INDICE PAGINA
1. Il Pater Noster nella chiesa più antica
2. Il testo più antico del Pater Noster
3. Il senso del Pater Noster
Conclusione

CAPITOLO V
IL PATER NOSTER
ALLA LUCE DELLE RICERCHE RECENTI

I. IL PATER NOSTER NELLA CHIESA PIÙ ANTICA

a. Le 24 Catechesi di Cirillo di Gerusalemme furono pronunciate nel 350 e si suddividevano in 2 gruppi:
1. Prebattesimali (19) per preparare gli aspiranti al Battesimo (che veniva amministrato la notte di Pasqua) e contenevano la spiegazione della professione di fede.

2. Postbattesimali, 5 prediche per istruire i neo battezzati sui misteri della fede, e si chiamavano Catechesi mistagogiche.

b. L’ultima, la 24a, tratta il Pater Noster: è quindi la più antica testimonianza del suo uso liturgico.
1. Veniva recitato immediatamente prima della distribuzione della Cena, faceva parte della liturgia eucaristica.

2. Apparteneva a quella parte del culto chiamata Missa fidelium, culto dei credenti, a cui venivano ammessi solo i battezzati.

c. Quanto avveniva a Gerusalemme rispecchia ciò che era una prassi consolidata in tutta la chiesa antica.
1. Ovunque il Pater Noster era parte essenziale della liturgia eucaristica.

2. Insieme alla professione di fede (Credo) faceva parte di quelle formule che venivano spiegate ai catecumeni prima del Battesimo e subito dopo.

3. La preghiera veniva illustrata, domanda per domanda, e il tutto ricapitolato in un sermone e imparato a memoria e recitato per la prima volta insieme agli altri solo nella loro prima partecipazione alla liturgia eucaristica che seguiva immediatamente il Battesimo.

4. Veniva chiamato la preghiera dei fedeli perché solo i membri di chiesa battezzati avevano il diritto di pregare col Pater Noster.

d. Risalendo ancora più’ indietro nel tempo, troviamo la DIDACHÉ o Dottrina  dei dodici Apostoli, l’ordinamento ecclesiastico più antico, risalente al primo secolo.
1. In questo scritto il Pater Noster viene citato parola per parola, introdotto dalla frase: « . . . voi non dovete pregare come gli ipocriti, bensì come il Signore ha comandato nel suo Evangelo, così dovete pregare . . . » (cap. 8).

2. La preghiera era conclusa con una dossologia, composta di due attributi: « Poiché tua è la potenza e la gloria in eterno » (8, 2).

3. Vi è poi un ammonimento: «tre volte al giorno dovete pregare così» (8, 3).

e. Sembrerebbe quindi che il Pater Noster, a quell’epoca, non fosse connesso con la liturgia, ma è un’impressione errata.
1. La sezione della Didaché in cui si trova:
a) cap. 1-6: istruzioni sulle due vie;

b) cap. 7: il battesimo;

c) cap. 8: digiuno e Pater Noster;

d) cap. 9-10: Cena o Eucarestia (= ringraziamento);

e) cap. 11-15: organizzazione e disciplina;

f) cap. 16: conclusione.

2. Pater Noster e Cena del Signore vengono dopo il Battesimo, confermando che si tratta di una preghiera che solo i membri effettivi della chiesa potevano recitare.
f. Il Pater Noster faceva parte dei tesori più sacri della chiesa.
1. Nelle antiche liturgie orientali ci sono delle formule introduttive particolari a questa preghiera.

2. Queste formule passano poi anche in occidente.

3. Nella liturgia eucaristica detta di San Giovanni Crisostomo, usata ancora oggi tra gli Ortodossi di rito greco e russo, vi è questa introduzione al Pater Noster: «E rendici degni, o Signore, affinché fiduciosi e senza presunzione noi osiamo come Padre te, Dio del cielo, e dire: "Padre Nostro"».

4. Analogamente nella messa romana: «audemus dicere (osiamo dire) Pater Noster».

g. Se la chiesa antica aveva circondato di tanto timore reverenziale questa preghiera, timore oggi andato perduto, dobbiamo cercare di scoprirne la ragione; forse potremo scoprire ciò che è alla base di quel timore se cercheremo di ritrovare il senso che Gesù ha dato alle parole del Padre Nostro.
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II. IL TESTO PIÙ ANTICO DEL PATER NOSTER
1. Il Pater Noster ci è trasmesso in due libri del N.T.: in Matteo nel "discorso della Montagna" (Mt 6, 9-13), in Luca 11, 2-4.

2. Nelle edizioni più antiche della Bibbia di Lutero le due edizioni coincidono, tranne alcune varianti minime e l’assenza della dossologia in Luca.

3. Nelle successive edizioni di Lutero (riveduta di Lutero), nella Bibbia di Zurigo e nella nuova traduzione inglese in Lc 11, 2-4, la redazione è più breve di quella di Matteo.

4. In questo secolo la ricerca scientifica sul testo del N.T. ha fatto molti progressi in Germania, Inghilterra e U.S.A., disponendo di circa 5000 manoscritti greci: è stato recuperato il miglior testo possibile del N.T.
5. Al tempo della redazione di Matteo e di Luca, il Pater Noster era trasmesso in due versioni che coincidevano nell’essenziale, ma:
– Mt 6, 9-13 (e Didaché 8, 2)  era più lunga con minime varianti;
– Luca 11, 2-4             era più breve.

6. La redazione di Matteo coincide con la forma che ci è familiare e contiene 7 domande (manca solo la dossologia – ne parleremo in seguito)
7. Quella di Luca contiene solo 5 domande e suona così:
« Padre,
sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno;
dacci oggi il nostro pane per l’indomani,
e rimetti a noi i nostri peccati, perché anche noi rimettiamo a chiunque è nostro debitore;
e non lasciarci cadere nella tentazione».

8. Ciò provoca due domande:

1) come avvenne che, intorno al 75 d.C., il Pater Noster venisse recitato (e tramandato) in due formulazioni diverse?

2) quale delle due è quella originale?

A. Le due formulazioni
a. La risposta alla prima domanda va cercata nel contesto: entrambi gli evangelisti collegano il Padre Nostro ad alcuni detti di Gesù sulla preghiera.

b. In Mt 6 (1-18) c’è una presa di posizione contro le pratiche di pietà dei circoli laici dei Farisei:

1. biasimo nell’esibizionismo pubblico delle loro elemosine (6, 2-4);

2. delle loro preghiere (6, 5.6);

3. dei loro digiuni (6, 16-18).

4. Gesù esige che i discepoli facciano queste cose in segreto.

5. I tre detti (elemosina – preghiera – digiuno) sono simmetrici: il modo falso e quello corretto sono contrapposti (quando . . . non . . . tu invece . . .).

6. Il detto centrale, che tratta della preghiera (6, 5.6) è prolungato da quattro altre affermazioni di Gesù (vv. 5-6):

a) ammonimento a non comportarsi come i Farisei;

b) ammonimento contro la verbosità dei pagani (vv. 7-8);

c) segue il Pater Noster come esempio di preghiera (vv. 9-13);

d) ben marcato e collegato con la richiesta di perdono, viene messo un detto di Gesù sulla disposizione a perdonare (vv. 14-15).

7. In Mt 6, 6-15 abbiamo un catechismo sulla preghiera composto con le stesse parole di Gesù e che probabilmente serviva all’istruzione dei neo-battezzati.
c. Anche in Luca (11, 1-13) il Pater Noster si trova in un contesto simile, il che dimostra quanto fosse importante per la chiesa antica educare i suoi membri sul giusto modo di pregare.
1. Tuttavia in Luca il catechismo è di un genere diverso.

2. È composto anch’esso da quattro punti:

a) Premessa: Gesù prega ed i discepoli chiedono: « Signore, insegnaci a pregare» (11, 1). Gesù esaudisce e insegna il Pater Noster (11, 2-4).

b) Viene poi la parabola dell’amico importuno, esortazione a perseverare nella preghiera (11, 5-8).

c) L’esortazione viene ribadita in forma imperativa: « chiedete e vi sarà dato» (11, 9).

d) Conclude la metafora del padre che dà buoni doni ai figli (11, 11-13).
3. La differenza dipende dalla diversità dei destinatari:
a) Il catechismo di Matteo si rivolge a persone che hanno imparato la preghiera fin dall’infanzia e corrono il rischio che la preghiera diventi semplice routine.

b) Il catechismo di Luca si rivolge a persone che devono imparare del tutto a pregare e devono essere incoraggiate a continuare nella preghiera.

4. Comunque intorno al 75 d.C. il Pater Noster costituisce, in tutta la cristianità, una parte essenziale della istruzione sulla preghiera:
a) tanto nella chiesa di origine ebraica;

b) quanto in quella di origine pagana.

5. La differenza fra le due redazioni si spiega semplicemente con la diversa situazione ambientale a cui i due vangeli erano destinati.
B. La redazione originale
a. La differenza più evidente: la redazione di Luca è più breve di Matteo in 3 punti:
1. il vocabolario iniziale: «Padre (mio) »;

2. alle prime due richieste, che si riferiscono a un «tu», in Matteo segue una terza che manca in Luca: « sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra ».

3. In Matteo l’ultima supplica: «non lasciarci soccombere nella tentazione» viene continuata dall’antitesi: «ma liberaci dal male ».

b. La formula abbreviata di Luca è tutta contenuta in Matteo, pertanto quella di Luca deve considerarsi quella più antica (originale).
1. Quando una redazione più breve è compresa in una più lunga, la più breve deve essere considerata come originale.

2. Chi avrebbe osato cancellare due richieste del Pater Noster se fossero appartenute al patrimonio primitivo della tradizione? È provato il contrario.

3. Le tre aggiunte di Matteo sono sempre alla fine di una frase:
– alla fine del vocativo iniziale;
– alla fine delle richiese riferite al « tu»;
– alla fine delle suppliche riferite al « noi»

4. In Matteo la costruzione stilistica è più fortemente articolata:
– alle tre suppliche del «noi » corrispondono le tre preghiere del « tu»;
– la terza supplica del «noi » («non ci indurre in tentazione ») è assimilata, sia nella struttura bipartita che nella lunghezza, alle due prime – caratteristica, questa, della tradizione liturgica.

5. Il vocativo iniziale in Luca pathr corrisponde all’uso delle più antiche preghiere «Abba » (Rm 8, 15; Gl 4, 6). Matteo ha un vocativo altisonante: « Padre nostro che sei nei cieli», pienamente conforme all’uso ebraico-palestinese.

c. La chiesa cristiana di origine pagana ci ha conservato il testo originale

d. La chiesa di origine giudaica, proveniente da un ambiente ricco di temi liturgici, ha rielaborato il Pater Noster ampliandolo

e. Poiché il testo di Matteo era quello più arricchito, si diffuse assai presto in tutta la chiesa: è il testo usato dalla Didaché.

f. Vi sono anche delle piccole divergenze nel testo comune: si trovano nella seconda parte, nelle suppliche per «noi».

1. La richiesta del pane:
– Mt: «dacci oggi il nostro pane per domani »
– Lc: «dacci ogni giorno il nostro pane per il domani».
Viene ampliato il campo della supplica e cade l’antitesi oggi-domani, usando in greco l’imperativo presente «dacci », mentre in tutto il Pater Noster si usa l’aoristo (imperativo passato). Matteo ha qui la formulazione più antica.

2. Nella supplica per il perdono:
– Mt: «Rimetti i nostri debiti »
– Lc: «Rimetti i nostri peccati ».
· In aramaico per peccato si usava una parola: hoba, che indicava un debito di natura economica.
· In greco il termine debito non veniva usato per indicare una colpa; in Luca viene sostituito con peccato.
· Ma l’aggiunta «perché anche noi rimettiamo a coloro che ci sono debitori » ci fa capire che la parola originale era: debiti.

3. L’ultima variante (traducendo letteralmente)
– Mt: «come anche noi abbiamo rimesso a coloro che ci sono debitori di qualcosa»
– Lc: «perché anche noi rimettiamo a chiunque ci è debitore di qualcosa».
· Matteo ci offre la formulazione più difficile: il suo testo potrebbe suscitare l’impressione – errata – che la nostra remissione:
– debba precedere quella di Dio;
– rappresenti il modello della remissione divina: perdonaci allo stesso modo con cui noi abbiamo perdonato!
· Alla base della formulazione di Matteo dobbiamo presupporre il perfetto presente aramaico che designa un’azione iniziata nello stesso momento in cui si parla: «come anche noi, ora, pronunciando queste parole, rimettiamo . . . ».
· Luca, usando il presente, evita questo malinteso e l’offerta del perdono è ampliata dall’aggiunta: «a chiunque».

g. Il confronto delle due redazioni ci dimostra che:
1. Luca ha conservato la forma più antica per quanto riguarda la lunghezza.

2. Tuttavia Matteo ha il testo più antico per quanto riguarda il tenore delle parole che i due testi hanno in comune.

h. Considerando la richiesta di perdono constatiamo che, sebbene il Pater Noster ci è stato conservato solo in greco, dobbiamo far risalire l’originale all’aramaico.
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III. IL SENSO DEL PATER NOSTER
1. Luca ci narra che insegnò il Pater Noster ai discepoli in un’occasione ben precisa: «Una volta Gesù pregava in un certo luogo. Quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11, 1).
 
2. I vari gruppi religiosi si distinguevano perché nella preghiera seguivano forme e regole particolari: era così per i Farisei, gli Esseni e, come dice Luca, anche per i discepoli di Giovanni.

3. Il modo in cui pregavano indicava in che modo si rapportavano a Dio ed era alla base dell’unità del gruppo.

4. I discepoli di Gesù si rendono conto di essere una comunità messianica e chiedono al Maestro una preghiera che costituisca il loro legame e il loro segno distintivo.

5. Il Pater Noster è il più chiaro e completo riepilogo del messaggio di Gesù.

6. Riprendiamo il testo presumibilmente più antico (redazione breve di Luca con le piccole varianti di Matteo:
Padre mio
sia santificato il tuo nome
il tuo regno venga
il nostro pane per domani, dacci oggi
e rimetti i nostri debiti,
come anche noi, pronunciando queste parole,
rimettiamo ai nostri debitori
e non permettere che noi soccombiamo nella tentazione.

7. Lo schema:

a. Il vocativo iniziale;

b. due richieste (in Matteo 3) in forma di voto, riferite al tu, poste in parallelismo;

c. due richiese parallele in forma di supplica per noi;

d. supplica finale.

a. L’invocazione al Padre

È essenziale comprendere questa invocazione, poiché racchiude in sé tutta la preghiera.

1. Come abbiamo già visto nel I° studio, il termine Abbà, che sta all’origine del vocativo greco pater, è la caratteristica distintiva della preghiera di Gesù:
· è senza omologie nelle preghiere giudaiche di quel tempo;
· è un vocabolo familiare della vita quotidiana che nessuno aveva osato applicare a Dio;
· usandolo Gesù dimostra di avere una comunione unica con Dio, ed è quindi dotato di pieni poteri: «Ogni cosa mi è stata in mano dal Padre mio» (Mt 11, 27).

2. La grande innovazione è l’autorizzazione che Gesù dà ai suoi discepoli di chiamare Dio "Padre " come faceva lui:
· li rende così partecipi dei suoi privilegi di figlio e garantisce la nuova appartenenza al nuovo popolo di Dio.
· Il nuovo popolo di Dio è la famiglia di Dio, il cui capo è Gesù e i cui membri sono i discepoli: i « piccoli» (Mc 9, 42), i « minimi» (Mt 11, 25).
· È proprio questo nuovo rapporto filiale che apre la porta del Regno «se voi non diventate di nuovo come fanciulli, non avete accesso al regno di Dio» (Mt 18, 13).
· Solo chi si abbandona alla fiducia infantile, racchiusa nella parola Abbà, appartiene al regno di Dio: il grido di Abbà, Padre è il segno che uno è figlio di Dio ed è posseduto dallo Spirito (Rm 8, 15; Gl 4, 6).

3. Da qui cominciamo a capire perché, secondo la chiesa primitiva, questa preghiera non fosse permessa a tutti e fosse supplicato:
Degnati, o Signore, di fare in modo che osiamo in letizia e senza presunzione chiamarti Padre, Tu il Dio del cielo, e dire: Padre Nostro.

b. I due voti

Le prime parole che il figlio dice al suo Padre divino:
«Sia santificato il tuo nome. Il tuo regno venga»

1. Entrambe queste richieste si presentano con una struttura parallelistica e corrispondono quanto a contenuto.

2. Letterariamente dipendono dal Qaddis, il "sanctus" della sinagoga, un’ antica preghiera aramaica con cui si concludeva il culto nella sinagoga.

3. I due voti si riferiscono alla rivelazione finale del regno di Dio. Come sulla terra ogni intronizzazione di un monarca è accompagnata da gesti e parole di ossequio, così avverrà quando Dio stabilirà il suo regno:
– «Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era, che è e che viene » (Ap 4, 8).
– «Ti ringraziamo, Signore, Dio onnipotente, colui che era e colui che è, perché hai usato la tua grande potenza per stabilire il tuo regno» (Ap 11, 17).

4. Matteo aggiunge una terza richiesta, uguale nel senso: « La tua volontà sia fatta, come in cielo così in terra »

5. Queste richieste invocano la pienezza finale, l’ora in cui il nome di Dio verrà glorificato e il suo regno sarà manifestato secondo la promessa: «Santificherò il mio grande nome profanato tra le genti, profanato da voi in mezzo ad esse; le genti sapranno che io sono l’Eterno (Jahvé), dice il Signore, quando manifesterò in voi la mia santità al loro cospetto » (Ez 36, 23).

6. Da un mondo che è schiavo del male, nel quale Cristo e Anticristo sono in continua lotta, i discepoli di Gesù invocano la rivelazione della gloria di Dio.

7. Allo stesso modo questa preghiera esprime una certezza assoluta; chi prega così prende sul serio la promessa divina e si abbandona nelle mani di Dio con incrollabile fiducia.

c. le due suppliche per noi
1. Anche le richieste per il pane e per la remissione sono strettamente collegate. Si tratta della vera novità rispetto alle forme di preghiera esistenti all’epoca.

2. La prima supplica chiede il pane quotidiano: la parola greca e)piou/sioj tradotta "quotidiano " da Lutero, ha suscitato una discussione fra i linguisti, ancora aperta. Le traduzioni possibili sono: necessario all’esistenza, che basta per oggi, che serve per l’indomani, che occorre per il futuro.

3. Secondo Girolamo, nel vangelo aramaico dei Nazarei si troverebbe il termine nahar (domani), quindi si tratta del pane per il domani.

a) Il vangelo dei Nazarei non è più antico dei sinottici, anzi sembra che dipenda da Matteo.

b) Tuttavia il testo aramaico del Pater Noster, riferito dal vangelo dei Nazarei, è più antico dei nostri vangeli.

c) In Palestina durante tutto il primo secolo il Pater Noster veniva recitato in aramaico, per cui l’eventuale traduttore di Matteo, dal greco nell’ aramaico del vangelo dei Nazarei, non ha tradotto il Pater Noster, ma lo ha trascritto come lo recitava quotidianamente.

d) La parola domani nel tardo Giudaismo non indica solo il giorno seguente, bensì il grande domani, la pienezza finale dei tempi.

e) Anche nella chiesa antica l’espressione per domani veniva intesa nel senso di pane del tempo della salvezza, pane di vita, manna celeste.

f) Pane di vita e acqua sono i simboli del paradiso, la pienezza di tutti i doni materiali e spirituali di Dio.

4. È di questo pane che intende parlare che intende parlare Gesù quando afferma che nel suo regno mangerà e berrà con i suoi discepoli (Lc 22, 30). Il tono escatologico di tutte le altre domande del Pater Nostre depone per questa interpretazione.

5. Per Gesù pane terreno e pane di vita non sono antitetici. Alla luce del regno di Dio ogni cosa terrena è santificata.

a) Ciò è evidente osservando i pasti di Gesù:
– il pane che porge (a mensa con i pubblicani e con i peccatori) è pane di oggi, ma anche segno e figura del pane di vita;
– quando mangia con i discepoli: è un pasto normale, ma anche una cena di salvezza, banchetto messianico;
– il pane spezzato nell’ultima cena non è solo pane terreno, è il suo corpo consegnato a morte per molti.

b) Anche nella chiesa delle origini i pasti comunitari erano pasti normali di nutrizione, ma anche Cena del Signore (1 Cor 11, 20) che procurava comunione con Lui e fra i credenti.

c) Così anche la supplica per il pane di domani, non scinde la realtà quotidiana dal regno di Dio, ma comprende la totalità, tutto quanto è necessario per il corpo e per lo spirito.

6. Solo riconoscendo che questa richiesta si riferisce al pano in senso completo, al pane di vita, si comprende l’opposizione oggi-domani in tutto il suo significato: già oggi, già quaggiù, dacci il pane di vita.

7. Questo è anche il senso della seconda richiesta:
«Rimetti i nostri debiti, come anche noi, pronunciando queste parole, li rimettiamo ai nostri debitori »

a) I discepoli sanno che solo il perdono misericordioso di Dio può salvarli

b) Ma non lo chiedono solo per l’ira dell’ultimo giudizio, ma chiedono che venga concesso già adesso

8. Anche questa richiesta, come quella del pane, si articola in due parti: ha un aggiunta unica nel Pater Noster, che si riferisce al comportamento umano:
a) L’orante rammenta a sé stesso il dovere di perdonare.

b) Gesù ha insegnato che non si può chiedere a Dio di essere perdonati, se non si è noi stessi pronti a perdonare:
«Quando state pregando, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, affinché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni le vostre offese» (Mc 11, 25).
In Mt 5, 23 s Gesù suggerisce di interrompere l’offerta per riconciliarsi col fratello, prima di portare a termine il sacrificio.

c) Non è sincera la richiesta di perdono di chi non ha cercato prima di chiarire i rapporti con i propri fratelli, e quindi non può essere accolta da Dio.

d) Dobbiamo essere pronti a comunicare agli altri il perdono che riceviamo, per ricevere già oggi il dono del tempo della salvezza.

9. Le due preghiere riguardanti noi sono, dunque, rivolte al regno di Dio e richiedono i doni di questo regno già nell’ora presente ed evidenziano il legame con le prime due richieste riferite a Dio.

10. Le due preghiere per noi sono l’attualizzazione dei voti riguardanti Dio:

a) I voti chiedevano la rivelazione della gloria di Dio.

b) Le domande del pane e del perdono ci spingono fino a forzare i tempi e chiedere fin d’ora e già in questo mondo la realizzazione di questo avvenimento finale.

d. La chiusa: la domanda di protezione
1. Fino a qui le richieste erano poste a due a due in parallelismo e le ultime due erano articolate in due parti.

2. L’invocazione finale, consistente in una sola riga, dà l’impressione di essere tronca e dura, ed è formulata negativamente: « non lasciarci cadere nella tentazione» – (non indurci) –

3. Il testo perciò potrebbe insinuare che è Dio a tentare. Giacomo ha rifiutato questa interpretazione: « Nessuno, quand’è tentato, dica: "Sono tentato da Dio", perché Dio né può essere tentato dal male, né tenta nessuno » (Gc 1, 13).

4. Un’antichissima preghiera serale ebraica, che Gesù potrebbe aver conosciuto ed alla quale potrebbe essersi ispirato, diceva:
Non condurre il mio passo in potere del peccato
e non portarmi in potere della colpa
e non in potere della tentazione
e non in potere dello scandalo  (Berakoth 60b)

a) Sia l’accostamento di peccato-colpa-tentazione-scandalo che l’ espressione portare in potere, mostrano che questa preghiera serale ebraica non pensa ad un'azione personale di Dio, ma ad una sua volontà permissiva.

b) Il senso è: non permettere che io cada in mano al peccato, alla colpa, alla tentazione, allo scandalo.

c) Questa preghiera chiede dunque di essere preservati dal soccombere alla tentazione.

5. Anche il Pater Noster ha questo intendimento: «Non lasciare che noi soccombiamo nella tentazione».
a) Non si tratta di essere preservati dalla tentazione, ma di essere difesi nella tentazione.

b) Ciò viene attestato anche da un antico Loghion extra-canonico di Gesù che, secondo un’antica tradizione, egli avrebbe pronunciato nel Gethsemani:
Nessuno può giungere al regno di Dio, se non è passato attraverso la tentazione.

c) A nessun seguace verrà quindi risparmiata la prova della tentazione, solo il superamento è oggetto della promessa.

6. Ciò è in linea con l’interpretazione data dalla chiesa antica alla richiesta finale del Pater Noster: non si chiede che venga risparmiata la tentazione, ma l’aiuto per superarla.

7. Notiamo che la parola tentazione è al singolare:

a) Non si tratta delle piccole tentazioni di ogni giorno,

b) ma della grande tentazione finale che invaderà il mondo ed è già alle porte:
– lo spiegamento del mistero del male;
– la manifestazione dell’Anticristo;
– l’orrore della desolazione (satana al posto di Dio)
– l’apostasia.

8. La domanda finale del Pater Noster significa dunque: Signore preservaci dal diventare apostati.

9. Anche la tradizione di Matteo l’intende in questo modo e vi aggiunge l’invocazione della salvezza definitiva: « ma liberaci dal male»

10. Ora forse comprendiamo perché la preghiera finale è così breve e brusca: Gesù ha invitato i suoi seguaci a pregare per il compimento del regno di Dio:
– in cui il nome di Dio verrà santificato;
– ha incoraggiato a chiedere i doni del tempo della salvezza, già ora;
– ma ha voluto anche preservare i suoi dal pericolo dell’esaltazione euforica e con l’ultima richiesta li riporta sul piano della loro esistenza minacciata: Padre, preservaci dal perdere la fiducia in Te.

11. La dossologia: «perché tuo è il regno e la potenza e la gloria nei secoli. Amen » manca totalmente in Luca e nei manoscritti più antichi di Matteo.

a) Appare per la prima volta nella Didaché

b) È impensabile che in ambienti palestinesi una preghiera finisse con la parola "tentazione".

c) Nel Giudaismo era d’uso terminare le preghiere con un sigillo, un verso di lode, formulato liberamente dall’orante.

d) Questo è avvenuto anche per il Pater Noster della comunità primitiva.

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CONCLUSIONE

1. Clemente di Alessandria diceva: Chiedete le cose grandi e Dio vi concederà le piccole, riferendo un detto di Gesù che non figura nei Vangeli.

2. Voi pregate male, dice Gesù (anche Giacomo 4, 3), perché le vostre preghiere si muovono nella sfera del vostro piccolo io, delle vostre necessità, difficoltà, desideri.

3. Domandate le cose grandi: La Gloria di Dio, il Regno, il pane di vita, il perdono e la misericordia; e chiedetele oggi, per l’ora presente.

4. Ciò non significa che non potete esporre anche le vostre piccole e banali necessità personali, ma non devono essere queste l’oggetto primario delle vostre preghiere.

5. Il Pater Noster ci insegna a chiedere le cose grandi.

6. Se vogliamo riassumere in poche parole il grande mistero espresso nel Pater Noster, possiamo usare un’espressione molto usata in questi ultimi decenni nell’esegesi del N.T.: l’escatologia che si realizza. Questa espressione designa:

a) L’ora della salvezza, in quanto sta attuandosi
b) l’anticipazione della pienezza.
c) L’irruzione nella nostra vita dell’OGGI di Dio.
Quando le persone umane osano, nel nome di Gesù, rivolgersi a Dio come Padre, con la confidenza dei figli, per chiedergli di manifestare, sin d’ora ed in questo mondo, la Sua Gloria, di concedere il pane di vita insieme al perdono dei peccati, in quell’istante si attua già adesso, pur nella minaccia del fallimento e dell’apostasia, il dominio regale di Dio sulla vita dei suoi figli: il Regno di Dio in "noi".
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