INDICE PAGINA
1. La forma letteraria del prologo di Giovanni
2. La successione dei pensieri
3. Il significato della designazione di Gesù Cristo come Logos

CAPITOLO IV°
LA PAROLA CHE RIVELA

I. LA FORMA LETTERARIA DEL PROLOGO DI GIOVANNI

a. Il Prologo di Giovanni, come introduzione di un libro, è unico nel suo genere.

b. Possiamo vedere com’era una introduzione negli altri 5 libri del N.T., escluse le epistole che sono un genere diverso.

c. Vengono usate due forme:

1. Ap 1, 1: «Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per indicare ai suoi servi le cose che debbono accadere rapidamente ed Egli fece conoscere mandandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni»: è un riassunto del contenuto del libro.
a) La prefazione al Vangelo di Luca è simile: si parla delle indagini accurate svolte dall’autore e dello scopo e carattere speciale del libro.

b) La stessa cosa Luca ha fatto all’inizio del suo libro, Atti degli Apostoli, richiamandosi, riassumendolo, al suo primo libro.

2. Mt 1, 1 «Libro della genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo».
Mc 1, 1 probabilmente dovrebbe essere tradotto: «Come Gesù Cristo, Figlio di Dio, principiò ad annunziare la Buona Novella»
Si tratta, in ambedue i casi, del titolo del primo capitolo.
d. Il Vangelo di Giovanni è completamente diverso: «Nel principio era la Parola» – enigmatico. Occorre, per comprenderlo, rivolgere l’attenzione alla forma letteraria di tutto il brano 1, 1-18. Possiamo fare tre osservazioni:
1. La struttura della frase: il prologo è costruito per mezzo di parallelismi, accoppiando proposizioni simili, come domanda e risposta (forse richiama l’uso dell’alternanza fra primo cantore e congregazione).
a) Questa forma è molto usata nei Salmi.

b) Nel Vicino Oriente il parallelismo fa parte del linguaggio poetico, ha la stessa funzione della rima nelle nostre lingue europee: insieme alla metrica distingue la poesia dalla prosa.

c) Gv 1, 1-18 è un brano poetico, un inno a Gesù Cristo il Logos, la Parola.

2. Questo inno si divide in quattro strofe:
I  -  Il Logos, la Parola di Dio: vv. 1-5.

II -  La testimonianza che lo addita: vv. 6-8.

III -  La vicenda del Logos nel mondo: vv. 9-13

IV -  La confessione della comunità credente: vv. 14-18.

3. Vi sono tre forme di parallelismo, normalmente:
a) il sinonimo: la seconda riga ripete il contenuto della prima;

b) l’antitetico: la seconda riga dice il contrario della prima:

c) il sintetico: la seconda riga aggiunge una nuova idea alla prima.
 

4. Nel prologo troviamo una quarta forma, molto elaborata e poco usata: parallelismo climatico (o graduale): ogni riga riprende una parola della riga precedente, come se la portasse un passo più in alto.
a) Nei sinottici ne abbiamo un esempio in Mc 9, 37: « Chiunque riceve uno di questi fanciulli in mio nome, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma Colui che mi ha mandato ».
b) La vediamo nei vv. 4 e ss a 14 e ss. (tralasciando il v. 15):
«In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini.
E la luce risplende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno compresa
. . . e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come d’Unigenito del Padre
piena di grazia e di verità . . .
E noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza
grazia sopra grazia».
5. Tuttavia questo parallelismo, caratteristica dominante del prologo, manca in alcuni versetti.

6. Mentre queste parti climatiche hanno un lessico diverso da quello del IV Vangelo (parole come Logos, grazia e verità e persino grazia non ricorrono fuori dal Prologo), vi sono degli inserti non climatici che invece tradiscono il linguaggio del resto del IV Vangelo:
vv. 6-8
vv. 12b-13
vv. 15 a 17-18.

7. Si distingue pertanto tra il Prologo originale, composto in greco, e i commenti dell’Evangelista.

a) Un caso simile lo troviamo in Fl 2, 6-11 che è un inno pre-paolino in cui Paolo ha inserito dei commenti.

b) Bultmann  ha sostenuto che il P.O. proveniva dai discepoli del Battista, ma ciò è confutato da Luca 1: i discepoli parlano della sua nascita miracolosa, ma non della sua preesistenza.

c) Il P.O. è di origine cristiana. Era uno degli inni cantati nella celebrazione della Cena «a Cristo come a un Dio» (Plinio, Lettera X, 96 a Traiano).

e. La chiesa delle origini si esprimeva col canto: inni, lodi, salmi « . . . la parola di Dio abiti in voi riccamente, in ogni sapienza, istruendovi ed esortandovi gli uni gli altri con salmi, inni e canti spirituali, cantando con grazia nei vostri cuori a Dio» (Cl 3, 16)
« . . . parlandovi fra voi con salmi, inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore» (Ef 5, 19).

f. In questa manifestazione di lode e di giubilo troviamo una grande ricchezza di temi svariati:

1. Nell’Apocalisse: inni e dossologie in cui i temi dominanti sono la lode di Dio e dell’Agnello e rendimento di grazie per la liberazione: nella persecuzione la chiesa è sempre un passo avanti, e tra le tribolazioni, anticipa nei suoi inni la consumazione finale.

2. La salvezza finale è anche anticipata nel Magnificat di Luca 1, 46-56 e nel Benedictus di Rm 11, 33-36.

3. 1a Corinzi 13 esalta l’amore.

4. Altri inni esaltano Cristo: Fl 2, 6-11; Cl 1, 15-20; 1 Tim 3, 16; 2 Tim 2, 11-13.

g. Il più simile a Gv 1 è l’inno di Fl 2, 6-11: entrambi sono su Cristo, ma sono diversi da tutti gli altri inni del N.T.
1. Riferiscono, raccontano e predicano la storia di Cristo: sono la storia della salvezza in forma di inni.

2. Questo genere letterario viene dall’A.T.: basta come esempio il Salmo 78.

3. Nella chiesa primitiva questo genere si sviluppa e si diffonde:

a) es.: il secondo articolo di fede del credo, che confessa, in un inno di lode, la storia di Gesù Cristo;

b) in campo gnostico si era diffuso il cosiddetto Inno Naasseno, trasmesso da Ippolito nel suo libro: "Refutatio omnium haeresum".

h. Nell’inno di Gv 1, 1-18, dopo le prime tre strofe (1-13), che sono poste alla 3a persona, vi è una rottura, un’interruzione: l’ultima strofa (14-18) passa alla 1a persona « . . . noi abbiamo contemplato la sua gloria».
1. L’inno termina con una confessione personale e culmina nel ringraziamento, nella lode e nell’adorazione.

2. Non è la parte introduttiva, le prime tre strofe, quella che contiene la sostanza reale dell’inno, ma la professione di fede dell’ultima.

3. Il Prologo, quindi, non è un passo dogmatico contenente speculazioni cristologiche sulla preesistenza di Cristo e la sua parte nella creazione e la sua incarnazione.

4. È, invece, l’esaltazione, in forma di inno, da parte della comunità dei credenti, del grandissimo dono fattoci da Dio mediante Colui nel quale è rivelata la gloria di Dio.

i. Perché Giovanni pone quest’inno all’inizio del suo Vangelo?
1. È un sommario del Vangelo? Se fosse così dovrebbe contenere anche una menzione della passione e della resurrezione.

2. La risposta si deduce dal contesto: subito dopo dal v. 19 segue la storia di Giovanni Battista.

3. Ciò dimostra che il prologo occupa la posizione che in Matteo e Luca occupano il racconto della nascita e dell’infanzia di Gesù.
4. In Giovanni non vi è alcun racconto della nascita di Gesù, sostituita dall’inno del Logos.

5. La comunità dei credenti esprime la sua adorazione con un inno di lode: Noi l’abbiamo visto, noi l’abbiamo sperimentato, noi abbiamo contemplato la Sua gloria!

6. Giovanni incomincia il suo libro su un tono di esaltazione: la proclamazione del Evangelo non può suonare mai abbastanza alta.

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II. LA SUCCESSIONE DEI PENSIERI

A. La Prima Strofa (vv. 1-5)

1. «Nel principio era la Parola» ( o( lo/goj )
a) Intenzionale reminiscenza delle prime parole della Bibbia: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1, 1).

b) Ma la parola principio ha significato nel prologo: non si tratta della creazione (che è menzionata al v. 3), piuttosto è riferita all’eternità prima di ogni creazione.

c) Non è un concetto temporale, ma qualitativo.

2. Il Logos viene presentato come mediatore nella creazione: «Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto».
a) Qual è il significato di questa dichiarazione? La risposta la troviamo al v. 10: «era nel mondo, il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe »

b) È la rivendicazione da parte di Gesù Cristo dell’autorità sovrana su tutto: tutti gli uomini sono sotto il diritto del Logos, anche se molti non lo riconoscono.

3. Infine, questo Logos era la luce degli uomini: «in lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini».
a) Ciò è stato frainteso nel senso che il Logos impartiva la luce interiore, la luce della ragione e della intuizione a tutti gli uomini.

b) Non è questo il senso, come indica il v. 5 « le tenebre non l’hanno compreso», la luce non è di questo mondo: è la luce della nuova creazione, la luce escatologica, la luce che rende vedenti i ciechi e ciechi coloro che vedono (Gv 9, 39).

c) La luce salvifica splende nelle tenebre, ma le tenebre « non l’hanno accolta». Gli uomini hanno preferito le tenebre.

B. La Seconda Strofa (vv. 6-8)
1. L’Evangelista inserisce ora una sua annotazione per dire che Dio ha annunciato la venuta del Logos per mezzo di un profeta chiamato Giovanni.

2. Il Battista è onorato come testimone, ma si evita ogni esaltazione o sovraestimazione: « . . . egli non era la luce», osservazione ripresa al v. 15: il Battista ha reso testimonianza a Cristo riconoscendone la superiorità.

3. La ragione di questo ammonimento a non sovraestimare il Battista riflette la situazione della Chiesa nell’Asia Minore alla fine del I° secolo.

4. Forse chi parla qui è uno che, prima di conoscere Cristo, aveva creduto che la luce fosse il Battista.

C. La Terza Strofa (vv. 9-13)
1. L’inno riprende dicendo altre cose sul destino del Logos nel mondo: « Egli era la vera luce venente (che stava venendo) nel mondo e che illumina ogni uomo»

2. Questo termina «che illumina ogni uomo » è stato spesso interpretato come se si riferisse a quella luce propria di ogni essere umano.

3. Questa interpretazione è in contrasto col v. 5.

4. Illuminare significa gettare luce su qualcosa ( fwti/zw = spendo, risplendo, brillo, illumino, rischiaro) v. 3, 19-21.

5. Quindi il v. 9 «la luce vera, che illumina ogni uomo, stava venendo nel mondo» vuol dire che la luce escatologica, splendendo nelle tenebre, aveva il potere di rivelare ogni cosa, di manifestare lo stato dell’uomo davanti a Dio.

6. Però il mondo «non lo conobbe », non volle riconoscerlo, lo rinnegò, rifiutando di obbedirgli, Persino tra i "suoi" in Israele, trovò le porte chiuse (v. 11).

7. Tuttavia alcuni lo ricevettero, credettero in lui. A questi egli concesse il dono più prezioso; «ad essi diede il potere ( ecousi/an , potere, autorità) di diventare figli di Dio» (v. 12).

8. I figli di Dio sono «quelli che credono nel suo nome (del Logos) i quali non dal sangue, né dalla volontà della carne ( sarko/j ), né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio vengono (sono nati)»

a) Il dualismo di Giovanni, non di origine gnostica ma palestinese (Esseni - Qumran), vede due modi di vita: vita dall’alto e vita dal basso – carne e spirito – vita naturale e vita spirituale – filiazione terrestre e filiazione divina.

b) Il dualismo è qui usato per chiarire il dono del Logos che consente di diventare figli di Dio:

c) Vi è solo una via verso Dio: la nuova nascita; vi è uno solo che la può dare: il Logos.

D. La Quarta Strofa (vv. 14-18)
1. La storia del Logos termina con la confessione di fede della comunità: «La Parola divenne carne e abitò fra noi» v. 14
a) Affermazione estremamente scandalosa, quasi blasfema, per i contemporanei di Giovanni.

b) Carne è l’uomo in contrapposizione a Dio, l’uomo nella sua fragilità e mortalità. Il Logos eterno divenne carne = apparve in una condizione di profonda umiliazione.
c) Abitò tra noi implica che Dio stesso era presente nella carne, in uno stato di umiliazione.

2. Come si può dire questo? Come si può dire che Dio era presente in un uomo che patì fame e sete, che conobbe il timore e l’angoscia e che morì come un criminale?

3. «Noi abbiamo visto la sua gloria », contemplato: Abbiamo visto la carne, l’umiliazione. La sciagura della croce, ma, attraverso questo velo di carne e umiliazione, abbiamo potuto contemplare la gloria di Dio ( qeasqai = vedere attraverso, contemplare).

4. «Piena di grazia e di verità », termine tecnico preso dall’A.T. che si riferisce al Patto e riassume ciò che il fedele sperimentava:

a) la misericordia di Dio, di cui erano indegni;

b) la verità, la costanza di Dio in tale misericordia;

c) questa gloria divenne visibile in Gesù. Quelli che hanno creduto in lui, hanno incontrato per suo mezzo la costanza della fedeltà di Dio.

5. La testimonianza della comunità va oltre la confessione: «della pienezza sua noi tutti ricevemmo grazia su grazia»
a) Non solo abbiamo contemplato la sua gloria, ma l’abbiamo ricevuta come grazia.

b) Abbiamo ricevuto da Dio una progressione di doni, ed ogni dono era maggiore del precedente.

6. Questa è la risposta della comunità credente alla domanda: come potete dire che nell’uomo Gesù l’eterno Iddio ha abitato tra noi?
a) Una risposta che addita la gloria di Dio, la costanza della sua misericordia e della sua grazia.

b) I credenti l’hanno contemplata e ricevuta.

7. Terminata la storia del Logos, il Prologo prosegue con una specie di sommario: vengono aggiunte due antitesi che mettono in evidenza il significato della rivelazione di Cristo.
a) Questa rivelazione è emessa in contrasto con quella dell’A.T. « La legge è stata data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità sono venute per mezzo di Cristo » v. 17.
b) La rivelazione, dataci nel Figlio è contrapposta anche con tutta la ricerca umana di Dio: «Nessuno ha mai veduto Dio. L’Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha rivelato (fatto conoscere)».
8. Dio è invisibile e Santo. Il peccatore non può vederlo senza morire. Solo il Figlio lo ha visto e ce lo ha fatto conoscere: « chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9). Per mezzo del Figlio è tolto il peccato e la visione di Dio è resa possibile.

9. In questa clausola finale del v. 18 è proclamata l’assolutezza e la universalità dell’opera di Cristo.

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III.  IL SIGNIFICATO DELLA DESIGNAZIONE DI GESÙ CRISTO COME LOGOS
A. Origine di questo titolo
1. Si è sostenuto che abbia avuto origine nello gnosticismo, ma un esame delle fonti ha dimostrato che il concetto di Logos ha una parte molto limitata nello gnosticismo.
a) Nel "primo gnosticismo" – Scuola Valentiniana – è chiaramente derivato da Gv 1
2. Le sue origini vanno cercate nell’Ebraismo ellenistico dove viene usato il termine Logos come rivelazione di Dio.
a) Lo troviamo in Filone, ma è più antico di Filone.

b) Lo troviamo già nella LXX, in Hab 3, 5 dove si dice che davanti a Dio «camminava la peste ». Peste o pestilenza (debher) si scrive come "parola" (dabhar): è solo la vocalizzazione, non contenuta nel testo, a fare la differenza. Nella LXX si dice che davanti a Dio «verrà logos».

c) La forza di questo concetto del Verbo, come precursore di Dio, si può vedere in Sap 18, 15: « . . . la tua Parola onnipotente, dal cielo, dal tuo trono regale, si precipitò in quella terra maledetta. Era come un guerriero implacabile: i suoi piedi toccavano terra, ma la sua mano arrivava fino al cielo . . . ».

d) Questa immagine ci richiama Ap 19, 11 ss dove Cristo viene descritto come l’eroe sul cavallo bianco con una spada tagliente che gli esce dalla bocca: « . . . e il suo nome si chiama « La Parola di Dio . . . » (Ap 19, 13).

3. È probabile che il titolo di Verbo di Dio fu usato, in un primo tempo, dai primi cristiani come un attributo del Signore venturo.

4. In un secondo stadio il titolo fu applicato al Signore terreno (1 Gv 1, 1 ss) e al Cristo preesistente (Gv 1, 1).

5. Il Prologo, quindi, rappresenta uno stadio avanzato dell’uso di tale titolo da parte della chiesa.

B. Nel 110 d.C. – una ventina di anni dopo la composizione del Vangelo di Giovanni – Ignazio di Antiochia, nel suo viaggio verso Roma, dove lo attendeva il martirio, scrisse alcune lettere alle chiese dell’Asia Minore. Sono delle testimonianze impressionanti della fede cristiana.
1. Nella lettera alla chiesa di Magnesia parla di Cristo come della Parola di Dio: « . . . Gesù Cristo, che è il Verbo di Dio, che venne avanti dal silenzio » (Magn 8, 2)

2. Parte dal presupposto che Dio taceva, prima di inviare Gesù Cristo.

3. Il silenzio di Dio è una nozione di origine giudaica:

a) Che cosa c’era prima che Dio parlasse? – chiedevano i rabbini – e la risposta era: il silenzio di Dio (4 Esd 6, 39).

b) Il silenzio che precedette la rivelazione di Dio nella creazione, precedette anche la rivelazione della sua collera contro il Faraone (Sap 18, 14) e ci sarà di nuovo prima della nuova creazione (4 Esd 7, 30).

c) Nel Giudaismo ellenistico il Silenzio era diventato il simbolo della più alta divinità.

4. C’era anche una preghiera al Silenzio: nel grande "papiro magico" di Parigi. La liturgia di Mitra (IV secolo d.C.):
Silenzio, Silenzio, Silenzio,
simbolo dell’eterno, immortale Iddio,
prendimi sotto le tua ali, Silenzio.
C. Dunque, in un mondo che conosceva il silenzio di Dio come segno della Sua inesprimibile maestà, il messaggio della chiesa proclama: Dio non è più silenzioso: Egli parla!
1. È vero che egli ha già agito rivelando il Suo potere mediante la Creazione.

2. Ha fatto conoscere la Sua volontà inviando i suoi messaggeri, i Profeti.

3. Tuttavia, nonostante ciò, rimase pieno di mistero incomprensibile, imperscrutabile, invisibile.

4. Ma non è sempre rimasto nascosto. C’è stato un momento in cui ha parlato distintamente e chiaramente: ciò è avvenuto in Gesù di Nazareth, soprattutto sulla croce.

D. Questo dice l’inno in lode a Cristo all’inizio del Vangelo di Giovanni:
Dio non tace più: Dio ha parlato,
Gesù di Nazareth è la Parola con
cui Dio ha rotto il silenzio.
«Dio . . . in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del  Suo Figlio . . . » (Eb 1, 1-2)
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