L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni
CAPITOLO XI

GENERE LETTERARIO STORICO
Storiografia biblica

Bibliografia :

Di fronte alle scoperte storiche moderne si vide che non tutte le affermazioni bibliche si accordavano con le conoscenze moderne, per cui un gruppo di studiosi cercò di concordare le notizie divergenti ricorrendo al concetto storico che nell'orientale sarebbe più largo di quello occidentale. Contro tale tentativo elevarono la loro voce i fautori della verità biblica intesa in senso rigido, tra i quali vanno segnalati:

A.J. Delattre , Autour de la question biblique , Liegi 1904.

L. Murillo , Critica y exegesis , Madrid 1905.

L. Founck , Der Kampf um die Wahrheit der heiligen Schift , Insbruch 1905.

In favore della nuova corrente biblica vanno invece ricordati:

J.M. Lagrange , La méthode historique , Parigi 1903.

A. Durand , L'authorité de la Bible en mathère d'histoirie, in "Rev du clergé française", 33, 1902.

F. Prat , La Bible et l'histoirie , Parigi 1904.

G. Bonaccorsi , Questioni Bibliche , Bologna 1904.

F. de Hummelauer , Exegetisches zur Ispirationsfrage , Freiburg 1904.

IV Peters , Die grundsätzliche Stellung der Katholischen Kirche zur Bibel forschung, Paderborn 1905.

F. Salvoni , Storiografia Biblica , in "La Scuola Cattolica" 1937.

M. Adinolfi , Questioni di storia e storiografia , Paideia, Brescia 1969 (buone le pp. 13-58 dove si mettono a confronto i metodi storiografici biblici e occidentali)

O. Loreta , Die Wahrheit der Bibel, Freiburg i. Br. 1964 (ammette possibilità di errori storici, volendo la Bibbia garantire solo la fedeltà di Dio al suo patto).

La Bibbia, che nel riferire i dati scientifici non intende fare della scienza, ma suscitare la fede in Dio, anche quando narra eventi storici non intende trasformarsi in un manuale di storia, bensì suscitare la fede in Dio che dirige il corso dello sviluppo umano. Tuttavia non si trasforma per questo in un libro antistorico, ma usa un metodo storiografico che segue canoni particolari.

I. La storia biblica è vera storia

La Bibbia supera infinitamente il semplice resoconto del cronista di un giornale (episodi), in quanto ci presenta una vera storia. La storia si ha solo quando si concatenano assieme gli eventi, e se ne studiano le cause e gli effetti. Essa è quindi frutto di ripensamento. E' l'assieme che ha diretto il grande storiografo americano Toynbee nella sua brillante opera. Quando manca questa valutazione, che include sempre un elemento soggettivo, si ha la cronaca non la storia (" Annali"). Il racconto biblico è una vera storia in quanto, unico esempio nell'antichità orientale, presenta un concatenamento degli eventi storici, anche se pur esso non segue un metro umano, bensì divino. La Bibbia afferma che, non solo eventi miracolosi, ma anche l'usuale svolgimento storico dell'umanità è diretto da Dio che per mezzo suo vuole condurre gli uomini a salvezza estirpandone la malvagità. Indicando che la storia viene da Dio, la Bibbia vuole insegnarci che, secondo le leggi da lui stabilite, il peccato porta sempre con sé i germi della distruzione. Gli Ebrei amano attribuire direttamente a Dio ciò che viene operato dalle cause seconde. In ciò non sbagliano perché anche in questa loro azione è pur sempre Dio che indirettamente guida con le sue leggi l'umanità verso il perfezionamento e la sua salvezza. Perciò « il popolo israelitico fu il primo in Oriente che, molto prima dei Greci, ebbe il concetto di storia, che non compose solo annali e cronache, ma che scrisse della vera storia» (1) .
« La narrazione storica si riallaccia sempre a una considerazione più alta»(2) .

Gli Ebrei non coltivarono la storia per la storia, ma con la narrazione storica diedero un insegnamento morale e religioso e suscitarono la fede in Dio, che solo può dare salvezza, non solo ad Israele, ma anche a tutti gli uomini. Con molta acutezza perciò gli scrittori storici dell'Antico Testamento sono chiamati dagli Ebrei "profeti anteriori ".

II. Racconti veritieri

Non è vero che gli antichi creassero ad arte gli eventi da essi narrati. Anche per loro vigeva la ricerca della verità, che era ritenuta di grande valore. Erodoto scriveva:

« Quando li interrogavo su quello che i Greci raccontano circa la guerra troiana e chiedevo loro se fosse vero o no, mi rispondevano che essi l'avevano ricevuto dal racconto dello stesso Menelao » (3)

Lo scrittore greco sapeva distinguere il dato storico dalla favola: « Si narra pure un'altra favola, che per me non è credibile », afferma Erodoto (4) Anche Giuseppe Flavio all'inizio delle sue Antichità Giudaiche scrive:

« Sono stato costretto a trattare questo per confutare coloro che con i propri scritti depravano la verità » (5) .

Questo tanto più valeva per gli Ebrei, i quali aborrivano la menzogna: « Dio odia le lingue bugiarde» (Pr 12, 22) e non dovevano perciò ricorrere alle pie frodi. E' quindi gratuito asserire che la gente del I secolo avesse avuto una idea differente dalla moderna circa la storicità del racconto, fino al punto di trascurare l'accuratezza reale nelle narrazioni dei fatti (cf Lc 1, 1-4) (6) Anche per gli antichi l'accurata relazione del passato è un dato importante. Solo nei discorsi si concedevano maggiori libertà, anche se oggi si tende a limitare anche questo particolare. Quindi al tempo in cui si componeva il Nuovo Testamento, non si era per nulla indifferenti di fronte alla veridicità delle narrazioni storiche. Anche la gente del primo secolo sapeva distinguere tra fatto e finzione, e spesso si poneva il problema se i fatti riferiti fossero veramente accaduti.

Quindi, di fronte ad eventuali contrasti dei racconti biblici con altri testi profani, ci si può chiedere se la verità stia tutta da parte degli altri testi e l'errore solo dalla parte della Bibbia. Ad esempio nel caso della sommossa di Teuda, posta da Luca in bocca a Gamaliele (At 5, 36 ), ma che secondo Giuseppe Flavio si sarebbe attuata più tardi (Ant. 20, 5, 1), da che parte sta la verità, da che parte l'errore? Non sarebbe la prima volta che Giuseppe Flavio avrebbe commesso uno sbaglio cronologico. Il fatto che la Bibbia parli di " storia della salvezza" anzichè di "storia" considerata in se stessa, non ci deve indurre in confusione. Vuol solo dire che l'azione, espressa nella Bibbia, si svolge entro fatti storici reali. La presentazione della salvezza divina vale solo se fondata su fatti storici, altrimenti tutto si volatizza in una speculazione senza fondamento o in una mitologia simbolica.

III. Documenti

Una ricerca storica riporta i documenti e le fonti riguardanti un fatto. Ora è importante notare come anche gli scrittori biblici rimandino i lettori alle fonti che narrarono tali fatti prima di loro(7) .

a) Fonti esplicite

Abbiamo delle citazioni esplicite quando gli scrittori indicano espressamente le fonti a cui attingono. Esse sono date dai rimandi al "Libro del giusto " (jashir) da correggere in " Libro del canto " ( hashir) come hanno i LXX (Gs 10, 12s), che è pure citato in 2 Sm 1, 18 per la elegia di Davide su Saul e Gionata. Sono pure note al tempo dei Re le Cronache dei re di Giuda o di Israele, spesso ricordate dal Libro dei Re (cf 1 Re 15, 23, ecc.; 16, 14 ecc.). Al tempo di Esdra e di Nehemia si riportano le lettere dei samaritani scritte dal governatore Rehum al re Artaserse perché fossero fatti sospendere i lavori della costruzione del tempio (Ed 4, 7-22) e del governatore Tattanai al re Dario contro la ricostruzione delle mura (Ed 5, 6-17). Nehemia cita l'elenco genealogico di quelli che erano tornati per primi dall'esilio (Ne 7, 5-73).

Il Nuovo Testamento cita Mosè, Davide, ecc., ricorda un detto di Epimenide ("I cretesi sono sempre bugiardi", Tito 1, 12s), riporta un brano di Enoc (Gd 14), di Daniele (Mt 24, 15), ecc.. E' naturale che nel citare questi documenti seguano la denominazione comune con cui tali libri erano chiamati, senza fare un'indagine critica della loro autenticità. Anche noi oggi parliamo di Omero, di Shackespeare, di Rama, di Zaratustra senza per questo sostenere criticamente l'esistenza dell'autore o l'autenticità dei loro libri. Per farsi capire dagli altri occorre per forza usare il nome comune che viene dato a tali scritti. Con queste citazioni gli scritti sacri non volevano nemmeno approvare sempre quanto citano, anzi talora lo riferiscono solo per confutarne l'asserzione. Così Paolo in 1 Co 15, 33 cita un detto di Menandro , senza nominarlo e senza accettarne l'insegnamento (" mangiamo e beviamo "). Anche le parole di Anania predicenti la vittoria di Sedecia sono riferite e riprovate da Geremia (Gr 28, 1-4, disapprovate da 28, 15).

b) Citazioni implicite

Si tratta di documenti che sono copiati senza dire espressamente la fonte dalla quale gli autori citano. Oggi vi è il concetto di diritto di autore, per cui il riportare brani di un altro senza citarlo sarebbe un plagio, che viene bollato assai duramente (Padre Gemelli, fondatore della Università Cattolica subì accuse assai pungenti da parte di studiosi tedeschi, per aver copiato alcune pagine di un altro libro senza nominarlo!). Ma al tempo biblico mancava il diritto di proprietà letteraria, tant'è vero che la maggioranza dei più antichi poemi ci sono pervenuti senza alcun ricordo del loro autore. Di conseguenza l'utilizzare altre fonti non era ritenuto qualcosa di riprovevole.

Che nella Bibbia vi siano delle citazioni implicite risulta evidente dalle seguenti osservazioni:

1. Le molte genealogie e i vari cataloghi presenti nella Bibbia sono evidentemente citazioni di brani precedenti (1 Cr 1-9). Si confronti Ed 2 con Ne 7, dove nel primo caso la citazione è implicita e nel secondo esplicita. Forse le variazioni dei nomi, se non sono dovute a errori di copisti, provengono dai diversi documenti utilizzati nei due casi.

2. Confronto di Libri. L'esame dei Re e delle Cronache – compiuto con grande accuratezza dal Vannutelli – mostrano che gran parte del materiale proviene da fonte comune copiata con grande disinvoltura. L'invasione di Sennacherib si legge con le medesime parole tanto in Is 36-39 quanto in 2 Re 18-20 e proviene da un documento unico.

3. Frasi che rispecchiano un tempo già passato . Le parole: «Le sbarre dell'arca sono rimaste nel santuario sino ad oggi», provano che si citano documenti anteriori, perché quando si scrissero i libri dei Re e delle Cronache tali sbarre non esistevano a causa della distruzione del tempio (1 Re 8, 8; 2 Cr 5, 9)

4. Doppioni. Si hanno delle descrizioni doppie di uno stesso evento, le cui divergenze se non sono dovute a copisti, provano la derivazione da due documenti diversi.

(a) Diluvio: coppie da raccogliere nell'arca. Una coppia di ogni animale viene nell'arca (" due di ogni specie verranno a te nell'arca " Ge 6, 19s). Secondo un altro racconto Noè doveva raccogliere sette paia di animali puri e di uccelli; un paio di animali impuri per conservarne la specie (Ge 7, 2s). Si tratta di due tradizioni diverse riguardanti il diluvio.

(b) Giuseppe l'ebreo è venduto dai fratelli agli Ismaeliti (Ge 37, 27 2 28b) che diventano altrove dei Madianiti (Ge 37, 28a.36). Tanto Madian (25, 2 da Ketura) che Ismaele (16, 11 Arabi da Agar) erano figli di Abramo ed originarono popoli diversi.

(c) L'episodio di Sara in Egitto (Ge 12, 10-19) è assai simile a quello della medesima presso Abimelech re di Gerara (c. 20) e a quello di Giacobbe presso lo stesso Abimelec. Può darsi che si tratti di tre episodi diversi, però può anche darsi che si tratti del medesimo fatto collocato da diverse tradizioni in due luoghi diversi o attribuito a due persone diverse (Ge 26, 6-11).

(d) Agar: fugge, per opposizione di Sara, prima della nascita di Isacco e viene consolata da un angelo (Ge 16, 4-16); secondo un altro racconto è scacciata invece dopo la nascita di Isacco ed è consolata da un angelo (Ge 21, 4-21).

(e) Davide secondo una tradizione è introdotto nella corte di Saul per suonare l'arpa e ne viene amato (1 Sm 16, 14ss); secondo un'altra vi viene dopo la vittoria su Golia e vi rimase (1 Sm 17, 56 - 18, 4). Elhana invece ne sarebbe l'uccisore secondo 2 Sm 21, 19.

Che dire delle eventuali contraddizioni?

1) Lo Hummelauer pensava che la storia biblica, scritta secondo le "apparenze", si fosse accontentata di ripresentare il documento così come gli appariva senza curarsi di indagare se fosse buono o meno, veritiero o errato.

2) Personalmente penso che la conservazione inalterata dei vari testi – anche se apparivano tra loro in contraddizione – cosa che doveva risultare chiara allo stesso scrittore, che non era stupido – non sapendo quale scegliere per migliore, lo scrittore le presenta tutte e quante. Ancora oggi gli Arabi terminano le loro narrazioni con: Dio sa meglio di noi ciò che è giusto (8) Talora l'autore biblico le presenta separate (Davide alla corte di Saul), talora cerca di armonizzarle assieme (diluvio), come fece Taziano combinando assieme i quattro vangeli nel suo Diatessàron ("attraverso i quattro").

Come i rabbini conservarono nel testo sacro anche le lezioni che ritenevano errate scrivendole con caratteri più piccoli posti in alto della riga, così gli antichi
 ebrei conservarono i racconti anche quando erano tra loro divergenti per scrupolo di verità. Dio avrebbe potuto rivelare loro quanto era vero, ma non lo ha voluto fare, perché a lui non interessava tanto il dato storico quanto la profonda lezione religiosa che vi stava inclusa. La sua provvidenza nel chiamare Davide alla corte di Saul, nel prepararlo alla regalità, nello scegliere la dinastia davidica a capostipite del Messia, è valida sia che vi sia entrato tramite l'uccisione di Golia o tramite il suono della cetra con cui curava la malattia nervosa di Saul. Non è il dato storico in sé che si vuol insegnare, bensì la provvidenza divina che condusse Davide alla dignità legale. Il fatto stesso che l'autore presenti entrambe le tradizioni tra loro in contrasto, fa vedere che per lui i racconti non avevano in tal caso valore in se stessi, ma solo nell'insegnamento che essi offrivano. Si devono quindi evitare gli sforzi per armonizzarli, tramite acrobazie che talora sanno di ridicolo.E' interessante al riguardo ciò che riporta Massimiliano Zerwick in un suo breve studio (9) In una riunione sotto una tenda per festeggiare un occidentale, alcuni beduini narrano un racconto. L'occidentale si chiede: " Ma ciò è proprio vero?" Tutti lo guardano stupiti: "Che vuol dire se la storia sia vera o no?" L'occidentale per giustificarsi dice: "Volevo dire se i fatti si sono proprio svolti così". E i beduini stupiti: " che vuol dire se i fatti si siano svolti così? Che importanza ha ciò? La storia ha una sua verità in se stessa ".

L'occidentale si appassiona per la verità di un fatto a scapito del suo significato; l'orientale si interessa del suo significato a scapito talora della realtà storica. La verità per l'orientale è la verità del significato, più che la realtà del fatto come è invece per l'occidentale.

Vorrei ancora aggiungere che non tutte le citazioni o le parole di altri riferite nella Bibbia sono necessariamente approvate. Alcune lo sono: cf Tito 1, 12; At 17, 28 preso però in senso non panteista; Caifa, pur dando alle sue parole un senso nuovo (Gv 11, 50).

IV. Norme della storiografia biblica

Per meglio comprendere i racconti biblici è necessario ricordare alcune norme che qui richiamo brevemente. Esse sono in funzione del fatto che la storia biblica è una storia a tesi, destinata ad esaltare Dio e a suscitare la fede nel lettore, come afferma chiaramente il vangelo di Giovanni: « Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro, ma queste cose sono scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo, abbiate vita eterna nel suo nome» (Gv 20, 30s).

Eccone i criteri più importanti e più evidenti:

1. Scelta del materiale con schematizzazioni.
2. Sottolineare i tratti che più interessano, rafforzandoli, ingrandendoli esagerandoli.
3. Invenzione di particolari
4. Disinteresse per la cronologia e la topologia.

Noi chiamiamo ciò falsificare la storia, ma l'orientale ritiene questa la vera storia in quanto mette in rilievo ciò che per lui era essenziale.

1. Scelta del materiale

a) Il Deuteronomio ha redatto una norma, alla quale servono i racconti biblici, vale a dire che Dio benedice il pio javista, ma punisce i ribelli alle leggi divine:
« Ora se ubbidisci diligentemente alla voce del Signore, tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica i suoi comandamenti che oggi ti do, avverrà che il Signore, tuo Dio, ti renderà eccelso sopra tutte le nazioni della terra, e tutte queste benedizioni verranno su di te e si compiranno per te. Se darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, sarai benedetto nelle città e sarai benedetto nella campagna, ecc. . . . Ma se disubbidirai alla volontà del Signore, tuo Dio, se non hai cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti e tutte le sue leggi che oggi ti do, avverrà che tutte le maledizioni verranno su di te: Sarai maledetto in città e sarai maledetto nella campagna, ecc.» (Dt 28, 1-3.15s).

Il libro di Samuele vuole essere la dimostrazione di ciò: la parabola discendente di Davide ebbe inizio con l'adulterio con Bersabea (Batsheba) e dopo il censimento da lui compiuto contro il volere divino. Il libro dei Re insiste nel raccontare le gesta meravigliose di re pii come Salomone (anche se alla fine si rovinò), Jeu in Israele (anche se la sua crudeltà contro gli apostati oltrepassò i limiti divini); Joas, Ezechia, Giosia: la morte di costui in battaglia ad opera di Neco fu dovuta all'ira divina per i peccati di suo padre Manasse (2 Re 23, 26). Per le Cronache dipese invece dal fatto che non ascoltò lui stesso la voce del Signore che gli parlava per mezzo di Neco:

« Che v'è tra me e te, o re di Giuda? Io non salgo oggi contro di te, ma contro una casa con la quale sono in guerra; e Dio mi ha comandato di fare presto. Bada dunque di non opporti a Dio, il quale è meco, affinché tu non muoia. Ma Giosia non volle tornare indietro, anzi si travestì per assalirlo e non diede ascolto alle parole di Neco, che venivano dalla bocca di Dio» (2 Cr 35, 21s).

Il benessere economico e sociale di Omri, che fondò Samaria, ne ornò il palazzo con avori rinomati e la cui fama oltrepassò i confini della nazione così da rendere noto il regno di Israele con l'epiteto di casa di Omri (assiro Bit-Humri), è presentato con pochissime parole perché non si adattava all'intento didattico e pedagogico dello scrittore. Di lui si dice solo che «comprò il monte di Samaria per due talenti, vi edificò una città: fece ciò che è male agli occhi del Signore, seguì in tutto la via di Geroboamo, provocando a sdegno, con i suoi idoli, il Signore, l'Iddio di Israele. Ed Omri si addormentò con i suoi padri » (1 Re 16, 24-28). Il libro delle Cronache intende mostrare che Davide, il centro della storia ebraica, organizzando il culto ed il regno detenne il posto occupato da Mosè nel Pentateuco. Di conseguenza il Cronista elimina tutto ciò che non si adegua a tale visione: il popolo scismatico di Israele scompare in quanto il vero Israele è il popolo di Giuda. Volendo presentare Davide come il re teocratico di Israele, il Cronista lo idealizza in modo da stendere un velo sulle sue colpe, notate da 2 Sm « come si nascondono le debolezze di un essere amato » (10) Scompare l'adulterio con Batsheba; il suo censimento è attribuito a Satana (1 Cr 21, 1). Nel medesimo modo svanisce l'idolatria di Salomone. Davide, accolto subito da tutte le tribù (senza il contrasto con Saul e i suoi discendenti), fissa il culto davidico, dà al figlio Salomone le norme per erigere il tempio e il suo culto, elegge Sadoc come il vero sommo sacerdote, che legittimamente continua la funzione sacerdotale aaronitica, organizza i leviti e i cantori, ecc.. Lo scopo parenetico e didattico, già visibile nel libro dei Re, assume nelle Cronache un'importanza ancora maggiore e presenta una visione storica più irreale, ma pur sempre vera e capace di insegnare ad Israele la via da perseguire e la necessità di confidare nel suo Dio con un atto religioso legittimamente stabilito.

Così Luca medico è l'unico a riferire il fenomeno strano del sudore di sangue di Gesù (Lc 22, 44 se almeno il passo è genuino). Egli diminuisce l'incapacità medica nel guarire la donna sofferente di emorragie, eliminando il particolare marciano che essa « era anzi peggiorata » con l'intervento dei medici (Lc 8, 43 con Mc 5, 25).

b) Schematizzazioni

La presentazione dei sei giudici maggiori che, come dittatori scelti da Dio, liberavano Israele dall'oppressione nemica, segue uno schema fisso in quattro drammi: Apostasia di Israele, dominazione straniera, pentimento e conversione del popolo, liberazione ad opera di un giudice (cf ad esempio Gdc 3, 7-9). Tale schema potrebbe farci supporre che i Giudici abbiano esercitato la loro autorità su tutte le dodici tribù di Israele, succedendosi gli uni agli altri. Ma una lettura più attenta ci mostra che il loro potere non di rado si estendeva solo a poche tribù, e che talora la loro attività fu contemporanea a quella di altri e si estese solo a poche provincie del territorio israelitico.

c) Resurrezione di Gesù

I particolari sono diversi, come ho presentato anche nell'introduzione sui Vangeli. Qui li ripresenterò in modo sintetico indicando le possibili ragioni teologiche che influirono su queste variazioni. Secondo Matteo sembra che le apparizioni del risorto si siano avverate in Galilea, dove gli apostoli devono radunarsi e dalla quale Gesù comanda di andare ad evangelizzare tutte le genti (Mt 28, 16-20). Il primo vangelo anche in questo suo racconto persegue il proprio intento universalistico. La Galilea è detta « la Galilea dei gentili» (Mt 4, 15) perché abitata in gran parte da non ebrei. Perciò l'autore per indicare che Gesù era stato inviato non solo a Israele, ma anche ai gentili, fa iniziare e finire la missione pubblica di Gesù nella Galilea (Mt 4, 12-25; 28, 7.16-20). Il v. 9 del cap. 28 « esse gli strinsero i piedi» non è in contraddizione con Gv 20, 17 dove l'usuale « Non mi toccare» rivolto alla Maddalena va tradotto secondo il verbo greco presente « Non continuare a toccarmi». Il plurale («le donne ») è una caratteristica mattaica. L'autore per il suo intento universalistico tralascia completamente le apparizioni in Giudea che non entravano nella sua visuale.

Per Luca al contrario sembra che le apparizioni in Galilea non esistano, in quanto egli le pone tutte nella Giudea: Gesù, mostratosi ai due discepoli sulla via di Emmaus, riappare a Gerusalemme dove comanda loro di predicare « ravvedimento e remissione a tutte le genti » (Lc 24, 36). Condottili poi a Betaina, fu assunto in cielo (vv. 50s). Gli angeli sono due (Lc 24, 4.23) mentre Matteo, in contrasto con il suo solito metodo di usare il plurale, ha il singolare: « un angelo»; Giovanni invece non ricorda alcun angelo). Vi è quindi un genere letterario: i messaggi avvengono di solito tramite gli angeli.

L'intento di Luca è quello di mostrare Gerusalemme come centro della storia umana, come il fulcro della salvezza. Egli perciò pone gran parte del suo vangelo in un grande viaggio verso Gerusalemme che è la meta di Gesù: « Poi come si avvicinava il tempo della sua assunzione Gesù si mise risolutamente in via per andare a Gerusalemme » (Lc 9, 51). Ma dopo la sua resurrezione l'evangelizzazione parte da Gerusalemme per diffondersi sempre più lontano fino agli estremi confini della terra (Lc 24, 47). E di fatto, nel suo secondo libro degli Atti, Luca descrive la predicazione apostolica che gradualmente si sposta in Samaria, poi ad Antiochia e in seguito nell'Asia Minore per poi spingersi nella Macedonia, in Grecia e infine a Roma. In tale schema teologico una apparizione di Gesù in Galilea, prima ancora che in Samaria, non entrava nella visuale lucana, per cui egli trascura del tutto le apparizioni galilaiche per riferire solo quelle giudaiche.

Il vangelo di Giovanni abbina le due tradizioni: prima parla delle apparizioni in Giudea (c. 20), poi di quelle in Galilea (c. 21). Non più angeli, non visione alle donne, ma solo alla Maddalena. Nella prima apparizione a Gerusalemme, senza Toma, Gesù comunica il potere di rimettere i peccati, che corrisponde alla grande missione del battesimo affidata agli apostoli secondo Matteo e alla predicazione del ravvedimento secondo Luca.

d) Ripetizioni

Luca riferisce tre volte a lungo, e con particolari che variano, la conversione di Paolo (At 9, 22; 26) e due volte quella di Cornelio, seguendo un metodo in uso per sottolineare in tal modo l'importanza per la chiesa nascente della chiamata di Paolo l'apostolo dei gentili e del battesimo del centurione pagano.

2. Ingrandimenti esagerati

a) Drammatizzazioni

Il genio ebraico tende a drammatizzare il racconto degli eventi in quanto manca dello stile indiretto e presenta in modo drammatico anche i moti della vita interiore e i misteri del mondo invisibile. Di qui le «messe in scena bibliche capaci di ingannare un lettore meno avvertito »(11) Si ricordino le due riunioni angeliche presso Dio nelle quali egli permette a Satana di tentare Giobbe (Gb 2, 1-7) e quella al tempo di Acab nella quale permette allo spirito menzognero di ingannare Acab (1 Re 22, 19-23).

b) Amplificazioni numeriche

Gli scrittori orientali, per meglio colpire la fantasia e imprimere nel lettore l'idea presentata, usano amplificazioni numeriche. L'onnipotenza divina è esaltata dicendo che i soldati di Asa, re di Giuda, sconfissero l'esercito di Zara il cushita, composto di un «milione » di uomini, in modo così grandioso che « ne caddero tanti da non rimanerne più nemmeno uno vivo » (2 Cr 14, 7-17). La generosità di Davide è magnificata affermando che il re preparò per il tempio « centomila talenti d'oro, un milione di talenti d'argento e una quantità di rame e di ferro da non potersi pesare»  (1 Cr 22, 14). La potenza di Salomone è fatta risaltare dicendo che i suoi sudditi «numerosi come la rena del mare, mangiavano e bevevano e stavano tutti allegri » (1 Re 4, 20), perché a Gerusalemme « l'argento era comune come le pietre» (1 Re 10, 27). La sua corte consumava una quantità enorme di viveri (1 Re 4, 22s) e il suo harem era assai numeroso « settecento mogli e trecento concubine» (1 Re 11, 3); cf Cantico dei Cantici « 60 regine, 80 concubine e fanciulle senza numero » (Cant 6, 8) dal quale risulta che il computo del libro dei Re è un'esagerazione e include anche tutte le ragazze di corte.

3. Invenzione di particolari

a) Genealogie. Secondo il presbitero Girolamo (m. 420 d.C.) i giudei avrebbero una predilezione per le genealogie, che conoscevano a meraviglia, risalendo assai indietro nel loro elenco, anzichè fermarsi come noi alla sola paternità.

« I (giudei) sono abituati sin dalla loro infanzia a ricordare tutte le genealogie da Adamo fino a Zorobabele a memoria così velocemente che tu pensi che essi riferiscano il loro proprio nome » (Girolamo in cp ad Titum 3, 9 PL 36, 595).

Tuttavia occorre ricordare che le genealogie bibliche hanno dei procedimenti loro propri, che bisogna conoscere per comprenderne il senso profondo. Esse possono seguire le seguenti linee direttive:

– vera nascita da padre e figlio;
– l'adozione, come si vede nel caso di Gesù a riguardo di Giuseppe;
– il levirato, per cui il figlio nato da un padre reale e da una vedova, viene ritenuto figlio del cognato defunto senza alcuna discendenza e primo marito della vedova (Dt 25, 5-10);
– possono poi avere un carattere fittizio, per ricollegare dei dati storici. Tale è il caso di G2 10 dove i vari regni e le varie città sono riunite in forma genealogica.
Il Durant per documentarne il valore creò un esempio simile tratto dalla storia moderna, che così si potrebbe ricostruire sulla scia della genealogie antica:

« Roberto il Diavolo generò Guglielmo di Normandia, Guglielmo generò Inghilterra, Inghilterra generò Stati Uniti, Stati Uniti generò Washington» (12) .

Le genealogie ubbidiscono talora a principi teologici. Così la genealogia di Cristo in Matteo si suddivide in tre serie di 14 nomi ciascuna, forse per ricollegarle a Davide, il cui nome calcolato in cifre dà appunto il numero quattordici. Infatti le consonanti D(a)V(i)D danno tale somma 4 + 6 + 4 = 14. Per raggiungere tale scopo Matteo in 1, 8 tra Ioram e Giosia tralascia tre re: Acazia, Ioas, Amasia, quasi come una "damnatio memoriae ". Infatti così scrive Girolamo (in Mt 1, 8 PL 26, 29):

« Siccome Matteo si era proposto di distribuire tutto in tre serie di 14 numeri, e siccome il figlio di Ioram si era invischiato con l'empia Gezabel, se ne toglie la memoria sino alla terza generazione ».

Luca invece presenta 72 anelli, perché tale numero secondo la tradizione è quello delle nazioni (cf Gn 10). Cristo così ricapitola tutto il genere umano in se stesso (Ef 1, 10). «Perciò la genealogia di Luca da Adamo a Cristo pone 72 generazioni; congiungendo la fine con il principio significa che Gesù avrebbe ricapitolato in se stesso tutte le lingue e le generazioni degli uomini che si erano disperse dopo Adamo. Perciò da Paolo lo stesso Adamo è detto il tipo del futuro Adamo» (13) .

b) Approssimazioni nei particolari

Mentre l'occidentale moderno, anche nei minimi particolari, cerca di essere accurato, lo storico biblico (come in genere tutti gli antichi) guardano alla sostanza, ma si riservano maggior libertà nei particolari, tanto nei racconti quanto nei discorsi.

a Nei racconti. Si spiegano in tal modo le piccole differenze tra i racconti del libro dei Re e quello delle Cronache. In Giovanni più soldati danno da bere a Gesù mediante una spugna inzuppata di aceto (Gv 19, 29), mentre in Matteo ciò lo fece un soldato solo (Mt 27, 48). La diversità sul mezzo usato: canna per Matteo e ramo d'issopo per Giovanni, si spiega probabilmente con la critica testuale. Un ramoscello di issopo non può servire per sollevare la spugna, in quanto non è lungo e non ha consistenza, serve infatti per spruzzare l'acqua, non per elevare un peso, anche piccolo. Si è quindi proposto la correzione: usso " lancia" al posto di " issopo ", dovuto alla diplografia (ripetizione errata di una sillaba op): così dall'originale usso perithéntes « posta (una spugna) sulla lancia », si giunse a ussop(op)erithéntes , poi suddiviso in ussopo perithéntes «posta (una spugna) su di un (ramoscello) di issopo». Tuttavia anche in tal caso vi è sempre una leggera differenza: " canna" e " lancia ". La seconda lezione è più probabile in quanto le lance erano a disposizione immediata dei soldati. Di solito è Matteo a preferire il plurale (di categoria?) (14) I discepoli mormorano contro la prodigalità di Maria (Mt 26, 8), mentre secondo Giovanni ciò fu compiuto solo da Giuda; gli indemoniati di Gerasa sono due (Mt 9, 28), per Luca e Marco è solo uno (Mc 5, 1; Lc 8, 26); per Matteo entrambi i ladroni sulla croce oltraggiano Gesù (Mt 27, 38.44), per Luca è solo uno (Lc 23, 36); per Matteo Gesù appare a più donne (Mt 28, 9.10), per Giovanni solo alla Maddalena (Gv 20, 11-17); i cechi di Gerico sono per Matteo due (Mt 20, 30), mentre per Marco e Luca sono solo uno (Mc 10, 46; Lc 18, 25). Secondo Matteo (8, 5) è il centurione in persona che parla con Gesù, ma in Luca (7, 3) egli non è presente e parla tramite alcuni amici. Anche il suicidio di Giuda mostra una grande differenza nei due racconti di Matteo e di Luca (Atti) che è ben difficile concordare. Per Matteo si impiccò (27, 5), per Luca si precipitò squarciandosi il ventre cosicché le interiora si sparsero (At 1, 18). Si è creato il romanzo che Giuda, essendosi spezzata la corda, sarebbe caduto dall'albero al quale si era impiccato, con la successiva rottura del ventre e fuoriuscita delle interiora. Ma è una ricostruzione non verace in quanto il testo dice che lui « si precipitò » da un'altura (ne esistono tante a Gerusalemme) posta sui monti. La voce medio passiva del verbo indica infatti un'azione compiuta su se stesso ( prenés genòmenos ). E' molto meglio dire che la sostanza del fatto consiste nel "suicidio", che poi gli autori descrissero ad arte come sembrò loro meglio per mostrare la conseguenza del tradimento di Gesù e la punizione divina dei malfattori (15) Così come si può pensare che la morte di Erode sia descritta secondo uno schema comunemente applicato agli idolatri (cf At 12, 13 « roso dai vermi»).

Luca, tralasciato il ritiro del convertito Paolo in Arabia ( Gl 1, 15ss), lo blocca in uno dei due soggiorni dell'apostolo a Damasco (At 9, 9-25). Gli eventi di Gerusalemme sono presentati come se fossero frutto di una sola adunanza, mentre secondo alcuni autori di riunioni ce ne sarebbero state due e forse anche tre(16) .

b Discorsi. Anche i greci e i latini utilizzavano i discorsi dei loro protagonisti per mostrare la propria personale eloquenza, per cui la storia diveniva «un'opera di grande valore retorico» (Cicerone, De leg. 1, 2, 25 opus oratorium maxime). Gli autori ponevano sul labbro dei loro personaggi delle magnifiche arringhe create di sana pianta dallo scrittore. Qualcosa di simile, anche se non inventato del tutto, fu compiuto dagli scrittori sacri. Un esempio assai evidente si ha nelle parole che Natan rivolge a Davide quando vuole costruire il tempio al Signore, in modo sobrio gli dice:

« Innalzerò al trono dopo di te la tua progenie, il figlio che sarà uscito dalle tue viscere e stabilirò saldamente il suo regno  . . . io sarò per lui un padre ed egli mi sarà un figlio e se fa del male lo castigherò . . . ma la mia grazia non si dipartirà da lui» (2 Sm 7, 12-15).

Il libro delle cronache, riferendo il medesimo discorso senza accennare alla sua possibile defezione, esalta ancor più la gloria di Salomone, presentandolo in forma messianica, e vi aggiunge:

« Vi renderò stabile in perpetuo il suo regno . . . Io renderò saldo per sempre nella mia casa e nel mio regno, e il suo trono sarà stabilito in perpetuo» (1 Cr 17, 12s).

Tali discorsi furono creati (così come sono) da persone vissute dopo Salomone.

Il libro degli Atti introduce una trentina di discorsi (quasi un terzo di tutto il libro) dei quali otto sono posti in bocca a Pietro e dieci attribuiti a Paolo: E' interessante notare che tutti sono stilisticamente poco differenti in quanto tutti gli oratori parlano come scrive Luca. Vi si possono distinguere tre tipi:

1. Un primo tipo riflette il primitivo messaggio cristiano rivolto ai giudei e ai gentili, riporta il Kerygma apostolico della vita, morte e resurrezione di Cristo intrecciato con profezie veterotestamentarie e si chiude poi con un appello alla conversione e alla fede (17) .

2. Apologie personali di Paolo, le più importanti delle quali furono tenute al popolo di Gerusalemme (At 22, 1-21); a Cesarea in presenza di Felice (At 24, 10.21), e poi del re Agrippa (At 26, 2-23). In esse Paolo difende la propria fedeltà alla religione ebraica nella quale fu devotamente educato, e che poi cambiò per divina chiamata con quella cristiana, la quale non è altro che il conferimento della prima.

3. Discorsi particolari sono quelli di Stefano (At 7, 2-53), di Pietro (At 15, 7-11) e di Giacomo (At  15, 14-21) alla riunione di Gerusalemme, e infine quello di Paolo a Mileto (At 20, 18-35).

Dallo stile identico si potrebbe concludere che Luca li abbia creati di sana pianta. Ma occorre pure rilevare che il contenuto arcaico di tali discorsi mostra che essi rispecchiano, almeno sostanzialmente, l'annuncio primitivo, anteriormente alla teologia paolina e lucana, già più evoluta, e Luca ne avrebbe quindi conservata la sostanza arcaica pur dando loro il proprio stile. Si notino nel discorso di Stefano le allusioni rabbiniche (e anche paoline) alla legge data dagli angeli (At 8, 38; Ga 3, 19; At 7, 30.35), l'acquisto della tomba di Sichem ad opera di Abramo anzichè di Giacobbe (At 7, 16 con Ge 33, 19s). Errore mnemonico da parte di Stefano o di Luca? Se di Stefano non ci sarebbe alcun problema, in quanto Luca riferirebbe ciò che il protomartire aveva detto. Ma potrebbe anche essere una modifica propria di Luca (se non fu semplicemente una svista) per meglio esaltare l'importanza del terreno conquistato da colui che era il massimo patriarca. Non sarebbe questa l'unica modifica del caso esistente nel Nuovo Testamento (cf anche Mt 2, 6 con Mi 5, 1). Si potrebbe anche trattare di un errore di nome dovuto ad un copista: correggi Sichem con Macpela , dove Abramo comperò una grotta per seppellire Sara. Fu invece Giacobbe che acquisto a Sichem un terreno per erigersi un altare.
Differenze verbali si notano anche nei seguenti detti, nei quali tuttavia la sostanza è peraltro identica:

a) Mc 1, 7 (Lc 3, 16) « sciogliere i calzari»;
Mt 3, 11 «portare i calzari ».
Entrambi esaltano la superiorità di Gesù su Giovanni il Battista.

b) Mt 10, 10 (Lc 9, 3) nulla portare per strada «nemmeno un bastone »;
Mc 6, 8 «solo il bastone ».
Entrambi vogliono dire di portare solo ciò che è necessario.

c) Lc 19, 1-10 ( mine );
Mt 25, 14-30 (talenti).
Si tratta di un adattamento di Luca alle misure greche.

A riguardo dei discorsi va notato che un'approvazione generica non ne garantisce tutti i particolari. Giobbe fu approvato da Dio (Gb 42, 7), ma non lo fu in tutto (es. Gb 38, 2 è biasimato da Dio; 42, 3 Giobbe biasima se stesso). Gli amici di Giobbe, anche se sono in generale biasimati da Dio, possono aver detto qualcosa di buono (con 1 Cor 3, 19 cita approvandolo Gb 5, 13).

4. Disinteresse per la cronologia, la geografia e la topografia

a) La cronologia è trascurata

Per noi la storia va di pari passo con la cronologia, che è considerata uno degli occhi della storia, mentre per gli antichi essa non interessava molto. Per loro era importante che si fosse avverato il fatto, poco importava invece se esso si fosse attuato in questo o in quell'altro momento. Datare un fatto è poi difficile, in quanto mancava un'era riconosciuta da tutti. Si spiegano in tal modo le cifre approssimative di anni 20 (mezza generazione), 40 (una generazione), 80 (due generazioni) che ricorrono frequentemente nei libri biblici. Si spiegano pure le cifre approssimative ed esagerate dei patriarchi prediluviani delle quali non si è ancora trovata la chiave esplicativa. Sono, penso, solo dei mezzi pittorici per indicare tramite una vita lunga e l'abbondanza dei figli la benedizione divina a loro riguardo (Gn 5). Enoc visse meno degli altri, vale a dire 365 anni (numero corrispondente ai giorni dell'anno solare!), ma ciò non fu un castigo, perché Dio se lo portò con sé.

Le difficoltà cronologiche dei re, se non sono dovute a trascrizioni errate dei copisti, sono legate al fatto che gli antichi, pur presentando una cronologia, non si interessavano molto della sua precisione. Quando Sennacherib lasciò la Palestina (701 a.C.) sembra che la morte ne segnasse subito la fine, mentre al contrario egli morì circa 20 anni dopo (681 a.C.), due anni dopo lo stesso Ezechia. La cronologia è diretta dall'intento teologico di mostrarne la punizione divina, per cui se ne descrive subito la fine anche se essa si attuò lungo tempo dopo (2 Re 19, 35-37).

Se passiamo al N.T. vediamo un procedimento identico. Quando Gesù scacciò i profanatori del tempio? All'inizio della sua vita pubblica, come dice Giovanni, oppure alla fine come attestano i sinottici? La cronologia non li interessa; forse va preferito Giovanni, che sembra avere un intento più cronologico degli altri (Gv 2, 13-17; cf Mt 21, 12-17; Mc 11, 11-16; Lc 19, 45s). Quando nacque Gesù? Quanti anni aveva all'inizio della sua predicazione? Circa 30 (Lc 3, 23) oppure circa 40 come si potrebbe desumere da Gv 8, 57? Quanto durò la sua vita pubblica? Un anno come sembra dai sinottici, oppure due anni e mezzo come si deduce da Giovanni? Quando morì? Non lo sappiamo. Sono problemi che possono interessare la nostra curiosità, ma non la nostra fede, della quale solo si interessano gli evangelisti.

Già Maldonato scriveva che: «L'evangelista non ha guardato la successione temporale, bensì l'affinità degli eventi » (Comm. al IV vangelo, inizio).

b) La geografia non è molto curata

Il cieco fu guarito mentre usciva dalla città (Mc 10, 46; Mt 20, 29), mentre il maestro si avvicinava per Luca (10, 35). E' inutile dire che usciva dalla Gerico antica (che allora più non esisteva) e stava per entrare in quella moderna. E' meglio dire che si tratta di approssimazioni: Gesù lo guarì presso Gerico, se poi ne usciva e ne entrava, questo conta poco.

c) Topografia

Con la generalità degli esegeti, il P. Rigaux riconosce che l'intelaiatura geografica del secondo vangelo è tutt'altro che solida. Le sue indicazioni topografiche sono assai vaghe, come: il monte, la riva del lago, l'altra riva, un luogo solitario (18) In generale scarsa attenzione è prestata per le notazioni topografiche presso gli altri scritti biblici.
N.B. Per la storia romanzata (Midrash) si veda il capitolo precedente.


NOTE A MARGINE

1. J. Elbogen , Historiographie , in E.Y., VIII, 1931, p. 107; cf A.C. Dentain, The Idea of History in the Ancient Near East, New Haven 1955. torna al testo

2. Girolamo , In Ps enarr., tr. II, 2 P L 44, 489. torna al testo

3. Erodoto , Hist. Libri IX, ed. Didot II, 118. torna al testo

4. Erodoto , ivi III, 3. torna al testo

5. Giuseppe Flavio , Antichità Giudaiche , 1, 1. torna al testo

6. Lo smentisce A.W. Mosley , Historical Reporting in the Ancient World , NTST 12 (1965), pp. 10-26, riportando brani di Erodoto, Tucidide, Polibio, Posidonio, Dionigi di Alicurnasse, Luciano (greci), di Cicerone, Cesare, Sallustrio, Livio, Tacito (latini) e di Giuseppe Flavio (giudeo). torna al testo

7. Cf I. Guidi , L'Historiographie chez les Sémites , in "Rev. Bibl." 15 (1906), pp. 509-519 (ripetono i documenti senza controllarli). torna al testo

8. Cf Lagrange in "Rev Bibl" 1961 p. 312. torna al testo

9. M. Zerwick , Il divino attraverso l'umano nei Vangeli , in Vari, La Bibbia nella chiesa dopo la Dei Verbum, Paoline, Roma 1969, pp. 152ss. torna al testo

10. L. Desnoyers , Histoire du peuple hébreen des Juges à la captivité II, Paris 1930, p. 326. torna al testo

11. A. Durand , Inerrance Biblique , in "Dict Apol Foi Cathol." 2 (1924), p. 772. torna al testo

12. P. Durant , Critique Biblique , in "Dict Apol" I, col 797. torna al testo

13. Epifanio , Contra haereses 3, 22 , 3 (oppure) c. 33) in P G 7, 958. torna al testo

14. Cf F. Salvoni , Introduzione ai vangeli e infanzia di Gesù , Milano (Via del Bollo 5), 1972. torna al testo

15. Per la morte di Giuda cf Benoit , La mort de Judas , in "Exégese et Théologie" I (1961) pp. 340-359; J. Dupont, La destinée de Judas prophetisée par David , in "Cath. Bibl. Quart.", 1961, pp. 41-51. torna al testo

16. Cf J. Dupont , Etudes sur les Acts des Apôtres , Paris 1967, pp. 173s. Ma cf anche F. Salvoni, La vita di Paolo, Milano 1970. torna al testo

17. At 2, 14-38 (Pietro dopo la Pentecoste); 3, 12-26 (dopo la guarigione dello storpio); 4, 8-12; 5, 29-32 (dinanzi al Sinedrio); 10, 34-43 (in casa di Cornelio); 13-16-41 (Paolo ad Antiochia di Psidia); 14, 15-17 (ai gentili di Listra); 17, 22-31 (ai gentili di Atene). torna al testo

18. B. Rigaux , Témoignage de l'évangile de Marc , Bruges 1965. torna al testo