L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni
CAPITOLO XII

BIBBIA E MORALE

Bibliografia :

E. Galbiati - Piazza , Pagine difficili della Bibbia , Milano 1956.

P. Heinisch , Teologia del V.T. , Torino 1950 (Marietti).

H. Kruse , De inferioritate morali Veteris Testamenti , in "Verbum Domini", 1950, pp. 77-88.

L. Johnston , Old Testament Morality , in "Cath. Bibl. Quart." 20 (1958), pp. 19, 25.

I. Progresso morale

Oggi, dopo il progresso morale insegnato e praticato da Cristo, è facile dare giudizi negativi sopra qualche parte dell'Antico Testamento. Ma si dimentica che la morale biblica è un continuo progresso verso la morale cristiana. Dio si adeguò alla capacità del grado culturale raggiunto dal popolo, per elevarlo gradatamente a una morale superiore. Non si può accogliere l'idea di Marcione che condanna tutto l'Antico Testamento quale frutto di un Dio malvagio per salvare solo le lettere paoline. Nella morale veterotestamentaria siamo nel campo del relativo, che la rivelazione va migliorando sempre più cercando di regolamentare certi abusi provenienti dal mondo culturale assai basso del tempo(1) Basti l'esempio della poligamia, che ci riesce assai sorprendente. L'unione con schiave, concubine e prigioniere di guerra era ritenuto permesso in epoca antica (Ge 4, 19; 16, 3; Es 21, 10; Dt 21, 10-17; 1 Sm 1, 2; 2 Sm 5, 13). Però si cerca di salvaguardarne la dignità: qualora non ti piaccia più «la lascerai andare dove vorrà, ma non la potrai vendere in alcun modo per denaro, né trattare da schiava, perché l'hai umiliata » (Dt 21, 14).

E' ammesso il divorzio, ma se ne regola l'uso in modo da renderlo meno facile e di salvaguardare la dignità muliebre (Dt 24, 1-4).

Mentre re come Saul, Davide, Salomone avevano un grande harem, presso la gente semplice vigeva la monogamia, come appare nel caso di Uria (cf 2 Sm 12, 1-4). In tal modo si elevò sempre più la dignità della donna: nella letteratura sapienziale l'uomo e la donna, padre e madre appaiono uniti e in parità di rango. Il Cantico dei Cantici che esalta l'amore dello sposo verso la sposa e della sposa verso lo sposo, si presenta strettamente monogamico e preannuncia il messaggio di Gesù che, riferendosi a Ge 2, parla di due che formeranno un essere solo, per cui ciò che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi (Mt 19, 4).

Certe mancanze sono poi già rigidamente condannate dall'Antico Testamento, come l'adulterio sul quale oggi molta gente vorrebbe sorvolare con tanta facilità. Esso (che riguarda solo l'unione di un uomo con la moglie di un altro) era rigidamente proibito in quanto violazione del diritto altrui, perché la donna sposata apparteneva ad un altro uomo (Es 20, 14; Lv 20, 10; Dt 5, 21). Esso, secondo Giovanni (8, 5; cf Ez 16, 40), veniva punito con la morte per lapidazione: Era pure proibito in modo assai rigido l'incesto e la perversione sessuale (Lv 18, 6-30; 20, 10-21). La morale sessuale in Israele era indubbiamente superiore a quella dei Cananei, i quali con la prostituzione sacra, costituirono una perenne tentazione per gli Israeliti. I culti della fertilità legittimavano presso i Cananei le ierodule e gli ieroduli con i quali sia gli uomini sia le donne potevano unirsi sessualmente per onorare il loro dio (Baal e Astarte) e così ottenere la pioggia benefica ai loro campi e per eliminare la sterilità dalla propria famiglia o dai propri animali. Contro tale perenne pericolo elevarono spesso la voce i profeti biblici.

II. Azioni disoneste

La Bibbia, secondo il metodo semitico, si esprime senza eufemismo; non ha il tabù del sesso come fu esasperato nel medioevo per influsso di idee gnostiche ed ascetiche, fatte proprie, almeno parzialmente, dal cattolicesimo. Essa riferisce, senza alcuna reticenza, gli atti immorali dei suoi eroi (salvo nel libro delle Cronache): si pensi all'adulterio di Davide con Batsheba (2 Sm 11), all'incesto di Ammon con Tamar e conseguente fratricidio di Ammon ad opera di Absalom (2 Sm 12). Non tace la debolezza dei patriarchi, anzi tramite i loro difetti mostra come Dio si serva di uomini come noi, con tutte le nostre debolezze, per attuare i suoi piani di salvezza. Si ricordi la giusta osservazione di Agostino: Tali racconti sono « narrati ma non approvati », oppure « sono riferiti per ammonimento nostro, non perché fossero imitati » (Narrata non laudata  . . . Cavenda admonnit, non imitanda proposuit, Agostino , Contra Faustum 22, 45 per la poligamia di Lamec).

L'ispirazione biblica non ha nulla a che vedere con la condotta dei personaggi biblici, ma solo con il giudizio che si dà della loro condotta. Dio infatti non può approvare il male, né biasimare il bene: questo è quanto conta.

1. Talora le azioni malvage sono espressamente biasimate: così l'atto sconveniente di Cam verso il padre Noè ubriaco (Ge 9, 25s); così l'adulterio di Davide (2 Sm 12, 7); così Caino che dice di ignorare dove sia Abele da lui ucciso (Gn 4, 9), ecc.

2. Tal'altra le azioni sono narrate senza alcun giudizio lasciandone la valutazione al lettore, secondo le norme morali espresse altrove nella Bibbia. Così la poligamia di Lamec (Ge 4, 19); la bugia dei fratelli di Giuseppe i quali fanno capire al padre che il loro fratello (da essi venduto) era stato ucciso da una belva (Ge 37, 31-36).

3. La lode di una persona non implica l'approvazione di tutto quanto ella compie. Così l'elogio delle levatrici che salvano i maschi degli Ebrei contro l'ordine di uccisione da parte di Faraone, per sé non implica che se ne scusi la bugia (Es 1, 15-21). Ad ogni modo va ricordato che in quel tempo rozzo astuzia e menzogna erano ritenute lecite, se attuate a fin di bene (Gdc 1, 6; 3, 15ss; 4, 18ss, machiavellismo). I patriarchi sono elogiati, ma non se ne scusano le bugie, come quella con cui Isacco presenta sua moglie per sorella (Ge 26, 7.9), e con la quale Giacobbe inganna Isacco (Ge 27, 11-29) (2) .

4. Talora non bisogna ritenere malvagio ciò che era conforme al diritto del tempo. Nel caso di Tamar che si unisce al suocero Giuda per avere un figlio, il patriarca afferma: «Essa è più giusta di me» (Ge 38, 26). Secondo la legge del tempo la vedova priva di figli poteva essere data dal suocero al fratello del morto per suscitare al defunto una posterità, oppure il suocero se la poteva tenere per sé. Dal momento che Giuda mai si decideva ad attuare il suo obbligo, Tamar con uno stratagemma lo costringe a compiere il suo dovere.

5. Imprecazioni. Molti salmi sono propriamente imprecatori in quanto augurano il male ai loro nemici. Come possono tali brani essere ispirati e fare parte della Bibbia? Il salmo 35, ad esempio, prega perché il male compiuto dai suoi persecutori ricada su loro (v. 3ss). Lo stesso è ripetuto in Sl 79, 6; Gr 11, 20; Sl 59; Sl 94, 1s; Sl 140, 9. Altri salmi auspicano la morte ai nemici: così il Salmo 109, 8ss (il v. 7 è rivolto al giudice perché lo condanni e non a Dio). Qualcuno vorrebbe vedere in questi versetti la citazione di una imprecazione detta dal nemico contro il salmista (v. 21), ma è poco probabile (cf v. 20).

Il Salmo 55, 16 (15) auspica una morte violenta ai suoi avversari: « Li sorprenda la morte; scendano vivi nel soggiorno dei morti ». Si tratta di una espressione tipica per indicare una morte violenta (cf Nm 16, 33).

Il Salmo 69, 23-29: cf v. 29 (28): « Siano cancellati dal libro della vita», ossia muoiano repentinamente; qui non si tratta di vita eterna, un cielo dal quale devono essere espulsi, perché tale concetto di premio ultraterreno non era ancora sviluppato presso gli Ebrei. Si tratta del libro che contiene la lista dei viventi sopra questa terra.

Il Salmo 59, 13 (14) : «Distruggili nel tuo furore ».

Il Salmo 83, 9 (10) ss: «Fa a loro come facesti . . . a coloro che furono distrutti a Endor e servirono di letame alla terra».

I l Salmo 137, 8s: Uccisione di innocenti; parlando di Babilonia il salmista grida: « Beato colui che piglierà i tuoi piccoli bambini e li sbatterà contro la roccia».

Come si possono conciliare queste espressioni con il senso cristiano del perdono, come si possono questi salmi, recitare tuttora come preghiera? Non è sufficiente spiegarli come "profezia" di quanto si sarebbe attuato per esempio nel caso del traditore Giuda, come fa Pietro applicando a lui un versetto del Salmo 109 (v. 8; At 1, 20). Si possono cercare di comprendere mettendoli nell'ambiente in cui sorsero. Tali espressioni sono piuttosto una preghiera a Dio; il salmista anzichè attuare personalmente la vendetta, la lascia a Dio. In mancanza di un vero tribunale giusto, dinanzi alla propria impotenza il salmista si rivolge a Dio. Mancando il concetto di una giustizia ultraterrena, la giustizia doveva attuarsi sulla terra, per cui l'orante chiede a Dio che qui si attui la giustizia da lui voluta e la realizzi mediante la legge del taglione: ciò che altri fecero ai pii ricevano pure essi da Dio: dolori, sofferenze, morti, stragi che essi hanno inflitto a chi si affidava a Dio (cf Ap 13, 9). In parte ciò si spiega con il fatto che la situazione inflitta ai buoni era un'offesa allo stesso Dio, la "rivendicazione" dei diritti dell'oppresso, una rivendicazione dei diritti divini. Nel Salmo 83, 10-19 (9-18) il popolo di Israele si identifica con Dio, la vittoria sua sui nemici mostrerà la potenza divina: « E così conoscano che tu, il cui nome è Jhwh, sei il solo Altissimo sopra tutta la terra » (v. 12). Il Salmo 137 non fa altro che descrivere la situazione barbara delle stragi che allora si compivano usualmente da parte dei vincitori contro i nemici vinti (ai bimbi si sfracellava il capo contro la roccia). Però già gradatamente penetra il senso morale della benevolenza anche nell'Antico Testamento (Lv 19, 18 verso il prossimo), e anzi si raccomanda di ricondurre il bue smarrito persino al proprio nemico (Es 23, 4).

Naturalmente oggi non possiamo più ripetere (nemmeno in senso simbolico) espressioni imprecative di tal genere, perché siamo stati ammaestrati da Cristo a perdonare i nemici (Mt 5, 43-48). I cristiani non possono più maledire, ma devono vincere il male con il bene (1 Pt 3, 9; Rm 12, 14; Lc 6, 28). Dio, che si era adeguato alla mentalità del tempo, ha lavorato di continuo per purificarne ed elevarne la moralità sino al messaggio definitivo di Gesù vissuto nella pienezza dei tempi (3) .

6. Una crudeltà di Davide?

Stando al testo biblico di 2 Sm 12, 31b, Davide avrebbe fatto "passare " (he'ebîr ) per le fornaci di mattoni, ossia avrebbe fatto bruciare gli Ammoniti di Rabba, appena espugnata, e di altre città. Il passo parallelo di 1 Cr ha "li segò " (wayyasar ). I LXX (Vg) danno al v. 31 di 2 Sm 12 la seguente interpretazione: « Davide, vinti gli Ammoniti, li avrebbe fatti segare, li avrebbe uccisi facendo passare sui loro corpi degli erpici armati di punte di ferro, li avrebbe tagliati a pezzi con scuri e gettati in fornaci di mattoni ». Il Mangenot , sotto la voce David, scrive: «Crudeltà di tal genere, che ci fanno orrore e non c'è bisogno di attenuare . . . si spiegano sufficientemente, senza poterle scusare, con i barbari costumi del tempo» (Dict. Bibl., Vol II, col. 1316).

Ma è proprio vero che fu così? Il Condamin in un articolo apparso sulla "Revue Biblique" (1898 pp. 253-258) si chiedeva nel titolo: "David cruel par la faute d'un copiste? ". Egli osservava che il verbo " far passare " ( 'abar) è molto simile per forma in ebraico a 'bd che significa "lavorare ". Nella forma hifil (o causativa) qui usata ha il senso non di " far passare" ( he'ebîr ), ma di " usare, impiegare " ( he'ebîd ). In ebraico " r " e "d " sono assai simili e anche in altri passi si confusero tra loro, specialmente nei nomi propri. In tal caso non vi sarebbe alcuna crudeltà in Davide, che avrebbe usato i popoli vinti per lavori gravosi « utilizzandoli alle seghe, agli erpici ferrati, alle scuri (31a); così li fece lavorare in fabbriche di mattoni» (31b).
Il passo parallelo 1 Cr 20, 3 ha wayyasar "li segò ", che se ben si adatta alle seghe che seguono subito dopo, non si accorda con gli "erpici e le scuri " che vengono dopo (non si parla di fornaci per mattoni). Anche qui vi deve essere un errore di copista, e occorre modificare il " segò" ( wayyasar ) in wayyasèm " li impiegò, li applicò alle seghe, agli erpici ferrati e alle scuri". Tale infatti è il verbo che si usa nel passo parallelo di 2 Sm 12, 31a ( wayyasèm ) che serve a correggere il verbo delle Cronache. La crudeltà davidica è dunque un puro errore di copista. Così molti critici odierni ( A. Fernandez , Verbum Domini 3, 1923, p. 226; K. Budde , Die Bücher Samuel , Leipzig 1920, p. 259; H. Smith (Driver), The Books of Samuel , Edimburgh 1904, p. 327; ecc.).

7. La legge del taglione

E' famosa la legge così indicata in Lv 24, 19s «Se una persona reca una lesione ad un suo concittadino, come fece, così gli si farà; frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente » (cf Es 21, 23; Dt 19, 21). Così è interpretato dal libro della Sapienza: «Con quello con cui uno ha peccato, con quello stesso sarà castigato » (Sap 11, 16 apocrifo o deuterocanonico). Va osservato che tale legge riguardava i giudici e non l'individuo per conto proprio, anche se all'inizio (in mancanza di giudici) il danneggiato poteva farsi giustizia da sé. Esso va rivolto contro la tendenza di vendicarsi in maniera esagerata, come nel caso da Lamec che voleva vendicarsi settanta volte sette (Ge 4, 24). Così si regolava la cosiddetta vendetta del sangue ( goêl o vendicatore). Abbiamo già visto come le imprecazioni siano appunto una applicazione della legge del taglione che qui si applica allo stesso Dio. Anche il giusto si sottoponeva per conto suo al taglione quando pregava: « Se ti dimentico, o Gerusalemme (=sede di Dio), si dimentichi la mia destra della sua vigoria » (Sl 137, 5; cf Dt 28, 30-46). I salmisti chiedono per sé e per gli altri che dinanzi al tribunale divino ricevano la punizione o il premio secondo la legge del taglione. Gesù va oltre questa legge in sé buona, in quanto pretende che alla giustizia subentrino il perdono e la misericordia: come Dio perdona e fa misericordia all'empio, così faccia il cristiano. La legge del taglione può divenire un modo per attuare la propria vendetta personale. Gesù invece vuole il perdono, l'amore e la vittoria del male con il bene (Mt 5, 38-39), anche se riconosce l'ineluttabilità del principio del taglione nel campo naturale: « Chi impugna la spada, perirà di spada » (Mt 26, 52). Alla vendetta moltiplicata di Lamec (70 volte 7) egli oppone il perdono cristiano da attuarsi « 70 volte 7 » (Mt 18, 22) (4) .

8. Guerre di sterminio o anatema

Anatema (ebr. chérem , gr. anàthema ) indica propriamente le offerte religiose che si offrivano a Dio e venivano appese ai templi, come i nostri ex-voto (cf ana-tìthemi " porre in alto"). Ma esso passò poi ad indicare una persona, una famiglia, una città intera che si votava a Dio e perciò veniva distrutta totalmente. Ecco quanto dice in proposito il Levitico: «Tutto ciò che uno avrà consacrato a Jhwh con voto di anatema, fra le cose che gli appartengono, si tratti di una persona, di un animale, o di un pezzo di terra del suo patrimonio, non potrà essere venduto né affittato – ogni anatema è cosa santissima, riservata a Jhwh . . . (se si tratta di un essere vivente) dovrà venire messo a morte » (cf Lv 27, 28s; cf Mt 15, 15). Questo metodo fu utilizzato da Giosuè (cc 6-12) nella conquista di Gerico, Ai e di molte altre città cananee. Prima dell'attacco esse sono votate allo sterminio (chérem), poi si conquistano e il racconto si chiude con il desolante ritornello: « Votarono poi all'anatema, passando a fil di spada ogni essere che vi era nella città, dall'uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e anche il bue, il montone e l'asino» (Gs 6, 17-21; 8, 22-24; 10, 28-42; ecc.). Con l'anatema gettato sulla città i guerrieri credevano di cattivarsi l'aiuto divino, in quanto mostravano di non combattere per cupidigia, ma per fare donativi al loro Dio. Chi cedeva alla tentazione di arricchirsi veniva messo a morte (cf Gs 6, 18; 7, 1.11-15.21-23). Saul fu riprovato per aver salvato il re nemico Agag e per non averne distrutti gli animali migliori (1 Sm 15). Nel Deuteronomio tale uso viene riferito solo contro i cananei posti entro il territorio palestinese promesso agli Ebrei, per le altre città invece si doveva prima offrire la pace, e, solo in caso, di rifiuto si dovevano conquistare: in seguito gli uomini solo dovevano venire uccisi, ma il resto riservato come bottino (Dt 7; 20, 10-18). Vi è quindi un leggero progresso contro tale uso barbaro. Come si spiegano tali fatti?

a) La guerra purtroppo è guerra, e anche oggi, nonostante gli impegni internazionali, è talora superiore alle barbarie di quel tempo. Quante città e innocenti distrutti con le micidiali bombe odierne? Ben più dei massacri del tempo biblico. Il metodo usato dagli Ebrei non era altro che l'applicazione di un uso barbaro, allora ritenuto lecitissimo. Basti leggere le relazioni dei racconti assiri e la seguente citazione della stele di Mesha, re di Moab: « E Camos (Dio del luogo) mi disse: Va', prendi Nebo (combattendo) contro Israele! E andai nottetempo e combattei contro di essa dallo spuntare dell'alba fino a mezzo giorno. E la presi; e tutti vi trucidai: settemila uomini e ragazzi, donne, giovinette e schiave, Poichè ad Astar-Camos feci chérem di tutti essi » (Stele di Mesha 11. 14-17; sec. IX a.C.).

La rivelazione che è storica si realizza entro la storia, rispettando lo sviluppo umano che cerca di far progredire nel miglior modo possibile. Si veda come tale sterminio non debba attuarsi fuori delle frontiere affidate ad Israele, contro l'uso dei grandi imperi dell'oriente antico. Con il tempo il rispetto della vita umana andò progredendo, grazie specialmente all'azione profetica. Il libro di Giona dice chiaramente che le vite umane, anche dei più spietati nemici come i niniviti, appartengono a Dio e sono da lui amate (Gn 4, 2.10s).

Di più i sovrani ebrei avevano la fama di generosa bontà nei riguardi dei nemici, che li distingueva dagli altri popoli (1 Re 20, 31). Al tempo dei Maccabei riaffiorarono tracce dell'antico anatema, ma solo per rispondere in modo adeguato alle crudeltà di Antioco IV Epifane (1 Mac 2, 38; 3, 39-42; 4, 18-23; 5, 2-7.22.44.51). In seguito l'anatema si ridusse esclusivamente alla confisca dei beni o alla esclusione dalla vita religiosa comunitaria (cf Gv 9, 22; 12, 42; 16, 2; 1 Co 5, 5; per i cristiani fino a poco fa tale metodo era conservato nella chiesa cattolica). Quando Paolo dice di voler essere « anatema di Cristo » per i suoi connazionali, pensa alla sua morte come olocausto per il Cristo da lui creduto ed amato (Rm 9, 3; cf Ga 1, 8; 1 Co 12, 3). Ma il problema più grave non sta qui, bensì nel fatto che Dio stesso lo comandi, lo prescriva, ne dia l'ordine (cf Nm 21, 2s; Dt 7, 1-6). Come si può spiegare questo?

Coloro che prendono tale ordine alla lettera cercano di trovare delle ragioni che hanno tutte un fondo diverso. Dio non fa che orientare in modo religioso un uso barbaro del tempo. Vi si trova un modo di mostrare la sua superiorità sugli dei del luogo, secondo la legge che il dio dei vittoriosi è più potente del dio dei vinti (teocentrismo della nazione). Di più si mostra il fatto che tale distruzione era una punizione della malvagità dei cananei che abitavano in Palestina. In Ge 15, 16 la loro malvagità non ha ancora raggiunto il culmine. In Dt 9, 4s si afferma che è per la loro malvagità che tali nazioni vanno distrutte, anche se Israele non è giusto (cf Dt 18, 9-12; Sap. 12, 1-7).

Si è pure ricordato il fatto della solidarietà che allora esisteva in tutta una famiglia, una città, un popolo: tutti erano corporalmente solidali nella colpa e quindi nella punizione, nel bene e quindi nel premio (si cf il caso di Acan ucciso con tutti i suoi (Gs 8, 24). Anche i ribelli di Core, Datan e Abiram furono inghiottiti dalla terra con tutti i loro familiari (Nm 16, 31).

b) Ma è poi vero che Dio diede tali ordini? o furono Mosè e Giosuè che supposero tali ordini in armonia con il costume bellico vigente? Non penso che Dio abbia direttamente ordinato: tale ordine divino era una formula fatta e consacrata dall'uso per dare forza ed autorità alle leggi che regolano la vita sociale e religiosa di una nazione teocratica: il capo, il re, il profeta rappresentano l'autorità divina e i loro ordini diventano in un certo senso ordini divini. Molte leggi israelitiche non sono altro che espressioni di usi, costumi e leggi già esistenti e codificate anteriormente presso gli altri popoli. Il passo sopra citato della stele di Mesha afferma che il re va a combattere per ordine del suo Dio: vale a dire in forza e per l'autorità del Dio che egli rappresentava. Non può essere stato così anche per certe leggi di Israele? Non può ciò avverarsi un modo particolare per l'herem biblico? Il legislatore o il profeta (Samuele ad esempio) non possono avere interpretato la volontà divina secondo i costumi del tempo? Se Dio dà agli Israeliti la terra palestinese, se l'unico modo di abitarla non era la via diplomatica bensì la conquista armata, non era segno che ciò si doveva attuare con i metodi in uso? Non era segno che Dio voleva gli herem secondo il sistema allora comune? Naturalmente Dio utilizzò a vantaggio degli Ebrei anche i loro errori, punì in tal modo i cananei e preservò, almeno in parte, il suo popolo da una maggiore attrattiva verso l'idolatria e il culto cananeo tanto immorale(5) Ciò sembra essere confermato dal caso del re Arad; non è Dio che comanda lo sterminio, ma è Israele, che pensando di fare un bene, lo vota allo sterminio e Dio lo accetta dando vittoria agli Ebrei. Se non avesse avuto la vittoria sarebbe stato Israele votato allo sterminio (Nm 21, 2).

Si può quindi supporre che gli ordini divini di attuare lo sterminio siano solo ordini di Mosè, di Giosuè o dei profeti, che secondo l'uso del tempo, supponevano essere tale la volontà divina in quanto era Dio che li conduceva nella terra a loro promessa. Si trattava di un loro comando, ma che era presentato, secondo l'uso del tempo, come comando divino, in quanto essi, come capi, agivano quali intermediari di Dio. La Bibbia non fa altro che riferire storicamente ciò che in realtà si è attuato, senza darne alcuna valutazione morale, che si sarebbe poi gradatamente attuata con lo sviluppo etico del popolo ebraico.


NOTE A MARGINE

1. Tommaso , S. Th. 1-11, q. 107 a. 1 ad 2: si va dall'imperfetto al perfetto, basta che l'atto in sé abbia una minima onestà. torna al testo

2. Cf J. Gambier-P. Grelot , Menzogna , in "Dizion. di Teologia biblica, Torino 1965, coll. 585-587. torna al testo

3. A. Lefèrre , Malediction et Bénédiction , in DBS 5, 1957, pp. 749-751; S. Mowinckel , Segen und Fluch in Israrels Kult und Psalmendichtung , in Psalmen-Studien 5, Cristiania 1924; P. Heinisch , Teologia del V:T: , Torino 1950, pp. 228-236 (tr). Si vedano pure i commenti ai Salmi e le mie dispense su I libri poetici. torna al testo

4. Cf R. de Vaux , Le istituzioni dell'A.T. , Torino 1964, pp. 157-166 (tr). torna al testo

5. L. Delporte , L'anathème de Jahvè , in RSR 5 (1914), pp. 297-338; R. de Vaux , Le istituzione dell'A.T. , op. cit., pp. 260-269; D. Merli , Le guerre di sterminio nell'antichità orientale e biblica, in Bib 02 9 (1967), pp. 53-67; H Kruse , Conceptus interdicti in Lev 27, 28 , in "Verbum Domini" 28 (1950), pp. 43-50; G. von Rad, Der heilige Krieg im alten Israel, Zürich 1951; J. Behm , Anathema , Grande Lessico I; C. Gancho , Anatema , Encicl. della B. Torino 1969, vol I, pp. 430-433. torna al testo