I VANGELI DELL'INFANZIA
 
I MAGI DELL'ORIENTE (Mt 2, 1-12)

1. Ora, dopo che Gesù era nato in Betlemme di Giudea al tempo del re Erode, ecco dei magi dall’oriente arrivare a Gerusalemme,
2. dicendo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo».
3. All’udire ciò il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
4. E, radunati tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove doveva nascere il Cristo.
5. Ed essi gli dissero: «In Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6. "E tu, Betlemme terra di Giuda, non sei certo la minima fra i principi di Giuda, perché da te uscirà un capo, che pascerà il mio popolo Israele"».
7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, domandò loro con esattezza da quanto tempo la stella era apparsa.
8. E, mandandoli a Betlemme, disse loro: «Andate e domandate diligentemente del bambino; e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo».
9. Ed essi, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in oriente andava davanti a loro finché, giunta sul luogo dov’era il bambino, vi si fermò.
10. Quando essi videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
11. E, entrati nella casa, trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono. Poi, aperti i loro tesori, gli offrirono doni: oro, incemso e mirra.
12. Quindi, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Premessa

Matteo, dopo averci indicato nel primo capitolo, con la genealogia e con l’annuncio a Giuseppe, chi era Gesù, in questo secondo capitolo, intende esporci per mezzo di quattro episodi la natura della sua missione e chi ne erano i destinatari.

Essendo Gesù il Messia davidico profetizzato nelle Scritture dell’Antico Testamento, viene naturale pensare che i destinatari privilegiati della sua missione siano i Giudei stessi.

Ma gli avvenimenti succeduti negli anni successivi sembravano smentire questa aspettativa. Gesù infatti era stato ripudiato proprio da coloro che venivano riconosciuti come i capi del popolo ebraico. Anche la comunità giudeo-cristiana primitiva, pur considerandosi una ramificazione del giudaismo, aveva stentato ad affermarsi nell’ambito del popolo ebraico ancor prima del 70. Dopo il 70 questa comunità era stata addirittura scomunicata dai rappresentanti ufficiali della religione ebraica e veniva perseguitata.

Al contrario invece la predicazione del Vangelo riscuoteva grande favore da parte dei pagani che entravano numerosi nella comunità giudeo-cristiana. Arrivavano notizie che le comunità pagano-cristiane sorte ad Antiochia e diffuse da Paolo in Asia Minore ed in Grecia andavano sempre più moltiplicandosi in tutto il bacino del Mediterraneo, raggiungendo anche le regioni orientali arabe e mesopotamiche.
Questo fatto costituiva per i giudeo-cristiani di Matteo motivo di scoraggiamento e di disorientamento. Ma come, essi si chiedevano, Il piano di Dio di salvare prima il popolo ebraico e di benedire poi per mezzo suo tutti gli altri popoli della terra non si realizzava e Dio veniva meno alle sue promesse?

Matteo nella rievocazione della vita pubblica di Gesù aveva già messo in risalto che Gesù era stato mandato dal Padre proprio per raccogliere le pecore disperse e perdute di Israele, come troviamo scritto nel suo Vangelo al cap. 15, v. 24 e cap. 10, vv. 5 e 6. Soltanto in seguito Israele sarebbe divenuto lo strumento di salvezza degli altri popoli. L’episodio dell’incontro di Gesù con la cananea, che viene riportato nel cap. 15 dai vv. 21 al 28, ci dimostra come l’insistenza e la fede dimostrata da quella donna pagana abbiano spinto Gesù a rivolgere anche a lei la sua attenzione. Stava quindi maturando in Matteo e nei giudeo-cristiani la consapevolezza che la missione di Gesù, pur essendo stata all’inizio rivolta al popolo ebraico, non poteva rimanere entro i confini di un’unica nazione, ma doveva essere rivolta a tutto il mondo. L’universalismo del messaggio cristiano viene alla fine dichiarato esplicitamente nel grande mandato che Gesù affida ai suoi discepoli, come troviamo scritto in Mt 28, 19.

Matteo ha voluto sottolineare l’accoglienza trionfale ed entusiastica di tutta la città all’ingresso regale-messianico di Gesù a Gerusalemme (Mt 21, 1-11). Unico fra i sinottici, egli aggiunge, al v. 10, che tutta la città di Gerusalemme fu messa in agitazione ed era sconvolta da quell’avvenimento. Egli ha forse voluto con questo mettere in risalto il fatto che fu a causa dell’istigazione dei suoi capi indegni se la maggior parte del popolo si schierò alla fine contro Gesù nel momento decisivo della sua condanna (Mt 27, 25).

Matteo quindi vuole dimostrare che questa piega presa dai fatti non fu un contrattempo accidentale, ma era già stata contemplata nel piano di Dio ancora prima della sua realizzazione. Tale piega infatti era già stata preannunciata e prefigurata nell’Antico Testamento ed aveva cominciato ad adempiersi fin dai primi momenti dell’infanzia di Gesù.

Un lontano episodio che veniva tramandato dai parenti di Gesù offre a Matteo l’occasione per dire che già fin dall’infanzia di Gesù un gruppo misterioso di pagani venuti dall’oriente aveva dimostrato interesse per il Salvatore preannunziato dai profeti, mentre le autorità politiche e religiose del suo paese gli si opponevano.

versetti 1-2

Ora, dopo che Gesù era nato in Betlemme di Giudea al tempo del re Erode, ecco dei magi dall’oriente arrivare a Gerusalemme, dicendo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo»

Nel primo versetto troviamo subito i protagonisti principali di questo episodio:

– Gesù nato a Betlemme in Giudea
– Al tempo di Erode
– I magi che arrivano a Gerusalemme provenienti dall’oriente.

Gesù nato a Betlemme in Giudea

Matteo che finora non si era interessato a specificare alcuna località, ora è sollecito nell’indicare che la nascita di Gesù avvenne a Betlemme di Giudea. Matteo precisa che si tratta di Betlemme di Giudea per distinguerla dall’ omonima Betlemme di Zabulon in Galilea, una piccola città che si trova a circa 11 Km a nord-ovest di Nazareth, che viene menzionata in Gs 19, 15, come una delle città che vennero assegnate ai discendenti della tribù di Zabulon e in Gdc 12, 8-10, come città dove nacque e fu sepolto uno dei Giudici di Israele: Ibtsan.

La borgata di Betlemme a cui fa riferimento Matteo è proprio una delle città che vennero assegnate ai discendenti della Tribù di Giuda e si trova quindi nella Giudea a 8 Km circa a sud di Gerusalemme. In questa città nacque Davide che fu unto re da Samuele (1 Sam 16, 1-12). Si tratta quindi di una località fortemente messianica in quanto Michea (5, 2; cf anche Gv 7, 42) aveva predetto che in essa sarebbe nato il futuro condottiero davidico di Israele.

Matteo quindi ci informa, senza ulteriori dettagli, come fosse una cosa risaputa da tutti, che Gesù è nato proprio là a Betlemme ed ha così acquistato un’altra patente supplementare di davidicità, quella del luogo di nascita.

Al tempo del re Erode

Matteo specifica anche la data: «al tempo del re Erode ». Una data vaga dal punto di vista cronologico, ma sufficiente per apprezzarne tutto il valore teologico: al tempo cioè di un re che era tutto l’opposto dell’atteso re davidico. Erode infatti era un re straniero di origine idumea, un piccolo vassallo arrivato alla corte asmonea di Gerusalemme con l’astuzia e l’intraprendenza. Si era fatto nominare re dai Romani ed aveva soppresso nel sangue uno alla volta tutti i possibili pretendenti al trono della locale dinastia asmonea.

Pur dedicandosi ad opere civili e militari grandiose che vengono ancora oggi ammirate dagli archeologi, da oltre trent’anni Erode aveva esercitato un’ autentica tirannia politica e religiosa sulla Palestina. La passione dominante di questo re era la frenesia del potere, a cui univa un sospetto feroce contro tutto ciò che potesse fargli ombra e contro ogni persona che destasse il più lieve sospetto; a ciò univa una crudeltà di cui si sono conosciuti pochi altri esempi nella storia.

Erode era dominato dall’insicurezza e dal complesso di chi occupa un incarico che non gli appartiene e questo costò molto caro a tutti coloro che lo circondavano e che furono da lui sistematicamente eliminati. Vegliando continuamente con una preoccupazione quasi maniacale che nessuno gli portasse via il trono, questo re non aveva esitato neppure di fronte ai più stretti familiari ed era arrivato al punto da fare uccidere non solo la moglie Mariamne, ma anche i propri figli avuti da lei. Un certo Macrobio ci riporta una frase dello stesso Augusto il quale, giocando sull’assonanza delle parole greche, avrebbe detto che era meglio essere un porco (ys) piuttosto che un figlio (yios) di Erode. In Palestina infatti non si poteva uccidere il porco, mentre il re poteva uccidere i propri figli.

Matteo quindi dicendo che il davidico Gesù era nato al tempo del re Erode, ci lascia immaginare quali contrasti avrebbe incontrato l’accoglimento della sua regalità. Gesù era nato proprio in un epoca in cui alla guida nella nazione ebraica c’era un re che voleva difendere a tutti i costi il suo trono e la sua dinastia violenta e feroce e si sarebbe opposto con tutti i mezzi ad una dinastia davidica voluta da Dio.

L’arrivo dei magi dalle zone orientali

In questa situazione dinastica così rovente, ecco entrare in scena i magi giunti a Gerusalemme dall’oriente; essi cercavano informazioni sul luogo dove trovare l’atteso re davidico dei Giudei; la sua nascita era stata loro annunciata da una stella straordinaria che avevano visto « al suo sorgere» nel cielo, e cioè nel momento in cui, secondo gli astrologi dell’epoca, esercitava il suo massimo influsso. La traduzione del Diodati secondo la quale i magi avrebbero « visto la sua stella in oriente» non è molto esatta. Nel Nuovo Testamento la parola greca a¦natolh/ (anatolé) al singolare ha il senso di sorgere e soltanto al plurale può essere tradotta con il termine "oriente". Infatti al versetto 1 quando si fa riferi-ento ai magi provenienti dall’oriente, viene usato il plurale a¦po\ a¦natolw=n (apò anatolòn).

Senza saperlo questi magi divennero per Erode e per Gerusalemme gli informatori del piano salvifico di Dio. Ma chi erano questi magi provenienti dall’oriente a cui fa riferimento Matteo nel suo brano?

Il nome etimologicamente significa "grande" (mag-os, meg-os, mag-us e mag-nus).
Presso i Persiani e i Medi costituivano una speciale casta sacerdotale che si dedicava alla divinazione e alla medicina, come affermano Erodoto e Senofonte . Strabone dice che erano «gelosi osservatori della giustizia e della virtù». Cicerone aggiunge che erano una «classe di saggi e di dottori della Persia» (De Divin. 1, 1; 2, 42). È proprio a questa classe di saggi e di dottori che si rivolge Nabocodonosor per la spiegazione di un sogno da cui era stato turbato (Dn 2, 1-2), ma sappiamo che in quell’occasione i maghi fecero una figura meschina di fronte alla sapienza di Daniele che seppe raccontare al re il sogno che aveva fatto e ne diede anche l’interpretazione.

Una classe di savi, di incantatori e di maghi esistevano anche all’epoca dell’esodo in Egitto alla corte del faraone. Con questi maghi si dovettero scontrare Mosè ed Aronne quando tentarono di convincere il faraone a fare uscire il popolo ebraico dall’Egitto. Aronne in quella occasione gettò il suo bastone per terra trasformandolo in un serpente; altrettanto fecero i maghi d’Egitto che erano degli specialisti nelle arti occulte, ma il serpente di Aronne ingoiò i serpenti dei maghi (Es 7, 8-13). Impotenti di fronte alla superiorità dei prodigi compiuti da Mosè e da Aronne, i maghi d’Egitto alla terza piaga, quella delle zanzare, ebbero un attimo di esitazione e suggerirono al faraone la possibilità che si trattasse di un intervento divino (Es 8, 16-19).

Molto probabilmente Matteo assimila questi Magi, provenienti dall’oriente, al mitico Balaam che viene ricordato nel libro dei Numeri  dal cap. 22 al cap. 24, anche lui proveniente dall’oriente, dal paese del Fiume, con il quale nell’Antico Testamento si identificava l’Eufrate (Nm 22, 5; cf anche Dt 23, 4). Questo indovino era stato chiamato dal re di Moab, un lontano antenato di Erode, per maledire Israele, ma, anziché pronunciare delle maledizioni contro il suo popolo, Dio lo costringe a pronunciare delle benedizioni. Proprio in una di queste benedizioni, Balaam annunzia che da Israele sarebbe sorta la stella regale davidica, dominatrice dei regni pagani (Nm 24, 17).

Talora il nome "mago" assume il valore popolare del nostro "mago o indovino"; così doveva essere il Simone Mago (At 8, 9) e il mago Elimas (At 13, 8). Fu comunque solo tardivamente che i Magi divennero sinonimi di negromanti e di astrologhi nel senso peggiorativo del termine, come afferma Girolamo: « Il costume e il linguaggio popolare identificano i Magi con gente malefica ».

D’altronde l’identificazione di questi personaggi con i "magi" può anche significare, per l’evangelista, che tutti i numerosi "maghi", di cui allora pullulava il medio-oriente, dovevano abbandonare le loro magie ed inchinarsi a Cristo.

Esiste qualche perplessità circa la provenienza di questi Magi. Per Matteo i Magi che andarono a Betlemme furono dei saggi orientali, dediti alla divinazione mediante lo studio degli astri. Il paese classico dei Magi è la Persia, per cui non pochi autori li fanno venire di là; le pitture antiche li presentano vestiti alla maniera dei persiani.

Altri, insistendo di più sul significato dell’espressione biblica "dall’Oriente" (apò anatolôn), pensano all’Arabia, perché le carovane arabe entravano in Palestina dal paese di Moab, attraverso il Giordano e quindi dall’Oriente. La Persia e la Mesopotamia erano invece ritenute al settentrione poiché i loro abitanti penetravano in Palestina attraverso il nord, vale a dire dalla Siria. L’Assiro che era il nemico tradizionale di Israele, viene chiamato il «l’esercito del nord » (Gl 2, 20).
Anche la natura dei doni fa pensare all’Arabia, dalla quale proveniva l’incenso (Gr 6, 20), l’oro e l’incenso di Saba (Is 60, 6), l’oro di Ofir  (1 Cr 29, 4; Gb 22, 24; 28, 16; Sl 45, 9; Is 13, 12). La mirra è una secrezione resinosa che, una volta secca, acquista una tinta giallastra scura e proveniva principalmente dal sud dell’Arabia.

Anche la regina di Saba quando andò a trovare Salomone portò aromi e oro in abbondanza. Lo schema del racconto che troviamo in 1 Re 10, 1-13 ci parla di questa regina che, avute notizie della sapienza e della magnificenza di Salomone, era venuta con i suoi servitori dalla lontana regione di Saba fino a Gerusalemme (v. 1); gli aveva portato come doni oro, pietre preziose e aromi ( vv. 2 e 10); lo aveva acclamato come re di Israele (v. 9); era stata conquistata dalla sua sapienza (vv. 4-9); poi se n’era tornata nella sua terra (v. 13).

Matteo sapeva che Gesù durante la sua vita pubblica aveva fatto un accostamento tra se stesso e Salomone (Mt 12, 42), affermando di essere più grande dello stesso Salomone, ma si lamentava che mentre Salomone era stato ricercato perfino da una straniera proveniente dagli estremi confini della terra, egli non era ricercato neppure dai suoi stessi connazionali.

Forse per questo motivo Matteo presenta il viaggio dei Magi con lo stesso schema del viaggio della regina di Saba e ne menziona gli stessi doni, per insegnare che rientrava nel piano di Dio che Gesù, nonostante fosse il nuovo Salomone più grande del primo, venisse fin dall’infanzia ricercato e adorato più dai pagani che non dagli stessi Ebrei. Questo universalismo era già stato profetizzato da Isaia, il quale riflettendo sullo stesso antico episodio, aveva scritto: «Quelli di Saba verranno tutti, portando oro e incenso e proclamando le lodi dell’ Eterno » (Is 60, 6).

La stella sorgente e l’astro di Balaam

L’indovino Balaam aveva annunziato che Davide (con la sua dinastia) sarebbe sorto in Israele come una "stella" o un "astro" (Nm 24, 17).

Nella letteratura ebraica vicina all’epoca di Gesù tale astro predetto da Balaam era già senz’altro identificato col futuro re messia davidico. Questa interpretazione già si trova nei documenti di Qumran, nei Targumin e nei midrashin. Anche nel Nuovo Testamento Cristo viene chiamato « Sole sorgente» (Lc 1, 78) e « stella del mattino» (Ap 22, 16; 2 Pt 1, 19).

All’epoca di Matteo quindi la stella era un’immagine potentemente messianica. Lo stesso capo dei rivoltosi ebrei del 132-153 d.C., il cui nome esatto era «Simone Bar Qošiba» (come appare dalle sue Lettere autografe recentemente scoperte nelle grotte del Mar Morto), venne chiamato «Bar Qokheba», che significa «figlio della stella » (Kokhab = stella) ed era stato proclamato dal rabbino più famoso dell’epoca, Rabbi Aquiba, come l’astro preannunciato del libro di Numeri 24, 17; egli aveva perciò fatto coniare le nuove monete con l’incisione di una stella che sovrasta il tempio.

La stella e la nascita di grandi personaggi

Nell’ambiente in cui viveva Matteo e coloro ai quali era indirizzato il suo Vangelo e in genere nell’antichità, c’era la credenza che la nascita dei grandi personaggi fosse preannunciata dall’apparizione in cielo di una stella straordinaria.

Nelle tradizioni rabbiniche riportate dai midrashin troviamo descritto il fenomeno della stella in concomitanza con la nascita di Abramo. In questi midrashin si legge infatti che nella notte in cui nacque Abramo fu vista sorgere da oriente una grande stella che oscurò altre quattro stelle. I consiglieri e gli astrologi del re Nemrot rimasero meravigliati per questo fenomeno insolito ed annunciarono al re la nascita del conquistatore del mondo.

Una tale credenza era diffusa anche nel mondo greco-romano, dove si narrava che alla nascita e all’inizio del regno di Mitridate era spuntata una cometa più splendente del sole. Si diceva che pure all’inizio del regno di Augusto fosse apparsa una cometa favorevole, come un annuncio di gioia per tutti i popoli. Il poeta romano Virgilio racconta che lo stesso Enea sia stato guidato da Troia a Roma da una stella la cui scia gli avrebbe indicato la rotta verso l’Italia (Eneide 2, 679-704). Secondo la mentalità popolare, combattuta da Plinio il Vecchio, la nascita e la morte di ogni uomo sarebbe stata segnata da una stella e la caduta delle stelle filanti indicherebbe l’estinzione di una vita umana.

I cristiani a cui era diretto il Vangelo di Matteo, che già acclamavano Gesù come l’astro davidico, ricordavano come in coincidenza della sua nascita si erano verificati in cielo due fenomeni astronomici di grande importanza: la comparsa della cometa di Halley nel 12 a.C. e la comparsa nel 7 a.C. di una stella di straordinaria grandezza che è stato poi accertato trattarsi della congiunzione di due pianeti (Giove e Saturno ). È stato quindi naturale per Matteo descriverci la comparsa di questi personaggi orientali guidati verso Betlemme da una stella. Anch’essi potevano aver visto questa stella di straordinaria grandezza e, mossi da una speciale illuminazione divina e dalla conoscenza delle tradizioni messianico ebraiche, diffuse in tutto il medio-oriente.

Circa il tempo in cui questi Magi giunsero a Gerusalemme, Matteo non ci dice nulla, ma si può pensare che la loro visita sia stata effettuata non molto tempo dopo la nascita di Gesù, sia perché la stella deve essere apparsa al momento della nascita di Gesù, sia perché quando arrivarono a Gerusalemme chiesero: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?». Il termine greco qui usato texqei\j (= che è nato) è il participio aoristo passivo del verbo ti/ktw che ha il significato di partorire, dare alla luce, far nascere e indica che l’azione si è appena verificata. Si può quindi ragionevolmente presumere che appena ebbero interpretato il senso dell’astro, si prepararono a compiere il viaggio a Gerusalemme. Al loro arrivo a Gerusalemme forse deve essere trascorso solo qualche mese dall’evento della nascita.

vv. 3-4-5-6

All’udire ciò il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
E, radunati tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove doveva nascere il Cristo.
Ed essi gli dissero: «In Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
"E tu, Betlemme terra di Giuda, non sei certo la minima fra i principi di Giu-da, perché da te uscirà un capo, che pascerà il mio popolo Israele".

Ragionando in maniera umana (e quindi non più guidati dalla stella), si recano da Erode e gli chiedono dove potevano trovare il re dei Giudei che era appena nato. Essi non hanno chiesto dove è nato il re dei Giudei, ma dov’era colui che è nato come il re dei Giudei, per essere cioè il re dei Giudei. La straordinarietà della loro domanda consiste nel fatto che questo neonato, pur essendo re per natura, poteva anche non essere figlio del monarca attualmente in carica.

Ecco allora perché tutta Gerusalemme e lo stesso Erode furono turbati, sconvolti dalla richiesta dei Magi. Il loro pensiero andò subito al Messia che doveva essere "il re per eccellenza", il re per "nascita" e quindi non della stirpe erodiana.

Tuttavia forti correnti giudaiche pensavano che tale re non doveva nascere come tutti gli altri, ma apparire già in età matura come condottiero. Anche la citazione di Michea, riportata dai sacerdoti e dottori della legge, non parlava affatto di nascita in quando dice: «da te uscirà un capo», vale a dire un comandante in età matura, in grado di «pascere il mio popolo Israele».

Erode « il meno messianico degli uomini» convocò il Sinedrio, che etimologicamente significa "concistoro", o luogo di riunione, e che si chiamava pure "consiglio" (boulè). Si trattava del supremo tribunale degli Ebrei, composto di 71 membri, di cui uno era il presidente o nàsi (principe) e ordinariamente si identificava con il sommo sacerdote in funzione. Gli altri 70 consiglieri erano ripartiti in proporzioni quasi uguali tra i sacerdoti risultanti dai capi delle 24 classi sacerdotali e dai sommi sacerdoti non più in funzione. La classe più colta del Sinedrio era costituita dagli scribi o dottori della legge e degli anziani del popolo che erano i notabili laici, scelti tra le principali famiglie ebraiche.

Anche se Matteo nomina i sacerdoti e i dottori (scribi), non v’è motivo di ritenere che gli anziani non fossero stati invitati; infatti gli « scribi del popolo» è un’espressione alquanto insolita la quale ci fa sospettare che sia caduta la parola « anziani del popolo», secondo la terminologia usuale.

Il Sinedrio risponde dicendo che il Messia doveva «uscire » (non nascere) da Betlemme. Ciò suppone l’esistenza di una tradizione che abbia inteso in tal modo il passo di Michea (5, 2). Ancora al tempo di Girolamo (m. 520) si parlava di Ebrei che si radunavano presso la porta di Ebron (moderna porta di Giaffa) per spiare se da Betlemme arrivasse il Messia. Matteo adduce a conferma la profezia di Michea secondo la versione greca, mentre in ebraico essa suona così:

« Ma tu, Betlemme di Giuda, sei minima tra i clan di Giuda; da te proverrà (un principe) che sarà sovrano in Israele e le sue origini (dateranno) dall’età antica, dai giorni del passato lontano ».

Matteo segue la versione greca con delle varianti personali che suppongono già celebre Betlemme per la nascita avvenuta del principe predetto. Michea dice che Betlemme è un borgo oscuro, ma che diverrà glorioso in futuro; Matteo elimina tale oscurità che più non conviene a un luogo ormai glorioso. Egli quindi ci dà il nuovo testo:

« Tu Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima tra le città principali di Giuda»

Il "principali" (che la Volgata tradusse "tra i principi") traduce l’ebraico salfâ che vuol dire "mille"; quindi tra le città di mille abitanti, ossia tra le città principali che superano il migliaio. Si vede dal comportamento precedente come gli evangelisti si riservavano la libertà di modificare L’Antico Testamento per renderlo più aderente alla realtà presente; si tratta di ciò che ora si chiama "rilettura" e che gli Ebrei definivano Midrash. Tale comportamento, pure usato dai Qumraniti, è dichiarato un privilegio apostolico da parte di Girolamo:

« Da ciò appare come gli apostoli e gli evangelisti, nella interpretazione delle profezie antiche ricercarono più il senso che le parole; perciò non si sono affatto curati dell’ordine dei discorsi, quando le realtà erano chiare all’ intelligenza»

Versetti 7-8-9-10

Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, domandò loro con esattezza da quanto tempo la stella era apparsa.
E, mandandoli a Betlemme, disse loro: «Andate e domandate diligentemente del bambino; e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo».
Ed essi, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in oriente andava davanti a loro finché, giunta sul luogo dov’era il bambino, vi si fermò.
Quando essi videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.

Il fatto che il passo parli di «uscita come condottiero » e non di nascita comune, fa comprendere come mai i dottori e i farisei non si siano mossi alla ricerca di un neonato. Ciò esulava dalla loro interpretazione biblica e ritennero perciò i Magi degli illusi e degli ingannati. Per questi scribi, gonfi della loro sapienza terrena, il Messia non poteva seguire la trafila della nascita propria dei comuni mortali. Solo il sospettoso Erode si informò dai Magi "in segreto" e diede loro, sempre segretamente, l’ordine di cercare il neonato. Costoro, vedendo ricomparire l’astro, comprendono che la profezia di Michea era vera.

Erode era abituato a comportarsi in tal modo e ad interrogare i Magi in segreto. Infatti egli « spesso si travestiva da uomo privato, nelle nozze e si mischiava con la turba per sperimentare e sapere personalmente ciò che la gente diceva del suo regno ».

Seguendo il suggerimento di Keplero (1603), alcuni autori quali il Kroll e il Gerhardt hanno inteso l’astro della nascita di Gesù come la congiunzione degli astri di Giove e Saturno nella costellazione dei pesci, un fenomeno assai raro ma che si verificò il 21 maggio del 747 di Roma, tre anni prima della morte di Erode, vale a dire il 7 a.C..

Non fa difficoltà il termine "astro", poiché esso indica semplicemente un astro nuovo in cielo. Ora la congiunzione degli astri, vista dall’uomo sulla terra, dà l’impressione di un astro nuovo, che durò per alcuni mesi.

Né si deve pensare ad un astro che camminasse dinanzi ai Magi e che indicasse loro il cammino. Il passo biblico letteralmente così suona: « Ed ecco l’astro che videro in oriente li precedeva fino a che andando stette sopra dove era il fanciullo».
Gianfranco Nolli  propose di tradurre i verbi al trapassato anziché al passato: il "videro" lo traduce con "avevano visto", così va inteso anche il "precedeva", vale a dire con "li aveva preceduti" e stava sopra Betlemme. L’astro che li aveva spinti ad andare alla ricerca del Messia e che da essi era stato visto antecedentemente in Oriente, ora a Betlemme fu rivisto in un’ angolazione diversa. La congiunzione, durata nel 7 a.C. più mesi, poteva essere visibile anche a Gerusalemme, come se stesse sulla città di Betlemme da loro presentata come patria del Salvatore. Si tratta quindi di due apparizioni diverse, la prima nella parte orientale del cielo che mise in moto i Magi e la seconda nella parte meridionale, che con la sua nuova apparizione produsse nei Magi una «gioia straordinariamente grande».

Come mai i Magi da una stella potevano dedurre la nascita del Cristo? Per capirlo bisogna ricordare che per gli antichi il cielo era una realtà, anzi l’unica vera realtà, di cui la terra con i suoi monti, mari, fiumi e abitanti sono l’ombra. Saper leggere il cielo significa conoscere (anche in anticipo) gli eventi terrestri. In Egitto esistevano delle vere "carte del cielo" nelle quali stavano segnate le stelle con il momento del loro sorgere e del loro tramontare assieme alle diverse congiunzioni; su di esse si regolavano il culto e le feste. Il sorgere ben visibile di S-rio, la stella del mattino, che appariva per pochi istanti la prima volta, segnava la prossima piena fecondatrice del Nilo, per cui la stella si chiamava Sedapet, vale a dire "portatrice della crescita del Nilo".

Il tempio di Gerusalemme era l’ombra di quello celeste; la descrizione della Nuova Gerusalemme di Ezechiele non poggia sulla geografia palestinese, ma su quelle ideali della Gerusalemme celeste. Perciò la congiunzione di astri in un determinato luogo del cielo, poteva annunciare alle persone istruite la nascita di un essere speciale nella regione di Israele.

Lo studioso H. Kroll scrive: «Che ci dice l’astrologia antica sulla congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci? Il pianeta Giove era generalmente considerato nell’Antichità come la stella del padrone del mondo. Giove era l’astro regale. Questo ci viene confermato da un monumento eretto nel 7 a.C. sull’isola di Philae nel Nilo in onore dell’imperatore Augusto. Su questo monumento l’imperatore, in quanto maestro del mondo, è designato con il nome di Giove. Saturno era presso i Babilonesi l’astro corrispondente al paese di Amurru, vale a dire la Siria. L’astrologia ellenica designava Saturno come stella dei Giudei. La costellazione dei Pesci era attribuita alla fine dei tempi. Se dunque Giove e Saturno si congiungevano nella costellazione dei Pesci, i Magi erano indotti a pensare che in Siria, e, più precisamente, nel paese dei Giudei, era nato un re degli ultimi tempi ».

Si ricordi il passo di Svetonio: «Era un’antica e ferma credenza diffusa in tutto l’Oriente che l’impero del mondo lo avrebbe preso sin da quest’epoca un uomo venuto dalla Giudea ».

In seguito a tale visione i Magi lasciarono l’Oriente e il loro viaggio fu attuato indipendentemente dall’astro poiché solo in tal modo si spiega la gioia nel rivederlo sia pure sotto un’altra congiunzione che confermava la loro scelta di Betlemme come luogo di nascita di Gesù. L’astro, secondo le normali leggi astronomiche, aveva "camminato" assumendo una nuova posizione nel cielo da far supporre ai Magi che esso, giunto prima di loro, confermasse in pieno la profezia di Michea.

versetti 11-12

E, entrati nella casa, trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono. Poi, aperti i loro tesori, gli offrirono doni: oro, incenso e mirra.
Quindi, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

I nostri astrologi orientali entrarono nella casa e riconobbero nel bambino, alla cui culla la grazia di Dio li aveva condotti, l’astro di Giacobbe. Si prostrarono fino a terra per adorarlo davanti a colui che intravidero come più grande del re Salomone; gli presentarono in atto di adorazione i loro ricchi doni come già aveva fatto la regina di Saba con Salomone, felici poi di ritornare nei loro paesi pagani per parlare dell’astro più splendente di tutti che Dio aveva mandato a tutti gli uomini.

I Magi avrebbero voluto ritornare ad annunziare alla corte regale, ai membri del sinedrio, e perfino a tutta Gerusalemme, il ritrovamento del Bambino; ma ne furono impediti da Dio perché quella gente non era ben disposta. Essi stessi, passando per Gerusalemme avevano intravisto nella gente, nel re e nei capi giudei qualcosa di strano perché alla loro entusiastica comunicazione che il Messia era nato, i funzionari di corte si erano rabbuiati e si erano affrettati a darne subito notizia al sovrano. La stessa gente di Gerusalemme alla loro notizia era stata colta da un grande turbamento temendo da una parte l’ennesima e brutale reazione del re e non essendo dall’altra propensa ad abbandonare le proprie abitudini e le proprie situazioni di privilegio neppure di fronte ad un evento così straordinario come quello della nascita del Messia.

Gli stessi sacerdoti e dottori del Sinedrio, interpellati sul luogo dove Cristo avrebbe dovuto nascere, avevano si risposto – citando la profezia di Michea 5, 2 – che il Cristo sarebbe uscito da Betlemme, ma con la freddezza incredula di gente che, ritenendosi l’autentica e perfetta guida di Israele, non sentiva il bisogno di una guida migliore.

Meravigliati di essere chiamati in udienza dallo stesso sovrano, i Magi avevano sì notato che era curioso di sapere tanti particolari e desideroso di essere informato sull’identità del bambino, ma avevano pure intravisto tanta equivocità nel suo proposito di venirlo pure lui ad adorare.

Avvertiti perciò divinamente in sogno di non tornare da Erode, fecero ritorno al loro paese per un’altra strada.

Leggende posteriori

La tradizione popolare li considerò dei re, probabilmente per influsso del Salmo 72: « I re di Tarsis e delle isole offriranno tributi, i re di Saba e di Meroe gli presenteranno doni» (Sal 72, 10). Il fatto che Matteo non presenta questa citazione, ci fa capire che per lui non erano re. Il primo ad affermarlo è stato Cesario di Arles (V secolo) in un sermone falsamente attribuito ad Agostino. Nell’arte appaiono con le insegne regali nell’VIII secolo.

Le leggende hanno pure cercato di individuare quanti siano stati i Magi: le pitture delle più antiche catacombe ne presentano due (III secolo), quattro nelle catacombe di Domitilla (IV secolo), alcune rappresentazioni siriache ed armene ne presentano sei giungendo ad un massimo di dodici. Per la prima volta al V secolo il Vangelo armeno dell’infanzia li limitò a tre, basandosi certamente sui tre doni: oro, incenso e mirra Nel medesimo apocrifo i tre magi ricevono un nome: Melkon (o Melchiorre), re dei Persiani; Gasparre, re degli Indiani e Balthasar (Baldassarre), re degli Arabi. Secondo Agostino sarebbero pervenuti dalle tre parti del mondo allora noto: Africa, Europa e Asia; la posteriore fantasia popolare rappresenterebbe le tre razze umane conosciute sin dall’antichità: la bianca, la gialla e la negra che rendono omaggio al cristianesimo.

Secondo il venerabile Beda (IX secolo) raffigurerebbero le tre età umane: età giovanile, matura e vecchia, e in corrispondenza se ne colorano diversamente le barbe: barba rossa del giovane, nera del maturo, bianca del vecchio.

E’ interessante notare come questa considerazione possa essere stata dettata dal fatto che i Magi si festeggiavano il 6 gennaio, giorno della natività del dio greco Aion, che era rappresentato sia come fanciullo (Eraclito, Euripide, ecc.), sia come adulto nel pieno della sua virilità (dipinto descritto da Giovanni di Gaza), sia come vecchio (Claudiano). Egli univa quindi simbolicamente le tre età che furono poi attribuite singolarmente ai Magi.

Secondo una tradizione cattolica le reliquie dei tre magi sarebbero state trovate dalla regina Elena (colei che ha rinvenuto anche la santa croce)  e quindi trasportate a Costantinopoli nella chiesa di S. Sofia. Più tardi, prima del XII secolo, sarebbero state trasferite a Milano. Secondo la leggenda, Eustorgio, nominato vescovo di Milano, recatosi a Costantinopoli per avere la conferma imperiale, ottenne in dono la reliquia dei re Magi e ne curò il trasporto fino a Milano su di un carro trascinato da un paio di buoi. Ma durante il viaggio un bue venne sbranato, a quel che pare, da un lupo e allora il vecchio Eustorgio nel suo fervore religioso si accoppiò, dice la leggenda, al bue superstite pur di trascinare il carro fino a Milano. Ma qui, giunto presso la sorgente di S. Barnaba, la sacra urna divenne così pesante da non potersi muovere, per cui Eustorgio, vedendovi un segno divino, vi eresse sul luogo una basilica detta "Trium Magirum" e poi di S. Eustorgio, dove su alcuni rozzi capitelli vi sono dei bassorilievi con la leggenda del lupo. In tale basilica, dodici giorni dopo Natale, si attuava una processione solenne che attirava gente anche da paesi lontani. Nel 1162 la città fu assalita da Federico Barbarossa e un cavaliere milanese per avere salva la città rivelò al vescovo Raimondo di Colonia, che era al seguito delle truppe, dove stessero nascoste le reliquie dei Magi. Il vescovo promise, ma di fatto la città fu saccheggiata ugualmente ed egli asportò dalle urne, rimaste vuote a Milano, le celebri reliquie che espose all’adorazione dei fedeli nel suo duomo di S. Pietro in Colonia, Molti papi (tra cui Pio IV e Gregorio XIII) ne reclamarono inutilmente la restituzione; le richiese senza risultato anche S. Carlo Borromeo; solo il cardinale Ferrari nel 1909 riuscì a riottenere qualche pezzo dei tre corpi, che per la gran parte sono tuttora a Colonia.
Per incrementare i pellegrinaggi, allora tanto diffusi, (si diceva che perfino Gengis Khan volesse penetrare in Europa fino in Colonia per riportare in patria le ossa dei suoi tre antenati), si cercò di fornire ai pellegrini una storia più completa dell’origine dei re Magi che si diffuse nel Medioevo. Verso il 1300 il Libro dei tre re Magi affermava che Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, tornati nell’India, vi avrebbero fondato la città di Seuwan (= Scioa?) « che è la più nobile e ricca città di tutte le parti dell’India e dell’Oriente, dove è la residenza del signore dell’India, detto prete Giovanni». Morti senza eredi, i Magi avrebbero lasciato il dominio dei loro regni a questo prete Giovanni, così chiamato perché nessuna dignità è più preziosa di quella sacerdotale e perché Giovanni si chiamarono il Battista e l’evangelista. Egli divenne così un potentissimo monarca, cristiano, ma eretico, nemico vittorioso degli infedeli. In una lettera della metà del XII secolo, diretta all’imperatore d’Oriente, Manuele I Commeno ("A Emmanuele, governatore di Roma"), egli così magnifica la potenza dei suoi stati: «Se puoi calcolare le stelle del cielo e la sabbia del mare, calcola anche il nostro dominio e la nostra potenza ». Questa figura misteriosa si vuole oggi identificare con il Negus Neghesti etiopico, che un tempo si riteneva una parte delle tre Indie. La linea di confine tra Asia ed Africa non era considerata il Mar Rosso, bensì il Nilo, per cui l’Abissinia ("Abasce") era inclusa nell’India. L’antica chiesetta di S. Stefano a Roma presso la basilica vaticana, che dal 400 fu un ospizio dei pellegrini etiopi, era per questo detta: la chiesa degli "indiani". Il libro dei tre magi identificò Melchiorre con il re dei Nubi (si notino le varie metamorfosi e confusioni geografiche) facendo discendere il prete Gianni da questo mago. Si tratta di leggende medioevali, amanti del meraviglioso e del fantastico e frutto di una geografia ben confusa.

L'intento del racconto

Matteo non ha intenzioni storiche, ma solo evangelizzatrici, per cui egli non si sofferma sui particolari che a noi potrebbero riuscire importanti, anzi indispensabili. Non narra come fosse l’astro, donde venissero i Magi, quanto tempo abbiano impiegato nel viaggio, come abbiano potuto apprendere la nascita del re di Israele dalla presenza dell’astro. Tutto ciò non interessa Matteo.

Egli vuole solo insegnare una verità importante e precisamente che il Cristo non è venuto a salvare solo gli Ebrei, ma anche i popoli lontani, i pagani.

Agli Ebrei si rivela tramite la rivelazione profetica, ai gentili tramite l’astrologia che era molto coltivata tra quei popoli. Anche i pagani attendono il Salvatore e vi sono preparati, a loro modo, ad opera della natura. Perché gli Ebrei non seguono i Magi per andare a Betlemme e constatare de visu la realtà?

A quel tempo non vi era una profezia chiara che affermasse il luogo di nascita del Messia. Si pensava persino che questi potesse scendere già adulto dal cielo. Si sapeva che doveva provenire dalla famiglia di Davide, ma non si sapeva dove avrebbe dovuto apparire.

Anche la profezia di Michea non diceva chiaramente che il Messia sarebbe dovuto nascere lì, ma solo che sarebbe stato una gloria di Betlemme, il che sarebbe stato vero anche se fosse nato altrove, in quanto discendente della famiglia di Davide che era betlammita. Origène testimonia che gli Ebrei del suo tempo rifiutavano energicamente di ritenere necessario che il Cristo nascesse a Betlemme per adempiere la profezia.

Matteo fa perciò chiedere ai sacerdoti non dove sia nato il Cristo (il fatto è sicuro perché era già nato), ma dove « sarebbe dovuto nascere», dove c’era maggiore possibilità che nascesse. Essi citano l’unico passo biblico che poteva venire inteso in tal senso, anche se loro non lo intendevano in tal modo per cui non ci vanno.