. Poi c'è anche Giuseppe, che venduto come schiavo dai suoi fratelli, fu portato in Egitto (Gn 39, 1) dove, con il favore di Dio, divenne addirittura viceré, cioè il luogotenente del Faraone stesso (Gn 41, 37-49). Lo stesso Giacobbe con i suoi figli si vide costretto a recarsi in Egitto a causa di una carestia (Gn 41, 53-57; Gn 42, 1-3; Gn 46, 1-7; Gn 47, 1-12 - si stabiliscono a Goshen).

Un riassunto della storia del popolo ebraico ci viene riferita in Dt 26, 5-8 e dobbiamo presumere che Matteo avesse ben presente nella sua mente queste parole del libro del Deuteronomio, quando ci descrive la fuga della famiglia di Gesù in Egitto. Si trattava di una confessione di fede che il buon Israelita doveva ripetere dinanzi al sacerdote nel Tempio in occasione dell'offerta della decima sulle primizie dei frutti del suolo:

« Mio padre era un Arameo sul punto di morire, egli scese in Egitto e vi dimorò come straniero con poca gente, e là divento una nazione grande, potente e numerosa. Ma gli Egiziani ci maltrattarono, ci oppressero e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo all'Eterno, il DIO dei nostri padri, E L'Eterno udì la nostra voce, vide la nostra afflizione, il nostro duro lavoro e la nostra oppressione. Così l'Eterno ci fece uscire dall'Egitto con potente mano e con braccio steso, con cose spaventose e con prodigi e segni; ci ha poi condotti in questo luogo e ci ha dato questo paese, paese dove scorre latte e miele » (Dt 26, 5-9).

Che Matteo abbia inteso presentare Gesù in fuga verso l'Egitto sulla falsariga delle vicende dell'antico Israele, appare soprattutto dalla citazione di Osea 11, 1b con cui si chiude il racconto: « . . . e dall'Egitto chiamai mio figlio». Per Osea "il figlio di Dio" è il popolo d'Israele che Dio ha amato come un padre sin dalla fanciullezza, come egli stesso ci informa nella prima parte del versetto 1. Dio ha proclamato Israele suo figlio proprio in Egitto, dove lo ha salvato dai suoi persecutori con una prodigiosa liberazione.

Esule come Mosè

Se vogliamo continuare su questa strada dei riferimenti all'Antico Testamento, dobbiamo anche dire che Matteo ha certamente inteso presentare la fuga di Gesù in Egitto sulla falsariga della fuga di Mosè, come del resto ci viene anche confermato dall'episodio successivo della strage degli innocenti che esamineremo subito dopo.

Mosè per evitare la morte si era rifugiato nella terra straniera di Madian, dove Dio lo aveva educato, attraverso le asprezze dell'esilio, a diventare il liberatore del suo popolo.

Matteo con questo racconto vuole quindi insegnarci che Gesù, fuggendo in Egitto, rivisse per volontà di Dio le vicende dolorose dell'antico Israele e dell'antico Mosè. Infatti fu come loro perseguitato e costretto a rifuggiarsi in terra straniera. Però il fatto che Dio era già intervenuto a liberare il sui figlio Israele e il suo salvatore Mosè, rappresentava una garanzia che sarebbe intervenuto maggiormente a liberare anche Gesù che era suo Figlio in senso stretto, in modo da farlo vivere come proprio Figlio nella libertà della terra promessa.

Le promesse di Dio non si smentiscono; il suo piano si realizzerà in Gesù, come già si era realizzato nell'antico Israele e nell'antico Mosè. Questo per Matteo rappresentava un ulteriore garanzia che il programma di salvezza di Dio si compirà anche nel suo nuovo popolo e cioè nei cristiani.

Gesù prototipo dei fuggiaschi

Alcuni tardivi vangeli apocrifi dell'infanzia che purtroppo circolano ancora in certi ambienti cattolici, ci presentano la fuga di Gesù in Egitto in maniera trionfalistica, raccontando di palme che si inchinavano al suo passaggio, di belve che si accovacciavano davanti a lui, degli sbirri di Erode che restavano abbagliati in sua presenza. Nulla di tutto questo. Gesù è stato veramente il prototipo di tutti i fuggiaschi di tutti i tempi. Le sofferenze che questa fuga comportarono, il disagio di vivere in terra straniera, sono le stesse sofferenze e gli stessi disagi che milioni di persone subirono, subiscono tuttora e continueranno a subire, perché costrette a lasciare la loro terra di origine a causa della fame e della persecuzione politica o religiosa. Gesù Figlio di Dio, ma anche uomo condivide con queste persone la sua sofferenza e ci insegna che in queste persone noi dobbiamo vedere Gesù stesso e quindi prodigarci verso coloro che soffrono con lo stesso slancio di amore con cui dichiariamo di amare Gesù.

Del resto Gesù stesso, come ci riferisce Matteo più avanti nel suo vangelo, al cap. 25 vv. 31-46, disse: «tutte le volte che l'avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me » (v. 40) « Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi ».