L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni
CAPITOLO X

GENERI LETTERARI

Bibliografia :

Vari , Los generos literarios en la sagrada Escritura , Barcellona 1957.

A. Robert , Littéraires (genres) , in Dict. Bibl Suppl. V, 1957, pp. 405-421.

L. Alonso Schöckel , Genera Litteraria , in "Verbum Domini" 38 (1960) pp. 1-15.

P. Vincent , La Théorie des genres littéraires , Paris 1934.

R. Wellwe-A. Warren , Theory of Literature , New York 1948 cap. 17.

A. Jolles , Einfache Formen: Legende, Sache, Mythe, Rätsel, Spiel, Kasus, Memorabile , Märchen, Witz, Halle 1930 (3 ediz Dermstadt).

E. Steiger , Grundebegriffe der Poetik, Zürich 1946. Importante è il volume: Actes du 3° Congres International d'Histoire Litteraire, Lyin 1939 (ristabilisce i generi letterari come linee direttive).

J. Schildenberger , Realtà storica e generi letterari nell'Antico Testamento, Paideia, Brescia 1965.

E. Galbiati- Piazza , Pagine difficili della Bibbia , Milano 1956, pp. 29-81.

J. Levie, La Bible , Parole humaine et message du Dieu , Parigi 1958, pp. 250-259.

H. Kruse , Die heilige Schrift in der theologischen Erkenntnislehre Grundfragen des Katholischen Schriftverstandnisses , Paderborn 1964.

Synave-Benoit , La prophetie , Paris 1947, pp. 366-367.

I. I generi letterari

Nel campo artistico ogni cultura ed ogni epoca ha i suoi stili. Un competente, guardando un quadro, può identificarne l'epoca e perfino l'autore. Lo stile dipende da tanti fattori: i gusti dell'epoca, il materiale costruttivo, i mezzi a disposizione. Il cemento armato ha portato una vera rivoluzione nell'edilizia che ha permesso la costruzione di grattacieli e di ponti che in passato non si potevano nemmeno supporre. Nuove esigenze creano espressioni artistiche corrispondenti. A Milano si tende a salire per esigenza di spazio, in Svezia, ad eccezione delle grandi città, si amano case basse, ma larghe con spaziosi giardini. Il tempio ha le sue esigenze: è un luogo di riunione diverso dall'appartamento, dove si abita. Oggi v'è la tendenza a rendere tutto più razionale, a utilizzare lo spazio per rendere l'ambiente sempre più accogliente.

I Sumeri avevano l'oro, ma non il ferro, per cui il ferro, essendo più prezioso, veniva incorniciato entro l'oro.

Anche la letteratura ha i suoi "stili", le sue espressioni, proprie dell'epoca o delle nazioni, che si chiamano "generi letterari". Lo scrittore, pur con la sua personalità, non può fare a meno di utilizzare il genere letterario proprio dell'epoca. E' in un certo senso la spiegazione che a suo modo dava Plutarco al fatto che gli oracoli di Pizia, prima emessi in poesia, al suo tempo erano presentati in prosa:

« Gli uomini in passato avevano un temperamento felice, dotato di una naturale tendenza alla poesia; il loro animo si accendeva facilmente, preso da slanci e ispirazioni . . . E non soltanto gli astronomi e i filosofi erano spinti ad usare quel linguaggio abituale, ma sotto la subita influenza d'una viva emozione, d'un sentimento di dolore o di gioia, ciascuno si lasciava andare all'improvvisazione poetica, e le poesie e le canzoni amorose riempivano i festini e formavano la materia dei libri (1) . . . Anche l'entusiasmo profetico, come l'amoroso, si contentava di utilizzare le facoltà naturali, movendo ciascuna Pizia secondo la sua natura, e pertanto Apollo non rifiutava alla divinazione gli ornamenti e la grazia, e lungi dall'allontanare dal suo tripode una musa che si era onorata, piuttosto favoriva, suscitando ed eccitando le disposizioni naturali della profetessa, e nutrendone e incoraggiandone l'immaginazione. Ma sopravvennero, col mutar dei tempi e degli uomini, cambiamenti e modifiche nella maniera di vivere  . . . e si cercò la semplicità del vestire . . . Allora anche il linguaggio subì trasformazioni e spogliamenti. La storia discese dalla poesia come da un carrozza, e andando a piedi, separò la grazia (poetica) dalla prosa, la verità dalla leggenda. E allora anche il dio volle che la Pizia cessasse l'uso del verso, delle parole magniloquenti, delle metafore e perifrasi oscure e parlasse un linguaggio analogo a quello che le leggi usano con i cittadini, i maestri con i loro discepoli: in una parola non ebbe in vista che d'essere compreso e creduto » (2) .

I generi letterari sono oggi impiegati in ogni studio della letteratura (3) anche se si ammette, con il Croce, che il genio sa dominarli procedendo in modo del tutto originale(4) Se ne può vedere la differenza osservando la descrizione ben diversa che della stessa malattia ci dà un trattato di medicina o un racconto popolare o un romanzo. L'astronomia ha il suo stile, i suoi vocaboli, le sue espressioni, che riescono difficili e talvolta incomprensibili a un profano. La scelta di una forma impegna l'autore ad esprimersi in accordo con il genere letterario che si è scelto, naturalmente secondo la propria capacità e abilità. Il genere letterario è quindi la chiave per l'esatta comprensione di un libro. Colui che ebbe il merito indiscusso di richiamare l'importanza dei generi letterari anche per lo studio biblico fu verso il 1900 E. Gunkel (5) Dopo molte opposizioni dei cattolici che pretendevano mantenere il carattere unico della Bibbia, i generi letterari finirono per avere diritto di cittadinanza anche nel cattolicesimo ad opera specialmente di P. Lagrange , F. von Hummelauer ed altri. Essi furono codificati con l'enciclica Divino afflante Spiritu del 1943 la quale così dice:

« Ciò che quelli autori (autori sacri) abbiano voluto dire con le parole, non basta determinarlo con le sole leggi della grammatica o della filologia, né con il solo contesto. E' assolutamente necessario che l'interprete ritorni mentalmente a quei remoti secoli dell'Oriente, affinché aiutato convenientemente dalle risorse della storia, dell'archeologia e dell'etnologia e delle altre discipline, capisca e pienamente comprenda quali generi letterari, come suol dirsi, abbiano voluto adoperare e abbiano in realtà adoperato gli scrittori di quella remota età . . .Essi si servivano di quei procedimenti che erano in uso presso gli uomini del loro paese. Quali però fossero, l'esegeta non può stabilirlo a priori, ma solo mediante un'accurata indagine dell'antica letteratura orientale. Siffatta indagine, condotta in questi ultimi decenni con maggiore cura e diligenza che per l'innanzi, ha più chiaramente rivelato quali forme di dire sia nel descrivere poeticamente le cose, sia nello stabilire norme di vita e leggi, sia infine nel narrare fatti od eventi storici » (EB 558).

La loro stessa idea ricorre nella Costituzione Dei Verbum (Concilio Vaticano II):

« Poichè Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, l'interprete della Sacra Scrittura, per capire bene ciò che egli voleva comunicarci, deve riconoscere con attenzione che cosa gli agiografi abbiano voluto significare, o a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole . . . Nella S. Scrittura si manifesta così l'ammirabile condiscendenza della eterna sapienza; le parole di Dio infatti sono espresse con lingua umana e diventano simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'Eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile all'uomo » (n. 12.13).

E' evidente che l'ispirazione lascia che l'autore sotto il suo impulso agisca e scelga i generi letterari in uso al suo tempo. Occorre di conseguenza evidenziare quei generi come esistevano presso gli orientali nel millennio prima di Cristo e nel primo secolo dell'era cristiana, per vederne l'applicazione anche negli scritti biblici.

II. I principali generi biblici

Rimandando ad uno studio speciale l'analisi del genere letterario storico, possiamo ora qui ricordare le seguenti categorie letterarie:

a) Testi legislativi
b) Libri poetici
c) Libri profetici
d) Libri sapienziali
e) Libri apocalittici
f) Midrash
g) Miti
h) Vangeli

a) Testi legislativi

Le leggi rivestono due modi espressivi, di cui il primo si presenta in forma casuistica: " Se uno fa questo e questo . . . tu agirai così e così . . . ". La seconda forma è invece in forma apodittica : " Non ammazzare ". Mentre il primo modo espressivo è riservato alla materia giuridica, il secondo ai problemi morali ( A. Alt , Die Ursprung des Israelitische Rechts , 1934, Kleine Schriften I, pp. 278-332). Tutte le leggi mosaiche risalgono a Dio che le ha rivelate a Mosè? Una legge per gli orientali aveva valore solo se si riteneva proveniente da Dio. Si ricordi la stele di Hammurabi sulla quale il re figura nell'atto di ricevere il codice dalle mani del dio Shamash (sole). Tuttavia i precetti vi sono presentati come decisioni del sovrano.

Nella Bibbia invece le leggi sono espresse generalmente come volere divino. Molti autori pensano che tali leggi, solo indirettamente risalgono a Dio, come espressione esplicitante l'alleanza stabilita da Dio con il suo popolo. Sarebbero solo l'espressione più concreta per mostrare le esigenze che tale alleanza creava. Ma il legislatore (Mosè) può in qualche caso avere esagerato questa sua valutazione secondo l'uso dei tempi e può avere prescritto, come voluta da Dio, la distruzione totale di Gerico e degli abitanti di Canaan, della quale parleremo in un capitolo apposito (Bibbia e morale).

Inoltre, siccome Mosè era ritenuto l'istitutore principale della legge, anche le leggi che vi furono aggiunte posteriormente si riferirono a lui secondo un metodo convenzionale (genere letterario legislativo). Secondo il Dt 17, 14-17 si prevede l'istituzione della monarchia, mentre Samuele, dapprima contrario, viene rassicurato da Dio a scegliere un re (1 Sm 8, 7). Come può questi avere ignorato quanto era stato previsto da Mosè? E' più semplice supporre che la precedente legge mosaica ancora non esistesse e che vi sia stata aggiunta al tempo di Samuele (1 Sm 10, 25). Dove si trova la legge del regno composta da Samuele? Non è forse quel passo deuteronomico sopra citato e riferita a Mosè secondo l'uso del tempo? Avremmo qui solo il genere letterario di riferire le singole leggi al personaggio più importante. Anche nei Salmi avviene lo stesso fenomeno, quando si riferisce a Davide, autore principale, ciò che fu composto più tardi.

b) Libri poetici

La poesia fu una delle principali manifestazioni dell'animo umano, ma all'inizio si tramandava oralmente di bocca in bocca. Per questo, salvo casi particolari in cui il pensiero si sviluppa più ampiamente, assunse un andamento binario, detto parallelismo. Il pensiero si divide come in due parti di cui la seconda ripete, come una eco, con parole diverse lo stesso concetto del primo, oppure lo mette in risalto tramite il contrasto. I due metodi si chiamano parallelismo sinonimo e parallelismo antitetico . Un esempio del primo lo abbiamo in Pr 21, 23:

« Il peso doppio è abominio per jhwh
e la bilancia falsa non è una cosa buona»

Un esempio del parallelismo antitetico l'abbiamo in Pr 10, 16:

«Il lavoro del giusto serve alla vita
le entrate dell'empio servono al peccato»

(cf Pr 15, 1; 20, 8, ecc.). (Per uno studio più completo rimando alle mie dispense su I libri poetici)

L'orientale, sempre immaginoso e iperbolico, mostra tale caratteristica in modo speciale nei libri poetici. La natura stessa è resa partecipe agli eventi dell'uomo, e in certo senso umanizzata:

– Nel Sl 24, 7-10 il poeta si rivolge alle porte perché alzino il loro stipite superiore onde lasciar passare con più facilità il re della gloria.

– In Is 55, 12 si presentano gli alberi che «battono le mani », mentre i colli danno grida di gioia al ritorno in patria degli esuli.

Occorre quindi stare attenti a non prendere alla lettera certe espressioni: il " carro" (di Dio, del fuoco) raffigura il temporale con i suoi fulmini e il rumoreggiare del tuono (in certe regioni italiane, quando tuona, si dice che gli angeli giocano a bocce).

« Tu coroni dei tuoi beni l'annata dove passa il tuo carro
dove passa il tuo carro stilla il grasso»
(Sl 65, 11; cf 18, 7-15).

Con questo concetto si può meglio comprendere il rapimento di Elia la cui scomparsa sarebbe avvenuta durante una tempesta (=carro cf 2 Re 2, 11-16; cf v. 16s). Tant'è vero che alcuni suoi discepoli vogliono andare a cercarlo pensando che il vento lo abbia gettato in qualche burrone. Ciò corrisponde in pieno alla descrizione del Salmo:

« Fa delle nuvole il suo carro
s'avanza sulle ali del vento
fa dei venti i suoi messaggeri (=Fulmini)
delle fiamme di fuoco i suoi ministri» (Sl 104, 2-4).

c) Genere profetico

La religione ebraica poggia sulla fede: Dio può parlare ed effettivamente parla all'uomo. In quasi ogni pagina dell'A.T. si legge: « Dio dice». La profezia ebbe il suo termine con l'esilio (587-536). Esdra, tornando da Babilonia a Gerusalemme, portò con se il «Libro della Legge del Signore », ma non si dice più: « la parola del Signore fu rivolta a Esdra». Aggeo e Zaccaria ricevettero le parole del Signore, ma v'è differenza tra essi e i profeti di uno o due secoli prima (più visioni che parole). Giuda maccabeo (verso il 165), non sapendo che fare delle pietre dell'altare profanato da Antioco, le fece riporre da parte, in attesa che sorgesse un profeta il quale dicesse loro quel che si doveva fare. Ecco alcune delle leggi più importanti legate al genere letterario profetico (6) :

1. Non si deve pensare che le profezie siano pagine di storia scritta prima degli eventi. Sono spesso dei veri poemi, in cui dominano gli abbellimenti letterari, le descrizioni proprie del genere profetico, la presentazione del futuro secondo il colorito dell'epoca in cui i brani furono scritti. Il Messia al tempo dei re è presentato come un trionfatore senza specificarne meglio il suo carattere spirituale (Salmo 110). Ma poi si trasforma in servo sofferente all'epoca dell'esilio (Deuteroisaia).
La differenza tra la storia e la profezia si può vedere bene confrontando la distruzione di Gerusalemme come è descritta da 2 Re 25 e come è profetizzata da Isaia. Presso il profeta la campagna di Sennacherib è descritta come una discesa in Palestina dal settentrione, durante la quale le città cadono, una dopo l'altra, sotto il suo martello distruttore. Al contrario la conquista che si arrestò dinanzi alla città di Gerusalemme, avvenne da occidente a oriente (cf Is 10, 28-34 profezia con Is 36-37 storia). Di fatto non v'è errore, in quanto Isaia più che tracciare il percorso dell'invasore, voleva presentarne la rapidità della conquista.

2. Una seconda legge profetica è la mancanza di prospettiva; gli eventi si accavallano, sono posti gli uni accanto agli altri come se si succedessero immediatamente, mentre sono separati tra loro da un enorme lasso di tempo. In Is 2 si presenta il ritorno a Gerusalemme degli esuli come se costituisse l'inizio del regno messianico. La stessa mancanza di prospettiva si avvera anche nella profezia del Battista che, parlando di Gesù, ne descrive già la scena finale dell'empio distrutto (Mt 3, 11-12).
Così nella profezia di Gesù due eventi della distruzione di Gerusalemme e della fine del mondo si accavallano, per cui è ben difficile separarli tra di loro. Ciò ha contribuito a far ritenere imminente la fine del mondo da parte degli stessi apostoli (cf Mt 24).

3. Un terzo principio è il fatto che talora si parla dell'evento futuro come se fosse già presente, anzi come se fosse già avvenuto (Is 9, 2 e Mt 4, 14). Sembra che il profeta, spiritualmente trasportato all'epoca predetta, ne parli come di un fatto già attuale o passato. Tutto questo esprime la certezza dell'evento che non potrà non avverarsi.

d) Libri sapienziali

E' evidente che una certa "sapienza" ha accompagnato il popolo ebraico, ma essa ebbe uno sviluppo più notevole all'epoca dei re, quando subì l'influsso di simili composizioni estere (egizie). E' noto il rapporto assai stretto tra la Sapienza egizia di Amenemope e il libro dei Proverbi (c.22). A noi interessano qui solo alcune caratteristiche di questo genere letterario:

1. La " sapienza" è di indole estremamente pratica , non intellettuale e consiglia il modo migliore con cui comportarsi nelle varie attività umane, per non esserne danneggiati e per ricavarne più frutto. E' quindi inesatto, dalle affermazioni sapienziali, voler dedurre considerazioni teologiche circa la "sapienza" che vive presso Dio e vederci un preannunzio trinitario.

Gli Ebrei non amavano la speculazione essendo gente molto pratica. La sapienza del c. 8 dei Proverbi vuol solo dire che Dio ha creato ogni cosa saggiamente e che di conseguenza quello che egli ha attuato era assai buono (Ge 1).

2. Un altro dato non trascurabile è la pseudonimia , per cui si attribuiscono dei libri sapienziali a un personaggio noto dell'antichità, al quale essi non appartengono. Si tratta di un metodo letterario che non voleva indurre in errore in quanto il contemporaneo lo capiva. Si voleva solo dire che le riflessioni presentate erano sulla linea di quelle che ad esempio poteva effettuare un Salomone. Di recente il Dr. Cardirole , in uno scritto su Il Processo di Gesù, si immagina di essere a Petra e di aver scoperto in una grotta un manoscritto con caratteri antichi ebraici. Lo traduce e lo presenta ai lettori: si tratta nientemeno che del processo stenografico tenuto contro Gesù. Un lettore sprovveduto potrebbe essere tratto in inganno, ma si tratta di un puro genere letterario, di un artificio per rendere più interessante il racconto ponendo in bocca ad altri le proprie riflessioni sul processo di Gesù. Perchè non potevano fare qualcosa di simile anche gli autori sacri? Così ad esempio l'Ecclesiaste (meglio noto oggi come Qoelet ) viene messo in bocca a Salomone (1, 1.12.16), ma che si tratta di un puro genere letterario appare in alcuni dati che a lui non convengono, come il giudizio circa l'oppressione del re (3, 16), la sua ira (10, 4ss). Di più al v. 13 del c. 12 lo scritto è presentato come parole dei savi, il che implica che sia stato composto molto più tardi di Salomone (circa il 200 a.C.). Per cui non si deve attribuire grande peso alla sua presunta origine salomonica. Lo stesso si ripete per il Cantico dei Cantici (1, 1) e per la Sapienza , libro deuterocanonico, ritenuto sacro solo dai cattolici.

Nel vasto genere letterario sapienziale, si trovano in sottordine varie altre espressioni letterarie da intendersi secondo la loro forma specifica. Nei Salmi si possono trovare, con il Gunkel , inni, lamentazioni ( qinah cf Am 5, 2; Ez 19, 1-14; Lm 1.2.4), epitalami (Sl 45; Cantico ). Non mancano le sentenze (mashal : proverbi ), gli enigmi ( hiddah ) amati dagli orientali con cui si rallegravano i banchetti (Gdc 14, 12-18; Ec 25, 10; Pr 6, 16-19; 30, 15-31). Vi appaiono le favole (Gdc 9, 8) e le parabole (2 Sm 12, 1-4; Is 5, 1-5; molte se ne trovano nei Vangeli).

e) Il genere apocalittico

Fiorì dal II secolo a.C. al II secolo d.C., con l'intento di consolare i giudei o i primi cristiani durante le persecuzioni del tempo. La caratteristica dominante sta nel fatto che l'autore, vissuto in epoca più tardiva, si trasferisce idealmente nel passato identificandosi con un personaggio antico, per cui può presentare la storia per lui già passata con una serie di visioni profetiche che la stilizzano. L'epoca in cui l'autore visse, traspare dalla maggiore abbondanza di particolari di cui la visione si riveste. Ciò che invece è futuro anche per lui, viene tracciato con brevi tocchi, spesso come una ripetizione modificata di ciò che in passato è già avvenuto.

Ai suoi inizi va posto il libro di Daniele, mentre il suo apologo sta nell'Apocalisse di Giovanni. Le altre composizioni apocalittiche ebraiche non ispirate, sia giudaiche che cristiane, presentano delle visioni artificiose, fredde, esasperate e decadenti, assai noiose per chi le legge.

f) Midrash

Bibliografia :

R. Bloch , Midrash in D B S , fascicolo 28, cc. 1263-1280.

The Literary Genre Midrash , in C B Q 28 (1966), pp. 417-457.

A. Robert-A.Feuillet , Introduction à la Bible , I, Paris 1959, pp. 173-178.

Il nome Midrash, o "investigazione", viene dalla radice dàrash , "esaminare, studiare, esporre". Il nome si trova nelle Cronache per designare alcune fonti utilizzate (2 Cr 13, 22; 24, 27). Al tempo dell'Ecclesiastico (o Siracide) già esisteva una "scuola di studio" ( bet ha-midrash 51, 23) sulla Bibbia (inizio 2° secolo a.C.).

La "riflessione" sulla Bibbia ebbe il suo inizio al tempo dell'esilio babilonese, quando, mancando ogni altro tesoro, il pio ebreo diresse la sua attenzione verso la Legge di Dio (cf Sl 119). Lo vediamo quindi piangere con le Lamentazioni, lottare con Giobbe, amare con il Cantico. Al posto degli antichi profeti sorgono i "saggi", che si danno a riflettere sulla legge per applicarla ai bisogni del tempo. In quel periodo ha pure inizio il culto sinagogale, nel quale il " dorèsh " (o " investigatore ") commentava la Bibbia. Sorgono così gli " scribi " la cui attività si incentra sopra la legge divina e crea le regole per applicarla ai nuovi casi pratici. Sorgono così quasi contemporaneamente i Targumin o traduzioni aramaiche parafrasate della Bibbia e i Midrashim o scritti omiletici che hanno per oggetto l'interpretazione biblica.

Il Midrash parte dalla Bibbia che considera uno scritto rivelato, capace di rispondere a tutti i problemi religiosi e a tutte le questioni che possono nascere. Esso non esiste invece dove manca l'idea di uno scritto sacro. L'origine del Midrash sta nel culto liturgico, e quindi assume un'intonazione omiletica, che si può paragonare alle moderne omelie dei cristiani. Esso può assumere due aspetti:

Haggadà o sermone a commento di meditazione personale dei racconti biblici (con parti storiche).

Hallachà (da Alach = camminare) che, partendo da passi biblici legislativi (Torah = legge), presenta norme pratiche di condotta morale.

Vari midrashim sono il Mekilta (commento dell'Esodo a partire dal cap. 12); il Sifra' (commento del Levitico); i Sifre' (commentari dei Numeri e del Deuteronomio). Il loro contenuto è in parte halachico e in parte haggadico (sec. III d.C.). Nei secoli successivi sorsero diversi midrashim come i Pesiqta , vari libri apocrifi, specialmente apocalittici che contengono interpretazioni di carattere midrashico. Molte si trovano nel libro dei Giubilei e nel Testamento di Giobbe(7) .

g) Tratti caratteristici del Midrash

1) Halakah o sviluppo; norme di vita tratte da citazioni bibliche. Dt. 24, 1 decreta che si deve dare una lettera di ripudio quando il marito abbia trovato nella moglie " qualcosa di vergognoso" ( cerwat dàbàr), senza determinare in che cosa consista. La halakah cercò di completarne i particolari con diverse interpretazioni. La scuola di Hillel, tollerante, aumentò le ragioni, come, ad esempio, il bruciare un piatto di pietanze (G. Flavio): R. Aqiba ammetteva come motivo sufficiente l'incontrare una ragazza più bella della propria moglie. La più rigida scuola di Shammai vi riconosceva invece solo l'adulterio (Gittim 9, 10; Mt 5, 32; 19, 9).
Da Dt 25, 4 (museruola ai buoi) anche Paolo deduceva la norma di dare il necessario per vivere ai predicatori e agli apostoli (1 Co 9, 8ss).

2) Leggende rabbiniche. Sono dovute al desiderio di amplificare la storia sacra trasformandola in un continuo miracolo, con il risalto della provvidenza di Dio a favore del suo popolo. La roccia da cui scaturì l'acqua dopo la percussione di Mosè seguiva gli Ebrei che peregrinavano nel deserto (1 Co 10, 4).

3) Spiegazioni di particolari non espressamente indicati nella Bibbia. Mosè fu educato nella sapienza degli Egiziani (At 7, 22). I maghi opposti a Mosè erano Jamnes e Jambres (2 Ti 3, 8). Il diavolo ha altercato con l'arcangelo Michele a motivo del corpo di Mosè (Gd 9, cf Dt 24, 16). Gli angeli si sono uniti a donne umane (Ge 6; Gd 7). Pietro presenta l'ascesa di Gesù al cielo come una promulgazione della sua vittoria sugli angeli ribelli del periodo diluviano, ciò che il libro di Enoc attribuiva allo stesso patriarca Enoc (cf 1 Pt 3, 18) (8) .

La figura di Balaam . Il libro dei Numeri offre due presentazioni diverse di Balaam. I cc. 22-24, di tradizione più antica, lo descrive come un profeta pagano che, in contatto diretto con Dio, non disubbidisce mai al comando divino. Il c. 3, invece, lo considera responsabile della corruzione ebraica. Il midrash adottò questa seconda presentazione, trasformando Balaam in un uomo perverso, colpevole di orgoglio, idolatra, dedito al libertinaggio (cf 2 Pt 2, 15s; Gd 11; Ap 2, 14; Filone, Targum, Midrash) (9) .
Credevano gli scrittori sacri a queste leggende? Può darsi. Ignoriamo se le presentano solo come esempi leggendari (come talora facciamo pure noi nei sermoni), oppure se anch'essi vi credessero. Ma in tal caso si tratterebbe di opinioni personali, che non sono insegnate; ne parlano infatti, non per difendere tali leggende, bensì per trarne delle verità indiscutibili. Le leggende diventano un semplice veicolo per insegnare una verità religiosa. Così la vittoria di Enoc sugli angeli ribelli diviene in Pietro un mezzo per sottolineare la vittoria di Gesù. La necessità di parlare sempre con delicatezza è suggerita dall'esempio di Michele che disputa con Satana per il corpo di Mosè e la necessità di una vita pura dall'episodio degli angeli decaduti (Giuda).

4) Il Midrash toglie gli antropomorfismi divini . Il fatto che Dio scrisse la Legge con il proprio dito non sembrava corrispondere al concetto della divinità come si era andato sviluppando nel corso dei secoli presso gli Ebrei, per cui i libri intertestamentari, seguiti dai cristiani, sostituiscono Dio con gli angeli (Ga 3, 19; At 7, 38).

5) Riletture di passi biblici in funzione apologetica . Gli Ebrei non accettano il cristianesimo perché hanno sugli occhi il velo di Mosè (1 Co 3, 7.18).
Un Midrash su Melchisedec si rinviene in Eb 7, 2 dove se ne spiega il nome "Melchisedec, re di Salem" con "re di giustizia, re di pace" in quanto i nomi hanno rispettivamente questo significato. In Eb 7, 3 si aggiunge che egli era senza padre, senza madre e senza genealogia, facendone così un angelo, come si ha in un Midrash su Melchisedec, scoperto a Qumran.
Gc 1, 18 « generati mediante la parola di verità » si riferisce probabilmente a una interpretazione di Ge 1, 1, data dal Salmo 119, 160 che sa di cabbala. Il salmo dice che il principio della parola di Dio è "verità" ( 'eMet ). Ora la legge inizia con tre parole: BereshiT bara' elohiM (In principio creò Dio), le cui lettere finali segnate in maiuscolo T ' M sono rispettivamente l'ultima, la prima e la media dell'alfabeto ebraico, che disposte in ordine alfabetico danno appunto 'MT (= 'emet ) , ossia " verità ".

6) L'attualizzazione consiste nell'applicare passi veterotestamentari all'epoca contemporanea. Gli Esseni di Qumran, commentando Abacuc, vedono nel "giusto " il Maestro di giustizia, nell' "empio " il sacerdote ostile al precedente, i Kittim si trasformano in Romani (10) (Nei pesher si legge infatti spesso «questo significa che»).
Is 7, 14 si riferisce alla concezione di Maria (Mt 1, 22); Michea preannuncia che Betlemme sarà il luogo di nascita di Gesù (5, 1 modificato ad arte in Mt 2, 6); Geremia preannunzia il dolore di Rachele per l'eccidio dei bimbi di Betlemme (in realtà parlava della deportazione di Israele in Esilio, Gr 31, 15; Mt 2, 16ss). La voce nel deserto riguarda il Battista, anzichè il ritorno dall'esilio (Is 40, 3 = Mt 3, 3). Colui che cavalca un mansueto asinello è il Cristo nel suo ingresso trionfale (Mt 21, 9 da Zc 9, 9 inteso come due animali!). L'agnello pasquale per cui le ossa non si dovevano spezzare preannuncia l'agnello Gesù sulla croce (Gv 19, 36). Il campo del vasaio comperato con il denaro di Giuda è profetizzato da Zc 11, 12s (presentato in Mt 27, 3-10 come profezia di Geremia!). Isaia profetizza i farisei (Mt 15, 7; di fatto Is 29, 13 parlava del popolo a lui contemporaneo); Gesù prende su di sé i dolori (Is 53, 4 = Mt 8, 16ss li toglie da noi). La pietra rigettata è Gesù (Sl 118, 22; Is 28, 16 = 1 Pt 2, 4-8). Le punizioni del deserto durante l'esodo sono un monito per i cristiani (1 Co 10, 1-22). Le lezioni del diluvio sono prese a modello da Gesù per ammonire i propri contemporanei (Mt 24, 37-42).

7) Leggende. Sono di tipo ben diverso dai miti, i quali attribuiscono certi eventi, di cui si ignorano le cause, a interventi diretti di essere divini. Mito sarebbe la concezione di rea Silvia ad opera del dio Marte, dalla quale nacquero Romolo e Remo. Mito sarebbe la concezione verginale di Gesù, qualora non fosse un dato storico (come io penso). Di questi miti parla il Bultmann , che li vuole eliminare dai vangeli (demitizzazione!). La leggenda tende invece ad esaltare alcune persone, riferendo episodi miracolosi e straordinari. Di questo tipo è la leggenda aurea per i santi del Medioevo, oppure le varie passioni dei martiri con tratti evidentemente leggendari. Alcuni pensano che a questo genere letterario si possono riallacciare le vite di Elia e di Eliseo, nel ciclo che vi si riferisce del libro dei Re, che presenta continui eventi straordinari, che mancano, invece, nel resto del libro. Il problema merita uno studio profondo che non è ancora stato attuato del tutto (11) .
Come storia romanzata, nella quale cioè l'abbellimento artistico o leggendario prevale sul dato storico, alcuni vorrebbero introdurre gli episodi di Daniele, i dati del libro di Ester e la narrazione di Giona, che sarebbe più una parabola che un racconto storico. E' possibile; è uno studio che si deve attuare, non per sfuggire al miracolo, ma per mostrare meglio le differenze formali tra i libri storici della Bibbia e questi racconti, per delinearne meglio il genere letterario diverso. Ogni genere letterario ha una sua verità, che va tratta dall'intento avuto dallo scrittore nel presentare il proprio racconto.

8) Miti ? Su questo argomento rimando allo studio ben fatto di A. Oher , Elementi mitologici nell'Antico Testamento , Marietti, Torino 1970.
La realtà può essere vista in due modi: in quello mitico e quello storico. La mentalità mitica, messa di fronte al mondo, non lo considera come appare, ma se lo immagina quale frutto di scontri tra forze personificate e divinizzate che misteriosamente stanno dietro alla realtà. Anche i fatti storici, più che risultato di forze politiche e sociali, riflettono contrasti tra esseri divini. Tali miti in modo speciale riguardano l'origine del mondo e i primordi dell'umanità.
La Bibbia conosce questi miti antichi, diffusi presso i sumeri, gli accadi, i fenici, ma ne usa in modo assai sobrio, più come tratti poetici anzichè come realtà accolte nella propria fede e solo con l'intento di mostrare la superiorità del Dio di Israele su tutto il creato. Quanta differenza tra il maestoso racconto della creazione del Genesi (cap. 1) e l'epopea babilonese ( Enuma Elish ) secondo la quale Marduc fabbricò il mondo con il corpo del mostro Tiamat , suo rivale, e da lui debellato con difficoltà enormi! Di più la Bibbia, anche quando allude alla lotta di Dio con esseri antidivini, ne parla solo incidentalmente e per meglio portare in enfasi la superiorità infinita del Dio israelitico. Il passo:

« Tu hai spaccato la testa del Leviatan
lo fai cibo agli squali » (Sl 74, 14).

sotto la figura del primitivo mostro acquatico raffigura il passaggio del popolo ebraico attraverso il Mare dei Giunchi con la conseguente sconfitta faraonica, oppure la liberazione di Israele dall'Assiria e dalla Babilonia (Is 27, 1) (Storicizzazione del mito!). Il mostro presentato nella mitologia cananea, è qui ridotto a puro "giocattolo" nelle mani di Dio (Is 27, 1) (12) .
Nei libri poetici non mancano tracce di tale lotta epica, ma esse sono immagini poetiche anzichè realtà da loro ammesse: Gb 9, 13 (ausiliari di Rahab) « Iddio non ritira la sua collera; sotto di lui si curvano i campioni della superbia».
In Is 51, 9-10 « Risvegliati, risvegliati, rivestiti di forza, o braccio dell'Eterno! Risvegliati come nei giorni andati, come nelle antiche età! Non sei tu che facesti a pezzi Rahab, che trafiggesti il dragone? Non sei tu che prosciugasti il mare, le acque del grande abisso, che facesti delle profondità del mare una via per il passaggio dei redenti? ».
Un ricordo dell'antico valore dell'acqua come male (Orchessa Tiamat, opposta all'ordine) riappare in diversi libri biblici: i demoni non vogliono essere costretti ad abitare nell'abisso (Lc 8, 31), dall'abisso escono gli esseri malvagi (Ap 11, 7; 20, 1-3). All'abisso presiede un angelo detto Abaddon o distruzione (Ap 9, 11). Nella nuova Gerusalemme mancherà ogni traccia del "mare": « e il mare non vi sarà più » in quanto non vi sarà più il male, simboleggiato appunto dal mare (Ap 21, 1). Non è difficile vedervi l'eco di un linguaggio mitologico dove il dio principale scende in campo contro il caos primitivo. E' quanto si cantava nella liturgia di capodanno in Babilonia. Ma di una tale festa non è rimasta alcuna traccia liturgica presso gli Ebrei, nonostante lo sforzo della scuola scandinava per provarne l'esistenza (13) Scompaiono nella Bibbia tutte le divinità intermedie, forze naturali personificate, indispensabili in ogni narrazione mitologica. Anche le tenebre e l'abisso primordiali, ai quali si accenna, sono trasformati in esseri docili e ubbidienti al comando creatore divino. Inoltre le narrazioni bibliche si colorano di un contenuto morale (osservare il sabato nella creazione; punire i peccati nel diluvio) che manca assolutamente in ogni narrazione mitica. Le reminiscenze mitiche in Ge 1 si riducono ad un casuale contatto di vocabolario (tehôm - Tiamat ). Si tratta quindi di semplici paragoni poetici per meglio sottolineare idee proprie della religiosità israelitica. Sono simili ad altre immagini poetiche come i "satiri" che danzano per la caduta di Babilonia e dell'Idumea (Is 13, 21) e che si richiamano tra loro (Is 34, 14 lilìt). La fantasia popolare faceva infatti abitare i deserti da "satiri" (lilìt) o da spiriti malvagi (Mt 12, 43; Ap 18, 2). Si tratta di metodi che ancora oggi noi utilizziamo senza peraltro credere ai miti soggiacenti. Noi pure diciamo che un tale è un satiro, un Ganimede, un Adone, un Orfeo, un vampiro, una sirena, ma solo per indicare che quella persona ha attitudini simili a tali esseri leggendari, ai quali ora non crediamo più.
Anche i cristiani dei primi secoli hanno presentato Gesù come il buon Pastore, gli hanno attribuito l'aspetto di Mercurio crioforo; la testa di Cristo nel mosaico dell'abside di S. Prudenziana (sec. IV) è modellata sul tipo classico di Giove. Ciò non vuol dire che essi credessero ancora a Giove o a Mercurio, ma utilizzarono forme artistiche allora in uso e le applicarono al Cristo. Perché anche uno scrittore sacro non avrebbe potuto utilizzare un procedimento simile e parlare poeticamente del Leviatan e del mostro marino, noti al suo tempo, per meglio presentare la vittoria di Dio sul male?

Altri esempi

a L'apertura del cielo per vedere Dio (Ez 1, 1), l'esistenza del mondo degli dei del Nord, sono espressioni di origine mitica, ma servono solo per sottolineare la presenza benefica di Dio. Jhwh viene sempre dal Nord, mai da oriente (dove giaceva il tempio) o dall'occidente, perché era pensiero comune che a Nord (Safòn) giacesse la dimora degli dei (14) .

b Anche i cherubini posti a difesa del giardino dell'Eden si rifanno ad elementi mitologici babilonesi ( Kirubu, messi a difesa delle porte dei templi). Essi erano portatori anche della gloria ( kabod ) di Jhwh. La descrizione di Ezechiele (1, 5) si rifà ai portatori del trono che in Babilonia assumono la forma di animali. I geni babilonesi riuniscono assieme i più diversi elementi figurativi: arti di uomo, di toro, di aquila e di leone. Hanno però sempre un'unica testa. Ezechiele dà loro quattro volti che raffigurano rispettivamente le varie parti del mondo animale (uomo, toro, aquila, leone) per indicare, secondo il concetto dei gentili, lo strapotere divino su tutte le divinità. Jhwh domina lo spazio in tutte le direzioni (gli animali non devono voltarsi, ma vanno diritti in ogni direzione). Si usano gli elementi mitologici, ma solo quali mezzi espressivi della potenza dell'unico vero Dio.

g Il racconto della torre di Babele, nonostante alcuni tratti di colorito mitico (Dio che scende dal cielo per vedere la torre), è un'interpretazione spirituale della famosa ziggurat babilonese (Ge 11, 1-9). Infatti la geografia del passo ci orienta verso la terra di Sennaar, ossia la Mesopotamia, e precisamente nel distretto babilonese. L'uso dei mattoni cotti al sole si spiega con il fatto che in quella ragione scarseggia la pietra. Il bitume usato come elemento è dovuto all'abbondanza del petrolio in tale luogo (15) Il re Nabopolassar così afferma:

« Feci dei mattoni; li feci preparare, mattoni ben cotti. Come un fiume dal cielo, senza misura alcuna, come una fiumana d'acqua devastatrice, comandai al canale Arachta di portarmi asfalto e bitume »(16) .

Tra le varie torri piramidali primeggia per l'imponenza di costruzione la Ziggurat di Babel, esaltata dai documenti dell'epoca come una meraviglia senza pari, e che si chiamava in sumero E-temen-an-ki, vale a dire "Casa (tempio) - de l- fondamento  - del - cielo - e - della - terra"(17) .
Di essa Apocrizione di Alessandria (sec. IV a.C.) dice che « era stata costruita da giganti che si proponevano di scalare il cielo ». Si tratta di un edificio a terrazze che, innalzandosi sempre più, riducevano l'estensione del loro quadrato ad ogni ripiano. Ad esse si accedeva mediante apposite gradinate. Le ziggurat volevano simulare le montagne inesistenti in Mesopotamia, sulle quali gli antichi pensavano di avvicinarsi di più alla divinità posta in cielo. La ziggurat di Babel, caduta parzialmente in rovina, era indubbiamente segno dell'orgoglio umano. Nabopolassar (625-605 a.C.) si vantava di aver voluto rendere « il fondamento della terra simile (per stabilità) al cielo ». Nabucodonosor (604-562 a.C.) si gloriava di aver: « costretto tutti i popoli di numerose nazioni al lavoro della Etemen-anki ».
Tiglat-Pileser (1110-1090) si vantava di aver reso una sola bocca, vale a dire assoggettati «quarantadue territori ». Tale scopo della costruzione della ziggurat di Babel stava scritto nella tavoletta di Esagila (era questo il nome del tempio costruito sulla sua sommità) in lingua e in caratteri ermetici. La Bibbia ne prende lo spunto per mostrare come tale intento unificativo di " tutta la terra " (di cui si parla in Mesopotamia) sia andato fallito e l'impresa rimasta senza termine. Il " un labbro solo " indica l'unificazione di vari popoli con un solo intento, con una religione sola; denota l'unità politica, morale e religiosa dei vari popoli. Era una espressione idiomatica per indicare l'unità di azione. La " confusione del labbro " per cui essi non comprendevano più il labbro l'uno dell'altro, significa la discordia dei vari popoli assoggettati. « Il popolo che abita in Shuanna (= Babilonia) rispose l'un l'altro : No! (= non si capirono più, caddero in fazioni) e complottarono ribellioni per lungo tempo, per cui stesero le mani sull'Esagila, sul tempio degli dei, e dissiparono oro, argento, pietre preziose per pagare l'Elam » (18) La cessazione dell'opera costruttiva fu certamente dovuta a invasioni nemiche, simili a quelle di cui parla, ad esempio, l'assiro Sennacherib nel 689:

« Le città e le case, dalle fondamenta al tetto, devastai, distrussi, consumai con il fuoco. Le mura, i baluardi, i templi degli dei, le ziggurat di mattoni e di terra, quante ne aveva, io le demolii e le gettai nel canale Arechta. In questa città scavai canali, feci sparire la loro terra nelle acque, annientai le loro grosse fondamenta, io le trattai peggio di un diluvio. Affinché nell'avvenire non si trovasse più il posto; città e i templi degli dei, io li distrussi con l'acqua, io li trasformai in palude».

Con l'indebolimento del potere centrale i sudditi, prima sottomessi, si ribellarono e non furono più di un "solo labbro" come prima. Secondo il linguaggio biblico che elimina ogni causa seconda, tutti ciò è attribuito a diretto intervento divino che deve "scendere" per visitare la "alta" torre che si eleva verso il "cielo".
La visione di questa ziggurat incompleta, che poi altri sovrani dovettero cercare di completare, fu vista da Israele come il tentativo babilonese di procurarsi fama, di stabilire un grosso impero indipendentemente da Dio, che però scendendo (egli è molto più eccelso di tutte le costruzioni umane) per attuare il suo giudizio di condanna, produsse discordie, fazioni e opposizioni con la conseguente cessazione di ogni attività costruttiva. Così la torre che doveva essere segno di potenza e di unione, divenne simbolo di discordia e di disunione (19) .
Che non si tratti di confusione di moltiplicazione linguistica risulta chiaro sia dal fatto che nel cap. 10 già si presentano i vari popoli con le loro differenti lingue, come se fossero evolute in modo normale, sia dal fatto poi che l'espressione "un labbro" è tipica per indicare "un solo sentimento". Ma infine anche dal fatto che "babel" (=porta di Dio) fu fatto derivare dalla radice balbul che significa "mistura" vale a dire "confusione" di mente, di regione, di popoli.
Il vero ricordo ebraico sul loro passato si incentra nella liberazione dall'Egitto, con Mosè, il legislatore che ha formato la morale biblica sotto la guida del Dio rivelatosi al Sinai. Da questa esperienza fondante gli Ebrei risalgono pure ai patriarchi, specialmente fino ad Abramo, non nascondendo però la circostanza non gradita che i padri « abitarono anticamente al di là del fiume (Eufrate) e servirono gli altri dei » (Gs 24, 2). Più indietro risalgono al diluvio, alla storia della caduta primitiva (peccato di Adamo), ma intessendo il tutto entro una cornice morale, priva di veri tratti mitici e contenuta in un racconto che non lasciò vasta ripercussione nei successivi scritti sacri. Questi muovono sul terreno della storia e sono estranei a tutta le letteratura mitica che tanto sviluppo ebbe presso gli altri popoli semiti. Nella storia primitiva gli Ebrei introducono il quadro universale di tutti i popoli ricollegati genealogicamente a un'origine unica (Noè), il che fa vedere una valutazione storica senza parallelo con gli altri popoli antichi.

II. Appendice

Il problema del "mito" nella Bibbia ha creato una discussione assai dura che ebbe inizio il secolo scorso e fu originata dalle somiglianze tra i racconti biblici della creazione, del diluvio e dei patriarchi con simili racconti cosmologici sumeri - assiri- babilonesi (Enuma Elish per la creazione; Ghilgamesh per il diluvio con l'eroe Utnapishtun ; Adapa per il primo peccato)(20) Il Lénormant scrisse che i primi capitoli genesiaci contengono tradizioni identiche a quelle mitiche degli altri popoli:

« Ciò che si raccontava presso questo popolo è uguale, in tutti i dati essenziali, a quanto dicevano i libri sacri sulla riva dell'Eufrate e del Tigri . . . . L'ispirazione ha solo infuso uno spirito nuovo nel racconto: Le nozioni naturalistiche grossolane che là si esprimevano, diventarono qui il rivestimento morale di un ordine più elevato e di una spiritualità più pura » (op. cit. Prefazione XVI).

Presso i non cattolici ciò divenne pacifico, come appare dal commento al Genesi di H. Gunkel: « Le leggende di Ge 1-11 sono tratte in gran parte – dice lui – da miti babilonesi, e non hanno più diritto al titolo di storia » (p. 16). Naturalmente le narrazioni mitiche mesopotamiche sono state alquanto scolorite dalla Bibbia, perché il monoteismo biblico era un clima « sfavorevole ai miti » (p. 18) (21) Per i cattolici la situazione fu diversa: L'ipotesi di Lénormant fu accolta (almeno in parte) da J.M. Lagrange (La methode Historique 1907) e da Mons. d'Huest che in un celebre articolo apparso nel Correspondant del 25 gennaio 1893 su la Question Biblique, sosteneva che, salvo alcune esagerazioni, le idee del Lénormant potevano essere accolte:

« L'ipotesi per la quale l'ispirazione biblica potrebbe riguardare anche racconti di origine umana senza garantirne la veracità assoluta per introdurvi delle verità dogmatiche e morali, è un'ipotesi accolta da un certo numero di studiosi ortodossi. In tal modo essi si traggono d'impiccio in tutte le difficoltà storiche, cosmologiche ed etnografiche . . . che oggi solleva la lettura della Genesi ».

Il Loisy, pur non riconoscendo una dipendenza diretta dei racconti biblici da quelli mesopotamici, asseriva:

«Benchè le leggende caldee abbiano fornito in gran parte il materiale delle leggende bibliche, un vasto lavoro di assimilazione, di trasformazione, è avvenuto durante un lungo tempo. Probabilmente vari anelli intermediari (tramite le tradizioni fenicie ed aramaiche) si sono intromesse un po' dovunque tra i Caldei e la Bibbia. Né la forma mitologica né la forma poetica si conservarono nella tradizione israelita; l'epopea divenne un racconto prosaico e il racconto assunse un valore morale per adattarsi al carattere di un Dio unico» (22) .

L'enciclica Provvedentissimus Deus (di Leone XIII del 18 novembre 1893) proibì in modo assoluto le ipotesi precedenti:

« Non deve tollerarsi la condotta di coloro che, per trarsi di impiccio, non esitano a concedere che l'ispirazione appartenga alla materia di fede e di costumi senza nulla di più, perché essi pensano a torto che le idee sono vere non tanto per quello che affermano, quanto piuttosto per il motivo con cui Dio le afferma »

Dopo gli studi del Lagrange e specialmente degli esegeti più moderni, penso che i primi capitoli genesiaci (1-11) non provengano direttamente dai miti mesopotamici che sono tra loro staccati, spesso in contrasto e con lo sfondo politeistico, ma siano un brano profetico che utilizza per la sua narrazione delle tradizioni antiche diffuse tra i semiti, dando loro un concatenamento e un significato nuovo atto ad esprimere il messaggio divino (23) Si tratta infatti della creazione e della preistoria, che non potevano essere conosciute dallo scrittore se non mediante una rivelazione divina. Soltanto che tale profezia invece di presentare il futuro, narra il passato. L'intento è quindi religioso, il tempo è raccorciato (come nelle profezie del futuro) e vengono utilizzati (come nelle profezie) antichi miti orientali del passato, purificati però dal loro politeismo per mostrare la superiorità del Dio israelitico che tutto crea senza opposizione alcuna; che premia il bene, ma punisce la malvagità (diluvio, peccato dei protoparenti) e che conduce la storia verso il suo fine salvifico (cap. 10: tavola genealogica, torre di Babele, preparazione di Abramo con i patriarchi). Tali capitoli, unici nella storia dell'umanità, non vanno quindi presi alla lettera, trattandosi di profezia anziché di storia e di preistoria. Questa valutazione dei primi capitoli genesiaci merita d'essere studiata e sviluppata più a lungo. Se ne vedano i commenti, specialmente quello più recente del Testa (Marietti). Con ciò non se ne esclude la sostanza storica.

h) Vangeli

Si tratta anche qui di un genere letterario particolare, che non intende fare della pura storia, ma suscitare la fede nella "lieta notizia" di Gesù, l'inviato di Dio per salvare l'umanità. I racconti ubbidiscono quindi alla fede (Gv 20, 30s). In essi non si ha tanto riguardo alla geografia, alla successione degli eventi, alla letteralità del fatto, come risulta dalle varianti con cui uno stesso episodio è presentato presso i singoli sinottici. Si veda ad esempio l'arte con cui Luca nei primi due capitoli del suo vangelo mette in risalto il parallelismo tra due concezioni e le due nascite del Battista e di Gesù (cc. 1-2). Si veda come Luca narri prima la morte del Battista e poi il battesimo di Gesù, per far risaltare come con il Battista si chiude e con Gesù si dischiude l'alba radiosa della nuova umanità (c. 3).

L'arte e l'ambiente dell'epoca influirono in modo tale che l'elemento mitico rende impossibile la valutazione storica del fatto? Vi rispose affermativamente il Bultmann, per il quale quasi ogni dato evangelico (ad eccezione della crocifissione di Gesù) è un mito creato solo per suscitare la nostra decisione esistenziale per Dio. Il vangelo, così spogliato di ogni elemento mitico, presenta una realtà storica sospesa in aria, con la consistenza e il valore di una ragnatela senza fili di attacco. Per cui gli stessi Bultmanniani si sentono oggi in obbligo di passare al di là del mito per ritrovare la voce stessa ed il fatto stesso compiuto da Gesù (ipsissima vox, ipsissima facta Jesu). Oggi poi va assumendo consistenza sempre maggiore la scuola della redazione , che cerca di spiegare come da un nucleo originario siano sorte le varianti dei singoli vangeli dovuti al desiderio e allo sforzo di presentare i singoli punti dottrinari che ogni scrittore intendeva presentare con il suo scritto, rispondente ai bisogni del suo tempo. Di più si va oggi mettendo in valore, specialmente ad opera della scuola scandinava, l'importanza e la tenacità della tradizione orale presso i semiti, più che la creazione fantastica di dati ad opera della comunità. Per cui i vangeli cominciano ad essere maggiormente apprezzati come fonte di grande valore (24) .

III. La verità nei generi letterari

E' questo uno studio che non si è ancora attuato bene, in quanto si trova solo ai suoi inizi. Bastino le seguenti norme generali:

1. Ogni genere letterario ha la sua verità propria

Una è la verità del genere storico e un'altra quella della parabola. Nel primo caso è garantito il fatto, nel secondo solo l'insegnamento, mentre il fatto è una finzione, una "invenzione" dell'autore. Non si confonda "fittizio" con "falso". Fittizia è una parabola, falso un dato presentato come storico, ma che in realtà non è tale. E' fittizia la parabola di Natan , anche se erroneamente Davide la prese alla lettera, ma non era falsa in quanto aveva l'intento di mostrare la colpevolezza del re nei riguardi di Uria (2 Sm 12, 1-7). Fu fittizia la narrazione presentata dalla donna di Tecoa, in cui si parla del figlio ricercato a morte per aver ucciso il fratello, ma era vera in quanto voleva indurre Davide a perdonare Absalom (2 Sm 14, 4-17). Era fittizia l'allegoria della vigna, cantata da Isaia, ma era vera in quanto voleva inculcare la resistenza del popolo ebraico alle benedizioni divine (Is 5, 1ss).

2. I generi letterari non si possono inventare a priori

Non possiamo inventare a priori i generi letterari per eludere le difficoltà bibliche, ma devono essere stabiliti mediante il confronto con le antiche letterature orientali. Solo così si potrà evitare l'elemento soggettivo e si potrà camminare su un terreno più sicuro. E' utile a tale scopo l'opera del Pritchard che è una vera miniera di antichi testi orientali, paragonabili a quelli biblici(25) .

3. Libertà di giudizio in assenza di una certezza oggettiva

Talora sarà difficile determinare il genere letterario, in quanto su certi punti non si è ancora raggiunta la certezza se il racconto sia parabolico o storico. E' il caso di Giona e di Ester che alcuni ritengono una parabola il primo e una storia romanzata (midrash) il secondo. In tal caso dobbiamo stare cauti, non respingerne la storicità per paura del miracolo e dello straordinario (Dio può tutto), ma valutarne meglio il contenuto. In tale modo si potrà gradatamente eliminare sempre più l'elemento soggettivo e raggiungere la certezza definitiva. Finchè questa non è stata ancora raggiunta si lasci la libertà agli esegeti di seguire la via che ciascuno crede migliore come, ad esempio nel caso di Giona (storia per gli uni, parabola per gli altri).
Identica anche la situazione per Daniele che per alcuni è un libro profetico (con racconti storici), mentre per altri è un libro apocalittico con racconti deliberatamente abbelliti o creati dalla fantasia per un intento consolatorio. Stiamo attenti di non accusare di eresia chi la pensa diversamente da noi. Si continui a studiare sempre più il problema, fino a che la verità brillerà in tutto il suo fulgore e si potrà capire, senza possibilità di dubbi, l'intento dell'agiografo nel comporre tale scritto.


NOTE A MARGINE

1. Cf Salmi, Cantico di Anna, Simeone, Benedictus, Magnificat . . . povere e semplici donne arabe sotto l'impulso della gioia improvvisano pur ora i loro cantici, Lagrange , L'Evangile de G.C., Paris 1928, p. 21. torna al testo

2. R. Flacelière , Deutarque. Sur les oracles de la Pythie , Texte et traduction et des notes, Paris 1936. torna al testo

3. Così i già citati R. Welleck e A. Warren, A. Jolles, E Steiger, cf Welleck-Warren, Teoria della letteratura e Teoria letteraria (trad.). torna al testo

4. B. Croce , Estetica , cap. 9-15. torna al testo

5. Gunkel (1862-1932), Die Sagen der Genesi (1901); Israel und Babylonien (1903); Die Israelitische Literatur (1906); Die Psalmen (1925); Einleitung in die Pasalmen I (1927). torna al testo

6. Per una descrizione più particolareggiata rimando alle mie dispense su il Profetismo (Gli Araldi di Dio). torna al testo

7. Giubilei: Mosè ha risposto in antecedenza a tutti i problemi religiosi anche posteriori (cf G. Vermes , la figure de Moïse, in Moïse l'homme de l'Alliance, in Cahiers Sioniens 1954, Desclée, 1955, pp. 77s; 83 s). Nel Testamento di Giobbe lo sceicco biblico si trasforma in un re (al pari dei suoi amici), che, da mistico, ha visto il carro celeste. I sabei (1, 15) diventano dei persiani (4, 13) figli di Esaù e di Dina; vi si consiglia di non sposare donne straniere (cf K. Kohler , The Testament of Job. An Essene Midrash on the Book of Job, "Semitic Studies in Memory of A. Kohut" Berlin 1897, pp. 264-338. torna al testo

8. Cf. F. Salvoni , Cristo andò in carcere nello spirito a proclamare agli spiriti in carcere , in "Ricerche Bibliche e Religiose", n. 6 (1971), pp. 57-86. torna al testo

9. Cf G. Vermès , Deux traditiones sur Balaam - Nombres XXII, 2-21 - et ses interpretations Midrashiques , Cahiers Sion 9 (1955), pp. 289-302. torna al testo

10. I Kittim, primi abitanti di Cipro (Is 22, 1; Ger 2, 10; Ez 27, 6) si trasformano poi in Macedoni (1 Mac 1, 1; 8, 5); in Siri (Giubilei 37, 19); in Romani (Dan 11, 30); cf Vermès, Manuscrits du desert de Juda, Paris 1953, p. 84s. torna al testo

11. Cf L. Bronner , The Stories of Eijah and Elisha as Plemic Against Baal Worship, Leiden 1968; W. Michaux, Le cycles d'Elie et Elisée, in "Bible et Vie Chrétienne" 2 (1954), pp. 76-79; J.M. Miller , The Elisha cycle and the Accounts of the Omride War, in J B L 85 (1966), pp. 441-454. torna al testo

12. Cf G. Gordon , Ugaritic Manual , Roma 1955, p. 148. torna al testo

13. Cf F. Salvoni , I libri poetici dell'A.T. , Facoltà Biblica, Via del Bollo 5, Milano 1967. torna al testo

14. Corrisponde al monte Casius, presso Ugarit, sul quale troneggiava Baal. torna al testo

15. E' l'attuale Bagdad. torna al testo

16. A. Jrku , Altor: Kommentar zum A.T. , Leipzig 1923 p. 53. torna al testo

17. Esplorata da R. Koldewey (1899-1917), ha per base un quadrato di mt. 91; la terrazza sulla quale essa si erge era di mt. 456x412; cf A. Parrot , La tour de Babel , Neuchâtel 1953 (volgarizzazione del suo studio precedente: Ziggurats et Tour de Babel, Parigi 1949). torna al testo

18. Pietra nera in Asarhaddon in D.D. Luckenhill, Ancient Records of Assyria and Babylonia II, pp. 242 n. 642. torna al testo

19. Cf A. Parrot , La Tour de Babel , Neuchtel 1953; Testa , Genesi I, Marietti, Torino 1970, pp. 432.443. torna al testo

20. Cf Lagrange , La cosmogonie de Bérose , In Reb 1898, pp. 395-402; Lénormant , Les origines de l'histoire d'après la Bible et les traditions des peuples orientaux , Paris 1880. torna al testo

21. H. Gunkel , Die Genesis , 1922, p. 16.18.103.119 (Theon-Tiamat babilonese; cf. In Gn 6 il matrimonio degli angeli con le donne). Ancor prima in Schöpfung und Chaos, Göttingen 1895. torna al testo

22. A. Loisy , Les mythes babylonieus et le premiers chapitres de la Genèse , Paris 1901, p. VII.VIII. torna al testo

23. Vedi sopra la sezione riguardante la profezia. torna al testo

24. Non è qui possibile esaurire l'argomento sul quale rimando alla mia Vita di Gesù, vol. I, II e III (dispense 1970-73) dove parlo più ampiamente di tali problemi. Cf pure l'interessante volume di H. Zimmermann , Metodologia del Nuovo Testamento , Marietti, Torino 1971, atto ad esercitazioni scolastiche. Vi si esaminano i metodi della critica testuale, quello della critica letteraria, il metodo delle forme e il metodo della storia delle redazioni. torna al testo

25. Ancient Near East Texts (ANET), Princeton 1950 (2° volune riguarda le pitture), 1954. torna al testo